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Sommario del 05/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa agli Asburgo: sostenere pace e famiglia

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In occasione del loro pellegrinaggio giubilare, Papa Francesco ha ricevuto in udienza, stamani in Vaticano, i membri della Famiglia Asburgo. L’incontro avviene – come ha ricordato il Pontefice nel discorso loro rivolto – nel centenario della salita al trono austro-ungarico del Beato Carlo d’Austria, ultimo imperatore cattolico. Il servizio di Giancarlo La Vella

Una famiglia, gli Asburgo, che ha attraversato da protagonista negli ultimi secoli la storia del Vecchio Continente. E proprio sull’importanza della famiglia il Papa si è soffermato in alcuni passi del suo discorso:

“Quello della famiglia in senso largo, con la ricchezza dei suoi legami e della sua varietà, è un valore da riscoprire ai nostri tempi”.

Proprio sulla base di questi valori la famiglia può essere terreno fertile per far germogliare una fede viva. “Con gioia ho appreso che nella nuova generazione della vostra famiglia – ha sottolineato Francesco - sono maturate alcune vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata”. Ha poi continuato:

“La famiglia cristiana è il primo terreno in cui i semi delle vocazioni – a partire proprio da quella coniugale, che è una vera e propria vocazione! – possono germogliare e svilupparsi”.

Poi il ricordo del Beato Carlo d’Austria. La sua presenza spirituale in mezzo a voi – ha detto il Santo Padre – fa’ sì che la famiglia Asburgo non sia oggi rivolta al passato in maniera nostalgica, ma, al contrario, attivamente presente nell’oggi della storia con le sue sfide e i suoi bisogni.

“Alcuni tra voi rivestono ruoli di primo piano in organizzazioni di solidarietà e promozione umana e culturale; come pure nel sostenere il progetto di Europa come casa comune fondata sui valori umani e cristiani”.

E ancor oggi, ha ricordato il Pontefice, la figura del Beato Carlo d’Austria illumina la storia contemporanea:

“Egli aveva conosciuto la guerra. Assunto il regno nel 1916, e sensibile alla voce del Papa Benedetto XV, si prodigò con tutte le forze per la pace. Anche in questo egli ci offre un esempio quanto mai attuale, e possiamo invocarlo come intercessore per ottenere da Dio la pace per l’umanità”.

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Giubileo Carcerati. Don Balducchi: Papa apre la sua casa a tutti

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Papa Francesco celebrerà questa domenica mattina nella Basilica di San Pietro una Messa per il Giubileo dei carcerati. Saranno presenti 4 mila persone tra detenuti, ex-detenuti, famigliari, operatori, cappellani e agenti della polizia penitenziaria, provenienti da 12 Paesi del mondo. Mille i detenuti che prenderanno parte alla celebrazione. Su questo importante evento che avviene mentre si sta chiudendo l’anno giubilare della Misericordia, Davide Dionisi ha intervistato don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri: 

R. – Nelle carceri si sono preparati da molto tempo, perché la maggior parte – quasi tutti – hanno fatto l’apertura della Porta Santa all’interno delle carceri e il percorso di preparazione con riflessioni, con testimonianze e con preghiere. I detenuti che verranno all’incontro hanno già avuto un percorso abbastanza preparatorio per questo momento con il Papa. Naturalmente, l’attesa è molta, soprattutto per quello che ci dirà. I detenuti si aspettano un messaggio di alta speranza da una persona, da cui siamo abituati a sentire che ci vuole bene!

D. – Che significato assume un evento come questo, al termine dell’Anno Giubilare?

R. – Potremmo quasi dire che Dio non solo è andato a cercarli, ma se li è portati in casa: questo credo sia il messaggio più grande, sia dal punto di vista della vicinanza che viene offerta a queste persone – in generale a qualsiasi detenuto e anche a tutti gli altri che sono coinvolti, quindi anche alle vittime, agli operatori; e dall’altra parte sentire che la Chiesa è casa di tutti: Dio accoglie tutti! Questo credo che sia il gesto più grande perché ti accoglie a casa. Il Papa li accoglie a casa sua.

D. – Come annunciare Cristo in un contesto in cui la libertà umana, materiale e a volte anche psicologica viene meno?

R. – La prima cosa per annunciare è permettere che ciò che Dio fa nei cuori possa essere espresso, nel senso che non si tratta innanzitutto di fare da parte nostra un annuncio, anche se è giusto farlo; ma la prima cosa da fare è comprendere che questo annuncio è già nei cuori; è già nella ricerca di felicità di queste persone, è dentro le loro invocazioni rispetto alla loro sofferenza, è nelle loro fatiche e nelle loro gioie. Allora, da questo punto di vista è un annuncio che deve partire da ciò che Dio sta già facendo, accogliendo ciò che Dio sta facendo in queste persone. Molte richieste di riaccompagnamento alla propria fede avvengono perché un’altra persona detenuta che ha fatto questo cammino dice al proprio compagno di cella: “Se vuoi, puoi provare anche tu, a farlo”. Da parte nostra si tratta innanzitutto di riaccompagnare la richiesta di Dio.

D. – Parliamo delle donne in carcere: spesso vivono un doppio dramma; quello della detenzione e quello dell’essere mamme non in grado di svolgere il proprio ruolo. In che modo deve cambiare il sistema, per venire incontro alle esigenze, per alleviare le sofferenze delle ospiti?

R. – Sicuramente, per quelle che hanno i figli fuori, riuscire a permettere una maggiore capacità di incontro, il meno traumatico possibile, all’interno delle strutture del carcere. Certamente è sempre un trauma. Naturalmente, poi, quando il bambino finisce di avere la sua mamma con sè e deve uscire, questo diventa molto difficile. L’altra cosa che dovrebbe aumentare ancora è fare in modo che le mamme che hanno i bambini piccoli non stiano più in carcere, come la legge prevede. E questo è possibile: in questi quattro-cinque anni, con un progetto con la Caritas, con Migrantes e l’Ispettorato abbiamo portato fuori 25 donne con bambini in comunità, in luoghi di normalità: questo, naturalmente, permette loro di vivere più serenamente la propria maternità. Tre o quattro di queste donne sono uscite che erano incinta, quindi hanno potuto avere il loro figlio in libertà … Quindi, aumentare la possibilità che questi luoghi possano accogliere le donne con bambini al di sotto dei sei anni sarebbe la cosa migliore.

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Gioia in Albania per Beatificazione di 38 martiri del comunismo ateo

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Si è svolto stamattina a Scutari, presso la Cattedrale di Santo Stefano, il rito di Beatificazione di 38 martiri, uccisi dal regime comunista in Albania tra il 1945 e il 1974. Tra loro due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 francescani e 3 gesuiti, un seminarista e 4 laici. A celebrare la Messa in rappresentanza del Papa, il card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla presenza di dieci mila fedeli, molti arrivati dall'estero. Tra i partecipanti anche il Capo dello Stato, Bujar Nichani, il presidente del Parlamento, diversi ministri e rappresentati delle altre religioni. Il servizio di Adriana Masotti

Una feroce dittatura comunista per 50 anni cercò con ogni mezzo di cancellare dall’Albania ogni sentimento di fede. Unico Stato a proclamarsi ateo, colpì tutte le espressioni religiose, ma infierì in particolare sui cattolici. Una pagina tragica della storia europea che il cardinale Amato commenta così nella sua omelia: “Mentre i persecutori si dissolvono come tante ombre nere, che si perdono per sempre nell’oscurità di un oblio eterno, i martiri sono fiaccole di luce che risplendono nel cielo dell’umanità”.

Il porporato descrive così i nuovi beati:

"Pur nell’inferno di una persecuzione arbitraria e ingiusta, i martiri albanesi hanno mostrato verso i nemici gli stessi sentimenti e atteggiamenti di Cristo: perdono, lealtà, fortezza, fraternità, misericordia. Essi sono i testimoni di quella nuova umanità, che semina nella storia non guerre, divisioni e uccisioni di esseri innocenti, ma pace, gioia e fraternità, esaltando gli autentici talenti dell’essere umano creato – come dice il poeta Dante –  'non per vivere come bruti ma per seguir virtude e conoscenza'".

Particolarmente crudeli le torture e l’uccisione subite da mons. Francesco Gjini, vescovo di Scutari:

"Mons. Gjini fu arrestato, accusato di propaganda anti-comunista, torturato e ridotto alla fame e alla sete fino allo sfinimento. Appeso a un albero nel cortile dell’Agenzia della Sicurezza, fu bastonato e lasciato cadere nella fogna. Fu infine giustiziato insieme ad altri 18 tra sacerdoti e laici".

Il loro sangue sarebbe stato il seme per la primavera della Chiesa in Albania, rinata dopo l’oppressione. Ancora il cardinale Amato:

"Sappiamo che la fede non era mai morta in Albania. Quando mancavano i sacerdoti furono i genitori a battezzare i figli, a istruirli nella fede, a benedire i matrimoni. La recita delle preghiere e del rosario fu intensificata. Si visitavano i musei solo per contemplare i crocifissi e le immagini sacre. Spesso ci si recava nelle chiese abbandonate per pregare. Erano celebrate in clandestinità le solennità di Natale e Pasqua. Nonostante il tassativo divieto di usare i nomi cristiani, i bambini spesso a scuola esibivano il nome secolare e a casa quello di battesimo. Si leggevano di nascosto i libri religiosi. Ora, passata la tempesta (… ) la Chiesa albanese, con i suoi vescovi, sacerdoti e fedeli, è come una quercia secolare, che non si lascia scuotere dai venti e dalle tempeste della storia, ma resta salda ben radicata nella fede in Cristo".

Fra qualche giorno, ha ricordato il cardinale Amato al termine dell’omelia, Papa Francesco creerà cardinale don Ernest Simoni, sacerdote dell’arcidiocesi di Scutari, sopravvissuto a 28 anni di carcere. Le sue prime parole, ha detto, sono state: "Questo dono del Santo Padre è per me uno stimolo ulteriore a farmi strumento della salvezza delle anime, nel suo nome. Solo in Cristo c’è la salvezza e oggi il mondo ha più che mai bisogno di questo annuncio".

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Le udienze e nomine episcopali di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Nuovo Statuto Pontificia Accademia per la Vita. Mons. Paglia: disegno umanistico

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E’ stato reso noto oggi il nuovo Statuto della Pontifica Accademia per la Vita, istituita nel 1994 da Giovanni Paolo II. La nuova normativa entrerà in vigore il primo gennaio del 2017. Il fine dell’Istituzione è la difesa e la promozione “del valore della vita umana e della dignità della persona”. Come si inscrive dunque nella riforma della Curia voluta da Papa Francesco questo nuovo Statuto? Debora Donnini lo ha chiesto a mons. Vincenzo Paglia, presidente della stessa Pontificia Accademia per la Vita: 

R. – È uno dei tasselli, che si iscrive appunto in questo nuovo orizzonte della Curia Romana, voluto da Papa Francesco per renderla più dinamica, più aderente alle questioni contemporanee. Dopo 22 anni di vita dell’Accademia, si tratta di ridefinirne l’impulso, di ridisegnarne gli orizzonti, perché sia sempre più efficace la sua opera non solo di consultazione, ma anche di coinvolgimento nella ricerca, attraverso la collaborazione dei numerosi membri che ne fanno parte.

D. – Secondo lei, quali sono le principali differenze tra il nuovo Statuto e il precedente?

R. – Ci sono differenze di contenuto e di struttura. Per quanto riguarda la struttura, termina la precedente disposizione delle nomine a vita e subentra invece la nomina quinquennale, sebbene riproponibile, sia per i membri ordinari che per i corrispondenti, anche se in maniera differenziata, al fine di facilitare un necessario rinnovamento. E’ stata poi aggiunta anche una sezione per i giovani ricercatori. L’altro punto riguarda gli orizzonti allargati della ricerca sulla vita. In questo senso, il paragrafo terzo dell’articolo uno è eloquente, perché all’Accademia si chiede di aver cura della ricerca su tutto quel che concerne la persona umana, nelle diverse età della vita, nel rispetto tra generi e generazioni, nella difesa della persona umana, nella promozione della qualità della vita, che integri “il valore materiale e spirituale”.

D. – Questo paragrafo terzo del primo articolo fa riferimento alla prospettiva di una “autentica ‘ecologia umana’, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persone umana e l’intero universo”. Quale significato ha questo?

R. – Questo ha un significato particolarmente importante, perché l’Accademia non dovrà solamente fermarsi nelle classiche e tradizionali questioni della bioetica, ma c’è un disegno umanistico che in qualche modo si apre. Quindi è indispensabile considerare le implicazioni sociali, economiche e anche ecologiche, perché la vita sia buona per tutti, in particolare per i più deboli.

D. – Viene poi ribadita una parte, nel nuovo Statuto, dove si sottolinea che l’attività scientifica della Pontificia Accademia per la Vita dovrà mantenere uno stretto collegamento con gli organismi mediante i quali la Chiesa è presente nel mondo delle scienze biomediche, offrendo la propria collaborazione ai medici e ai ricercatori, “anche non cattolici e non cristiani, che riconoscono, come fondamento morale essenziale della scienza e dell’arte medica la dignità dell’uomo e l’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale”. Questo quindi viene ribadito…

R. – L’orizzonte umanistico che ha a cuore il primato della dignità dell’uomo e della donna resta saldamente il cardine attorno a cui ruota l’attività di ricerca, come anche il coinvolgimento degli scienziati delle diverse aree religiose e culturali. Sarà una delle preoccupazioni che abbiamo davanti: coinvolgere anche studiosi non cattolici, ad esempio ortodossi, anglicani, protestanti, ma anche ebrei o induisti, buddisti, musulmani, i quali, all’interno di questa prospettiva umanistica, collaborino assieme per percorrere quelle delicatissime frontiere che decidono il futuro stesso dell’umanità, come ad esempio la questione del genoma, delle biotecnologie, della robotica…

R. – Il presupposto è dunque che si riconosca come fondamento l’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale…

R. – Non c’è dubbio. Tale orizzonte resta la condizione sine qua non per un dialogo effettivo e ravvicinato. L’Accademia vuole offrire il suo contributo per sostenere la ricerca in quella visione umanistica, che già in passato ha visto la Chiesa nel cuore stesso del processo scientifico. Credo che la volontà del Papa sia quella di non restare chiusi nel chiuso del proprio perimetro, ma di entrare nel cuore della società umana con quel patrimonio di ispirazione che permette di offrire un contributo positivo.

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Malawi: il card. Filoni consacra la cattedrale di Karonga

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“Questa gioiosa circostanza, nella quale contempliamo la bellezza e il significato di questo tempio, segna anche un passo importante nella vita di questa Chiesa locale. Oggi concludiamo la fase iniziale dello sviluppo di questa giovane diocesi, che ha avuto inizio appena sei anni fa con la sua creazione e la nomina del suo primo vescovo diocesano, in risposta alla costante crescita della Chiesa in questa parte del Malawi. Sono felice di vedere che, da allora, la crescita è continuata, in particolare nel numero di battesimi e seminaristi. Questo è il risultato della vostra dedizione al lavoro di evangelizzazione e la vostra cura per i giovani e i poveri”. Così si è espresso il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, card. Fernando Filoni, che ha presieduto questa mattina, come Inviato speciale di Papa Francesco, la consacrazione della cattedrale della diocesi di Karonga. Presenti al solenne rito diversi vescovi, il nunzio apostolico, sacerdoti, religiosi e religiose, una folta assemblea di laici, oltre alle autorità civili guidate dal Presidente della Repubblica.

Il card. Filoni ha spiegato il significato della consacrazione
Nella sua omelia - riferisce l'agenzia Fides - il card. Filoni ha ricordato ai presenti che attraverso il rito della consacrazione, “la vostra cattedrale è diventato una casa di Dio, un luogo privilegiato in cui le persone si riuniranno per adorare il Dio che così umilmente è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ogni volta che Dio vi chiama in questo luogo sacro, sia per le sacre liturgie e i sacramenti o per la preghiera personale, Egli ricorda ad ognuno di voi che siete diventati tempio dello Spirito Santo. Qui riceverete la forza per andare fuori ad edificare la comunità dei fedeli, ovunque Dio vi guidi”.

Ogni battezzato è stato purificato per diventare luogo della dimora di Dio
Prendendo spunto dalle letture bibliche della Messa, il Prefetto del dicastero missionario ha evidenziato che “ogni battezzato è stato purificato per diventare un luogo speciale di dimora per Dio. Anche noi siamo stati consacrati nel nostro Battesimo, in modo che Dio possa prendere dimora in noi!” San Paolo ci ricorda che siamo “tempio di Dio in cui lo Spirito abita”. Il card. Filoni ha quindi citato l’omelia di Papa Francesco durante la sua visita in Uganda, l’anno scorso, quando disse: “Il dono dello Spirito è un dono che è destinato ad essere condiviso… Noi non riceviamo il dono dello Spirito solo per noi stessi, ma per edificarci l’un l'altro nella fede, nella speranza e nell'amore… Se ogni giorno soffiamo sul fuoco del dono dello Spirito sicuramente diventeremo i discepoli missionari che Cristo ci chiama ad essere... nella nostra famiglia e con gli amici certamente, ma anche nei confronti di coloro che non conosciamo, in particolare quelli che potrebbero essere poco amichevoli o anche ostili a noi.”

Rimanere uniti a Pietro ed ai vescovi
Infine il cardinale ha sottolineato: “Gesù, la pietra angolare, ha costruito la sua Chiesa sulla roccia, Pietro, come abbiamo sentito nel Vangelo di oggi. Egli continua a costruire la sua Chiesa attraverso il Santo Padre e i vescovi”. Quindi ha esortato: “Rimanete sempre uniti a Pietro, il Papa, e ai vostri vescovi, e il vostro autentico fondamento sarà in Gesù Cristo”.

Riconciliazione, giustizia e pace per il bene del Malawi
Al termine della Messa, il card. Filoni in un breve discorso ha ringraziato tutti i presenti per il loro impegno instancabile per “costruire una società di riconciliazione, giustizia e pace in Malawi”, richiamando quanto detto da Papa Francesco ai vescovi del Malawi ricevuti in Vaticano per la loro visita ad limina il 6 novembre 2014. Riconciliazione, giustizia e pace “sono essenziali al messaggio del Vangelo e devono essere proclamate per il bene di tutta la società”. (S.L.)

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Card. Sandri: San Carlo ci faccia uomini della riforma della Chiesa

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“San Carlo ci aiuti ad essere uomini della riforma della Chiesa anche attraverso la testimonianza della carità, praticando le opere di misericordia corporale e spirituale che proprio questo Giubileo ci riconsegna come autentiche strade per essere discepoli del Signore e credibili annunciatori del suo Vangelo”. Lo ha affermato ieri il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, presiedendo a Roma la celebrazione eucaristica per la solennità di San Carlo Borromeo nella diaconia dei santi Biagio e Carlo ai Catinari. 

La chiesa romana inagibile a causa del terremoto
La celebrazione - riporta l'agenzia Sir - ha avuto luogo in un salone del convento visto che dopo il sisma dello scorso 30 ottobre, la chiesa è stata dichiarata inagibile. Proprio per questo, Sandri ha voluto sottolineare come “insieme alla gioia dell’affidarci all’intercessione del patrono sperimentiamo anche una solidarietà del tutto particolare con i nostri fratelli e sorelle del centro Italia che hanno visto le loro case e le loro vite sconvolte dal terremoto”. “Questo senso di precarietà – ha aggiunto – ci aiuti a riporre sempre di più la nostra fiducia in Dio solo e non nelle nostre opere umane e insieme ci impegni nella gara di solidarietà materiale”. 

San Carlo Borromeo ricordato come “uomo della riforma
Il Prefetto ha voluto ricordare anche “le immagini di dolore che giungono dall’amata Siria e dall’amato Iraq” auspicando che “l’anno giubilare della misericordia rimanga per ogni uomo l’esperienza del balsamo di Cristo versato sulle ferite dei cuori di coloro che si sono allontanati da Dio o non hanno più speranza in questa vita”. Di san Carlo Borromeo, Sandri ha sottolineato come sia stato “uomo della riforma perché saldamente vincolato alla croce di Cristo”, servendo “la povertà e i poveri del suo tempo” e aiutando “il suo popolo, i suoi preti a conoscere la sublime dolcezza del nome di Gesù”. (R.P.)

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Radio Maria sospende teologo. Becciu: affermazioni offensive e scandalose

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Radio Maria ritiene inaccettabile la posizione di padre Giovanni Cavalcoli “riguardante il terremoto e lo sospende con effetto immediato dalla sua trasmissione mensile”. Padre Cavalcoli aveva lasciato intendere che ci fosse un legame tra l'approvazione della legge sulle unioni civili e il terremoto nel Centro Italia come "castigo divino". Tale posizione, afferma una nota della direzione di Radio Maria, “non è in linea con l'annuncio della misericordia che è l'essenza del cristianesimo e dell'azione pastorale di Papa Francesco”. Radio Maria, prosegue il comunicato, “si scusa se tali espressioni possono aver offeso la sensibilità dei fratelli terremotati ed esprime loro piena solidarietà e vicinanza nella preghiera”.

Già ieri sera, il Sostituto della Segreteria di Stato Vaticano, mons. Angelo Becciu, aveva affermato che le dichiarazioni di padre Cavalcoli “sono offensive per i credenti e scandalose per chi non crede”. Per mons. Becciu – interpellato dall’agenzia Ansa – si tratta di affermazioni “datate al periodo precristiano che non rispondono alla teologia della Chiesa perché contrarie alla visione di Dio offertaci da Cristo”. “I terremotati ci perdonino - ha aggiunto - a loro va la solidarietà del Papa”. Quindi il richiamo di mons. Becciu all’emittente di Erba: “Chi evoca il castigo divino ai microfoni di Radio Maria offende lo stesso nome della Madonna che dai credenti è vista come la Madre misericordiosa”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, Marcelo Figueroa sulle Beatitudini secondo Papa Francesco: nell’omelia durante la messa di Ognissanti.

Affermazioni offensive: le parole di Radio Maria sul terremoto.

Nuovo statuto per la Pontificia accademia per la vita.

Orrore a Mosul.

Alla comunità monastica di Bose il premio Heufelder per l’impegno ecumenico: gli articoli di Enzo Bianchi e Andrej Cilerdzic.

Sguardo geopolitico: il cardinale Gualtieri Bassetti sull’azione politica di Giorgio La Pira.

Cristiana Dobner sulla luce spirituale nella tradizione ortodossa.

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Oggi in Primo Piano



Mons. Audo: c’è collegamento tra situazione di Aleppo e Mosul

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Né civili né ribelli della zona est hanno attraversato i corridoi umanitari ad Aleppo, in Siria. È la stampa internazionale a riferire dell’esito del cessate-il-fuoco di dieci ore, indetto dalla Russia per la giornata di ieri nella città, dove dal 22 settembre è in corso l’offensiva dell’esercito di Damasco – affiancato dai raid di Mosca - per riprendere i quartieri controllati dai ribelli. Parallelamente, in Iraq, prosegue la battaglia per Mosul, con le forze speciali di Baghdad che hanno iniziato l’assalto ai quartieri più urbani della seconda città del Paese, da oltre due anni nelle mani del sedicente Stato Islamico. Proprio dall’Iraq i miliziani starebbero trasferendo con la forza numerosi civili verso la Siria, per usarli come copertura in un’eventuale ritirata. Una emergenza umanitaria che dunque peggiora, come testimonia da Aleppo mons. Antoine Audo, vescovo di tutti i caldei della Siria, appena rientrato dalla Svezia, dove ha partecipato, alla presenza di Papa Francesco, alla commemorazione congiunta luterano-cattolica per i 500 anni della Riforma protestante. L’intervista è di Giada Aquilino

R. – Negli ultimi giorni, ancora tante persone sono venute verso il centro della città dalle periferie perché c’erano attacchi e bombardamenti. Ci sono scuole chiuse, come ad esempio quella delle suore greco cattoliche del “Perpetuel Sécours”: da una settimana la scuola è chiusa perché sono cadute delle bombe, come anche non lontano dal monastero delle Carmelitane di Aleppo. Ci sono tensioni, la gente è veramente scossa.

D. – Come si vive in queste ore ad Aleppo, dopo il cessate-il-fuoco?

R. – Oggi, arrivando ad Aleppo, ho visto nel cielo un denso fumo nero: hanno di nuovo cominciato a bombardare. Non si sa quale possa essere il futuro: c’è speranza in una soluzione politica, che è quello che noi aspettiamo per avere la pace. Ma non si vede, soprattutto con tutto ciò che accade in Iraq, a Mosul. Alcuni dicono che i turchi vogliono prendere Mosul e Aleppo perché pensano che appartengano dell’Impero Ottomano…

D. – C’è un collegamento, secondo lei, tra quanto sta avvenendo in Iraq, in particolare a Mosul, e quanto sta avvenendo ad Aleppo?

R. – Sicuramente, sì, sì! Perché in questa guerra sono impegnate le stesse forze internazionali, con diverse implicazioni in Iraq e in Siria, e ci sono gli stessi conflitti tra i potenti del mondo e poi tra i potenti della regione.

D. – Quali forze ci sono in campo?

R. – A livello regionale, la Turchia, con i suoi interessi, l’Arabia Saudita, l’Iran: a livello regionale, la lotta tra sunniti e sciiti è molto forte; a livello internazionale, penso che gli interessi siano soprattutto di carattere economico e riguardino il petrolio, il gas, tra gli Stati Uniti e i russi. Intanto, qui in Siria, aspettiamo: non si sa quale sia il nostro domani, tanti sono già partiti, ma i più poveri rimangono in città.

D. – Lei è presidente anche di Caritas Siria: qual è il suo appello, proprio per le persone che sono ad Aleppo?

R. – Come Caritas, continuiamo i nostri programmi d’aiuto in campo medico, educativo, alimentare, per gli anziani. La mia speranza è che si lavori a una soluzione politica di pace e riconciliazione. Se non sarà possibile, la guerra andrà avanti e la gente continuerà ad andarsene, soprattutto i cristiani.

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Elezioni Usa: per i sondaggi è testa a testa tra Clinton e Trump

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A pochi giorni dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che si terranno martedì prossimo, è sempre testa a testa fra Hillary Clinton e Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, nessuno raggiungerebbe la soglia dei 270 grandi elettori. In base agli ultimi sondaggi l'ex first lady democratica è a quota 268, mentre il magnate repubblicano è a 204, con 66 grandi elettori ancora in bilico. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con l’americanista Alia Katia Nardini, docente di relazioni internazionali allo "Spring Hill College" di Bologna: 

R. – Capita sempre che un candidato non raggiunga la soglia dei 270 grandi elettori, prima del voto. Quello che accade questa volta è che la battaglia si è fatta particolarmente aspra in quelli che sono conosciuti come i “Battleground States”, quegli Stati quindi che possono o cambiare orientamento, a seconda delle elezioni, oppure riservare sorprese in base all’andamento elettorale di un particolare momento in cui si esprime la preferenza degli elettori. Quello che sicuramente è nuovo in queste elezioni è che un candidato come Trump non si pensava potesse arrivare così vicino a insidiare il primato di Hillary Clinton, che si è mantenuta saldamente in vantaggio per quasi tutta la corsa presidenziale. Quindi, diciamo che il successo di Trump è un elemento nuovo che sorprende, specie a così pochi giorni dal voto.

D. – Secondo alcuni osservatori c’è chi dice che queste elezioni evidenziano un po’ una criticità, un malessere della politica americana …

R. – Certamente: il malessere è il vero vincitore di queste elezioni ed è un malessere almeno duplice. Quindi, come il problema del Partito repubblicano di riassorbire una spaccatura interna molto evidente e molto profonda non soltanto tra tutti i candidati da un lato e Trump dall’altro, che è stato l’elemento di rottura, ma anche tra i candidati stessi: quindi, la presenza di queste varie correnti, quella libertarian, quella dei bi-parties, quella del conservatorismo tradizionalista, quella dell’establishment e quella atipica di Trump, all’interno di un partito che poi invece dovrà serrare i ranghi e andare avanti compatto. Poi, invece, un altro elemento che denota il malessere che prevale oggi negli Stati Uniti è quello della mancanza dell’élite di rispondere alle preoccupazioni dell’elettorato, quindi quanto entrambe le leadership di partito e tutto l’apparato di supporto dei due partiti – quindi sia lo schieramento repubblicano sia quello democratico – non siano in grado di cogliere le preoccupazioni reali della gente comune. La disaffezione della politica che si traduce in un supporto consistente per un candidato nuovo: Sanders nel caso dei democratici, e Trump nel caso dei repubblicani, che si muove completamente al di fuori delle logiche di partito che abbiamo visto finora.

D. – L’elettorato americano è condizionato dagli endorsement o dagli scandali interni: quanto incide sul voto, invece, la lettura che danno i Paesi esteri sui due candidati?

R. – Per nulla. Non c’è nulla sui giornali statunitensi né sui media che riporti una minima considerazione per quello che si dice nel resto del mondo, riguardo alle elezioni americane. Si è parlato chiaramente di sé e quanto la Russia, nella persona di Vladimir Putin, possa avere interessi riguardo a un possibile risultato che privilegi Trump; ma questo è diverso dal condannare un’ingerenza che ancora non si vede, se non per supposta campagna della parte di Clinton. Invece, riguardo all’Europa si è detto qualcosa sull’effetto Brexit, ma anche qui non si è parlato di conseguenze nei rapporti con la Gran Bretagna ma di quanto ci fosse stata una lettura errata nelle preferenze dei cittadini britannici per il voto del Brexit, e se si potesse verificare una simile confusione anche nel valutare le elezioni americane.

D. – Dunque, che America uscirà, al di là del vincitore?

R. – Sarà un’America spaccata, sarà un’America che – al di là delle previsioni funeste dei democratici – sarà sicuramente più portata a vedere il conflitto sociale in chiave violenta, il che non vuol dire che ci sarà necessariamente più violenza, ma vorrà dire che queste fratture che si sono manifestate tra l’élite e la gente comune, tra i partiti e i candidati dei partiti, rappresentanti di partiti, tra le lobby e i partiti stessi, potrebbero dare vita a contrasti sociali forti che sicuramente potrebbero rallentare il muoversi in avanti degli Stati Uniti, il recupero della crescita economica, l’occupazione, tutti i problemi nelle università, le differenze di razza e di genere … Quindi, tutti questi conflitti potrebbero acuirsi. A prescindere da chi sarà il candidato che vincerà: proprio per questo discorso del malessere che non è stato ancora considerato fino in fondo.

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India. Cristiani di Orissa: martiri senza parrocchia

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Scrive all'Aiuto alla Chiesa che Soffre per chiedere aiuto.Questo il disperato tentativo compiuto da un parroco di Kasabasa, padre Santosh Singh, in un villaggio della comunità di Orissa nel nord-est dell'India. Dalle persecuzioni cristiane del 2008 alla gente del posto non è stata ancora garantita sicurezza ne una Chiesa per le proprie celebrazioni religiose. I villaggi cristiani dopo le persecuzioni con obbligo di conversione all’induismo hanno resistito, ma dopo tante violenze ora necessitano di un luogo dove pregare. Clarissa Guerrieri ha intervistato Alessandro Monteduro, presidente Acs - Italia: 

R. – Il quadro dell’India è purtroppo – ancora oggi – un quadro con poche luci e moltissime ombre. In India, in questo momento, vi sono circa un miliardo e 250 milioni di abitanti e di questi i cristiani sono solo il 2,5%, e - tra i cristiani - i cattolici sono solo lo 0,8%: quindi parliamo di uno Stato enorme, con una popolazione enorme, in cui la comunità cattolica è al di sotto dell’1%. Incontriamo le comunità cristiane, quando vogliono costruire dei luoghi di preghiera: autorità che non vogliono chiese nelle zone tribali dello Stato dell’Orissa e in questo contesto il tema dello Stato dell’Orissa è quello tra i più difficili. La situazione non è migliorata, è anzi nettamente peggiorata!

D. – Come sono considerati i cristiani indiani?

R. – Da noi sono certamente considerati fratelli nella fede. C’è una tecnica – chiamiamola “tecnica” –una pratica, chiamata “ghar wapsi”, che significa “ritorno a casa”, che consiste nel riportare all’induismo i cristiani e i musulmani. Ci sono degli stipendi per i membri di gruppi ultranazionalista che vengono riconosciti a chi riesce a portare il maggior numero di cristiani o il maggior numero di musulmani all’induismo, alla conversione forzata.

D. – Ci sono progetti per ricostruire qualche chiesa?

R. – Aiuto alla Chiesa che Soffre, in tutte le sue articolazioni mondiali - dico semplicemente un merito del quale sono molto orgoglioso, siamo molto orgogliosi! – nel solo nel 2015 ha fatto giungere aiuti pastorali alla comunità cristiana indiana per oltre 6 milioni e 800 mila euro, per la costruzione di nuove chiese, di cappelle, di seminari, di case parrocchiali; ma anche per la formazione. A proposito delle chiese: Aiuto alla Chiesa che soffre, in questo momento, è impegnata in Italia con tutti i suoi benefattori per cercare di coronare il desiderio di una piccola comunità nello Stato dell’Orissa: la comunità si chiama Kasabasa, il villaggio di Kasabasa. Sono solo 80 le famiglie cattoliche in questo momento a Kasabasa, su una popolazione altrettanto modesta, di appena 500 unità cristiane, la cui presenza è frutto della loro conversione nel 1934 grazie a dei missionari spagnoli. Sono persone povere, non hanno un forte substrato economico e sono estromesse dalla società: sono costrette a pregare e a celebrare le Messe all’aperto. E questo significa che la mattina devono prima controllare le previsioni del tempo per capire se quella Santa Messa si potrà celebrare oppure no. Il villaggio più vicino, dove potrebbero recarsi, è a 6 chilometri di distanza: ma lì non ci sono le autostrade e non ci sono neanche le nostre tradizionali strade provinciali… Lì c’è la giungla!

D. – Qual è il suo appello?

R. – L’appello è quello di tener presente che mentre per noi la domenica mattina è facile, ci rechiamo alla Santa Messa e - diciamo la verità - abbiamo anche la possibilità di poter scegliere fra centinaia di luoghi di preghiera… Lì, no! Lì per celebrare una Santa Messa attualmente si devono affidare veramente alle previsioni del tempo e non hanno la possibilità di scegliere: sotto il sole o sotto la pioggia, la gente guarda il cielo – e come ci ha detto il parroco Santosh Singh di Kasabasa – per sapere se riuscirà a partecipare alla Messa… Io penso che noi non possiamo non considerare che sono tanti i nostri fratelli nella fede - e nello Stato di Orissa in questo caso – che vivono la fede in questo modo. E come facciamo a restare indifferenti?

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Chiesa Colombia: documento dopo l'incontro tra governo e Farc

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Si è tenuta ieri, a Bogotá, una conferenza stampa della Conferenza episcopale colombiana (Cec) per fare il punto sul processo di pace e sulla posizione della Chiesa, dopo che, su richiesta del Governo, rappresentanti dell’episcopato hanno incontrato una delegazione della guerriglia delle Farc e il gruppo governativo dei negoziatori. La scorsa settimana si era tenuta una riunione anche con gli ex Presidenti della Repubblica Uribe e Pastrana, leader del fronte del no al referendum sull’accordo di pace precedentemente raggiunto e bocciato dagli elettori. Alla conferenza stampa hanno preso parte mons. Luis Augusto Castro Quiroga, presidente della Cec e arcivescovo di Tunja, e mons. Francisco Javier Múnera Correa, vicario apostolico di San Vicente del Caguán. Nei vari incontri l’episcopato colombiano ha insistito in particolare su dei punti, presentati in un documento letto durante la conferenza stampa.

Un accordo blindato e nel contesto della riconciliazione
La prima richiesta è che “lo sviluppo del negoziato sia incorporato in un orizzonte esplicito di riconciliazione”. La seconda richiesta è che l’incorporazione dell’accordo al blocco costituzionale dev’essere solidamente blindata. Ancora, “la Chiesa comprende la necessità di una giustizia transazionale vista come giustizia speciale, però pensa che ci debba essere in qualche modo un collegamento alla giustizia ordinaria”. Come quarto punto, viene chiarito che le Farc sono state invitate “ad intendere che accettare il risultato delle urne porta al rafforzamento della democrazia e delle istituzioni”. La Chiesa, inoltre, invita a comprendere l’importanza della famiglia e del reinserimento sociale dei minori che sono stati in guerra. Tale reinserimento deve avvenire “in modo serio e responsabile”. Infine, l’episcopato invita a dare alle vittime la giusta riparazione.

Esiste una base ampia di proposte per far avanzare la trattativa
Durante la conferenza stampa i vescovi hanno spiegato che con le Farc si è parlato dell’opera di riconciliazione e pace realizzata dai sacerdoti nei territori del gruppo guerrigliero. Inoltre hanno reso noto che lo scorso 3 novembre i rappresentanti del Governo hanno spiegato in arcivescovado a una delegazione della Cec, presieduta dal card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, l’andamento delle trattative con il fronte del no. Per i vescovi esiste ora una base ampia di proposte per far avanzare la trattativa. “Ci sono posizioni di maggiore vicinanza e altre dove bisognerà mostrare grandezza d’animo”, ha commentato mons. Múnera Correa. (R.P.)

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Chiesa argentina: ripulire le istituzioni dal narcotraffico

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“La cultura della morte e dello scarto non deve prevalere nel nostro Paese”. Questo il titolo del documento diffuso, ieri, dalla Commissione nazionale Giustizia e Pace dell’episcopato argentino, in ricordo di padre Juan Viroche. Esattamente un mese fa, il sacerdote, molto impegnato nel contrasto ad ogni forma di traffico e di consumo di droga nella sua comunità parrocchiale della  diocesi di Tucuman, è stato trovato morto in circostanze ancora “non chiarite dalla giustizia”.

Il padre Viroche più volte minacciato dai ‘narcos’
“Il padre Juan – si legge nella nota - ha sfidato con coraggio le mafie che dominano il narcotraffico nella zona e che avevano minacciato lui ed altre persone della comunità”. La Commissione episcopale chiede che le indagini sulla tragica morte del sacerdote abbiano presto “una risposta chiara da parte della Giustizia, visto il carattere insolito e intollerabile della situazione intorno a questo caso”. La morte di padre Viroche continua ad essere motivo di controversie. Inizialmente, infatti, si è parlato di un presunto suicidio, che è stato smentito più volte dalla comunità ecclesiale e parrocchiale. Ancora oggi si è in attesa dei risultati delle indagini che potrebbero confermare l’ipotesi di omicidio. “Le mafie che guadagnano con il narcotraffico non esitano a minacciare ed uccidere chi considerano un ostacolo per i propri interessi” – afferma la Commissione episcopale.

Urgente ripulire le istituzioni dalle infiltrazioni del narcotraffico
“Constatiamo con dolore – continua la nota-  che le bande criminali sono infiltrate nei diversi settori e istituzioni della nostra società”. Sebbene la Commissione riconosca gli sforzi delle autorità del governo, che hanno pubblicamente manifestato il loro impegno a combattere il flagello del narcotraffico, la Chiesa argentina chiede azioni concrete perché la lotta sia efficace. “E’ urgente – si legge- che la polizia, le forze di sicurezza e le istituzioni, che hanno subito l’infiltrazione degli interessi del narcotraffico, vengano ripulite”.

Non dimenticare le vittime e le loro famiglie
​La Chiesa argentina esprime la sua vicinanza alla comunità ferita per la morte del suo pastore e, soprattutto, per il danno che subisce a causa della droga, del crimine e della corruzione. “Il denaro, che in grandi quantità muove il narcotraffico, è macchiato di sangue”, si legge nella nota, che ricorda che sono i poveri, i giovani e i bambini le principali vittime del traffico e del consumo di droghe. “La tossicodipendenza è una forma di schiavitù moderna per molte persone e famiglie che non sanno a chi rivolgersi e sono sole ad affrontare questa grave problematica”. La nota conclude con un incoraggiamento da parte della Chiesa alle persone e istituzioni pubbliche e private impegnate in questo campo a raddoppiare ogni sforzo, in questo Anno della Misericordia, mettendo al centro la persona che soffre. (A cura di Alina Tufani)

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XXXII T.O.

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Nella 32.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù risponde ai sadducèi che non credono nella risurrezione dei morti:

“Che … i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: ‘Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe’. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“Abramo, Isacco e Giacobbe sono vivi!”, proclama il Signore, esiste quindi la resurrezione dopo la morte, l'anima vive per sempre. Gesù Cristo con la sua Passione Morte e Risurrezione ci ha rivelato, inoltre, una delle Verità più sconvolgenti della persona umana: la Resurrezione corporea di ogni uomo. Quando tornerà il Signore glorificherà anche la nostra carne umiliata dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla morte e il nostro destino eterno, paradiso o inferno, sarà col corpo. Nel Simbolo apostolico, che sintetizza mirabilmente la fede della Chiesa, affermiamo solennemente "Credo nella resurrezione della carne". Pertanto la stessa Chiesa, da sempre, ha visto nella sepoltura un segno più efficace dell'attesa cristiana della Risurrezione, piuttosto che la cremazione, consuetudine tipica del paganesimo. E pur ammettendo oggi la cremazione, qualora non ci sia un esplicito rifiuto di tale attesa, considera essere “l’inumazione la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale”. Le ceneri, però, non vanno disperse, o trattenute in casa, né trasformate in orridi monili, ma vanno tumulate nel cimitero: questo è il luogo adatto per intercedere per le anime del Purgatorio, fare memoria dei nostri cari e meditare, mentre invochiamo con perseveranza Maranathà: Vieni Signore!

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 310

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.