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Sommario del 06/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa all’Angelus: chiedo atto di clemenza per i carcerati

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Un atto di clemenza verso i detenuti. E’ quanto chiesto da Papa Francesco all’Angelus, dopo la Messa celebrata per il Giubileo dei carcerati. Il Pontefice ha ribadito che la giustizia penale non può avere solo dimensione punitiva, ma deve aprirsi alla speranza. Dal Papa, quindi, l’incoraggiamento affinché abbia successo la Conferenza sul clima che inizia domani a Marrakech. Il servizio di Alessandro Gisotti

Migliorare le condizioni di vita nelle carceri, rispettare “pienamente la dignità umana dei detenuti”. E’ l’appello che Papa Francesco ha levato all’Angelus nella domenica dedicata al Giubileo dei carcerati.

Nell’Anno della Misericordia, un atto di clemenza verso i carcerati
Il Papa ha desiderato “ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società”.

“In modo speciale, sottopongo alla considerazione delle competenti Autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento”.

Sostegno alla Conferenza di Marrakech sul clima
Dopo le parole sui carcerati il Papa ha ricordato che in questi giorni è entrato in vigore l’Accordo di Parigi sul clima ed ha ribadito che bisogna porre “l’economia al servizio delle persone e per costruire la pace e la giustizia”. Quindi, ha espresso il suo sostegno alla nuova conferenza sul Clima, al via a Marrakech in Marocco, finalizzata proprio “all’attuazione di tale Accordo”:

“Auspico che tutto questo processo sia guidato dalla coscienza della nostra responsabilità per la cura della casa comune”.

Nuovi Beati martiri albanesi, esempio di fede per tutti
Il Papa non ha poi mancato di ricordare i 38 nuovi Beati martiri del regime ateo comunista che ha dominato in Albania:

“Essi preferirono subire il carcere, le torture e infine la morte, pur di rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa. Il loro esempio ci aiuti a trovare nel Signore la forza che sostiene nei momenti di difficoltà e che ispira atteggiamenti di bontà, di perdono e di pace”.

Senza Paradiso e Risurrezione, il cristianesimo si ridurrebbe a un’etica
Commentando il Vangelo odierno, il Papa si era invece soffermato sulla “verità della risurrezione”. In questo mondo, ha detto, “viviamo realtà provvisorie che finiscono”, mentre dopo la risurrezione vivremo tutto, anche il matrimonio, “in maniera trasfigurata”, tutto “risplenderà trasformato in piena luce nella comunione gloriosa dei Santi in Paradiso”:

“La risurrezione è il fondamento della fede cristiana! Se non ci fosse il riferimento al Paradiso e alla vita eterna, il cristianesimo si ridurrebbe a un’etica, a una filosofia di vita. Invece il messaggio della fede cristiana viene dal cielo, è rivelato da Dio e va oltre questo mondo. Credere alla risurrezione è essenziale, affinché ogni nostro atto di amore cristiano non sia effimero e fine a sé stesso, ma diventi un seme destinato a sbocciare nel giardino di Dio, e produrre frutti di vita eterna”.

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Giubileo carcerati. Papa: Dio è sempre pronto a perdonare

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“Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre”. Così il Papa questa mattina nella Basilica di San Pietro per la Messa in occasione del Giubileo dei carcerati. Presenti oltre 4 mila persone provenienti da 12 Paesi del mondo. Mille i detenuti che hanno partecipato alla celebrazione. Francesco ha ribadito più volte la forza della speranza che “guarda” al “futuro” ed è donata da Dio. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Il Papa entra in una Basilica commossa, ci sono carcerati, ex-detenuti, famigliari, operatori, cappellani e agenti della polizia penitenziaria. Gli occhi di molti diventano lucidi, c’è chi porta le mani al volto, chi le ha giunte e prega. In tutti risuonano le parole perdono e speranza. E il Santo Padre, nella sua omelia ripercorrendo la liturgia del giorno, parte proprio dalla “speranza che non delude” che poggia in Dio le sue radici. Francesco abbraccia nella gioia del Giubileo tutta l’assemblea:

“Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione”.

La speranza dono di Dio
“La speranza è dono di Dio” - dice - “dobbiamo chiederla”, è “posta nel più profondo nel cuore di ogni persona”. Sempre, precisa, deve prevalere la certezza “della presenza e della compassione di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto”:

“Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace”.

Francesco parla del “mancato rispetto della legge” che “ha meritato la condanna”, “della privazione della libertà” che è - rimarca - “la forma più pesante della pena”, “perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo”, ma subito aggiunge:

“La speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il respiro della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno”.

La misericordia di Dio
E’ Dio che “spera”, la “sua misericordia non lo lascia tranquillo”. “Non esiste - afferma - tregua né riposo per Dio fino a quando non ha ritrovato la pecora che si era perduta”:

“Se dunque Dio spera, allora la speranza non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita; è una spinta verso il domani, perché l’amore con cui, nonostante tutto, siamo amati, possa diventare nuovo cammino…”

Insomma, “la speranza”, per il Papa, “è la prova interiore della forza della misericordia di Dio, che chiede di guardare avanti e di vincere, con la fede”, “l’attrattiva verso il male e il peccato”. “La Chiesa - incalza - non può rinunciare a suscitare in ognuno” “il desiderio della vera libertà”. Poi parla dell’ipocrisia di chi punta il dito verso l’altro:

L'ipocrisia di chi punta il dito verso l'altro
“Ogni volta che entro in un carcere mi domando: 'Perché loro e non io?'. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una o in un’altra maniera abbiamo sbagliato. E quell'ipocrisia fa che non si pensa alla possibilità di cambiare vita, c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società”.

Il questo modo, continua, “si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto”:

“Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni”.

La certezza del perdono
“Nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto”, sostiene, “ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono!”. Inviata a non rinchiudersi nel passato e a non cadere nella tentazione “di pensare di non poter essere perdonati”, perché “Dio è più grande del nostro cuore”, dobbiamo “solo affidarci alla sua misericordia”:

“La storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita”.

“Quante volte - aggiunge - la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Fa riferimento a persone “che hanno patito violenze e soprusi” … “Solo la forza di Dio la misericordia”, dice, può guarire certe ferite:

“Dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia".

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Testimonianze dei carcerati: questo Giubileo, segno di rinascita

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Grande commozione tra i carcerati presenti nella Basilica di San Pietro per questo evento a loro dedicato nel Giubileo della Misericordia. Davide Dionisi ha raccolto alcune testimonianze: 

R. – La mia esperienza è stata un po' dura e tosta, però devo dire che la fede mi sta riportando sui passi giusti, settimana dopo settimana. Questo seguendo la Parola di Dio con i nostri amici del volontariato e della Comunità di Sant’Egidio, che mi sono molto vicini e che mi aiutano a riacquistare la fede.

D. – Come hai preparato questa giornata, come la stai vivendo?

R. – La sto vivendo con la speranza che in questo giorno io mi porti a casa una nuova fede, più grande!

D. – Che idea ti sei fatto di Papa Francesco?

R. – Già l’ho visto, Papa Francesco, che si è messo a disposizione a venire a Poggioreale, a Napoli, il 21 marzo dell’anno scorso 2015: anche là l’ho visto, l’ho abbracciato … è stata una sensazione come di rinascere, quel giorno. Ecco: quella sensazione la sto vivendo un’altra volta oggi.

R. – Io ho un reato un po’ pesante: quattro anni …

D. – Questa giornata, per te, cosa rappresenta?

R. – Questa giornata significa che per stare qua, io, adesso, vuol dire che ho fede, che sono cambiato in me stesso, che possiamo cambiare; e come cambiamo noi, possono cambiare anche gli altri miei amici, gli altri compagni che stanno con me. Si può cambiare, si può fare! Abbiamo fatto un errore. Tutti facciamo errori.

D. – Le parole di Papa Francesco, in che modo hanno segnato il tuo percorso di rieducazione, di riabilitazione?

R. – In carcere ho fatto molto con persone con le quali facciamo catechismo …

D. - … con i cappellani, con i volontari …

R. - … e infatti, ci troviamo qua! Ci hanno messo, in noi, quello che noi non sapevamo proprio: dentro di noi abbiamo toccato le mani, abbiamo visto la Verità. E così, ci troviamo qua …

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Francesco: si salvano le banche e non le persone, è una vergogna

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E' uno scandalo salvare le banche e non quella che è la "bancarotta dell’umanità". Così il Papa ha parlato dei migranti e dei rifugiati, incontrando in Vaticano circa cinquemila membri dei Movimenti Popolari, partecipanti al Terzo incontro mondiale che si è concluso questo sabato a Roma. A loro ha chiesto di proseguire l'impegno per un mondo che rimetta al centro "l'essere umano”. Francesca Sabatinelli

"Terra, casa e lavoro per tutti": questo il grido con il quale il Papa esprime la sete di giustizia di tutti i partecipanti al terzo incontro dei movimenti popolari. Francesco ricorda l’ultimo appuntamento in Bolivia e loda il percorso intrapreso dai movimenti popolari, e il dialogo tra i “milioni di persone che lavorano quotidianamente per la giustizia in tutto il mondo”, e che sta “mettendo radici”:

Il terrore e i muri
Tuttavia, questa germinazione, che è lenta, è minacciata da “forze potenti che possono neutralizzare questo processo di maturazione di un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano”:

Quien gobierna entonces? El dinero …
“Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai”.

Francesco parla del terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra. Di questo si alimentano il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso:

Ningun pueblo, ninguna religiòn ees terrorista…
“Nessun popolo, nessuna religione è terrorista. È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro» (Conferenza stampa nel volo di ritorno del Viaggio Apostolico in Polonia, 31 luglio 2016). Tale sistema è terroristico”.

La Chiesa si ribella contro “l’idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l’umanità”. E’ tirannia terroristica e quando questo terrore, espresso nelle periferie con “massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia” esplode “con diverse forme di violenza”, i cittadini “sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali”:

Muros que encierran a unos y destierran a otros …
“Muri che rinchiudono alcuni ed esiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro”.

La paura alimentata e manipolata diviene “buon affare per i mercanti di armi e di morte”. E’ una paura che “anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri” e che alla fine rende crudeli. Ed è qui che Francesco chiede di pregare affinché Dio possa dare coraggio a coloro che hanno paura e possa ammorbidire i loro cuori in questo anno della misericordia che “è il miglior antidoto contro la paura”, “meglio degli antidepressivi e degli ansiolitici. Molto più efficace dei muri, delle inferriate, degli allarmi e delle armi. Ed è gratis: è un dono di Dio". Francesco chiede di “continuare a costruire ponti tra i popoli” per abbattere “i muri dell’esclusione e dello sfruttamento”, e chiede anche di affrontare il terrore con l’amore.

L’Amore e i ponti
Il Papa rivolge il pensiero a chi è privato della dignità del lavoro, a chi è vittima degli “ipocriti” che “per difendere sistemi ingiusti, si oppongono a che siano guariti”. Parla delle realtà di lavoro “inventate” dai “poveri organizzati”, come le cooperative, o il recupero di una fabbrica fallita:

… estàn imitando a Jesùs …
“State imitando Gesù, perché cercate di risanare, anche se solo un pochino, anche se precariamente, questa atrofia del sistema socio-economico imperante che è la disoccupazione”.

‘Terra, casa e lavoro per tutti’, il grido dei popoli che il Papa fa proprio, è “un progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro”. Bisogna “aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale”, che è il contrario dello sviluppo.

Bancarotta e salvataggio
Francesco guarda al dramma dei rifugiati e degli sfollati, così come fece a Lampedusa parla di vergogna per “una situazione obbrobriosa”. Alla bancarotta di una banca risponde la comparsa di “somme scandalose” per salvarla, dice, così non è per la "bancarotta dell’umanità":

Y asì el Mediterràneo se ha convertido en un cementerio …
“E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo... molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente”.

Nessuno dovrebbe mai fuggire dalla propria patria, il male diviene doppio quando “il migrante si vede gettato nelle grinfie dei trafficanti”, è triplo, “se arrivando nella terra in cui si pensava di trovare un futuro migliore, si viene disprezzati, sfruttati e addirittura schiavizzati”. Ai presenti il Papa chiede di essere solidali, così come sa fare chi ha sofferto. “Forse con il vostro esempio – è l’augurio – alcuni Stati e Organizzazioni internazionali apriranno gli occhi”

Francesco affronta un altro tema dell’incontro: il rapporto tra popolo e democrazia che, anziché essere “naturale e fluido”, può correre “il pericolo di offuscarsi fino a diventare irriconoscibile”:

La brecha entre los pueblos y nuestras formas actuales de democracia…
“Il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle”.

Il Papa quindi incita i movimenti popolari a non aver paura ad entrare “nelle grandi discussioni, nella Politica con la maiuscola” ma avverte : si può essere tollerati, aggiunge, fin quando non si “in discussione l’economia o la politica con la maiuscola”. Mettere in discussione le “macrorelazioni”, strillare e gridare al potere, non fa essere più tollerati, dice il Papa, perché si esce “dalla casella”, perché ci si mette “sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste”. Ecco che la democrazia si atrofizza e lascia fuori “il popolo nella sua lotta quotidiana  per la dignità”.

Francesco ripete quando detto in passato che il futuro dell’umanità “è soprattutto nelle mani dei popoli”, e che anche la Chiesa “può e deve, senza pretendere di avere il monopolio della verità, pronunciarsi e agire”. Parla poi del rischio di lasciarsi corrompere, perché la corruzione “non è un vizio esclusivo della politica”, ma esiste ovunque e indica la giusta via, per i politici, come per i dirigenti sociali, come per gli stessi pastori: “bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà”. Laddove austerità è intesa come morale e umana, specifica il Papa per sgombrare il campo da ogni equivoco.

Chiunque sia legato a cose troppo materiali o allo specchio, è l’indicazione, preghi “Dio di liberarlo da questi lacci”. Chiunque invece sia “affezionato” a tutto ciò, “non si metta in politica, non si metta in un’organizzazione sociale o in un movimento popolare, perché farebbe molto danno a se stesso e al prossimo e sporcherebbe la nobile causa che ha intrapreso”. “Davanti alla tentazione della corruzione, non c’è miglior rimedio dell’austerità, morale-personale, praticare l’austerità è, in più, predicare con l’esempio”:

Les pido que no subestimen el  valor ,,,
“Vi chiedo di non sottovalutare il valore dell'esempio perché ha più forza di mille parole, di mille volantini, di mille 'mi piace', di mille retweets, di mille video su youtube".

E’ l’esempio il miglior modo per “promuovere il bene comune” e il progetto-ponte di ‘Terra, casa e lavoro per tutti’. A tutti i dirigenti il Papa chiede quindi non stancarsi mai di “praticare questa austerità morale-personale”, agli altri chiede di esigerla dai dirigenti:

La corrupciòn, la soberbia, el exhibicionismo de los dirigentes…
“La corruzione, la superbia e l’esibizionismo dei dirigenti aumenta il discredito collettivo, la sensazione di abbandono e alimenta il meccanismo della paura che sostiene questo sistema iniquo”.

In conclusione il Papa cita ai movimenti l’esempio di Martin Luther King, sollecitandoli a continuare “a contrastare la paura con una vita di servizio, solidarietà e umiltà in favore dei popoli e specialmente di quelli che soffrono”. Perseverando si vedranno i frutti. E poi ripete: “Contro il terrore, il miglior rimedio è l’amore” che guarisce tutto.

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Oggi in Primo Piano



In Iraq Mosul è sotto assedio. In Siria offensiva su Raqqa

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In Iraq l’esercito continua la campagna per liberare Mosul dal sedicente Stato islamico, mentre in Siria le Forze Democratiche e l'alleanza arabo-curda, appoggiata dagli Stati Uniti, annunciano l’inizio dell’offensiva nella roccaforte siriana dell’Is a Raqqa. Il servizio di Elvira Ragosta

Dopo Mosul in Iraq, si apre anche il fronte siriano a Raqqa contro il sedicente Stato islamico. Le forze democratiche siriane con il sostegno delle milizie curde dell’Ypg annunciano l’inizio dell’offensiva su Raqqa, capitale dell'Is in Siria. L’alleanza arabo-curda, che agirà in coordinamento con la coalizione internazionale a guida statunitense, nelle ultime settimane aveva già strappato all’is diverse città nel Nord del Paese. In Iraq, intanto, le forze lealiste continuano a combattere per liberare Mosul dall’occupazione jihadista. Ma l’avanzata nei quartieri periferici a est della città è rallentata dalle elaborate difese issate dai jihadisti e dalla presenza di civili nell’area. Anche nella parte centrale e occidentale di Mosul l’is ha eretto barricate e blocchi di cemento. E si aggrava il dramma degli sfollati, che secondo le organizzazioni umanitarie sono oltre 30.000. Intanto, una serie di attentati suicidi hanno provocato decine di vittime oggi in Iraq. L’attacco più sanguinoso è avvenuto a Tikrit, dove un’autobomba è esplosa nei pressi di un checkpoint uccidendo oltre 10 persone e ferendone più di 30, la maggior parte civili. Almeno 8 invece le vittime tra i pellegrini sciiti, alcuni dei quali di nazionalità iraniana, nel duplice attentato che ha colpito la città santa di Samarra. Secondo il portavoce provinciale, un uomo ha parcheggiato un'ambulanza carica di esplosivo e si è diretto a piedi verso i pellegrini e prima di farsi saltare in aria ha azionato l’esplosivo nascosto nel mezzo. (E.R.)

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Usa. A due giorni dalle presidenziali Clinton avanti di 5 punti

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A due giorni dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti i sondaggi, anche se con percentuali differenti, danno il candidato repubblicano, Donald Trump, indietro ma sempre più vicino alla sfidante democratica, Hillary Clinton. Secondo l'ultima rilevazione di Abc/Washington Post, Clinton è avanti di cinque punti percentuali su Donald Trump, ovvero 48 a 43 percento. Per Politico/Morning Consult la candidata democratica è avanti di tre punti, quindi al 45 percento. Intanto, sono almeno 40 milioni gli americani che hanno già votato, approfittando dell’early voting, il voto anticipato. Le preferenze di questi cittadini restano segrete fino allo scrutinio finale, ma i dati sull’affluenza indicano che è aumentato il numero degli ispanici - tendenzialmente favorevoli a Clinton - che hanno approfittato del voto anticipato in Arizona, North Carolina, Nevada e Colorado, Stati, questi, in cui la vittoria democratica non è scontata. (E.R.)

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Greenaccord: da Cop 22 opportunità per il Sud del mondo

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Domani, come ha ricordato anche Papa Francesco all’Angelus, comincerà a Marrakech, in Marocco, la “Cop22”, la Conferenza internazionale sul clima, dove si comincerà a discutere di come attuare l’accordo di Parigi siglato l’anno scorso. E proprio ai partecipanti all’incontro, dal 13.mo Forum Internazionale per l'Informazione ambientale organizzato dall’associazione Onlus Greenaccord a Frosinone, è stato lanciato un appello, per il rispetto dei diritti umani e una crescita economica che vada a considerare gli ecosistemi. Ascoltiamo Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord al microfono di Marina Tomarro

R. – Tutti guardiamo alla prossima Cop di Marrakech, che è la prima Cop con l’Accordo di Parigi che è entrato in vigore. Questa attesa, però, solleva anche tante preoccupazioni, perché questo Accordo non è ancora un accordo indefinito. La cosa che è stata apprezzata nel nostro Forum è che intorno a questa nuova "scatola", attualmente pressoché vuota, si sta muovendo veramente il mondo della finanza, il mondo dell’economia, i governi: quindi, per la prima volta, vediamo un qualcosa che possa somigliare a un unico popolo preoccupato di una casa comune. Cominciamo a vedere le prime tracce di un disegno di responsabilità globale di fronte ad un problema globale. Che questo non resti soltanto una speranza: questo è il messaggio che parte da questo incontro.

D. – Ma cosa ne verrà fuori da questo incontro a Marrakech secondo lei?

R. – Consideriamo che c’è un nuovo Accordo, attualmente abbastanza vuoto di meccanismi: quindi il lavoro grosso è il lavoro iniziale per cominciare a definire i meccanismi e le strutture perché questo Accordo – un po’ più indefinito negli obiettivi – serva effettivamente a ridurre le concentrazioni di gas serra in atmosfera, perché questo è il problema! Oggi siamo arrivati al record di 400 parti per milioni, che già è un qualcosa di insostenibile. Quindi, da Marrakech ci aspettiamo i primi meccanismi, ci aspettiamo i primi accordi per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo e soprattutto ci aspettiamo i criteri per valutare questi impegni, perché non diventino – come spesso è stato nella Cooperazione - più opportunità per le imprese del Nord del mondo che opportunità e sostegno per i Paesi in via di sviluppo.

E nel forum, che ha visto la presenza di oltre 100 giornalisti provenienti da tutto il mondo, è stata sottolineata l’importanza di ridurre l’emissione di Co2, di circa il 40 per cento entro il 2030. Filo conduttore di questo incontro è stato il tema "Sentinelle del Creato". Ascoltiamo il commento dell’arcivescovo di Frosinone mons. Ambrogio Spreafico:

R. – Anzitutto io credo che significa avere uno sguardo sul Creato. Noi abbiamo uno sguardo troppo corto: vediamo noi stessi, vediamo le persone che ci circondano… Ma quanto è difficile guardare noi nel Creato! Guardare noi nel mondo, in quello che ci circonda; concepirci non come esseri individuali, separati, ma come esseri che hanno connessioni non solo con gli altri uomini e donne, ma anche con tutti gli esseri viventi. Io credo che questa coscienza sia molto rara. Ci volveva l’Enciclica di Papa Francesco per riabituarci a questa concezione di noi stessi nel mondo: io credo che sia una cosa molto importante questa.

D. – In che modo la Chiesa può aiutare all’educazione sulla salvaguardia del Creato, soprattutto riguardo alle nuove generazioni?

R. – Io credo che la Chiesa possa fare molto, perché qui si tratta veramente di cultura, di abitudine a vedere le cose. Per esempio: nella mia diocesi, ho chiesto lo scorso anno agli alunni e agli insegnanti di religione di trattare questo tema nelle loro lezioni; certo non tutto l’anno, ma comunque di trattare questo tema… Io credo che noi possiamo fare molto! Abbiamo tanti canali, abbiamo una connessione di reti, abbiamo oratori: quanto possiamo fare per aiutare i piccoli, i giovani a crescere con questa mentalità di questo sguardo verso il resto delle creature che ci circondano.

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Turchia. Hdp boicotterà il Parlamento

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In Turchia, il Partito democratico dei popoli (Hdp), principale formazione politica filocurda e terzo partito del Paese, ha annunciato che cesserà la sua attività in Parlamento, dopo che venerdì sono stati arrestati nove dei suoi deputati, tra cui i due leader, Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag. "Il nostro gruppo parlamentare e i dirigenti del nostro partito - si legge in un comunicato dell’Hdp - hanno preso la decisione di cessare di lavorare negli organi legislativi dopo quello che è stato un attacco totale".

Restano in carcere i giornalisti di Cumhuriyet
Nel Paese intanto continua il giro di vite contro i presunti sostenitori di Fetullah Gülen, l’ex imam sospettato dal presidente Tayyp Erdogan di essere la mente del tentato golpe del 15 luglio scorso. Ieri un tribunale di Istanbul ha convalidato gli arresti di 9 giornalisti e amministratori del quotidiano di opposizione laica Cumhuriyet. I giornalisti erano stati fermati lunedì, con un blitz che aveva scatenato proteste e allarmi a livello internazionale. 

Spari all’aeroporto Atataurk nella notte
Nella notte a Istanbul, la polizia turca ha aperto il fuoco contro due individui che viaggiavano su una motocicletta nei pressi dell'aeroporto Atatürk e che non si erano fermati a un controllo. Nel giugno scorso l'aeroporto, il terzo più trafficato in Europa, fu teatro di un attentato-kamikaze di stampo jihadista in cui morirono 41 persone. (E.R.)

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Presidenziali Nicaragua: Ortega cerca il terzo mandato consecutivo

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Elezioni oggi in Nicaragua, dove 3,4 milioni di persone si recano alle urne per eleggere il presidente della Repubblica. Il Paese è guidato dal 2006 dall’ex guerrigliero sandinista Daniel Ortega, che corre per ottenere il suo terzo mandato consecutivo, essendo presidente dal 2006. Nel 2014 una modifica costituzionale ha autorizzato la rielezione del presidente senza limiti di mandato. Ortega è il candidato del Fronte sandinista di liberazione nazionale, con sua moglie Rosario Murillo candidata alla vice-presidenza. Elvira Ragosta ha chiesto a Luis Badilla, direttore del Sismografo, quale sia il clima in cui si svolgono queste elezioni: 

R. – Un clima di grande incertezza, di grande apatia, di grande indifferenza. Con ogni probabilità, l’astensione sarà altissima, anche perché il Paese ha una tradizione in questo senso. Ma siccome non c’è stato dibattito programmatico, non ci sono stati confronti tra il candidato principale che sicuramente vincerà perché tutto è fatto per quello – cioè Ortega – e gli altri cinque candidati minori, due candidati che erano rilevanti e che avrebbero in qualche modo potuto competere bene con Ortega sono stati eliminati per via giudiziaria … di fronte a questa realtà, tutto quello che si sa, si legge e si capisce, l’apatia e l’indifferenza sono notevoli. Quindi, su queste elezioni c’è una grande incognita riguardo alla sua vera credibilità e validità democratica.

D. – Anche il periodo pre-elettorale, nei mesi scorsi, è stato segnato da tensioni …

R. – Sì: tensioni di ogni tipo, come sono poi molto caratteristiche nel caso dell’America Latina; poi, in questo Paese dove esiste, purtroppo, una grande polarizzazione che va avanti da moltissimi anni e sulla quale non si può fare nemmeno la conta, nel senso di sapere più o meno quali siano numericamente le posizioni da una parte e dall’altra, perché l’intero sistema elettorale appare molto inquinato da personalismi. Ortega si presenta per la sesta volta consecutiva, ha più di 70 anni, è un uomo che – secondo me – non corrisponde alla realtà del Paese: il Nicaragua è sostanzialmente un Paese di gente giovanissima, però ha una classe politica vecchia, arrugginita e superata nel tempo, che non riesce a comunicare con il suo popolo …

D. – I vescovi nicaraguensi, preoccupati per la stabilità del Paese, hanno invitato i cittadini ad affrontare le elezioni con decisione e ad agire secondo coscienza, senza timore di coercizione …

R. – E’ vero. Però, i vescovi del Nicaragua hanno fatto una cosa assolutamente insolita, che non era mai accaduta nella storia politica dell’America Latina: invece di invitare a votare in coscienza, come si fa sempre, e come hanno fatto sempre tutti gli episcopati della regione, i vescovi del Nicaragua hanno scritto un documento in cui dicono che ognuno decida in coscienza se andare a votare o non andare a votare. Questo è veramente nuovo e questo riflette quale sia la situazione del Paese. Perché prima di porsi il problema di esprimere il proprio diritto a decidere sul destino del Paese, i vescovi chiedono a questo punto – per quello che è la situazione – che la prima questione sia invece decidere in coscienza se tu vuoi veramente, o meglio: se tu credi o non credi nella possibilità che il tuo voto possa avere una conseguenza sul futuro della nazione.

D. – Nonostante la crescita economica del 5 per cento, a partire dal 2011, il Nicaragua resta uno dei Paesi più poveri del Centroamerica, con il 30 per cento di popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Quanto pesa questo elemento economico nelle elezioni?

R. – E’ fondamentale, perché la gente non ha la preoccupazione immediata, chiara, precisa sui grandi problemi del Paese, sul futuro della nazione, questione, tra l’altro, completamente assente in questa sorta di campagna pre-elettorale di questi mesi. Perché l’unica cosa che pensa la gente è vedere come vive domani! Quindi, l’angoscia esistenziale del popolo nicaraguense è una delle più pesanti nel continente o nella regione latinoamericana. La preoccupazione fondamentalmente è "campare" domani, vedere cosa si dà da mangiare ai figli domani, come si mandano a scuola i figli domani … Cioè, vive in un’urgenza del momento che impedisce assolutamente una visione del futuro o di prospettiva …

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Myanmar a un anno dal voto che ha cambiato la storia del Paese

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Un anno fa, l’8 novembre del 2015, si sono tenute le prime elezioni libere in Myanmar. La spinta democratica impressa dalla leader e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, sta cambiando il volto del Paese, anche se proseguono tensioni e scontri in varie parti del territorio legate soprattutto alla questione delle minoranze. Massimiliano Menichetti ha intervistato Carlo Ferrari, presidente dell’Associazione per l’amicizia Italia-Birmania “Giuseppe Malpeli”: 

R. – Il Myanmar è un conglomerato di tante etnie; si parla di oltre 130 etnie. Il discorso sui conflitti etnici che ancora permangono in diverse regioni ha delle radici storiche. Durante i sessanta anni di dittatura, fomentare le divisioni etniche è stato uno dei modi in cui il governo dei militari ha mantenuto il potere.

D. - Il governo attuale è impegnato nella pacificazione. A fine agosto si è tenuta la grande conferenza per la pace salutata con favore anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon …

R. - Ad agosto la nuova conferenza di Panglong ha portato avanti la discussione mettendo tutte le principali etnie attorno ad un tavolo con l’obiettivo di cambiare la Costituzione in senso democratico. Chiaramente in questo momento ci sono diverse valutazioni: da un lato il governo dall’altro l’esercito che è stato una forza fondamentale in Birmania che ancora ha il controllo della situazione soprattutto nelle zone di conflitto etnico ai confini con il Bangladesh e con la Cina. Il governo ha chiaramente espresso la sua volontà assoluta di portare avanti un cammino di riconciliazione nazionale nel senso della non violenza. Tutti i passi, dalla liberazione dei prigionieri politici che è seguita immediatamente alla proclamazione del nuovo governo, alla conferenza di Panglong, ai progetti di legge per la riconciliazione, alla convivenza pacifica delle religioni all’interno stanno andando in questa direzione. Ma non dobbiamo nascondere che il governo sta operando in situazioni direi quasi di emergenza, soprattutto in queste aree etniche.

D. - Proprio su questo punto: nel Paese sono presenti circa 15 formazioni paramilitari attive. Quanto tempo ci vorrà per questo grande importante processo di pacificazione?

R. - Credo che processi di pacificazione di questa portata si misurino in anni; c’è il problema delle armi, quello delle forniture delle armi, c’è un discorso legato alla produzione e alla commercializzazione di sostanze stupefacenti che vengono coltivate in alcune di queste aree. Ci sono interessi piuttosto forti in atto. Noi dobbiamo partire dal concetto che in ballo in Myanmar, in Birmania, si è realizzata una cosa che non ha quasi precedenti nella storia dell’umanità: un intero popolo è uscito da una dittatura feroce durata 60 anni tramite delle votazioni!

D. - Lo ha anticipato lei, l’8 novembre dell’anno scorso si sono tenute le prime elezioni libere in Myanmar. A distanza di un anno, quali sono i cambiamenti più evidenti?

R. - Per rispondere a questa domanda ho la possibilità di citare il cardinale Charles Maung Bo che in questi giorni è in Italia e che ha celebrato a Parma, lo scorso 28 ottobre, una Messa a suffragio del nostro presidente Giuseppe Malpeli. Nella sua omelia ha fatto esplicito riferimento a quelli che sono i cambiamenti che il Paese sta vedendo: c’è più libertà, più comunicazione. Anche per quanto riguarda la scuola c’è una grande attenzione al miglioramento delle condizioni delle scuole, alle nomine degli insegnanti che erano assolutamente deficitarie rispetto al numero degli studenti. C’è dialogo con le etnie sulle religioni. Questi sono elementi concreti.

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Centro Italia, ancora scosse. Disagi per maltempo

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A una settimana dall’ultima forte scossa di magnitudo 6,5 che ha colpito l’Italia centrale, non si ferma lo sciame sismico, soprattutto sul versante marchigiano. Il picco nella notte, alle 4.19 con una scossa di magnitudo 3,8 ed epicentro nel maceratese.

Disagi anche per il maltempo
Disagi nelle zone terremotate anche per le condizioni meteorologiche. Oltre alla pioggia che si è abbattuta sul cratere, il vento nel fondovalle ha spazzato via le tende allestite per la mensa degli sfollati a Cascia, rimontate dai volontari. Forti raffiche anche nelle Marche, con decine di interventi dei Vigili del Fuoco.

Messe domenicali all’aperto o nelle tendopoli nelle zone terremotate
In molte zone terremotate le Messe domenicali sono state celebrate all’aperto, perché la maggior parte delle chiese sono danneggiate. A Cascia, il paese di Santa Rita, la Messa di mezzogiorno si è tenuta nel campo di assistenza per gli sfollati allestito dalla Protezione Civile. Anche a Norcia la celebrazione domenicale si è tenuta all’aperto. 

Card. Bassetti: statua di San Benedetto è segno di speranza
"La statua di San Benedetto ancora intatta tra tutte quelle macerie nella piazza di Norcia è un segno. Il Santo dice ai suoi concittadini: 'Io sono ancora qui per tutti voi'. E' un segno di grande speranza". Lo ha detto stamani il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, prima della Messa celebrata dal vescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo. (E.R.)

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Pozzallo: giornalisti in dialogo su migrazioni e accoglienza

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Quinta tappa, in questi giorni, a Pozzallo, in provincia di Ragusa, del progetto “Giornalismo e Migrazioni” promosso da NetOne, la rete internazionale di professionisti della comunicazione che opera per il dialogo e la pace tra i popoli su ispirazione del carisma dell’unità di Chiara Lubich. Dopo Budapest, Atene, Man in Costa d’Avorio, e Varsavia, in Sicilia si è discusso dell’immigrazione proveniente in particolare dall’Africa e del modello italiano di accoglienza e integrazione. Obiettivo del progetto, che vedrà altri due appuntamenti, a Beirut e a Bruxelles, è l’apertura di una via originale di interpretazione e di narrazione del fenomeno che favorisca nei suoi confronti risposte sociali e politiche condivise. Al microfono di Adriana Masotti, il giornalista ungherese Pal Toth, responsabile internazionale di NetOne: 

R. – Qui a Pozzallo abbiamo una tappa di una serie di appuntamenti di NetOne. Abbiamo avvertito, prima di tutto nell’Est europeo, che c’è un certo disagio nel comprendersi tra Est e Ovest, tra giornalisti, anche tra soggetti civili e politici soprattutto, sulla questione migratoria. Abbiamo visto che noi, che tendiamo a costruire rapporti, a favorire il dialogo per costruire processi integrativi nella società, dobbiamo fare qualcosa. Abbiamo fatto un primo incontro a Budapest per affrontare questa differenza di vedute e io credo che questo sia molto importante, perché non è di poco conto come i giornali raccontano la migrazione. E’ un fatto noto, che l’Ungheria e i Paesi del cosiddetto Gruppo di Visegrad, abbiano assunto una posizione particolare: si sono chiusi, l’Ungheria ha innalzato anche una siepe per proteggersi dall’ondata migratoria che è arrivata l’anno scorso. Questo fatto viene interpretato in Occidente come un’ostilità verso l’accoglienza, e così via. Ora dobbiamo capirci meglio anche per poter mediare, per poter trovare soluzioni comuni a livello europeo, che mancano, diciamo la verità. Dopo l’incontro di Budapest siamo andati in Grecia, che anche è un punto molto caldo, per intavolare un dialogo tra giornalisti europei – tedeschi, italiani, ungheresi, sloveni e così via …

D. – Per un giornalista che si impegna, che crede in un mondo dove la famiglia umana è unita, come è possibile raccontare, capire certe chiusure, certi muri che si alzano nei confronti di chi arriva da fuori?

R. – Per noi, un primo passo importante è stato capire bene la motivazione di questa chiusura: in Ungheria, dopo anche la Polonia, vogliono adesso trovare soluzioni comuni e proporle all’Europa. In questi Paesi la formazione dell’identità nazionale non è ancora conclusa, per il fatto che durante il comunismo non era stato possibile parlare di queste cose. Tanti ungheresi vivono fuori dall’Ungheria. Ora, in tutta quest’ansia di creare l’unità della Patria, del popolo ungherese, il fenomeno migratorio viene visto come una minaccia. Dobbiamo dire anche che il popolo ungherese ha fatto un’esperienza molto particolare, per quanto riguarda la migrazione: un’ondata di persone che l’anno scorso hanno attraversato il Paese senza controllo e questo ha creato tanta paura perché si è creata l’impressione che questo fosse il disordine incarnato. Io vedo che qui adesso conosciamo fino in fondo l’esperienza italiana, dove c’è tutta un’infrastruttura di accoglienza, persone altamente qualificate e preparate all’accoglienza. In Ungheria non abbiamo tutta questa infrastruttura. Poi c’è, secondo me, anche un’esagerata paura dell’islam e della forza destabilizzante dell’islam per questa società, quella ungherese, che vuole riconoscersi di nuovo come cristiana. Ci sono tutte queste paure … Io credo che questo sia ora un processo di crescita e credo che l’Ungheria si aprirà anche gradualmente all’accoglienza. Ci vorrebbe però una maggiore unità tra gli Stati europei: noi vogliamo lavorare proprio in funzione della diffusione di una visione dell’accoglienza dei veri richiedenti  asilo, perseguitati dalla guerra, dalla fame e così via … C’è tanto da fare e noi ci troviamo in mezzo a questo processo con una missione che abbiamo ricevuto da Chiara Lubich, quella di costruire ovunque la fraternità, con i nostri mezzi.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 311

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.