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Sommario del 28/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa su strage Lahore: crimine vile e insensato. Appello a garantire minoranze

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La Pasqua nel Pakistan “insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti”. La voce del Papa al Regina Caeli, nel Lunedì dell’Angelo, si è levata per esprimere la sua condanna e vicinanza a tutte le vittime, per la maggior parte “donne e bambini” della minoranza cristiana, raccolte ieri “in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale”. Ascoltiamo le parole accorate di Francesco nel servizio di Roberta Gisotti

“Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari”.

Quindi l’appello del Papa “alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali" del Pakistan "perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili”.

"Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace”.

Poi la preghiera:

“La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione”.

Prima del Regina Caeli, Francesco nel Lunedi dell’Angelo ha invitato a meditare “con stupore e riconoscenza il grande mistero della risurrezione del Signore”:

“Se Cristo è risuscitato, possiamo guardare con occhi e cuore nuovi ad ogni evento della nostra vita, anche a quelli più negativi. I momenti di buio, di fallimento e di peccato possono trasformarsi e annunciare un cammino nuovo".

Se ci affidiamo a Cristo, “la sua grazia ci salva!”.

“Quando abbiamo toccato il fondo della nostra miseria e della nostra debolezza, Cristo risorto ci dà la forza di rialzarci”.

Quindi l’invocazione a Maria, che è “stata in piedi accanto alla croce”:

“Non si è piegata di fronte al dolore, ma la sua fede l’ha resa forte”.

“Nel suo cuore straziato di madre è sempre rimasta accesa la fiamma della speranza”.

“Chiediamo a Lei che aiuti anche noi ad accogliere in pienezza l’annuncio pasquale della risurrezione, per incarnarlo nella concretezza della nostra vita quotidiana”.

Infine, a tutti i fedeli raccolti in piazza San Pietro un invito speciale a leggere ogni giorno un brano evangelico sulla Risurrezione:

“Cinque minuti, non di più, si può leggere un brano del Vangelo. Ricordatevi di questo!”.

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Oggi in Primo Piano



Pakistan: strage al parco di Lahore, 72 vittime, circa 50 i cristiani

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È il giorno del dolore  e del lutto in Pakistan, all’indomani dell’attacco di un kamikaze in un parco pubblico di Lahore, dove si erano raccolte molte famiglie cristiane per celebrare la Pasqua. Il bilancio dell’attacco è salito a 72  vittime, almeno 30 i bambini, e circa 340 feriti. La polizia pakistana ha arresto 50 persone che sarebbero coinvolte nell’attacco rivendicato dai talebani, mentre si segnalano manifestazioni di islamici radicali a Islamabad. Il servizio di Marco Guerra

E’ stata una strage di famiglie. Secondo alcune fonti almeno 51 delle 72 vittime erano cristiani che stavano festeggiando la Pasqua ma sono stati colpiti anche tanti musulmani che passavano la giornata all’aperto. Fra i morti si contano una trentina di bambini, che nel momento dello scoppio utilizzavano i giochi e le attrezzature sportive del Gulshan-e-Iqbal Park. La polizia ha confermato la presenza di un kamikaze e anche l'uso di sfere metalliche nell'esplosivo per aumentarne l'effetto letale. Stamane la città di Lahore era deserta, coi mercati e le scuole chiuse in solidarietà con le vittime dell’attentato, mentre gli ospedali da ieri sera sono affollati di familiari delle vittime e dei feriti, che chiedono giustizia. Molta gente, cristiani e musulmani, stanno visitando le strutture sanitarie per donare sangue per i feriti, mostrando unità contro l’estremismo. L’attacco è stato rivendicato da uno dei tanti gruppi della galassia talebana ed oggi si segnalano manifestazioni di gruppi radicali ad Islamabad, che chiedono la pena di morte per Asia Bibi e protestano contro l’impiccagione di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che ha assassinato il governatore del Punjab contrario alla legge sulla blasfemia. Per un commento sentiamo Francis Paul, presidente della Comunità dei pakistani cristiani in Italia:

R. – Da tempo i cristiani, in Pakistan, soffrono come minoranza. Ieri, mentre stavano festeggiando al parco, con i bambini che giocavano sulle giostre …qulla degflagrazione! Quando si perde un affetto – bambino, figlio, marito – il dolore della persone è inimmaginabile. Abbiamo sentito alcuni nostri parenti del Pakistan, alcuni dei quali abitano a Lahore: tutti sono rimasti scioccati … E’ stata una tragedia molto dolorosa …

D. – I cristiani in Pakistan sono da sempre nel mirino dei fondamentalisti islamici. Vi aspettavate un attacco così sanguinoso? C’erano segnali che potevano far presagire questo attentato?

R. – La paura c’è sempre: alcuni anni fa hanno attaccato le chiese mentre la gente all’interno pregava … Da quel momento il governo ha collaborato e per la sicurezza dei cristiani aveva addirittura fatto alcuni passi un po’ più importanti: cioè, la polizia era davanti alle chiese, quelle più grandi e anche quelle più piccole in tutto il Pakistan, nelle parrocchie, nei conventi, dove ci sono le suore, in particolare in occasione delle celebrazioni del Natale e di Pasqua. Però, i terroristi sono più forti. Questa volta non hanno attaccato le chiese, ma nel mirino ci sono lo stesso sempre i cristiani. Lo sapevano sicuramente, infatti, che i cristiani il giorno dopo Pasqua stanno lì. Anche se il governo sta facendo tanto, i terroristi però hanno rivendicato il gesto; questi e altri gruppi, che appartengono al grande gruppo dei talebani che sono sempre contro i cristiani …

D. – Il Papa ha chiesto alle autorità civili di ridare sicurezza alla popolazione, in particolare alle minoranze religiose più vulnerabili. Quali passi concreti devono essere compiuti dal governo affinché questo avvenga, affinché siano protette le minoranze?

R. – Il governo, tutti si stanno adoperandosi per la sicurezza, per difendere i cristiani, però non basta. Servirà aumentare la presenza dei poliziotti o dei militari davanti alle chiese, penso che sia necessario intensificare ancor più l’impegno per la sicurezza dei cristiani.

D. – Oggi c’è stata la marcia di alcuni gruppi fondamentalisti che chiedono la condanna a morte di Asia Bibi e ricordano l’assassinio del governatore che voleva abolire la legge sulla blasfemia. C’è questa componente molto radicale che crea instabilità in Pakistan …

R. – Ci sono due teorie. Una dice che quando è stato creato il Pakistan, è stato creato come Stato laico, per tutte le religioni. Un’altra teoria dice che lo Stato del Pakistan è stato creato “solo” per i musulmani. Quindi, quei gruppi che oggi sono contro altre appartenenze religiose, come i cristiani, gli indù che è una minoranza che non raggiunge il 3%, lo sono perché ritengono che il Pakistan debba essere “solo” per i musulmani, solo ed esclusivamente. Perché, “Pak” vuol dire “terra dei puri” e “terra dei puri” vuol dire Pakistan, perché i puri sono i musulmani. Appoggiandosi a questa idea, alcuni gruppi fondamentalisti, questi che stanno facendo la manifestazione a Islamabad, ritengono che in uno Stato islamico debbano viverci solo i musulmani.

D. – Quindi, anche se sono morti dei musulmani, si è voluto colpire la comunità cristiana? Cioè, l’obiettivo era colpire la comunità cristiana?

R. – L’obiettivo, esattamente, erano i cristiani. E dispiace anche che sia accaduto il giorno di Pasqua, il giorno della festa, che tutti avevano aspettato e organizzato; c’era quindi la volontà di colpire in un giorno particolare. Anche altre volte, quando hanno attaccato, lo hanno fatto in giorni particolari: di domenica, quando tutti erano in chiesa. E anche ieri, loro sapevano che era un giorno importante, era Pasqua, e quindi era importante – per loro – colpire nel giorno di Pasqua …

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Correa: l'Is non ha niente a che fare con il vero islam

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Una delle conseguenze dei recenti attentati di Bruxelles e Parigi rivendicati dai jihadisti del sedicente Stato islamico, è la crescita tra la gente della diffidenza, se non a volte dell’ostilità, nei confronti dei musulmani che vivono nelle nostre città. Il rischio in questi casi è che la violenza di estremisti, che si richiamano all’islam, getti una luce negativa sugli uomini e le donne appartenenti a quella religione, creando ulteriori chiusure anche nei confronti dei tanti migranti musulmani giunti alle porte dell’Europa. Adriana Masotti ha sentito in proposito Francesca Maria Corrao, professore Ordinario di Lingua e Cultura Araba presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università Luiss di Roma. 

D. – Professoressa Corrao, qualche giorno fa un quotidiano italiano titolava, dopo i fatti di Bruxelles: “Cacciamo l’islam da casa nostra!”. Quando però sentiamo i musulmani che vivono in Europa, ci sentiamo dire che ciò che è avvenuto non c’entra nulla con l’islam, che non è l’islam! Come stanno le cose, secondo lei?

R. – Effettivamente è proprio vero: questa forma di terrorismo, che utilizza alcuni versetti per seminare il terrore, in realtà sta operando contro lo spirito essenziale della religione. La religione esiste per la felicità degli esseri umani e così come l’islam il cristianesimo, l’ebraismo, il buddhismo. Dunque è chiaro che nei terroristi c’è una assoluta mancanza di rispetto nei confronti della vita e della dignità umana.

D. – Ma, secondo lei, c’è una sufficiente maturazione nel mondo islamico nell’interpretare oggi i precetti del Corano rispettando quella che è la dignità della persona: è in atto questa crescita?

R. – Assolutamente sì! E’ da due secoli che c’è un dibattito sul rinnovamento dell’islam, che è molto importante. Ci sono grandi studiosi, filosofi, teologi dall’Egitto al Marocco: questi hanno adeguato la lettura dell’islam, riportandola all’essenza, alla purezza; però la purezza non è la violenza e la follia come interpretano, invece, questi estremisti  dai quali è poi venuta fuori questa corrente di fanatici e di dissennati. E comunque voglio ricordare che le manifestazioni delle rivoluzione arabe, che hanno preso l’avvio alla fine del 2010 e nel 2011, erano partite proprio in nome della dignità della persona, della giustizia. Noi si pensa: questi poveri ragazzi che sono nelle  banlieue, che rispondono a questo richiamo di questi fanatici Imam che li plagiano…. E’ verissimo, ma ci sono anche migliaia, centinaia di migliaia di ragazzi che patiscono ingiustizie, ma che non fanno ricorso alla violenza e al fanatismo e sono – pure loro! – musulmani. Le faccio un esempio: questi pazzi scatenati dell’Is hanno distrutto Palmira, ma Palmira stava lì da mille anni sotto un dominio di governi ispirati all’islam e non ha mai pensato nessuno di distruggerla; lo stesso per le meraviglie che stavano in Iraq; anche in Afghanistan sono stati i talebani a distruggere i Buddha di Bamiyan, mica sono stati gli afghani musulmani…

D. – Parlando di terrorismo, nel caso dell’Is o di Boko Haram, secondo lei è corretto fare un discorso di tipo teologico oppure il vero ambito di analisi è quello geopolitico-economico?

R. – L’ambito di analisi è geopolitico-economico; dopodiché il discorso teologico non ci porta da nessuna parte. In questo momento noi dobbiamo parlare della dignità degli esseri umani ad altri essere umani ed unirci contro il terrorismo.

D.  – Per contrastare la violenza dell’Is e di altri gruppi terroristici quanto può essere utile il coinvolgimento di Imam e intellettuali musulmani?

R. – Assolutamente sì: imam, intellettuali, ma anche mamme musulmane, papà, lavoratori: sono le persone comuni che cambiano il corso della storia!

D. – Ma il Corano permette l’uccisione di una persona in determinate condizioni? In un versetto è scritto: … chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla Terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera….

R. – Sul Corano c’è scritto tutto e il contrario di tutto…. Il problema è l’educazione e l’insegnamento: quindi sono le scuole; e quindi sono gli imam; ma quindi sono anche i genitori, le madri e le comunità tutte, nel loro insieme. Quello che lei ha citato, quel versetto del Corano, preso così da solo non significa assolutamente niente! Pure nell’Antico Testamento possono esserci delle affermazioni che non hanno senso nell’attualità: tutto va interpretato e spiegato! Ovviamente l’islam ha una peculiarità: quella che ciascuno può leggere il Corano e approfondire il rapporto con Dio; ma questo approfondimento del rapporto con Dio non vuol dire la manipolazione della Parola di Dio a fini politici. Non c’entra niente!

D. – Qualcuno sostiene che l’islam è intrinsecamente violento e proprio perché non c’è una interpretazione si prende alla lettera il Corano:

R. – No, non è cosi! Non è stato mai così! E’ l’essere umano ad essere intrinsecamente violento ed è l’essere umano ad essere intrinsecamente buono: l’essere umano utilizza la propria violenza, la educa e la controlla oppure no! Questo è un fatto di civiltà, di educazione e di scelte culturali. E’ chiaro che è importante conoscere, approfondire, studiare e divulgare la giusta lettura ed è quello che tanti studiosi islamici hanno fatto negli ultimi due secoli ed è, dunque, da parte nostra fondamentale conoscere e riconoscere questi sforzi e collaborare con le persone che operano in questa direzione.

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Mons. Perego: Europa mostri scatto di umanità verso migranti

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Sul fronte emigrazione da segnalare l’arrivo in Italia, previsto domani mattina nel porto di Pozzallo, di 730 migranti a bordo della nave norvegese Siem Pilot, tratti in salvo oggi in sei interventi della Guardia Costiera mentre erano in difficoltà su dei gommoni nel Canale di Sicilia. Si ripropone dunque ogni giorno il dramma dei profughi, verso cui dobbiamo avere sentimenti di solidarietà, come ha evidenziato il gesto eucaristico del Papa di lavare i piedi a 12 richiedenti asilo al Centro Cara di Castelnuovo di Porto. Un itinerario quello di Francesco di continui gesti e incontri, a partire dal suo viaggio a Lampedusa nel 2013. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei: 

R. – A Lampedusa, il Papa aveva detto che occorreva opporre alla globalizzazione dell’indifferenza la globalizzazione della solidarietà, con i gesti successivi, che hanno parlato più di tanti discorsi, tra cui l’ultimo nel Cara di Castelnuovo di Porto, il Papa ha voluto ribadire come occorra costruire, nei gesti e nelle relazioni, quella cultura dell’incontro che è veramente lo strumento importante per vincere l’indifferenza e la paura che, anche dopo i fatti recenti, stanno entrando nelle città, nelle coscienze di tante persone in Europa.

D. – L’Europa, ormai, si è chiusa a riccio. Ciò che si sta affacciando nelle nostre vite sono tragedie forse ben più gravi rispetto a quelle a cui abbiamo assistito, perché queste persone certo non si arrenderanno di fronte alla chiusura delle frontiere e cercheranno altre strade …

R. – L’aspetto veramente impressionante e, da un certo punto di vista, vergognoso dell’Europa, in questo momento, è proprio l’incapacità di leggere ciò che sta avvenendo in tanti Paesi, anche alla periferia dell’Europa. Profughi di guerra, delle 33 guerre in atto; profughi ambientali, che sono quattro volte i profughi di guerra; profughi in cammino da Paesi nei quali non c’è libertà politica né libertà religiosa; profughi in cammino per non essere vittime di tratta. E’ impressionante e vergognoso, come l’Europa non stia leggendo questa situazione e come l’Europa non ritenga un aspetto strutturale della sua democrazia, riuscire a ripensarsi anche alla luce di una solidarietà che non può essere delegata fuori dai nostri confini, come è avvenuto con l’accordo con la Turchia e prima ancora con  l’accordo con la Libia, ma che deve essere dentro l’Europa stessa, attraverso una nuova riorganizzazione di questa protezione internazionale nei diversi Paesi – nei 28 Paesi europei – che porti veramente l’Europa ad accogliere un milione di persone – lo stesso numero che sta accogliendo il piccolo Libano – e che veda l’Europa diventare effettivamente una democrazia che riparte proprio dalla protezione internazionale. Noi ci auguriamo che ci sia questo scatto di umanità, ma soprattutto questo scatto di democrazia perché, diversamente, la chiusura dell’Europa non potrà che vedere un’Europa sempre più assediata, e sempre più assediata al proprio interno da un terrorismo che, di fatto, sta ripartendo e facendosi forza su questo chiusura dell’Europa stessa.

D. – Qual è l’Italia che probabilmente si troverà ad affrontare una nuova ondata di arrivi che erano stati mitigati dalla rotta dell’Egeo? Lampedusa ha subito una trasformazione in “hotspot”, e sappiamo tutte le polemiche che ne sono conseguite. L’Italia è pronta?

R. – L’Italia non è pronta e ha perso un anno. L’Italia avrebbe dovuto sfruttare questo tempo ed effettivamente allargare quel progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), di accoglienza dei richiedenti asilo, in tutti i comuni italiani come uno dei nuovi servizi sociali di una democrazia attenta alla protezione internazionale. E invece, l’ultimo bando è andato semi-deserto: 5 mila posti sui 10 mila erano disponibili. Senza un’accoglienza diffusa, il rischio è che l’arrivo di tante persone si trasformi ancora in un’accoglienza in grandi centri, in conflittualità sociale e si rischia ancora una volta di alimentare quella contrapposizione che premia poi i partiti nazionalisti e anti-immigrati, in Italia, come sta avvenendo in altri contesti europei. Quindi, noi ci auguriamo che, da subito, ci sia questa attenzione, un’attenzione che chiede anche il cambiamento del progetto Sprar. Oggi il progetto Sprar, purtroppo, nasce intorno a una logica statalista, o il Comune lo promuove, oppure, diversamente, nessuna associazione sul territorio – contrariamente a tutti gli altri servizi sociali – può promuoverlo. Noi ci auguriamo che questo possa cambiare perché la società civile, insieme al Comune, possa aprire degli spazi.

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Brexit: il fronte separatista preoccupa l'Unione Europea

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In Gran Bretagna è sempre vivo il dibattito sulla possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la cosiddetta Brexit. A deciderlo sarà il referendum del prossimo 23 giugno. Il fronte separatista, che già conta il sindaco di Londra Boris Johnson, insieme con i ministri della Giustizia e del Lavoro, e una buona fetta dell’opinione pubblica, preoccupa il premier David Cameron e l’Unione Europea. Stefano Pesce ha intervistato Marco Piantini, consigliere per gli Affari esteri del governo italiano: 

R. – La campagna elettorale per il referendum è appena iniziata. Sappiamo che tradizionalmente il grande pubblico britannico non ha un rapporto molto positivo con l’Unione Europea, però io ho la fiducia che il primo ministro Cameron e il principale partito di opposizione, il partito laburista, riusciranno a spiegare le ragioni della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.

D. – L’Unione Europea sta considerando seriamente la possibilità di un’uscita della Gran Bretagna?

R. – Certo, purtroppo si! La dobbiamo considerare seriamente…Diciamo che scaramanticamente non vogliamo crederci, perché una Unione Europea senza Regno Unito sarebbe una Unione Europea più povera; e un Regno Unito senza Unione Europea sarebbe sicuramente un Regno Unito più povero: io direi che soprattutto il Regno Unito sarebbe più povero.

D. – Quali effetti potrà avere sull’economia dell’Unione Europea l’uscita della Gran Bretagna?

R. – Ormai i legami tra tutte le economie europee e tra i diversi settori industriali e finanziari sono talmente profondi che delle rotture avrebbero gravi conseguenze per l’occupazione, per la crescita e per la stabilità.

D. – Alla Gran Bretagna conviene uscire dall’Unione Europea?

R. -  Io credo assolutamente di no!

D. – La Gran Bretagna attualmente è nell’Unione Europea, ma in che modo?

R. – E’ presente nelle dinamiche europee, da sempre con le sue caratteristiche. Ha sempre avuto dei negoziatori molto abili; è sempre stata capace di definire molto bene i suoi interessi e, a volte, anche di farli passare con forza e con decisione all’interno dell’Unione Europea. C’è, però, da chiedersi se qualche volta – paradossalmente – non abbia un po’ penalizzato se stessa, perché l’atteggiamento che spesso ha avuto di stare dentro ma con un piede fuori, le ha fatto pagare un prezzo. Credo che una parte importantissima della loro opinione pubblica e della loro classe dirigente, questo lo sa bene: è molto meglio essere parte dei processi, è molto meglio essere dentro le cose per poter incidere sulle decisioni.

D. – Si è parlato di uno statuto speciale per trovare un compromesso ed evitare le Brexit. Cosa vuole la Gran Bretagna in più rispetto alle libertà di cui già gode?

R. – E’ un accordo che entrerà in vigore soltanto se i cittadini britannici decideranno che il Regno Unito resti nell’Unione Europea.

D. – Cosa chiede il Regno Unito?

R. – Il Regno Unito fondamentalmente ha chiesto di chiarire alcuni aspetti in ambito economico per quanto riguarda la competitività, per quanto riguarda alcuni principi che sono relativi alla sovranità. Una parte particolarmente spinosa del negoziato è stata quella relativa alla libertà di circolazione dei lavoratori.

D. – L’Europa è propensa ad accontentare la Gran Bretagna?

R. – Diciamo che si è trovato un accordo. E’ stato importante affermare dei principi fondamentali ai quali non si può rinunciare: principi di non discriminazione tra i cittadini. Diciamo che si è trovato un buon compromesso in un contesto certamente non facile.

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Il priore di Bose: la misericordia scandalizza chi si sente giusto

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Nell'Anno Santo siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia del Padre per diventare noi stessi segno efficace dell’agire di Dio. Sulla scia di questo invito del Papa, Enzo Bianchi, priore della comunità ecumenica di Bose, ha pubblicato recentemente per la San Paolo un libro che è un invito alla conversione, intitolato 'L'amore scandaloso di Dio'. Ma perché la misericordia dà fastidio, scandalizza? Fabio Colagrande l'ha chiesto allo stesso autore: 

R. – Perché noi uomini abbiamo un concetto di giustizia che è sempre una giustizia un tempo punitiva, poi correttiva. Ma noi abbiamo innestato dentro di noi questo meccanismo, ben detto dal romanzo di Dostoevskij “Delitto e Castigo”: dove c’è il peccato ci deve essere la pena; dove c’è il delitto ci deve essere il castigo. Allora, che un Dio invece, gratuitamente, perdoni il figlio andato via di casa, che non condanni l’adultera, che non ponga condizioni ma al contrario dia il suo perdono infinito: questo ci scandalizza. E più noi ci sentiamo giusti, religiosi, più siamo infastiditi e finiamo per dire: “Ma queste posizioni, queste parole di Gesù sono troppo!”. Effettivamente, noi ci sentiamo turbati a volte dagli atteggiamenti di Gesù.

D. – E chi sono gli scandalizzati dalla misericordia: coloro che si ritengono giusti?

R. – Sono quelli che si ritengono giusti. Dobbiamo anche capire il perché. Devo dire che io, come monaco, ormai ho tutta una vita dietro e lo capisco bene: alcune volte, quando si guarda alla propria vita: tanti sforzi, tante ascesi, tanta disciplina per non commettere i peccati… Allora si è come tentati di dire che, insomma, un po’ giusti lo siamo. Siamo tentati di guardare gli altri e di vederli con i loro peccati, i loro limiti o i loro gravi delitti. Ecco, questo non è cristiano. Gesù ci ha insegnato che intanto tutti siamo peccatori, chi in una maniera chi nell’altra, nessuno può giudicare un altro: solo il Signore lo farà e si conoscerà allora quanto uno è veramente peccatore. Ma noi, in qualche misura, siamo tentati: se siamo religiosi, vogliamo dare l’esempio, l’esemplarità. Insomma, quelli che nel Nuovo Testamento erano una parte di Scribi, Farisei - questi zelanti, questi “giusti incalliti” li chiamo - costoro ci sono sempre, anche oggi, e li vediamo qualche volta che vorrebbero fermare la misericordia di Dio, contenerla, secondo le loro regole.

D. – Lei dà anche un’indicazione per vivere concretamente la misericordia: vedere, sentire, e poi agire però…

R. – Sì, perché la misericordia si fa. Bisogna vedere, fino ad avvicinarci, la prossimità, quindi sentire i sentimenti di misericordia e di compassione che ogni uomo ha; ma poi passare all’azione, perché la misericordia deve essere atteggiamento, comportamento, stile, cura, un impegno fatto con tutta la nostra persona verso l’altro. Non può essere qualcosa di semplicemente spirituale e tantomeno ridursi a delle parole.

D. – Ecco, vediamo che alcuni sono scandalizzati dal Pontificato di Papa Francesco: sarà proprio perché insiste sulla misericordia che, come dice lei, “scandalizza”…

R. – Io sono convinto di sì. Devo dire che nel libro avrei potuto dire ogni volta, leggendo il Vangelo e dicendo: “Qui Gesù ha scandalizzato”, aggiungere che qui Francesco ha scandalizzato, commentando il Vangelo e semplicemente applicandolo. Per cui, c’è un solo problema davvero nei confronti di Papa Francesco: il suo volto misericordioso scandalizza esattamente come il volto di Gesù, né più né meno.

D. – Come vivere questa tempo di Pasqua nel cuore dell’Anno Giubilare dedicato alla misericordia? Che senso darle?

R. – Che diventi un’esperienza della misericordia di Dio su di noi. Che facciamo quest’esperienza; siamo portati a fare misericordia agli altri. Se invece ci chiudiamo alla misericordia di Dio e pensiamo che non sia l’unica cosa di cui abbiamo bisogno perché abbiamo bisogno di altro, non saremo mai dei misericordiosi che fanno misericordia. E quindi il Regno dei Cieli ci è precluso.

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La storia del crocifisso vichingo ritrovato in Danimarca

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E' una scoperta che potrebbe riscrivere la storia del cristianesimo in Danimarca. Si tratta di un crocifisso ritrovato presso la città di Aunslev e risalente alla prima metà del 900, epoca nella quale il cristianesimo non era ancora diffuso in questo Paese. Maria Laura Serpico ha intervistato il presidente dell’Accademia Urbana delle Arti, Rodolfo Papa: 

R. – La cosa credo che sia interessante per un fatto: che, essendo un ciondolo, probabilmente appartenuto a una donna, un crocifisso veramente di pochissimi centimetri – 4 centimetri circa – questo, forse, ci apre a delle ipotesi di contatto con popolazioni circostanti. Del resto, sappiamo che i vichinghi si muovevano moltissimo, sia nei loro mari, ma poi anche conquistando pian piano le coste dell’Europa, giungendo fino nel Mediterraneo, più o meno un secolo dopo. Quindi, forse, nelle scorribande fatte magari in Inghilterra o forse in Irlanda o anche in territori più vicini, qualcuno è riuscito a entrare in contatto in maniera più profonda. Perché, è vero che erano più che altro rapporti fugaci: arrivavano, prendevano tutto il razziabile e poi si spostavano … Però, è anche evidente che è possibile che qualcuno abbia poi portato con sé qualcosa o qualche giovane cristiano è stato catturato, fatto schiavo, qualche monaco … adesso siamo proprio nella fantasia storica … Però, è chiaro che da lì possono essere nate delle cose.

D.– Quali sono le caratteristiche stilistiche del crocifisso?

R.–  Il crocifisso ha caratteristiche stilistiche ben precise: è molto legato a una cultura celtica, quindi a un utilizzo di segni arcaici che non conservano segni che vengono dal cristianesimo maturo, europeo. Quindi è evidente che lì c’è un’elaborazione, una ri-elaborazione anche dal punto di vista antropologico-culturale molto interessante: questo credo che sia l’aspetto più interessante. Per esempio, a me dà l’impressione – guardando le immagini, le fotografie che sono state pubblicate all’inizio su Facebook e poi hanno invaso la rete – già di una elaborazione, di una inculturazione avviata, il che significa che se questo piccolo crocifisso è databile intorno all’anno Novecento, quindi spostandolo di 50, 65 anni prima, dalle Jelling Stones è chiaro che c’è una interpretazione del cristianesimo all’interno della cultura vichinga. E quindi è possibile anche che questo significhi che non è arrivato nel Novecento, ma che fosse già un frutto maturo di qualcosa. Quindi, potremmo addirittura spostare di 50 anni prima, o anche di 100 anni prima i contatti per un approccio di cristianizzazione. E questo potrebbe essere estremamente interessante, perché i segni che si vedono su questo piccolo gioiello sono proprio legati ad una tradizione celtica, con segni estremamente evidenti. Quindi, non c’è una “occidentalizzazione”: è proprio una “cristianizzazione”, un primo momento di “cristianizzazione” di una cultura, come quella vichinga, che è ben precisa.

D. – Quanto può essere precisa la datazione dei reperti?

R. – Bè, allora … qui, la prima regola è quella della comparazione: prima di ogni altra cosa è necessario comparare oggetti con altri oggetti. Ora, in questo caso noi ne abbiamo solo due; questo è già stato comparato con un oggetto più o meno dello stesso tipo di area svedese, e quindi in qualche modo è già stata fatta una relazione e quindi questo già dà una datazione. E poi, esiste tutta una serie di analisi che si possono fare, ma siccome la scoperta è di pochi giorni fa, immagini che da lì a breve interverranno anche l’utilizzo del carbonio 14, di varie altre parti; ma soprattutto l’utilizzo di un certo materiale dell’oreficeria che è legata a quel determinato periodo e quell’utilizzo, in modo particolare, di quegli elementi che qui sono evidentissimi, perché noi abbiamo semplicemente una filigrana, pallini, strisce e cerchietti che vengono composti in un certo modo. Quindi è evidente che l’esperto di questo tipo di monili sa più o meno ricostruire, datare esattamente ad un momento storico ben preciso. Sempre ed esclusivamente con la comparazione “stilistica”.

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Nuovo film su Heidi: classico dell'800, che ancora appassiona

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Arrivato nei cinema italiani per i giorni di Pasqua il film di Alain Gsponer "Heidi", ispirato alle storie senza tempo della famosa bambina svizzera, che tutto il mondo conosce: dall'abbandono all'affetto di un nonno, Heidi rappresenta la ricerca di una famiglia e di un luogo dove poter realizzarsi ed essere felici. Il servizio di Luca Pellegrini

(clip dal film)
Heidi: Ciao, io mi chiamo Heidi.
Nonno Almöhi a Peter: Oggi la porterai con te al pascolo, considera che lei non conosce la montagna.
Voce fuori campo: La storia di una bambina con un cuore grande
Heidi: Buon giorno capretta... buona notte caro nonno.

Tutti conoscono Heidi e il burbero nonno Almöhi, che vive lassù, nella sua baita sulle montagne svizzere. La ragazzina ha un cuore grande, si entusiasma per poco: il sole della mattina, la neve e i fiori della primavera, il latte e il formaggio, un’aquila che vola nel cielo. E accompagna il simpatico Peter, che porta le sue capre al pascolo. Ha un rapporto profondo e vivace con la natura che la circonda. Heidi assorbe la vita e la trasforma in gioia. Col nonno impareranno a conoscersi, si aiuteranno a vicenda, si perderanno e si ritroveranno.

Heidi ha segnato l'immaginazione di intere generazioni di bambini. Il successo definitivo arrivò nel 1974, quando anche il regista giapponese Miyazaki s'innamorò di lei, creando una delle più famose, seguite e applaudite serie televisive di animazione, il cui successo toccò tutto il mondo. Ma non si dovrebbe dimenticare che i due romanzi da cui le storie della ragazzina svizzera sono tratte, scritte da Johanna Spyr nella seconda metà dell'800 - e da allora tradotti in oltre 60 lingue -, sono diventati capisaldi della letteratura per l'infanzia. Certo le avventure e le ambientazioni - prima le vallate dei Grigioni, poi la caotica città di Francoforte nella quale Hiedi si sente triste e infelice - fanno ancora presa, come conferma il successo del film di Gsponer, che si è circondato di interpreti ideali, come la piccola Anuk Steffen e il nonno, il grande attore svizzero Bruno Ganz. E poi ci sono intorno a loro tutti i personaggi resi immortali: la zia Dete, la signorina Rottenmeier, nonna Sesemann e la dolce Klara. Che, contagiata dall'amicizia, dalla purezza e dalla generosità di Heidi, farà esperienza dell'amore, dell'accoglienza e anche di un piccolo miracolo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Afghanistan: razzi talebani su Parlamento a Kabul

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Alta tensione a Kabul, in Afghanistan, dove il Parlamento è stato attaccato a colpi di razzi, uno dei quali ha colpito l’edificio. L'attacco è avvenuto mentre i parlamentari stavano giungendo per partecipare ad un dibattito sulla sicurezza nel Paese. Al momento non si segnalano vittime ma intanto è giunta la rivendicazione da parte dei Talebani dell'Emirato islamico dell'Afghanistan, che dichiarano invece di aver causato numerose “perdite tra i nemici”.

La zona e' stata circondata dalle forze di sicurezza che cercano di localizzare il punto da dove i razzi sono stati lanciati intorno alle 10 locali, mentre le immagini dopo il lancio dei razzi mostrano una colonna di fumo nero che si leva dietro la cupola del Parlamento, inaugurato nel dicembre scorso con una visita a sorpresa dal premier indiano, Narendra Modi.

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Congo: opposizioni invitano a sciopero generale contro presidente Nguesso

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Cinque candidati alla presidenziali della Repubblica del Congo, vinte dal presidente uscente Denis Sassou Nguesso, hanno fatto appello ai congolesi perché mettano in atto domani uno sciopero generale in tutte le città del Paese, per contestare i risultati delle elezioni. I cinque leader dell'opposizione: Guy-Brice Parfait Kolelas, il generale Jean-Marie Michel Mokoko, Claudine Munari, Andra' Okombi Salissa e Pascal Tsay Mabiala, hanno chiesto al popolo "azioni pacifiche", coscientidei rischi di una possibile repressione in un Paese dal passato violento. L’iniziativa è stata denominata dai promotori "villes mortes" per contestare il verdetto che, secondo le opposizioni, non corrisponde ai risultati ufficiali trasmessi dalla Commissione nazionale elettorale indipendente. La verità, per i cinque candidati, è che Sassou Nguesso "ha perso le elezioni presidenziali malgrado le frodi massicce". Una dichiarazione, quella "dei cinque", che sembra trovare una mediazione tra due visioni dell'opposizione: cioe' quella di Kolelas, che ha fatto sapere di volere contestare i risultati per vie legali, e quella del generale Mokoko, che ha chiamato il popolo alla "disobbedienza civile",  che le autorità assimilano ad un invito ad "un'insurrezione". Ma voci dal popolo – anche fra coloro che lo hanno sostenuto nelle urne - contestano al generale di avere già inviato la sua famiglia in Francia, invece di farla stare a fianco della gente. Intanto domani il ministero dell'Interno dovrà depositare i risultati ufficiali alla Corte Costituzionale, che entro 15 giorni dovrà "certificarli", tempo nel quale le opposizioni potranno depositare i loro ricorsi. (R.G.)

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Morta suor Angelica fondatrice negli Usa del network cattolico EWTN

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Madre Maria Angelica dell'Annunciazione, nota a milioni di persone in tutto il mondo come fondatrice del network cattolico statunitense EWTN (Eternal Word Television Network), è morta la domenica di Pasqua all’età di 92 anni.  Madre Maria si è spenta circondata dall’affatto dalle Clarisse dell'Adorazione Perpetua della Madonna presso il Monastero degli Angeli a Hanceville, nello Stato dell’Alabama.

"Questo è un giorno di dolore per l’intera famiglia dell’EWTN", ha detto Michael P. Warsaw, attuale presidente e direttore esecutivo del network cattolico. “La Madre ha sempre impersonificato lo spirito dell’EWTN, la rete da lei fondata – ha aggiunto Michael P. Warsaw -. Ed è stata esempio di gioia e perseveranza di fronte alle prove di malattia, affrontate con quello spirito francescano che teneva tanto caro. Ringraziamo Dio per Madre Angelica e per il dono della sua vita straordinaria".

Pur avendo solo una formazione di scuola superiore, nessuna esperienza televisiva e solo 200 dollari in banca, il 15 agosto del 1981 Madre Angelica ha lanciato L'Eternal Word Television Network (EWTN). La religiosa ha sempre rifiutato la pubblicità per finanziare la sua rete, e si è basata unicamente sulle donazioni dei telespettatori pur andando vicino al fallimento in diverse occasioni. Dopo 34 anni EWTN è la rete più grande al mondo di media cattolici, trasmette su 11 canali televisivi in più lingue, raggiungendo più di 264 milioni di case in 145 Paesi. La rete ora include piattaforme radio, media digitali, servizi di notizie globali e un gruppo editoriale. (M.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 88

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.