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Sommario del 03/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: è terribile invocare nome di Dio per violenze e terrorismo

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Papa Francesco ha incontrato stamane in Vaticano i rappresentanti di diverse religioni, tra cui cristiani, ebrei, musulmani, buddisti e induisti, impegnati nel campo delle opere di  carità. Al centro dell'udienza, tenutasi nel contesto dell’Anno Giubilare, il tema della misericordia. Il servizio di Sergio Centofanti

Fraternità senza sincretismi
“Oggi è tempo di fraternità” – ha detto Papa Francesco – è tempo che le religioni s’incontrino e dialoghino “senza sincretismi” per meglio conoscersi e comprendersi. Parlando della misericordia e della compassione che sono al centro del messaggio cristiano, cita un antico testo taoista che dice: «Il rigido e il duro appartengono alla morte; il molle e il tenero appartengono alla vita» (Tao-Te-Ching, 76):

“Chinarsi con compassionevole tenerezza verso l’umanità debole e bisognosa appartiene a un animo veramente religioso, che respinge la tentazione di prevaricare con la forza, che rifiuta di mercificare la vita umana e vede negli altri dei fratelli, mai dei numeri”.

L'eco della voce divina risuona nel cuore di ogni uomo
Ogni tradizione “autenticamente religiosa” – sottolinea – spinge il cuore a “farsi vicini a quanti vivono situazioni che richiedono una maggiore cura, come la malattia, la disabilità, la povertà, l’ingiustizia, le conseguenze dei conflitti e delle migrazioni”:

“È l’eco della voce divina, che parla alla coscienza di ciascuno, invitando a superare il ripiegamento su sé stessi e ad aprirsi: aprirsi all’Altro sopra di noi, che bussa alla porta del cuore; aprirsi all’altro accanto a noi, che bussa alla porta di casa, chiedendo attenzione e aiuto”.

La tecnologia non disseta l'uomo
L’uomo spesso dimentica Dio e si allontana dal prossimo e dalla “memoria del passato e così ripete, anche in forma più efferata, tragici errori commessi in altri tempi. È il dramma del male”, scelta libera dell’uomo. Ma l’amore misericordioso non lascia l’uomo in balia del male:

“In un mondo agitato e con poca memoria, che va di corsa lasciando indietro molti e senza accorgersi di rimanere senza fiato e senza meta, abbiamo oggi bisogno, come dell’ossigeno, di questo amore gratuito che rinnova la vita. L’uomo ha sete di misericordia e non vi è tecnologia che possa dissetarlo: cerca un affetto che vada oltre le consolazioni del momento, un porto sicuro dove approdi il suo navigare inquieto, un abbraccio infinito che perdona e riconcilia”.

Il perdono rende simili a Dio
Il perdono – ricorda il Papa – “è certamente il più grande dono che possiamo fare agli altri, perché è quello che costa di più, ma allo stesso tempo quello che ci rende più simili a Dio”. Si tratta di una misericordia che “si estende anche al mondo che ci circonda, alla nostra casa comune, che siamo chiamati a custodire e a preservare dal consumo sfrenato e vorace” per porre fine alla grave crisi ecologica di oggi.

Terribile accostare Dio e violenza
Il Papa, invita quindi a rigettare “le strade senza meta della contrapposizione e della chiusura. Non accada più che le religioni, a causa del comportamento di alcuni loro seguaci, trasmettano un messaggio stonato, dissonante da quello della misericordia”:

“Purtroppo, non passa giorno che non si senta parlare di violenze, conflitti, rapimenti, attacchi terroristici, vittime e distruzioni. Ed è terribile che per giustificare tali barbarie sia a volte invocato il nome di una religione o di Dio stesso. Siano condannati in modo chiaro questi atteggiamenti iniqui, che profanano il nome di Dio e inquinano la ricerca religiosa dell’uomo”.

Libertà religiosa
Siano invece favoriti, ovunque – conclude – “l’incontro pacifico tra i credenti e una reale libertà religiosa. In questo la nostra responsabilità di fronte a Dio, all’umanità e all’avvenire è grande e richiede ogni sforzo, senza alcun infingimento”.

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Vescovo Norcia: telefonata del Papa dono prezioso per i terremotati

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Prosegue lo sciame sismico nel Centro Italia. Dalla mezzanotte sono state oltre cento le scosse di magnitudo superiore a due, la più forte di 4.8 all'1.35, con epicentro a Pieve Torina, nel Maceratese. E tra paura e sgomento il Papa torna a far sentire la sua voce. "Porto la mia vicinanza, la mia preghiera, la mia benedizione a tutta la gente di Norcia e della Valnerina, va sostenuta perché guardi con ottimismo al domani", ha detto Francesco in una telefonata, ieri pomeriggio, all'arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo che, Gabriella Ceraso, ha raggiunto telefonicamente per saperne di più: 

R. – Stavo avviandomi verso il parcheggio per riprendere la macchina, dopo aver salutato il presidente della Repubblica che era venuto in visita alla città di Norcia, e squilla il telefono, mittente sconosciuto, e quando rispondo ho riconosciuto immediatamente la voce del Santo Padre. E’ stata una sorpresa gradevolissima e il Papa mi ha detto: “Ho provato altre volte a chiamare, anche nei giorni precedenti, quando stavo in Svezia però il numero che avevo non era corretto. E dunque vi volevo assicurare la mia vicinanza, la mia preghiera, la mia partecipazione alla sofferenza di tutta questa gente… Come sta la gente?”. E allora io gli ho spiegato che vive da due mesi con la precarietà e convive con la paura e con l’incertezza per cui è gente che è affaticata ormai, che è esausta. E gli ho detto: “Padre Santo, certamente quando dirò che lei ha chiamato, questo sarà per loro un incentivo, una consolazione forte e una spinta a non perdere la speranza”. Mi ha detto: “Sì, sì, degli che prego per loro, che sono vicino, che condivido il loro dolore, la loro forza ma spronali ad andare avanti”.

D. – L’ottimismo di guardare al domani, la cosa che il Papa le ha raccomandato, come si può realizzare?

R.  – Il punto di partenza è fidarsi del buon Dio che non vuole la sofferenza, il male dei suoi figli, anche se le forze della natura qualche volta li trattano male, noi sappiamo che siamo in buone mani e dunque dobbiamo innanzitutto confermare la nostra fiducia nella Provvidenza e nella misericordia di Dio. E poi dobbiamo avere fiducia e sollecitare la Provvidenza degli uomini. Abbiamo ricevuto in questi giorni numerose, variate, testimonianze di solidarietà, di vicinanza anche da altre parti del mondo. Questi impegni, le assicurazioni da parte delle autorità civili devono diventare concrete, in tempi brevi. Questa gente ha bisogno e ha il diritto di ritrovare quanto prima una vita sicura e degna. E allora bisogna che tutti insieme, tutte le istituzioni, tutti coloro che possono fare qualcosa superando divergenze, difficoltà, burocrazie, tutti altri possibili ostacoli, tutti si mettano insieme per realizzare qualcosa di buono per questa gente.

D.  – Continuare a vivere nella terra, nella loro terra, nelle loro case che non ci sono più. Questo anche è importante, mi sembra che il Papa lo abbia sottolineato?

R. – Esattamente perché questa è gente che ha qui tutta la loro storia. Lei pensi, ho visto gente più addolorata per la perdita della chiesa che non della propria casa. Nel senso che queste chiese che sono monumenti di arte, di storia, ma sono innanzitutto e soprattutto monumenti della fede e sono luoghi di identità. Dunque c’è un legame forte con il territorio e questo spiega anche la resistenza di tanti a doversi allontanare anche se andando via e ci sarebbe un luogo più sicuro, più tranquillo dove per vivere. Loro preferiscono rimanere sotto la tenda in attesa delle casette di legno promesse dalle autorità civili pur di non abbandonare il proprio territorio e continuare a farlo vivere questo territorio.

D. – Lei ha avuto la sensazione che la preoccupazione e anche il dolore del Papa fosse per le persone ma anche per il patrimonio perso?

R.  – Il Papa era certamente preoccupato per la situazione della gente e io gli ho detto anche di queste belle chiese che sono andate praticamente distrutte e lui era sensibile certamente anche a questa perdita ma ritengo che la sua preoccupazione prioritaria, come è la mia, come è quella di tutti, è il sostegno, l’accompagnamento, l’incoraggiamento alle persone, innanzitutto.

D. - In che occasione e come comunicherà ai fedeli di questa chiacchierata?

R.- Appena ho finito di parlare con il Papa in realtà ho subito telefonato al parroco della basilica di S. Eutizio e al parroco di Norcia chiedendo loro di diffondere la notizia ai fedeli. Ho sentito le loro voci incrinarsi per l'emozione: credo che questo sarà un dono prezioso, una iniezione di fiducia e di ottimismo di cui questa genete ha tanto bisogno.

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Papa a Prima Porta: ricordare morti con la speranza della Resurrezione

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Nel giorno in cui la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti, il Papa ha presieduto la Messa nel cimitero romano di Prima Porta. Il rito si è svolto nel pomeriggio nel piazzale antistante l'ossario: hanno concelebrato il cardinale vicario Agostino Vallini, il vicegerente mons. Filippo Iannone, l'ausiliare per il settore nord della diocesi di Roma, mons. Guerino Di Tora, e il parroco dei "Santi Urbano e Lorenzo" a Prima Porta, padre Zbigniew Golebiewski. Rientrato in Vaticano ha sostato in preghiera presso le Tombe dei Pontefici defunti. Prima della Messa il Papa aveva pubblicato un tweet invitando a pregare anche per i "defunti che nessuno ricorda”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Tristezza e speranza

Commemorare i defunti ha un doppio significato, ha spiegato Papa Francesco nell’omelia della Messa. “Un cimitero è triste – ha detto – ci ricorda i nostri cari che se ne sono andati e ci ricorda anche il futuro, la morte. E in questa tristezza noi portiamo dei fiori come un segno di speranza”:

“E la tristezza che si mischia con la speranza e questo è quello che tutti noi sentiamo oggi, in questa celebrazione. La memoria dei nostri, davanti alle loro spoglie, e la speranza. Ma anche, sentiamo che questa speranza ci aiuta, perché anche noi dobbiamo fare questo cammino. Tutti noi faremo questo cammino. Prima o poi, ma tutti. Con il dolore, con più o meno dolore, ma tutti. Ma con il fiore della speranza, con quel filo forte che è ancorato all’aldilà".

La certezza della resurrezione
E chi ha fatto per primo questo cammino è stato Gesù che “con la sua croce - ha sottolineato il Papa - ci ha aperto la porta della speranza” della Resurrezione:

“Torniamo a casa oggi con questa doppia memoria: la memoria del passato, dei nostri che se ne sono andati; e la memoria del futuro, del cammino che noi andremo. Con la certezza,  la sicurezza, quella certezza uscita dalle labbra di Gesù: Io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.

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Giubileo carcerati: mille detenuti domenica in San Pietro col Papa

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L’Anno Santo della Misericordia si avvia alla conclusione con due eventi particolarmente cari a Papa Francesco. Domenica prossima sarà celebrato nella Basilica di San Pietro il “Giubileo dei carcerati”. Il 13 novembre sarà invece il momento del “Giubileo delle Persone socialmente emarginate”. Quel giorno si chiuderanno anche le Porte Sante in tutte le diocesi del mondo in vista della celebrazione conclusiva del 20 novembre. I due eventi sono stati presentati in Sala Stampa Vaticana da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, che assicura: “il Giubileo non è stato un flop”. Il servizio di Michele Raviart

Papa Francesco tiene molto ai detenuti. Lo dimostra la Messa in Coena Domini nel carcere minorile di Casal del Marmo, le visite ai penitenziari negli Stati Uniti, in Bolivia e in Messico, i frequenti contatti telefonici con condannati a morte in vari Paesi del mondo. Lo dimostra la stessa lettera di attuazione del programma giubilare in cui la soglia di ogni cella diventa una Porta della Misericordia se i detenuti che la attraversano rivolgeranno il pensiero e la preghiera al Padre, “perché la misericordia di Dio è capace di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”. Spiega mons. Fisichella:

"Papa Francesco in diverse interviste ha usato questa espressione: 'Mi domando spesso, quando visito le carceri, come mai sia potuto capitare a loro, perché avrebbe potuto capitare anche a me'. Io credo che sia questo senso di partecipazione a quello che potremmo chiamare un po’ 'il destino della vita delle persone'. Quindi mi sembra che la sua vicinanza sia determinata anche dalla conoscenza di situazioni dove spesso la dignità della persona è veramente ai limiti della sopportazione".

Per il Giubileo dei carcerati, che sarà celebrato in molte diocesi nel mondo, domenica mattina saranno presenti in San Pietro 4 mila persone tra detenuti, ex-detenuti, famigliari, operatori, cappellani e agenti della polizia penitenziaria, provenienti da 12 Paesi del mondo. Mille i detenuti che attualmente stanno scontando la pena, 35 provenienti dalla Spagna, il resto dalle carceri italiani. A partecipare alla Messa presieduta dal Papa in Basilica saranno detenuti di tutte le categorie. Spiega ancora mons. Fisichella:

"Ci saranno quindi minori, persone in alternativa al carcere sul territorio, persone in detenzione domiciliare e detenuti definitivi con diverse condanne. Insomma, una presenza vera che segna un reale impegno per offrire un futuro ed una speranza oltre la condanna e la durata della pena".

Domenica 13 novembre sarà poi il momento del “Giubileo delle persone socialmente emarginate”, per precarietà economica, malattia, solitudine o assenza di legami famigliari. Saranno seimila in Piazza S. Pietro, nel giorno in cui si chiuderanno le Porte della Misericordia in tutte le Chiese e i Santuari del mondo. La celebrazione sarà preceduta sabato 12 novembre da una veglia nella Basilica di San Paolo e da un Concerto in Aula Paolo VI del maestro Ennio Morricone. Ancora mons. Fisichella:

"La celebrazione giubilare in San Pietro con tutti gli emarginati della società vuole ricordare alla Chiesa le parole di Gesù: 'I poveri li avete sempre con voi'. Pertanto, la chiusura della Porta della Misericordia non esaurisce l’impegno della Chiesa ma, la luce del Giubileo vissuto, ne rafforza la  testimonianza".

Con la chiusura dell’Anno Santo il 20 novembre, ci sarà l’occasione, afferma mons. Fisichella “di un momento di riflessione conclusiva per verificare se le finalità e le aspettative del Giubileo sono state raggiunte e valutare gli eventuali limiti che possono avere impedito la sua riuscita completa”. Di sicuro c’è l’alto numero di pellegrini, quasi venti milioni al 30 ottobre, che smentiscono le voci, definite infondate, di un Giubileo sotto tono. 

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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Le nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede

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Terzo Incontro dei Movimenti Popolari: sabato udienza dal Papa

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“Non solo denunciare la dittatura del denaro e l’ingiustizia sociale, ma dare ai poveri, ai movimenti di base, la possibilità di conoscersi e dialogare, per divenire essi stessi protagonisti di quel cambiamento che tutti auspichiamo” è questo il senso del terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari secondo il cardinale Peter Turkson, che ha aperto la prima delle cinque giornate sul tema: “Terra, Casa, Lavoro”. Dopo una trasferta in Bolivia, nel 2015, i movimenti sono tornati a Roma per piantare, come dice Papa Francesco, la loro bandiera in Vaticano. Sabato l'udienza col Pontefice. Il servizio di Eugenio Murrali: 

Una platea che è venuta dalle periferie della vita di tutto il mondo, con la ferma volontà di trovare soluzioni concrete al dolore e alle difficoltà dei più poveri. Il terzo Incontro dei movimenti popolari sta affrontando con un dialogo vivo temi come il rapporto tra il popolo e la democrazia, il territorio e la natura, la sofferenza dei migranti e dei rifugiati. Alle tre parole che fanno da sfondo agli incontri  Terra Casa Lavoro – rispondono gli impegni della Chiesa, spiega il Cardinal Peter Turkson:

"Loro parlano di "Tierra Techo Trabajo", noi parliamo di tre cose che possono facilitare questi obiettivi: consapevolezza – e in questo il Santo Padre ci guida – impegno a realizzare e smantellamento delle strutture che opprimono e che creano queste situazioni di povertà".

Testimoni venuti dai cinque continenti hanno raccontato lo stato di salute delle loro democrazie, democrazie spesso solo di facciata, hanno parlato dei diritti dei lavoratori, di condizione femminile, della marginalità nell’agenda politica, dei temi che riguardano i più fragili. Per l’Europa è intervenuto don Luigi Ciotti, del Gruppo Abele e di Libera:  

"I poveri hanno sempre bisogno di un aiuto – casa, lavoro, cure – ma prima ancora hanno bisogno di dignità: non basta accogliere, bisogna riconoscere. E allora è chiaro che noi non possiamo costruire speranza, se non partendo da chi dalla speranza è stato escluso. E' a partire da loro che possiamo sperare di nuovo: perché la speranza o è di tutti o non è speranza". 

Don Ciotti ha ripreso quell’idea di ecologia integrale cara a Papa Francesco:

"Ha ragione Papa Francesco, che ci ricorda che non ci sono due crisi separate – una sociale e una ambientale – bensì una sola complessa crisi socio-ambientale. Anche per noi è importante non dimenticarci quell'ecologia integrale, perché il mondo è un ecosistema: non si può agire su una parte senza che le altre ne risentano".

Inoltre ha insistito sulla giustizia sociale e sull’importanza dell’accoglienza:

"La libertà e la dignità non sono concetti astratti, ma valori fondati sulla giustizia sociale. E allora è giusto rifiutare nel nostro Paese la differenza strumentale e ipocrita tra 'profughi di guerra' e 'migranti economici'. Noi respingiamo questa distinzione, perché anche i migranti economici vanno via dalla sofferenza, dalle crisi ambientali o per altre ragioni. L'immigrazione ci pone una sfida: una cultura viva, autentica, solida, non ha mai paura di aprirsi agli altri".

Sabato i movimenti incontreranno il Papa Francesco.

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Auza: diritto alla vita e libertà religiosa calpestati nel mondo

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Tutte le persone nascono con pari dignità e con il fondamentale diritto alla vita. Un diritto che dovrebbe essere accolto e tutelato in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale. E’ quanto ha affermato mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite intervenendo alla 71.ma sessione dell’Assemblea generale dell’Onu incentrata sul tema della promozione e della protezione dei diritti umani. Tale diritto – ha aggiunto – continua però ad essere ignorato e sminuito. La libertà di religione – ha poi spiegato mons. Auza – continua ad essere calpestata in molti Paesi.

Il diritto alla vita sia una priorità
Il diritto alla vita dei nascituri, dei migranti, delle vittime di conflitti, dei poveri degli anziani e di quanti rischiano la pena di morte continua ad essere ignorato. Continua ad essere dibattuto – ha osservato il presule - ma non viene considerato una priorità. Gli Stati – ha aggiunto – affrontino “la sistemica privazione del diritto alla vita” garantendo alloggi e standard adeguati a quanti, a causa della povertà, vivono in condizioni di indigenza.

Cresce il consenso globale contro la pena di morte
Un passo in avanti per la protezione della vita è legato – ha poi ricordato mons. Auza - al crescente consenso, a livello globale, per l’eliminazione della pena di morte. Tale condanna – ha detto il presule ricordando le parole di Papa Francesco – “contraddice il piano di Dio” ed è un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana. La pena di morte non rende giustizia ma alimenta la vendetta.

Libertà di pensiero e di religione
La comprensione integrale dei diritti e della dignità umana richiede anche il riconoscimento dei diritti sociali, culturali, politici e spirituali di tutte le persone. Un elemento costitutivo di questo diritto consiste nella libertà di pensiero, di coscienza e di religione come sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Deve essere garantita anche” la libertà di cambiare religione o credo”.

Libertà di religione calpestata in molte regioni del mondo
Le persone – ha osservato mons. Auza – continuano ad essere perseguitate, imprigionate e a volte uccise esclusivamente per il loro credo religioso. Le stesse comunità religiose – ha detto infine l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu - non sono immuni alla tentazione di violare la libertà di religione e di credo degli altri. Interpretazioni intolleranti verso certi credi religiosi sono sfociate in molte persecuzioni. La religione – ha concluso il presule - diventa una “fonte di discriminazione” quando viene usata e abusata per definire l'identità e l’unità nazionale. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Santa Sede: aumentano razzismo, discriminazioni e xenofobia

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“La dignità umana, che sia un migrante o di un residente, non è negoziabile o determinata dalle legislazioni nazionali”, perché “i diritti umani di ogni individuo sono radicati nella dignità di ciascuna persona e sono inviolabili senza distinzioni”. Lo ha ribadito  mons. Bernardito Auza, Osservatore permanente presso l’Onu, intervenendo il 1° novembre a New York alla 71.ma assemblea generale delle Nazioni Unite  sull’eliminazione del razzismo e della xenofobia.

I partiti e gruppi estremisti minaccia per società pacifiche e inclusive
Il recente rapporto del relatore speciale del Consiglio per i diritti umani – ha osservato il presule – illustra chiaramente “la minaccia posta oggi dai partiti, movimenti e gruppi estremisti in molte parti del mondo alla realizzazione di una società pacifica, giusta e inclusiva che gli Stati membri dell’Onu si sono impegnati a realizzare con l’attuazione Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e della Dichiarazione di New York per i rifugiati e i Migranti”.

L’aumento delle violenze razziste dettato dalla paura dell’altro
In questo senso - ha affermato mons. Auza - è motivo di “particolare preoccupazione il significativo aumento degli episodi di violenza di matrice razzista e xenofoba. Una escalation, spesso strumentalizzata politicamente, che sembra dettata “dalla paura dell’altro”, e in particolare “delle responsabilità verso gli emarginati e i vulnerabili che hanno un disperato bisogno della nostra solidarietà”.

Combattere tutte le forme di discriminazione e intolleranza
Di fronte alla crescita allarmante di questi fenomeni, ha concluso l’Osservatore permanente, “tutta la famiglia umana deve riaffermare ancora una volta la propria determinazione a combattere tutte le forme di discriminazione e intolleranza in quanto contrari alla dignità e all’uguaglianza innate in ogni essere umano e adottare quindi le misure necessarie ad eliminarle in tutte le loro forme”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Manuel Nin dal titolo "Di fronte a quelle chiese devastate": da Norcia a Qaraqosh.

Un Papa nella guerra: il cardinale segretario di Stato su personalità e azione di Benedetto XV.

Complessa e disarmante: Giulia Galeotti su una nuova biografia di Dorothy Day.

Da Rio de Janeiro, Federico Jorio sui costi sociali di una riforma: un acceso dibattito accompagna in Brasile l'iter della Pec 241.

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Oggi in Primo Piano



Mosul, emergenza sfollati. Bozzo: profughi anche verso Giordania

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Prosegue in Iraq la battaglia per strappare Mosul al sedicente Stato islamico e cresce l’emergenza sfollati. Secondo le Nazioni Unite, sono quasi 21 mila le persone già costrette a lasciare le loro abitazioni a causa dei combattimenti, ma il numero potrebbe arrivare a 200 mila. Oltre tre milioni, invece, da quando l’Is ha issato la sua bandiera nera nella zona, due anni fa. L'esercito iracheno e i peshmerga curdi circondano intanto la città da Nord, Est e Ovest; nella parte occidentale avanzano pure le milizie sciite Hashd al-Shaabi, sostenute dall’Iran, per presidiare le vie di fuga verso la Siria. In questo quadro, agiscono anche gli uomini delle tribù sunnite e le forze speciali di alcuni Paesi occidentali. Mentre il califfo al Baghdadi, dopo un anno di silenzio, è tornato ad incitare i propri miliziani in un messaggio audio, si cerca di fare il punto sulle forze in campo a Mosul. Ce ne parla Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’università di Firenze, intervistato da Giada Aquilino

R. – Le forze irachene hanno tutto l’interesse a riconquistare Mosul, però gli iracheni sono divisi tra la componente sciita e quella sunnita: quindi i sunniti hanno timori - e timori giustificati - nei confronti di una iniziativa che fosse condotta dagli sciiti in concomitanza con l’azione, evidentemente, delle forze iraniane. Gli iraniani vorrebbero essere i primi a conquistare Mosul e a stabilire un controllo sulla città, perché questo permetterebbe loro di creare una linea di continuità geografica tra l’Iran e le forze, tra cui le stesse forze di Teheran, che appoggiano Assad nella guerra in Siria. I curdi hanno, evidentemente, i loro interessi, cioè quelli di tutelare al massimo l’autonomia in vista di una futura possibile indipendenza nel Kurdistan del Nord Iraq, quindi conquistare tutti i territori storicamente e tradizionalmente curdi e comunque metterli nella condizione di essere il più possibile protetti nei confronti di minacce future. E poi c’è da tenere in considerazione l’intervento turco, auspicato dagli Stati Uniti, che vorrebbero giocare la carta turca non soltanto per la riconquista di Raqqa, in Siria, ma anche appunto nella battaglia per Mosul: ciò però crea opposizione sia nel governo iracheno, che non vede di buon occhio una interferenza dentro la propria sfera di sovranità nazionale, sia da parte di altri attori in gioco, come gli stessi iraniani e via discorrendo.

D. – In un’emergenza umanitaria che riguarda tutto l’Iraq, oltre alla Siria, si è aperto il fronte sfollati di Mosul: sta crescendo l’ondata di arrivi in Kurdistan. A cosa si va incontro?

R. – Questo è uno dei dati più rilevanti della situazione, anche perché i civili non sono soltanto vittime di attacchi non intenzionali ma diventano una posta in gioco nel conflitto, vengono usati come scudi umani, vengono spinti di fronte ai combattenti per proteggere la loro azione, vengono utilizzati come strumento di ricatto. E ne pagano il prezzo, quindi, con grandi flussi di profughi che cercano riparo rispetto alla ferocia dei combattimenti, con il carico che questo può comportare sia per il Kurdistan del Nord, sia per altre aree vicine a quelle in cui si svolgono i combattimenti principali: non dimenticherei Kirkuk e Rutbah, che è una cittadina sulla linea di collegamento tra Baghdad e Amman, in Giordania.

D. – Dopo un anno di silenzio, il leader al Baghdadi in un messaggio audio ha incitato i propri combattenti, in particolare quelli di Mosul, esortando poi attacchi in Arabia Saudita e Turchia. Perché?

R. – Al Baghdadi si sta giocando la carta decisiva: rispondere agli attacchi sul campo di tipo tradizionale, convenzionale, forza armata contro forza armata - anche se di natura irregolare - con la minaccia e l’azione terroristica, quindi tentando di colpire anche su teatri lontani per contribuire da un lato ad accrescere il richiamo dell’Is, quindi a fini propagandistici, e dall’altro a disgregare la volontà di combattere contro l’Is ad opera degli alleati, di coloro che fanno parte della coalizione anti Is.

D. – Dopo Mosul cosa accadrà?

R. – Qualora cadesse Mosul, la pedina successiva sarebbe con ogni probabilità Raqqa, in Siria. Qui si tratta di vedere anche quello che sarà l’impegno turco e che cosa la Turchia riuscirà, potrà fare, di fronte alle forti resistenze che oppongono l’Iraq, ma anche l’Iran e i curdi, a un maggiore coinvolgimento di Ankara, che è quello che vorrebbe il presidente Erdogan in Iraq, così come in Siria.

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Presidenziali Usa: riflettori su scandali e astensionismo

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"Il destino del mondo traballa, è nelle mani degli elettori americani”: così Barack Obama in un comizio in North Carolina. Le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti arrivano mentre gli ultimi sondaggi vedono un sostanziale testa a testa tra Donald Trump e Hillary Clinton, danneggiata dalle nuove rivelazioni dell’Fbi sulle sue email private quando era segretario di Stato. Alessandro Gisotti ne ha parlato con il prof. Tiziano Bonazzi, americanista dell’Università di Bologna: 

R. – Senza dubbio, l’elezione è talmente personalizzata che tutti i colpi diretti all’avversario che giungono a segno, sicuramente gli sottraggono voti. E questo è successo e sta succedendo per Hillary Clinton e le ultime rivelazioni dell’Fbi, che erano state in qualche modo anticipate, circa un mese fa, da Rudy Giuliani, l’ex sindaco di New York, fortissimo sostenitore di Trump, il quale aveva detto che a fine ottobre Trump avrebbe avuto una sorpresa che avrebbe “messo al tappeto” Hillary. Questo naturalmente non ha fatto che rinfocolare le idee di una qualche forma di “cospirazione”, come si dice in linguaggio politico statunitense, tra parti dell’Fbi e Trump: cosa di cui al momento però non abbiamo nessuna prova.

D. – Dalle dichiarazioni sessiste di Trump all’email-gate di Hillary Clinton, e tanti piccoli o grandi altri scandali: in tale situazione, gli americani hanno una percezione di quali sono le differenze concrete sui programmi politici o alla fine conterà meno questo?

R. – A mio avviso, gli americani hanno una percezione piuttosto – abbastanza – precisa dei programmi dei due candidati. La questione è che gli americani sono ormai talmente frantumati, divisi, a livello ideologico, che non sono in grado di guardare al programma dell’avversario; ma guardano e sostengono in modo "abbastanza cieco" il programma del proprio candidato. E da questo punto di vista, allora, ecco che gli scandali e i colpi bassi contro la personalità dell’avversario diventano importanti. Insomma, non c’è una comparazione tra i due programmi, ma una fortissima divisione ideologica.

D. – Secondo lei, l’astensionismo di cui si parla molto, che potrebbe essere perfino più esteso che in altre occasioni, chi potrebbe sfavorire o favorire?

R. – L’astensionismo, come sappiamo benissimo, è sempre stato molto alto negli Stati Uniti: non si è mai superato il 60 o 61 percento dei votanti che si recano effettivamente alle urne. Non si può però, negli Stati Uniti o anche altrove, ma negli Stati Uniti in particolare, parlare di astensionismo in generale: dipende da quale gruppo sociale, etnico o religioso proviene in maggior parte l’astensionismo. L’ultimissima notizia è che per gli Stati in cui si è potuto cominciare a votare in anticipo, pare che l’astensionismo dei neri sia piuttosto alto. E questo sfavorirebbe naturalmente Hillary Clinton, che nel voto dei neri ha uno dei suoi principali bastioni elettorali.

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Venezuela, mons. Padrón: Chiesa appoggia un dialogo difficile

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La Chiesa venezuelana promuove il dialogo tra governo e opposizione iniziato domenica scorsa a Caracas alla presenza dell’inviato del Papa, mons. Claudio Maria Celli. Tutte le parti – ha detto mons. Celli - sono convinte che il dialogo sia l’unico cammino da percorrere, anche perché se non c’è il dialogo c’è la violenza e nessuno vuole un aumento della violenza. Ma le difficoltà non sono poche. Ascoltiamo mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela al microfono di Alvaro Vargas Martino:

R. – In questo momento il dialogo è il punto centrale dell’attenzione tanto della Chiesa quanto della gente. C’è una diversità di opinioni molto forte: da una parte ci sono quelli che credono veramente nella vita del dialogo; dall’altra, c’è invece una grande maggioranza che non ha fiducia nel governo e che, anche credendo nel dialogo, non crede al governo e pensa che non si arriverà a nessun risultato, perché alla fine non ci sarà l’opportunità di vedere quei cambiamenti strutturali che permettano di cambiare la situazione di povertà e di insicurezza in cui viviamo tutti noi venezuelani.

D. – Il Papa ha ricevuto recentemente il presidente Maduro ed ha incoraggiato il dialogo…

R. – Per tutto ciò noi lo ringraziamo fortemente! Ma allo stesso tempo – come ho già detto prima - i venezuelani nella stragrande maggioranza non credono nelle promesse che ha fatto il presidente e quindi non credono neanche nei risultati del dialogo, perché non c’è fiducia nel governo per quella che è stata la strategia usata prima in diversi momenti della vita politica del Paese. Non abbiamo potuto avere ciò in cui speravamo, perché il governo non ha mantenuto fede alla sue promesse. Questa è la situazione, una situazione difficile in questo momento. La sfida più grande per la Chiesa è quella di riuscire a dare credibilità al dialogo, perché i venezuelani non credono né al governo né alle sue promesse. 

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Terremoto. Renzi: piano per mettere in sicurezza il Paese

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"Non è pensabile che per la stabilità europea crollino le scuole". Così Renzi è tornato sulla questione dei costi del terremoto intervenendo stamani alla sede del Politecnico di Milano, dove fra le altre cose ha parlato del piano "Casa Italia" che sarà presentato lunedì a Palazzo Chigi. Dopo la visita di ieri del presidente Mattarella, oggi nelle aree terremotate è la volta del presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha lanciato un appello all’unità politica. Il servizio di Marco Guerra: 

Per il premier Renzi la vera scommessa post terremoto sarà il piano "Casa Italia". Il progetto si concretizzerà in un Dipartimento tecnico di Palazzo Chigi che “deve andare oltre tutti i governi”. Una struttura permanente che – secondo gli intenti del presidente del Consiglio – metterà in sicurezza l’Italia “nell’arco di due generazioni”. “Tutto quello che servirà in termini di soldi lo metteremo", dice Renzi facendo riferimento ai vincoli europei. A stretto giro arrivano le dichiarazioni del portavoce della Commissione Ue: i costi emergenziali a breve termine connessi con le catastrofi  "possono essere considerati come una tantum”. Altro discorso quindi potrebbe essere un piano duraturo come "Casa Italia". Intanto, nelle zone del sisma gli sfollati hanno vissuto un’altra notte di paura per le forti scosse. Il numero delle persone fuori casa si aggira tra le 20 mila e le 40 mila unità, 26 mila quelli assisiti dalla protezione civile, ma sono migliaia coloro che dormono in macchina in attesa dei container, per evitare di essere trasferiti sulla costa. E domani è atteso un nuovo decreto del consiglio dei Ministri per sveltire tempi e procedure. A vigilare saranno il presidente dell’autorità anticorruzione Cantone e il prefetto Tronca.

La priorità in questo momento sono le persone, le case, i centri storici, ma anche l’economia di Umbria e Marche, fiore all’occhiello dell’Italia. "Non si può perdere un patrimonio prezioso, l’agroalimentare e il turismo richiedono interventi urgenti", spiega al microfono di Gabriella Ceraso, il responsabile del settore tecnico ed economico di Coldiretti, Lorenzo Bazzana

R. - È chiaro che se non si riesce a conservare una produzione agroalimentare che sia di pari livello a quella che c’era prima, diventa poi difficile anche sostenere dei flussi turistici; stiamo parlando di circa 220 mila presenze sui Monti Sibillini con circa 180 agriturismi. Qui passiamo dalla lenticchia di Castelluccio allo zafferano, al tartufo, alla patata rossa di Colfiorito. Soprattutto gli allevatori sono in forte difficoltà perché gli animali vanno alimentati e, nel caso delle vacche o delle pecore - che vanno munte –, bisogna fare in modo che siano nella condizione di poter avere dei ricoveri per la stagione invernale verso la quale si sta andando.

D. - Voi avete avuto un incontro con il ministro delle politiche agricole Martina. Quali garanzie?

R. - Le garanzie sono assolute e totali. Ad essere poco disponibile è il tempo. Purtroppo il peggioramento delle condizioni climatiche è evidente; più tempo passa, più diventa difficile riuscire a gestire la situazione.

D. - Quando il governo parla di copertura del mancato reddito per le imprese di allevamento soprattutto, che cosa intende?

R. - Può intendere l’intervento previsto sia con gli strumenti che erano già stati ipotizzati - quindi per i danni di agosto, che verranno aumentati in quanto stanziamento - sia quelli che sono gli strumenti che possono essere ipotizzati compatibilmente con le normative comunitarie, quindi la sospensione dei mutui, la sospensione delle scadenze fiscali o il fatto che cci sia una riduzione delle produzioni: ad esempio, con le ultime scosse abbiamo visto che le vacche producono meno latte. Anche qui ci sono degli interventi in essere per cercare di ritirare comunque il latte e fare in modo che possa essere trasformato.

D. - In questi casi, l’Europa prende una posizione?

R. - Gli anticipi sui contributi sono già codificati.

D. - Vogliamo spregiare meglio cosa accade a livello di terreno: quando ci sono terremoti o fenomeni di questo genere il prodotto viene danneggiato - mi corregga se sbaglio - invece per quanto riguarda gli animali ci sono delle ripercussioni dirette sulla produttività ?

R. - Per quanto riguarda le colture del raccolto il problema è quello dei magazzini o degli stoccaggi che se vengono lesionati diventa difficile anche aver poi il prodotto perché magari è rimasto sotto le macerie. Per quello che invece riguarda gli animali il problema è molto più complesso, perché innanzitutto gli animali soffrono come le persone. L’animale va in stato di stress e produce di meno. Poi sappiamo che comunque hanno bisogno di essere accuditi. Inoltre, nel caso si riescano a garantire tutte queste operazioni, c‘è poi il problema di gestione del prodotto. Quindi il latte poi deve essere avviato ad una trasformazione per poi essere commercializzato.

D. - Quanto incide sul Pil questo ampio ventaglio di produzione ?

R. - L’anno scorso abbiamo segnato il record di esportazione di prodotti agroalimentari con 36,8 miliardi di Euro. Anzi, è la seconda voce delle nostre esportazioni; ha una forte connotazione sia in termini assoluti che in termini di immagine, più della moda, più delle automobili, anche perché ricordiamo che il mercato interno è sostanzialmente fermo.

D.- C’è spazio per la solidarietà anche di categoria?

R. - Sicuramente! La cosa importante però - e le ultime notizie non sembrano andare in questo senso - è che si fermi tutto, che si fermino le scosse e si ritorni ad un momento di tranquillità e serenità anche dal punto di vista psicologico per poter poi affrontare meglio quello che c’è da fare, perché questo stillicidio di scosse continue non aiuta.

D. - Noi consumatori in generale, che cosa possiamo fare?

R. - Una cosa che può essere fatta è questa: l’acquisto di prodotti che provengono da quei territori. La fase successiva è tornare a frequentare questi luoghi che vivevano di agroalimentare, di turismo, di agricoltura: devono tornare a fare questo.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 308

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