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Sommario del 29/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Cristiani pakistani: confortati dalla vicinanza del Papa

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“Gesù ci mostra che la potenza di Dio non è distruzione, ma amore; la giustizia di Dio non è vendetta, ma misericordia”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex. Parole che non possono non far pensare alla terribile strage di donne e bambini a Lahore, perpetrata dai talebani nel giorno di Pasqua. Ieri, al Regina Caeli, l’appello vibrante del Papa per la difesa della minoranza cristiana in Pakistan e la condanna dell’odio che porta solo alla distruzione. Nelle ultime ore, intanto, sfidando la paura, centinaia di cristiani e musulmani si sono radunati, per una Veglia di preghiera, all’entrata del parco giochi dove è avvenuto l’attentato. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del prof. Mobeen Shahid, presidente dell’Associazione dei Pakistani Cristiani in Italia: 

R. – Le parole del Santo Padre sono state accolte con grande conforto e consolazione. Il Papa ha immediatamente saputo dei fatti così terribili accaduti a Lahore e si è espresso anche ricordando le vittime della strage. Anche se la gran parte di queste sono cristiane, non dobbiamo però dimenticare che c’erano anche delle famiglie musulmane e che anche alcuni musulmani sono morti. Per cui, si è trattato essenzialmente di un attacco contro i cristiani, ma ci sono state anche vittime musulmane: non è quindi un fenomeno solo contro i cristiani, ma riguarda l’intera nazione! Purtroppo in questo momento il Paese sta pagando le conseguenze di quell’educazione che fu data, ispirata al fanatismo, contro il comunismo internazionale nella guerra contro la Russia in Afghanistan.

D. – Quando il Papa chiede “non vendetta, ma misericordia” traccia anche un percorso lungo, forse difficile, ma l’unico possibile, di educazione al dialogo, alla convivenza, per togliere quell’acqua avvelenata dove poi nuotano i pesci dell’integralismo, che uccidono alla fine tutti coloro che sono contro di loro: cristiani, musulmani, non c’è distinzione, come è successo a Lahore…

R. – Noi come cristiani, e specialmente nell’Anno del Giubileo della Misericordia, dovremmo assumere un atteggiamento di profonda fede, secondo l’esempio di Cristo che perdona. Ma purtroppo c’è il dolore delle famiglie che hanno perso i propri bambini… Proprio ora ho saputo che è morto un altro bambino che era ricoverato in ospedale. Per cui il numero dei bambini uccisi è stimato a 31, e 8 sono le donne uccise... C’è quindi chi ha perso la madre, la sorella, il figlio o la figlia: anche loro devono essere considerati. Il Presidente della Repubblica e il Primo ministro hanno anche riconosciuto l’impegno delle minoranze religiose per il fondamento del Pakistan. Ora penso che sia arrivato il momento che il Presidente e il Primo ministro ristabiliscano il Ministero federale per le minoranze, perché senza un ministero federale non solo non si possono proteggere le minoranze, ma neanche permettere a queste ultime di svilupparsi e contribuire allo sviluppo della nazione.

D. – Papa Francesco proprio ieri chiedeva uno sforzo delle autorità. Ecco, questo è un altro punto: la difficoltà del governo di far fronte a questo estremismo; e dall’altra però anche il fatto che stia ancora in piedi una legge come quella sulla blasfemia…

R. – Ieri il Primo ministro, Nawaz Sharif, nel suo appello serale alla nazione, si è espresso a proposito dell’abuso della legge sulla blasfemia. E’ stato un passo positivo per i cristiani e per le minoranze del Pakistan. Infatti, nel suo discorso, il primo ministro ha detto: “Non accetteremo illegalità in nome di Dio e del Profeta”. Ed è la prima volta che succede dopo gli ultimi tre governi. È un passo importante il fatto che un Primo ministro abbia precisato che non si può accettare illegalità. Speriamo che oltre al ristabilire il Ministero federale per le minoranze religiose del Pakistan, si possa anche istituire il comitato che possa prendere delle misure concrete, reali, effettive, per diminuire l’abuso del ricorso a questa legge, se non proprio annullarla.

D. – Una cosa che ha colpito particolarmente di questa strage è che sia avvenuta nel giorno di Pasqua, dove i cristiani in tutto il mondo festeggiavano il Cristo Risorto. Che cosa possono fare, dunque, i cristiani per la comunità cristiana del Pakistan, anche qui in Italia?

R. – Come cristiani, invito tutti a pregare per le vittime della strage, che io chiamo anche “martiri della fede”, dato che sono stati uccisi perché cristiani, e lo stesso dichiarano i talebani. Noi stasera, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, alle 20 ci uniremo nella Basilica romana di Santa Maria in Trastevere per pregare per le vittime. Tutti coloro che volessero essere presenti, sono invitati a pregare insieme a noi.

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Cristiani in Siria: nostra fede nel Risorto più forte della paura

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Gesù è la nostra speranza, è a Lui, alla potenza della sua Resurrezione che il Papa ha affidato nei giorni di Pasqua il futuro della “cara” Siria, i colloqui in corso, la pace. E la Chiesa locale, specie ad Aleppo, ha dato testimonianza di essere viva e unita, ritrovandosi in preghiera nelle celebrazioni pasquali. Il servizio di Gabriella Ceraso

Solo un anno fa in aprile a Pasqua c’erano razzi che cadevano sui quartieri cristiani di Aleppo e due giovani dell’oratorio salesiano trovavano la morte. Oggi, in una città distrutta e in parte svuotata, non c’è guerra, ma la paura resta. Nonostante ciò il coraggio dei cristiani ha vinto. In centinaia hanno voluto ringraziare Dio per la Pasqua. La testimonianza di padre Ghassan Sahoui, gesuita, che ha celebrato i riti di diverse comunità ad Aleppo:

“Abbiamo sentito per la prima volta - dopo quasi 5 anni o forse di più… - un’atmosfera più bella, più gioiosa: sì, era presente una atmosfera di speranza molto grande, anche grazie a questo cessate-il-fuoco. Ho percepito che i cristiani avevano bisogno di esprimere questo loro legame con il Signore nelle preghiere: tutti – tutti! – sono andati nelle chiese. Devo dire che si sente che questa minoranza è viva, sente la chiamata di Gesù ad essere una vera comunità di fedeli, che si amano gli uni gli altri e che hanno una coscienza della loro missione, di essere come il sale della terra. E questo è per me è una cosa bella, è un segno di speranza: Aleppo non è morta!”.

“Cristo Risorto indichi sentieri di speranza alla cara Siria”, ha detto il Papa nel giorno di Pasqua, osservando anche, però, che il Paese è ancora ferito, dilaniato. La testimonianza del parroco della comunità latina di Aleppo, padre Ibrahim Alsabagh, racconta proprio di una città sofferente, ma svela anche l'obiettivo di tutti i cristiani rimasti: 

R. - Anche oggi, in Siria, nonostante i tanti segni di speranza, continuiamo a sentire la morte. In tante famiglie non c’è ancora il pane sufficiente per sopravvivere… Però sempre, con la Pasqua di Cristo, noi ci siamo, per riavviarci e rinnovarci dal didentro, per rinnovare la nostra vita, per ritrovare anche la forza di andare oltre la morte. E’ molto bello vedere come, in questi giorni della Settimana Santa, il Signore abbia fatto dei miracoli all’interno dei cuori: la Parola ha guarito tante ferite! Quanti miracoli il Signore ha operato e quanta gioia, quanta consolazione, quanta guarigione ha portato a questi cuori! Per noi questa è la Pasqua…

D. – Cosa vi siete detti, come comunità, in questi momenti che avete trascorso insieme?

R. – Il Signore può vincere oggi la sofferenza e la morte che viviamo. La nostra comunità, qui ad Aleppo, si è dimostrata molto presente, molto vivace sin dalla Domenica delle Palme. Alcuni dei nostri parrocchiani, incontrandoci, dicevano: “Abbiamo perfino creduto che non ci fossero più cristiani in Siria!”. Invece grazie a questa presenza fortissima, abbiamo tutti compreso che c’è una comunità molto forte ad Aleppo, che prega, che loda il Signore, che vuole superare tutta la sofferenza rinnovando un po’ la sua vita per continuare ad essere presenti ed essere un segno della Resurrezione di Cristo.

D. – Avete avuto modo anche di condividere questi giorni con altre comunità: con i melchiti, con gli ortodossi, con i maroniti. Come è andata tra di voi?

R. – Nelle nostre chiese, in tutta la Siria, i fedeli vanno sempre dappertutto ed anche la nostra chiesa viene "frequentata" da tutti i riti. Qui abbiamo questo scambio, questa vera comunione fra tutti i cristiani. Dico anzi che oggi, proprio questa mattina, alcune signore mi confessavano che hanno vissuto, nonostante fossero ortodosse, nella Liturgia tutto quello che noi abbiamo vissuto del Mistero Pasquale; alcune di loro hanno anche fatto il digiuno, ancor prima che iniziasse il loro…

D. – Qualcuno lo definisce “ecumenismo del sangue”…

R. – Sì, l’”ecumenismo del sangue” e l’”ecumenismo pratico” vissuto ogni giorno. Qui quando ci salutiamo nel periodo pasquale, si dice “Cristo è Risorto!” e, anche se non è ancora la festa degli ortodossi, tutti ripetono e confermano "davvero Cristo è Risorto!”. E noi siamo testimoni di questo.

D. – Immagino che l’augurio, in questi giorni, come quello che ha espresso anche il Papa a Pasqua, sia che questi colloqui in corso a Ginevra portino a frutti concreti. Nella vostra comunità si crede che la politica stia finalmente ragionando concretamente sul futuro del vostro Paese?

R. – C’è qualcosa che si muove e si vede che c’è una volontà seria. Noi abbiamo fiducia nella coscienza generale internazionale, però abbiamo speranza in una sola persona, che è Cristo Risorto.  Ci sono comunque segnali positivi, che accogliamo con grande gioia, e continuiamo a pregare, affinché il Signore vinca!

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Messaggio del Papa al leader degli armeni argentini e cileni

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Papa Francesco ha inviato una lettera di auguri al capo della Chiesa armena per l’Argentina e il Cile, l’arcivescovo Kissag Mouradian, per il 25.mo anniversario della sua consacrazione episcopale. In un comunicato, il Centro Armeno della Repubblica Argentina ha diffuso il messaggio nel quale il Pontefice si unisce alla celebrazione e alla preghiera di rendimento di grazie per la ricorrenza celebrata lo scorso 22 marzo.

Un ministero fecondo e fraterno
“Caro fratello - si legge nella missiva del Papa - che il Signore ricompensi tutto il bene che hai fatto e che continui a fare”. Nella lettera che è stata letta durante l’atto in omaggio al capo della Chiesa armena del Cono Sud, il Santo Padre ringrazia Dio “per il ministero” dell’arcivescovo armeno e “prega perché continui ad essere fecondo”. Il Pontefice implora “la benedizione di Gesù e la protezione della Madonna per tutta la comunità armena del Paese”.

Una amicizia di lunga data
La nota della comunità armena ricorda “il rapporto amicizia” che unisce il Papa e mons. Mouradian da quando l’allora card. Jorge Mario Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires. Anche il nunzio apostolico in Argentina, mons. Emil Paul Tscherrig, il card. Mario Poli, attuale arcivescovo di Buenos Aires, e l’arcivescovo di Cordoba, Carlos Ñañez, hanno fatto giungere le loro congratulazioni a mons. Mouradian che è stato omaggiato nella sede del Centro Armeno di Buenos Aires, alla presenza di circa 450 invitati, tra autorità pubbliche e religiose di tutto il Paese. (A cura di Alina Tufani)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Si fermino le mani dei violenti: durante le celebrazioni pasquali il Papa ricorda le vittime di ingiustizie e conflitti che insanguinano il mondo.

Storico del secolo lunghissimo: Giacomo Scanzi in memoria di Giorgio Rumi.

Progressi e interrogativi: Carlo Petrini sul primo "batterio sintetico primo".

Un articolo di Antonio Paolucci dal titolo "Belli come un prato fiorito": il riordino della Pinacoteca Civica Tacchi-Venturi di San Severino.

La mia amicizia con Lou Reed. E con Wittgenstein: il teologo Pierre Riches si racconta su "la Repubblica".

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Oggi in Primo Piano



Arrestato dirottatore aereo su Larnaka, salvi tutti i passeggeri

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Si è concluso verso le 14 il dirottamento aereo che da questa mattina ha tenuto con il fiato sospeso Egitto e Cipro. Il velivolo diretto ad Alessandria era arrivato a Larnaka. Arrestato il dirottatore. Il servizio di Fausta Speranza:

E’ uscito dall’aereo con le mani in alto. E' finita. Il dirottatore è stato arrestato. L’annuncio ufficiale subito dopo le immagini tv che mostravano l'uscita dall'aereo "EgyptAir" di quattro persone, oltre a una che si calava dalla cabina di pilotaggio. Fino ad allora, dopo il rilascio oltre due ore prima del grosso dei passeggeri, sull’aereo restavano il comandante, il copilota, un "ufficiale della sicurezza", una hostess, "tre passeggeri" e il dirottatore, che si chiama Seif Eldin Mustafa.  

Sul nome del dirottatore, la conferma del Ministero degli esteri di Cipro. Mentre il governo egiziano presenta le sue scuse al medico denunciato inizialmente come il responsabile dell’azione, che però ha dimostrato di essere tra i passeggeri bloccati e poi rilasciati senza alcun coinvolgimento.

Ricordiamo che si è trattato dell’Airbus 320, numero di volo 181 con 81 passeggeri a bordo che andava dall'aeroporto Borg El Arab, quello di Alessandria, allo scalo del Cairo, dunque Egitto, ma è stato dirottato a Larnaka, capitale di Cipro. La prima notizia di agenzia alle 8 circa, ora italiana. Della nazionalità dei passeggeri non si è detto nulla per motivi di sicurezza. Soltanto il Ministero degli esteri italiano aveva già precisato che l’unico italiano a bordo sta tra le persone rilasciate.

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Is perde terreno in Siria e Iraq. A Palmira sminatori russi

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Un primo gruppo di sminatori russi è partito per la Siria, dove si occuperà di bonificare la zona di Palmira ripresa, dopo circa un anno, ai jihadisti del sedicente Stato Islamico. Alla soddisfazione della comunità internazionale per la liberazione dello storico sito archeologico patrimonio dell’Unesco, si contrappongono oggi le immagini di violenza dei soldati fedeli al regime siriano di Bashar al-Assad che hanno decapitato i miliziani dell’Is. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Pietro Batacchi direttore di Rivista Italiana Difesa: 

R. – La decapitazione rientra in parte nella tradizione della cultura militare islamica; ma c’è anche la questione della vendetta: questa è una forma evidente di ritorsione, occhio per occhio, dente per dente …

D. – La riconquista di Palmira modifica la posizione del Presidente siriano Assad che, fino a poco tempo fa, era visto tutto in uscita?

R. – Direi di sì, è un dato di fatto: Assad in questi mesi ha recuperato terreno, ha chiuso i ribelli ad Aleppo, ha riconquistato una parte di terreno che aveva perduto, ha messo in sicurezza la roccaforte alawita sulla parte costiera della Siria … Questa è la realtà, con questo bisogna fare i conti. Dall’altra parte, bisogna dialogare anche con una parte dei ribelli siriani che in qualche misura si richiamano alla fratellanza musulmana, fratellanza musulmana con cui – non dimentichiamolo – l’amministrazione Obama ha buon uffici, a non da oggi.

D. – In Siria e in Iraq, qual è la situazione attuale dello Stato Islamico?

R. – Ha perso il 22% del territorio, ma se guardiamo al solo Iraq addirittura il 40%. Ha perso città importanti, in Iraq, come Ramadi, prima aveva perso Tikrit, in Siria adesso ha perso la città di Palmira … Questo però non vuol dire che lo Stato Islamico sia un nemico sconfitto: tutt’altro, perché è un’organizzazione straordinariamente flessibile e adattabile alle circostanze sul terreno ed è un’organizzazione che ancora ha una sua forza. Certamente  molto indebolita anche perché sia i raid russi sia quelli americani hanno interdetto gran parte del contrabbando di petrolio che era una delle fonti – se non la principale fonte – di finanziamento dello Stato Islamico.

D. – Alcuni sostengono che sia gli attentati in Africa, sia gli attentati in Europa – come quelli di novembre a Parigi o gli ultimi a Bruxelles – siano una fiammata perché lo Stato Islamico si indebolisce …

R. – In parte, questa lettura ha un suo fondamento di verità, in parte bisogna sottolineare un aspetto: che questi attentati, soprattutto quelli sul teatro europeo, dimostrano la forza e il consolidamento, la profondità delle filiere terroristiche che lo Stato Islamico in questi anni ha creato in Europa. Gli attentati come quelli di Parigi, quelli di Bruxelles, gli attentati che comunque sono stati sventati in questi mesi dimostrano l’ampiezza di una struttura che probabilmente le forze di sicurezza e i servizi di intelligence europei non si aspettavano.

D. – Come si deve rispondere a questa minaccia?

R. – Soprattutto con l’intelligence: bisogna capire come fare questa intelligence …

D. – Che vuol dire?

R. – Vuol dire che soprattutto alcune agenzie di intelligence europee devono riscoprire prima di tutto l’ “Humint” (Human Intelligence), l’intelligence umana, cioè devono tornare a infiltrare le organizzazioni terroristiche perché queste organizzazioni terroristiche si conoscono se le si infiltrano dall’interno.

D. – Perché, adesso si sta facendo prevalentemente analisi di dati e intercettazioni?

R. – Purtroppo sì. Purtroppo, da anni è invalso anche in alcune agenzie di intelligence europea la prassi, già in vigore negli Stati Uniti, di dare precedenza all’intelligence cosiddetta elettronica. Ma questo, a mio avviso, è un errore fondamentale quando si ha a che fare con organizzazioni come quelle responsabili degli attentati di Parigi e di Bruxelles.

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Bruxelles: paura tra i musulmani, ma anche voglia di dialogo

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La cronaca che arriva da Bruxelles e la scoperta ogni giorno di un tassello nuovo di una violenza inaudita legata al mondo dell’estremismo islamico sta diffondendo paura e sgomento anche nella comunità musulmana che vive nella capitale belga. In mezzo a essa c’è Noufissa Bouchrif, direttrice di un coro misto di cristiani e musulmani e fondatrice dell’Associazione “La Luce del cuore”, impegnata sul fronte del dialogo interreligioso secondo la spiritualità del Movimento dei Focolari. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza: 

R. – 99,99%, je sais pas combien, vraiment se dissoudraient de ce qui se passe à Bruxelles…
Il 99,99% delle persone si dissociano da quello che è successo a Bruxelles, è incredibile... Ci tocca profondamente, fin nel cuore delle nostre famiglie, dei nostri bambini. Non è facile comprendere quello che è successo. La gente che ha compiuto quegli attentati non ha nulla a che fare con l’islam: bisognerà pur dirlo. I musulmani in generale, però, non devono pensare di doversi giustificare, anche se c’è molta gente che sostiene che dovrebbero farlo. Invece i musulmani non hanno nulla a che vedere con queste persone: quelli sono dei barbari… Sa, c’è un versetto nel Corano che dice che quando hai ucciso una persona è come se avessi ucciso tutta l’umanità. Ecco, questo rispecchia un po’ i nostri sentimenti per quello che sta succedendo oggi a Bruxelles.

D. – Il fatto che siano tutti giovani musulmani dietro agli attentati di Bruxelles, che peraltro vivono nella città, ha aumentato nei confronti della comunità musulmana diffidenza e paura?

R. – Oui. Il y a maintenant beaucoup de méfiance, il y a beaucoup de peur. Ça se voit dans les métros…
Sì. Adesso c’è molta diffidenza, molta paura e questo si vede nella metropolitana, per strada, nelle scuole… Adesso, siamo anche noi musulmani stessi ad avere paura per i nostri figli. Io ho tre figli adolescenti, una femmina e due maschi: veramente, abbiamo un po’ di remore a uscire di casa…

D. – Pensate di fare qualcosa nell’ambito stesso della comunità musulmana locale per far fronte a questa situazione, per rispondere a tutto ciò?

R. – Oui, bien sûr. Nous, en effet, maintenant on a des contacts avec beaucoup des professeurs…
Sicuramente. Abbiamo preso contatto con molti professori, con le scuole soprattutto, perché vogliamo entrare in contatto con i giovani. Quindi, facciamo dei corsi di sensibilizzazione con l’aiuto dei professori di religione e anche con professori di altre discipline, per far capire soprattutto ai giovani, ma anche agli altri, che questa situazione è veramente fuori dalla norma in Belgio, per far comprendere loro che l’Islam in quanto religione non ha nulla a che vedere con quello che sta accadendo. La prova è che avevo un’amica che è morta nell’attentato nella metro: ora siamo vicini alla sua famiglia, era mamma di tre bambini, era maestra di ginnastica, era musulmana… Quindi, come vedete, tutti sono coinvolti. Noi siamo feriti, fino nell’ambito dei nostri amici, delle nostre famiglie…

D. – E’ vero che a Bruxelles ci sono interi quartieri chiusi alla polizia in cui c’è una maggiore concentrazione di criminalità, di estremismo? E se è così, che cosa si può fare dal punto di vista sociale, dal punto di vista umano?

R. – Ce qu’on peut vraiment travailler c’est qu’il faut sensibiliser les familles, les milieux associatifs…
Ciò su cui veramente si può lavorare è sensibilizzare le famiglie e gli ambiti associativi, perché sono queste persone che riescono a influenzare le famiglie, i giovani. Ci sono due zone, in città: in una ci sono solo musulmani e nell’altra ci sono solo belgi. E’ vero: le persone oggi hanno paura di passare da un quartiere all’altro

D. – Lei dirige un coro di musulmani e cristiani, ha organizzato anche parecchi concerti anche dopo i fatti di Parigi. Ora pensa che sarà più difficile lavorare su eventi simili?

R. – C’est vrai, maintenant, après ce qui s’est passé il y a eu des désistements…
E’ vero: adesso, dopo quello che è successo, c'è un atteggiamento di rinuncia. Alcune delle persone che lavoravano assieme a noi hanno fatto marcia indietro. Ma la cosa che più conta riguarda i luoghi, una chiesa per esempio, in cui dovevamo organizzarci, il parroco mi ha detto: “Per quanto mi riguarda, la chiesa resta aperta”.

D. – E dunque, è possibile a oggi credere nel dialogo, nella solidarietà, nella fratellanza tra musulmani e cristiani in ogni ambito della società?

R. – Oui. Oui: ça c’est inévitable, ça il faut y penser, il faut y croir. Tant qu’on peut vivre…
Sì, sì, è inevitabile, bisogna pensarci, bisogna crederci. Fintanto che si può vivere, fintanto che c’è vita in noi, fintanto che abbiamo l’amore di Dio in noi, possiamo essere sicuri che c’è sempre speranza. C’è sempre speranza: bisogna sensibilizzare, bisogna andare avanti. Dobbiamo continuare, ciò che sta accaendo non può fermarci. Il dialogo interreligioso è per me uno scopo di vita.

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Ban Ki-moon in Tunisia per sostenere stabilità e sviluppo

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Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon è da ieri a Tunisi. Si tratta della sua terza visita dal 2011. “Sono venuto, ha detto al suo arrivo, per testimoniare il sostegno delle Nazioni Unite alla Tunisia ove proseguono i progressi in direzione della stabilità e della prosperità, malgrado il perdurare di importanti sfide”. Ad accompagnare Ban Ki-moon il presidente del Gruppo della Banca Mondiale, Jim Yong Kim che ha annunciato un aiuto finanziario di un miliardo di dollari da destinare alla promozione delle regioni del sud e dell’ovest del Paese. Ma quale momento vive oggi la Tunisia? Adriana Masotti lo ha chiesto a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa: 

R. – La Tunisia vive una difficile transizione alla democrazia: le istituzioni democratiche sono ancora fragili e soprattutto soffrono del problema della precarietà economica del Paese e naturalmente della sicurezza. Non dimentichiamoci che è ancora in vigore lo stato di emergenza… La visita di Ban Ki-moon è particolarmente significativa perché la stabilità nell’area, in tutta l’area del Mediterraneo, dipenderà in parte anche dalla riuscita dell’esperienza tunisina. Non dimentichiamo che la Tunisia sta giocando un ruolo importante anche in Libia e la visita di Ban Ki-moon in Tunisia vuole anche sostenere il processo del governo di unità nazionale libico, che si presenta ancora molto difficile e problematico.

D. – Ieri la visita di Ban Ki-moon al Museo del Bardo, oggi la sua partecipazione all’apertura del Dialogo nazionale sul lavoro. Quanto conta questo aspetto, perché la transizione abbia successo?

R. – Ban Ki-moon e le Nazioni Unite si stanno rendendo conto che la stabilità della regione – e della Tunisia in modo particolare – dipende dal fatto che decolli finalmente lo sviluppo economico del Paese e le recenti manifestazioni popolari nel Paese dimostrano che i giovani in modo particolare soffrono della mancanza del lavoro; ci sono differenze regionali molto forti ed è significativo che Ban Ki-moon abbia voluto farsi accompagnare dal presidente del gruppo della Banca Mondiale, che ha promesso un miliardo di dollari per i prossimi cinque anni. Quello dello sviluppo regionale e della disoccupazione giovanile sono le due sfide più importanti in questo momento.

D. – Proprio ieri sono arrivate dall’Algeria segnalazioni di possibili attentati contro autorità e siti tunisini. Quanto è alto l’allarme e il rischio di terrorismo nel Paese?

R. – La Tunisia è ovviamente un Paese a rischio terrorismo: più per quanto riguarda il lato libico dei suoi confini, ma anche il lato algerino in cui ci sono dei gruppi che ancora agiscono nel nord dell’Algeria oltre che nel sud, nel Sahara, fino a proiettarsi nel Sahel. La Tunisia è presa in una sorta di morsa tra i terrorismi che sono impiantati in questi due Paesi e per questo è importante dotare le forze di polizia e di sicurezza di tutti i mezzi per controllare i confini e naturalmente è importante anche la stabilizzazione della Libia. E’ significativo che Ban Ki-moon abbia voluto incontrare ieri il rappresentante speciale della Libia, Martin Kobler, proprio per fare il punto della situazione. Ricordo che Ban Ki-moon, nell’ultimo mese, è stato con frequenza nella regione: è stato prima in Algeria; è stato in Mauritania; non è riuscito ad andare in Marocco, perché il Marocco ha impedito a Ban Ki-moon di visitare la missione di pace nei territori del Sahara occidentale. E’ credo che, proprio con questo clamoroso schiaffo diplomatico ricevuto dal Marocco, Ban Ki-moon abbia intuito l’importanza strategica della presenza dell’Onu nella regione, fatta non solo di visita simbolica ma soprattutto di una presenza economica - anche attraverso gli aiuti - più continua ed assidua.

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Giappone: da oggi le forze militari potranno intervenire all'estero

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Per la prima volta dal termine della Seconda Guerra Mondiale, le forze militari giapponesi potranno intervenire all’estero grazie alla nuova legge sulla sicurezza. Il provvedimento permette alle forze di autodifesa di intervenire in caso di attacchi a Paesi alleati che possano minacciare la sicurezza dello stesso Giappone. Raffaele Marchetti, professore in Relazioni Internazionali presso l'Università Luiss Guido Carli, ha spiegato a Maria Laura Serpico in cosa consiste questa legge: 

R. – Da un punto di vista tecnico, implica la possibilità per l’esercito giapponese di intervenire all’estero in difesa degli alleati. Naturalmente, però, è una legge che ha una valenza politica molto più ampia e ci dice che la tensione in Asia sta crescendo.

D. – Perché è stata fortemente voluta dal premier Shinzō Abe?

R. – Da un lato, ci sono motivi interni. Questa è una legge che, naturalmente, rafforza la sua immagine decisionista e che dà anche un’immagine di pugno duro sulle questioni asiatiche. Dall’altro, ci sono questioni dinamiche che hanno a che vedere con la politica regionale e in primis la tensione con la Cina. Non escluderei anche quella con la Corea del Nord. Naturalmente, però, la preoccupazione maggiore per il Giappone è la Cina: le dispute territoriali sulle isole e, più in generale, la prospettiva di che tipo di relazione si instaurerà tra i due Paesi nei prossimi decenni.

D. – Quindi, appunto, su quali dinamiche influisce a livello internazionale?

R. – Questa nuova legge verrà presa con molta preoccupazione a Pechino, perché verrà letta immediatamente come una corsa al riarmo e alla maggiore aggressività anche militare giapponese. Non possiamo dimenticare la storia del XX secolo in cui il Giappone ha avuto atteggiamenti imperialistici e colonialistici in tutta l’Asia, inclusa la Manciuria e la Cina. Da questo punto di vista, la possibilità che l’esercito giapponese possa operare all’estero è una possibilità che preoccupa la coscienza, la prospettiva politica di molti Paesi, in primis la Cina. Ma non soltanto la Cina, perché molti altri Paesi asiatici hanno ancora vivi ricordi dell’imperialismo nipponico.

D. – Il legame tra Stati Uniti e Giappone verrà rafforzato?

R. – Certamente questo darà la possibilità di sviluppare ancora di più la partnership che, d’altronde, è già molto solida tra gli Sati Uniti e il Giappone. La possibilità che il Giappone utilizzi le proprie forze armate all’estero certamente verrà sfruttata dagli Stati Uniti in maniera preventiva e per mettere pressione all’espansione cinese.

D. – Secondo lei, perché solo il 39% della popolazione giapponese è a favore della legge?

R. – Da un lato, c’è un’opposizione fisiologica, che è la posizione del governo attuale e, dall’altro, i giapponesi hanno interiorizzato molto la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale, a tal punto che in qualche modo si sentono ancora colpevoli per quello che hanno fatto durante la prima parte del Novecento e poi nella Seconda Guerra Mondiale. Questo senso di colpa veniva in qualche modo messo a tacere attraverso una completa demilitarizzazione del Paese. Con questo nuovo passo legislativo si riapre la porta ad un modo di pensare giapponese che però era una sorta di tabù, un qualcosa di cui non si poteva né discutere né certamente mettere in pratica attraverso politiche militari.

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Le "vie del Giubileo": 330 tappe per scoprire una Roma inedita

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Saranno le vite dei Santi, dei martiri, dei poeti, così come le grandi opere di un imperatore, il filo rosso di ciascun itinerario raccolto ne "Le vie del Giubileo: venti percorsi culturali a Roma per venti secoli di storia, arte e religioni", iniziativa presentata oggi a Roma dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Un progetto per valorizzare itinerari culturali, nonché eventi di tema sacro e spirituale, nella capitale, che proseguirà anche oltre il Giubileo e al quale hanno preso parte diverse realtà: dalle varie comunità religiose della città al Pontificio Consiglio della Cultura, all’Opera Romana pellegrinaggi. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Da ‘I patroni di Roma’, e quindi dalle storie di Pietro e Paolo, a ‘I due Michelangeli. Buonarroti e Caravaggio’; da ‘Il fascino del classico. Goethe e Canova’, alle ‘Mille religioni a Roma. Dal mondo antico a oggi’. Sono alcuni tra i 20 percorsi de ‘Le Vie del Giubileo’, divisi in 330 tappe per scoprire i monumenti più belli, ma anche più sconosciuti, di una capitale che rilancia la sua offerta culturale. Centro città e periferie, palazzi storici, musei, ma anche piazze e strade, un patrimonio unico al mondo che verrà visto in altro modo. Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo:

“Mi pare davvero un’iniziativa importante, fatta in una linea che cerca di valorizzare anche le bellezze minori della città di Roma, di portare i pellegrini e i viaggiatori, che verranno in quest’anno a visitare Roma, non soltanto nei luoghi più conosciuti e molto spesso affollati dai turisti, ma anche attraverso le bellezze meno conosciute. E’ una prova di dialogo multi-religioso, di cui c’è un grande bisogno in questo momento e, quindi, mi pare davvero che questa iniziativa dei 20 percorsi del Giubileo sia un contributo importante del Ministero all’Anno del Giubileo. Soprattutto, è in linea con un progetto a cui stiamo lavorando nel Paese, che è la valorizzazione del sistema dei ‘cammini’ e dei ‘percorsi’ che attraversano l’Italia minore, che non sono stati valorizzati come avrebbero dovuto negli anni passati. Naturalmente è una sfida vera, quella della conoscenza reciproca, del dialogo multi-religioso, soprattutto nelle grandi città, dove convivono milioni di persone di fede diversa, di cultura diversa. E, soprattutto, questa sfida si gioca nelle periferie urbane".

Arte, storia e cultura sono fondamentali per riscoprire i legami e gli stretti rapporti tra le religioni. Uno di questi percorsi cercherà di favorire l’incontro tra le fedi e di porle in dialogo. Un itinerario che associa la moschea di Roma, a San Pietro, alle Terme di Diocleziano, al Tempio Maggiore della comunità ebraica romana, a Ostia Antica, dove si ammira la più antica sinagoga del mondo occidentale. Mons. Liberio Andreatta, vice presidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi:

"E’ un modo per far conoscere la propria storia, le proprie radici, per far sapere che accanto a noi esistono i fratelli musulmani, i fratelli ebrei. Forse, fino a ieri, sono state ignorate la storia, l’arte e le radici di un passato, come il fatto che gli ebrei fossero a Roma prima dei cristiani. Questo ci fa percepire, anche per i romani stessi oltre che per coloro che visitano Roma, quanto è meraviglioso il laboratorio del dialogo, del confronto, della convivenza e soprattutto della condivisione. Questa iniziativa è straordinaria perché mette alla luce la realtà di un popolo e di una nazione, la realtà di una storia e di una cultura che non è relegata solo a quei pochi luoghi-simbolo che il turista normalmente visita ma, soprattutto, alla possibilità di conoscere una Roma nascosta, sconosciuta, che è però la vera storia di Roma, che va scoperta, va capita, per vedere come il mondo non si improvvisa, ma c’è un lungo cammino e una lunga storia che hanno percorso i nostri padri, affinché i figli abbiano la capacità di creare un futuro migliore".

I monumenti più belli sono presentati in italiano e in inglese su un portale mobile responsive (www.leviedelgiubileo.it) che presenterà molte curiosità: musiche, incisioni storiche, immagini settecentesche dei monumenti. Inoltre, centomila cartine verranno distribuite nei principali punti di informazione cittadini.

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Il servizio di aiuto AntiSette della Comunità Giovanni XXIII

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Cresce  in Italia il fenomeno delle sette. Secondo il monitoraggio del Servizio AntiSette della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, nel 2015 hanno chiesto aiuto, consulenza o informazioni 1238 persone.  Il nord Italia è l’area più interessata dal fenomeno. Esiste anche un numero verde (800 228866) a cui chiedere aiuto. A spiegare il fenomeno, al microfono di Elisa Sartarelli, è don Aldo Buonaiuto, responsabile del Servizio AntiSette: 

R. – Quando parliamo di sette intendiamo gruppi più o meno organizzati che possono essere formati da piccoli nuclei di persone con a capo un guru, un maestro, una persona che per follia o che perché pensa di avere dei doni particolari, per obiettivi che deve raggiungere, strane ideologie, per tanti motivi – da quelli più legati al mondo pseudoreligioso, a quello del profitto – pensa di avere in mano un gruppo di persone da manipolare per finalità che nulla hanno a che fare né con la religione, né con qualcosa di buono.

D. – Chi sono le vittime delle sette?

R. – Innanzitutto, le persone più deboli e fragili della società, che hanno bisogno di essere ascoltate e aiutate. Normalmente, dal nostro monitoraggio vediamo come la gente corra quando ha problemi di salute per cercare una speranza, la propria guarigione o quella di una persona cara, di un familiare. Poi, ci sono coloro che hanno problemi economici di vario genere, persone che sono alla ricerca del trascendentale, del mondo invisibile, delle realtà spirituali, per non parlare dei giovani. Quanti giovani vengono suggestionati, affascinati dal mondo dell’occultismo, dell’esoterismo, di tutte queste realtà che poi molto spesso rivelano gruppi che nella pratica hanno scopi pericolosi.

D. – Cosa succede in genere a chi entra a far parte di una setta?

R. – Una persona entra sempre, o quasi sempre, con la speranza di trovarsi dinanzi persone positive, che finalmente attraverso quella “love bombing”, quell’esplosione di attenzioni che ricevono, si troveranno finalmente in un ambiente sano. Ma la “love bombing” è l’inizio delle tecniche di manipolazione mentale e qui le psico-sette sono al primo posto nell’attuarla. Inizialmente, c’è appunto quella grandissima disponibilità, attenzione, verso queste persone che entrano. Poi, strada facendo, gli adepti saranno affiliati o accessori, quindi utilizzati, spremuti come dei limoni, perché la setta, il guru, ha individuato in che cosa può spremere quella persona, come può usarla e poi magari gettarla in uno stato di angoscia, di abbandono, di solitudine oppure utilizzare questi adepti per continuare la divulgazione della propria opera. Ci troviamo dinanzi a realtà senza scrupoli che agiscono sempre come minimo per truffare la gente.

D. – Che tipo di aiuto date a chi chiama il Servizio AntiSette?

R. – Il Servizio AntiSette  prima di tutto si mette in ascolto delle persone che chiamano e cercano aiuto. Nella maggior parte dei casi, sono i familiari delle vittime. Poi, si cerca una soluzione, un accompagnamento. Molto spesso, purtroppo, questo accompagnamento va verso le forze dell’ordine preposte a verificare se le loro rivelazioni hanno a che fare con possibili reati quindi ingiustizie che vanno a incidere sulla vita e sull’incolumità e sul bene della persona.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: mons. Shaw in visita alle vittime della strage di Pasqua

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“Ho visitato ogni letto, e ogni vittima di qualsiasi fede. È stato davvero difficile, perché ho visto tanti bambini di appena 4 o 5 anni, cristiani e musulmani, feriti o uccisi da questo terribile attacco”. Queste le dichiarazioni di mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore, in esclusiva ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, a seguito dell’attentato avvenuto il giorno di Pasqua in un parco del capoluogo della provincia pachistana del Punjab.

L’attentato nonostante il rafforzamento delle misure di sicurezza
Il presule ha parlato con Acs di ritorno dall’ospedale, dove ha fatto visita ad alcuni degli oltre 300 feriti e alle famiglie delle 72 vittime dell’attentato. Tra queste ultime anche 30 bambini. “Dopo l’attentato dello scorso anno alle due Chiese cristiane nel quartiere di Youhanabad – ha detto - temevamo che potesse verificarsi un attacco e per questo il governo ci aveva fornito tutte le misure di sicurezza necessarie per proteggere le Chiese, ma nessuno aveva pensato al parco”.

Non perdere la speranza
Nel pomeriggio di Sabato Santo le autorità locali avevano anche indetto un briefing per concordare le necessarie misure di sicurezza. Mons. Shah ritiene plausibile che la comunità cristiana fosse l’obiettivo degli attentatori, ma sottolinea come tra le vittime e i feriti vi siano anche molti musulmani. Il presule ha offerto conforto e consolazione anche a loro.  “Ai miei fedeli ho detto di non perdere la speranza, perché anche se affrontiamo un periodo di grave difficoltà, dobbiamo imparare a rialzarci così come Cristo ha saputo rialzarsi pur portando la croce. E così noi, pur portando la nostra croce dobbiamo riuscire ad andare avanti. Perché Dio è e sarà sempre con noi”, ha aggiunto il presule.

Obiettivo degli attentatori la comunità cristiana
​Anche Peter Jacob, già direttore della Commissione Giustizia e Pace del Pakistan conferma ad Acs che i terroristi hanno voluto colpire in particolare la comunità cristiana, ma non esclude che nelle loro intenzioni ci sia anche quella di inviare un avvertimento al Governo di Nawaz Sharif per l’accresciuto impegno da parte dell’esercito pakistano nella lotta contro il terrorismo e l’attentato possa essere legato alla recente esecuzione di Mumtaz Qadri, che nel 2011 aveva ucciso il governatore del Punjab Salmaan Taseer, “colpevole” di aver criticato la legge anti-blasfemia. Dopo la sua morte in tutto il Paese vi sono state numerose proteste. “Non possiamo escludere un legame perché tra manifestanti e attentatori vi è un certo link ideologico”, afferma Jacob. (L.Z.)

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Consiglio delle Chiese: attacco in Pakistan scioccante e brutale

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“Scioccante e brutale”: così, in una dichiarazione, il segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc), rev. Olav Fykse Tveit, definisce l’attacco terroristico perpetrato in un parco pubblico di Lahore, in Pakistan, il 27 marzo. Oltre 70 le vittime, di cui almeno 50 cristiani. Morti anche molti musulmani e numerosi bambini, mentre almeno 300 persone sono rimaste ferite. L’attentato è stato rivendicato dai talebani.

Attacco particolarmente scioccante
“Si tratta di un attacco particolarmente scioccante – afferma Tveit – in primo luogo perché sembra aver avuto il chiaro intento di colpire i bambini, che stavano semplicemente divertendosi al parco”. In secondo luogo, sottolinea il segretario generale del Wcc, “la tempistica dell’attacco sembra aver voluto colpire la vulnerabile minoranza cristiana del Pakistan, in uno dei giorni più sacri del calendario liturgico”, ovvero la Pasqua.

Impegnarsi nel rispetto della persona umana
“Di fronte a tale brutalità – continua Tveit – la famiglia umana, tutte le persone di fede e di buona volontà devono restare unite ed impegnarsi in favore del rispetto e della cura del prossimo, della tutela dell’altro e della prevenzione di simili violenze”. Incoraggiando, poi, alla preghiera in solidarietà con le vittime e con i loro familiari, Olav Tveit esorta il governo e le autorità del Pakistan a “fare di più per proteggere tutta la popolazione - sia essa cristiana, musulmana o di altre religione  – dalla violenza perpetrata da criminali estremisti”.

Tutelare principio della libertà religiosa
“Il principio della libertà di religione e di credo per tutti – conclude il Wcc - deve essere affermato e tutelato in Pakistan e nel resto del mondo, come responsabilità fondamentale, etica e legale, dei governi”. Infine, Tveit sottolinea che “ogni riferimento alla violenza in nome della religione o motivata dalla religione è oltremodo inaccettabile e pericoloso”. (A cura di Isabella Piro)

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Yemen. Mons. Hinder: p. Tom non è stato ucciso, è ancora vivo

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Vi sono segnali “forti” in base ai quali Padre Tom Uzhunnalil, il sacerdote indiano rapito dai jihadisti che hanno assaltato il compund delle missionarie della Carità di Aden, è “ancora vivo”. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), il quale aggiunge che “dal 4 marzo scorso” il salesiano “è nelle mani dei suoi rapitori”. Il vicariato respinge ancora una volta, con fermezza, le voci della scorsa settimana, e che hanno ripreso vigore nelle ultime ore grazie a notizie e foto (prive di fondamento) circolate sul web, secondo cui il sacerdote sarebbe stato crocifisso il Venerdì Santo. 

Il sacerdote non è stato "crocifisso"
Mons. Hinder smentisce con forza le voci “diffuse in modo incontrollato” in base alle quali padre Tom “sarebbe stato crocifisso” e aggiunge che “finora nessuno ha fornito prove attendibili” in base alle quali “egli sarebbe stato ucciso”. Il prelato aggiunge inoltre che “nessuna informazione” può essere diffusa in merito al lavoro in atto “per ottenere la liberazione” del sacerdote indiano, per il quale chiede di “continuare a pregare” perché “siamo all’interno di un processo difficile”. 

Rapito il 4 marzo scorso dai jihadisti dell'Is
Dal 4 marzo scorso padre Tom Uzhunnalil è nelle mani del gruppo jihadista, con tutta probabilità legato al sedicente Stato Islamico (Is), che ha massacrato quattro suore di Madre Teresa e altre 12 persone ad Aden, nel sud del Paese. Finora non vi sono state notizie ufficiali sulla sorte del 56enne sacerdote nato a a Ramapuram, vicino a Pala (Kottayam, Kerala), da una famiglia profondamente cattolica. Suo zio Matteo, morto lo scorso anno, anch’egli salesiano, è il fondatore della missione in Yemen.  Padre Tom si trova in Yemen da quattro anni.

Si è pregato per la sua liberazione nel Triduo pasquale
All’inizio della scorsa settimana in India sono circolate voci - senza fondamento - di un piano elaborato dai rapitori che prevedeva la tortura, l’uccisione e la crocifissione del sacerdote lo scorso 25 marzo, in concomitanza con il Venerdì Santo in cui si ricorda la passione e morte di Cristo. Si tratta di voci per nulla confermate e smentite a più riprese dai salesiani e dal vicariato d’Arabia, ma che hanno contribuito ad alimentare i timori sulla sorte del sacerdote indiano. In risposta, la Famiglia salesiana ha chiesto di pregare per padre Tom in occasione del Giovedì Santo e nelle principali celebrazioni dedicate alla Pasqua.

Il card. Schönborn ha smentito la notizia sull'uccisione del salesiano
Nelle ultime ore diversi blog e media hanno diffuso in rete la notizia della uccisione di padre Tom Uzhunnalil, rilanciate durante le funzioni della Pasqua anche dal cardinale di Vienna Christoph Schönborn in base a informazioni errate. Immediata la precisazione del porporato, il quale ha poi corretto il tiro smentendo la notizia della crocifissione.

La Congregazione salesiana rimane in attesa di notizie
Dal canto suo la Congregazione salesiana conferma che al momento su Padre Tom non si hanno ulteriori notizie rispetto a quanto già precedentemente dichiarato. "Rimaniamo in attesa di notizie - si legge in un comunicato - che auspichiamo possano essere positive, da parte di chi segue più da vicino la vicenda: il Governo indiano, il vicariato apostolico per l’Arabia meridionale e l’Ispettore salesiano di Bangalore. La Congregazione Salesiana continua a seguire la vicenda con sentimenti di solidarietà e vicinanza nella preghiera". (R.P.)

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Vescovi filippini contro gioco d'azzardo: legato a riciclaggio

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“Una vergogna nazionale”: così mons. Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale delle Filippine (Cbcp), definisce il drammatico legame tra gioco d’azzardo e riciclaggio di denaro nel Paese. Le parole del presule, diffuse attraverso una dichiarazione, fanno riferimento ad un recente fatto di cronaca: un gruppo di hacker è riuscito a rubare oltre 80milioni dalla Federal Reserve di New York, utilizzando password e username della Banca Centrale del Bangladesh e dirottando una parte del bottino su alcuni conti correnti nelle Filippine e poi, da lì, in alcuni Casinò con l’obiettivo di riciclare il denaro rubato.

Riciclaggio di denaro alimenta attività criminali e terroristiche
“Il riciclaggio di denaro è ciò che permette alle organizzazioni criminali di prosperare  e di continuare le loro azioni illegali – scrive mons. Villegas – Il riciclaggio di denaro alimenta la linfa vitale dei gruppi terroristici, sia nazionale che internazionali” ed è per questo che c’è bisogno di “misure legislative rigide” per contrastarlo. Il presule lancia accuse non solo contro i “cyber-criminali”, ma anche contro “i dirigenti bancari collusi ed i funzionari governativi ed amministrativi” che hanno permesso un furto così grave perché “nessuno escogita un piano criminale simile completamente da solo”.

Casinò distruggono famiglia e futuro
Quindi, il presidente della Cbcp sottolinea: “I casinò possono essere strumenti di riciclaggio di denaro”, così che “i proventi di attività criminali assumono l’aspetto di guadagni e valute legittime”. Di qui, la forte denuncia che la Chiesa filippina fa contro le case da gioco, definite “il simbolo dell’abbandono sconsiderato in cui molti vivono la loro vita”, “sperperando i loro averi, distruggendo le loro famiglie, mandando in frantumi il loro futuro”. E tuttavia, i casinò “continuano a prosperare – notano i vescovi filippini – ed i loro proprietari continuano ad arricchirsi”.

Fermare le scommesse on line
Mons. Villegas punta il dito anche contro le scommesse on line, ricordando che “in tanti Paesi del mondo esse sono illegali, mentre nelle Filippine queste detestabili attività continuano”, permettendo a “molti stranieri di farsi strada nel Paese non a scopi commerciali, né per contribuire economicamente al miglioramento della vita nazionale, ma per scommettere on line e dedicarsi al gioco d’azzardo su web”. “Più volte, su larga scala – si legge ancora nella nota della Cbcp – il gioco d’azzardo è stato collegato alla criminalità organizzata. Ed anche se non possiamo dire che tutto il gioco d’azzardo delle Filippine è legato ad attività criminali, siamo comunque allarmati dalla tiepidezza con cui il governo e la società civile affrontare queste forme di gioco d’azzardo ad alto rischio”.

Gioco d’azzardo corrode fibra morale del Paese
Il gioco d’azzardo, infatti, “corrode la fibra morale” del Paese, perché “provoca nel giocatore una smania di profitto cospicuo e rapido, senza che sia reso alla società alcun contributo in termini, ad esempio, di investimenti o di creazione di posti di lavoro”. Non solo: il gioco d’azzardo “è contrario anche alla Provvidenza in base alla quale ogni persona dovrebbe sostenere, in modo diligente e prudente, se stesso e la propria famiglia, perché lascia alla casualità dei dadi o delle carte ciò che, invece, deve essere guadagnato con diligenza, creatività, impegno e fatica”.

Attenzione ai giovani: non lasciarli cadere nel vizio del gioco
​Per questo, mons. Villegas esorta i vescovi diocesani ad essere “vigili nel monitorare le attività di gioco d’azzardo, segnalando tempestivamente alle autorità le operazioni illegali ed educando costantemente i fedeli all’immoralità di tali pratiche”. In particolare, i vescovi vengono invitati a “cercare di prestare attenzione soprattutto ai giovani, affinché rimangano lontani da questo vizio”. “Sappiamo di potercela fare!”, conclude infine il presidente della Cbcp. (I.P.)

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Vescovi brasiliani: Plenaria dedicata alla missione dei laici

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“Cristiani laici nella Chiesa e nella società: sale della terra e luce del mondo”: questo il tema scelto dalla Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb) per la sua 54.ma Assemblea Plenaria, in programma dal 6 al 15 aprile ad Aparecida. “I nostri laici, fratelli battezzati – spiega mons. Leonardo Steiner, segretario generale della Cnbb – hanno un ruolo molto importante nella Chiesa in base alla vocazione che ricevono attraverso il battesimo” e per questo “sono invitati ad essere testimoni di Gesù crocifisso e risorto”.

Missione dei laici: rinvigorire le comunità
“I laici – continua il presule – hanno la missione di rinvigorire le comunità, secondo gli orientamenti offerti dai sacerdoti”. Per questo, nell’Anno Santo straordinario della Misericordia, attualmente in corso fino al 20 novembre, i pastori ed i movimenti ecclesiali “sono chiamati a ripensare la missione dei laici nella società affinché siano in grado di portare la misericordia, la consolazione e l’attenzione ai più poveri ed alle persone bisognose”. I lavori della Plenaria prevedono, inoltre, anche una riflessione su: “La liturgia nella vita della Chiesa”, i risultati del 14.mo Sinodo generale ordinario dei vescovi, svoltosi in Vaticano nell’ottobre 2015, la situazione politico-sociale del Brasile ed i cambiamenti avvenuti in ambito religioso.

Chiesa non dà indicazioni di voto, ma aiuta a comprendere realtà politica
L’Assemblea episcopale preparerà poi un nuovo volume della serie “Pensando il Brasile”, che presenta la visione dell’episcopato sulla realtà del Paese. Già nel 2014, in occasione della 52.ma Plenaria, era stato elaborato il primo volume, intitolato “Le sfide poste dalle elezioni del 2014”. Nel 2015, invece, il secondo volume aveva affrontato le disuguaglianze sociali, mentre quest’anno i presuli si concentreranno sulle elezioni municipali. Naturalmente, spiega mons. Steiner, i vescovi non intendono dare indicazioni di voto, bensì aiutare i fedeli a comprendere la realtà politica. “La Chiesa deve avere sempre un’opzione per la democrazia – sottolinea il presule – e la Cnbb ha sempre cercato di essere fedele anche agli orientamenti ed alle indicazioni del magistero pontificio”.

Superare la crisi politica e sociale del Paese
​Per questo, “a partire dal Vangelo, dai documenti della Chiesa e del magistero di Papa Francesco – spiega ancora mons. Steiner – il libro rifletterà sulla situazione culturale, politica e sociale del Brasile e cercherà di proporre i modi per superare la crisi attuale”. Alla 54.ma Plenaria sono attesi 320 vescovi provenienti da 18 regioni diocesane del Paese. Ogni giornata di lavoro si aprirà con una Santa Messa nel Santuario di Aparecida. Alla celebrazione conclusiva, inoltre, sarà presente il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che negli stessi giorni sarà in Brasile per un’iniziativa promossa da “Il Cortile dei gentili”. (I.P.)

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Vescovi dell'Argentina contro corruzione e impunità

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Nei messaggi pasquali, i vescovi argentini sono stati unanimi nel segnalare che “non si può abbassare la guardia” e “si deve andare avanti nella lotta contro la corruzione e l’impunità”. I presuli si sono soffermati, inoltre, sul tema della povertà, del narcotraffico, della proliferazione e del gioco d’azzardo. “Quando l’impunità e la giustificazione prendono il posto del dovere morale e dell’esemplarità , il tessuto sociale si indebolisce”, ha affermato l’arcivescovo di Santa Fe e presidente della Conferenza epsicopale argentina, mons. Jose Marìa Arancedo, esortando tutti, ma specialmente i dirigenti locali, “ad impegnarsi nell’invertire la crisi morale argentina”. 

La sete di potere distrugge la pace sociale
Anche il gruppo dei dodici vescovi della Patagonia argentina - riporta l'agenzia Sir - hanno chiesto di non interrompere “la lotta contro la corruzione e la disonestà culturale”, denunciando “l’ansia di avere e la sete di potere” che portano esclusione e distruggono la pace sociale, condannando le misure economiche che lasciano i poveri indifesi. (R.P.)

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Svizzera: grande successo della Campagna di Quaresima 2016

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Circa 3mila parrocchie elvetiche hanno aderito quest’anno alla Campagna di Quaresima, l’annuale iniziativa ecumenica promossa in Svizzera dall’organismo caritativo cattolico “Action de Carême”, (Adc), insieme ai protestanti di “Pain pour le prochaine” ed ai cristiani di “Etre partenaire” e che si è conclusa la domenica di Pasqua. Una grande mobilitazione per denunciare gli effetti nocivi dell’estrazione dell’oro sulle popolazioni dei Paesi del sud del mondo. Il tema scelto per questa edizione è stato infatti “Non è oro tutto quello che luccica”.

Sensibilizzare sull’impatto delle attività estrattive sulle comunità locali
Una sessantina le conferenze e i dibattiti organizzati per sensibilizzare i cittadini e le cittadine svizzere sull’impatto delle attività estrattive sulle comunità locali,  più spettacoli teatrali, proiezioni di film, pasti di quaresima nelle sale parrocchiali, ma anche nelle scuole e in altri luoghi pubblici. Tra i momenti forti le testimonianze di ospiti invitati dal Burkina Faso e dal Sudafrica sulla situazione nei rispettivi Paesi e sul loro lavoro sul terreno. Nelle strade di Friburgo, Losanna, Peseux e Sion è stato esposto un cubo dorato di 5 metri cubi, corrispondente alla quantità di oro trasformata nelle raffinerie svizzere, con pannelli esplicativi sul ruolo della Svizzera nel commercio di questo metallo prezioso. “La campagna è stata una formidabile occasione di riflessione grazie all’impegno notevole di parrocchiani e parrocchiane ai quali vogliamo dire grazie”, ha dichiarato Bernard du Pasquier, direttore di “Pain pour le Prochain”.

Numerose adesioni anche alle altre iniziative
Grande successo hanno riscosso anche le iniziative tradizionali promosse nell’ambito della campagna.  “Pain du partage” (il Pane della condivisione) ha raccolto 50mila franchi svizzeri, mentre la vendita di 130mila rose eque e solidali promossa in occasione della Giornata delle rose ha raccolto da sola mezzo milione.  I fondi permetteranno di finanziare progetti miranti ad aiutare i contadini del Burkina faso di continuare a coltivare le loro terre, o alle comunità locali del Sudafrica a denunciare le sistematiche violazioni dei diritti dell’uomo perpetrate dalle industrie estrattive.

Una petizione per chiedere una regolamentazione dell’industria estrattiva
Infine, le Chiese si sono mobilitate per raccogliere le firme della petizione “Per delle multinazionali responsabili”, lanciata nell’aprile 2015 da “Pain pour le Prochain” e dall’”Action de Carême” insieme a una settantina di organizzazioni e che chiede una regolamentazione globale delle attività delle industrie estrattive nel mondo. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 89

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.