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Sommario del 08/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: per servire Dio con libertà, rifiutare potere e slealtà

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Per servire bene il Signore dobbiamo guardarci dall’essere sleali e ricercare il potere. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi ribadito che non si può servire Dio e il mondo. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Siamo servi inutili”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dall’affermazione che ogni vero discepolo del Signore deve ripetere a se stesso.

La voglia di potere ci impedisce di servire il Signore
Ma quali sono, si chiede il Pontefice, gli ostacoli che impediscono di servire il Signore, di servirlo con libertà? Ce ne sono tanti, constata con amarezza, “uno è la voglia di potere”:

“Quante volte abbiamo visto, forse, a casa nostra: qui comando io! E quante volte, senza dirlo, abbiamo fatto sentire agli altri che ‘comando io’, no? Anche far vedere questo, no? La voglia di potere … E Gesù ci ha insegnato che colui che comanda diventi come colui che serve. O, se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti. Gesù capovolge i valori della mondanità, del mondo. E questa voglia di potere non è la strada per diventare un servo del Signore, anzi: è un ostacolo, uno di questi ostacoli che abbiamo pregato il Signore di allontanare da noi”.

No alla slealtà di chi vuole servire Dio e il denaro
L’altro ostacolo, prosegue Francesco, succede “anche nella vita della Chiesa”, è “la slealtà”. Questo, è il suo avvertimento, avviene “quando qualcuno vuol servire il Signore ma anche serve altre cose che non sono il Signore”:

“Il Signore ci ha detto che nessun servo può avere due padroni. O serve Dio o serve il denaro. Gesù ce lo ha detto. E questo è un ostacolo: la slealtà. Che non è lo stesso di essere peccatore. Tutti siamo peccatori, e ci pentiamo di questo. Ma essere sleali è fare il doppio gioco, no? Giocare a destra e a sinistra, giocare a Dio e anche giocare al mondo, no? E questo è un ostacolo. Quello che ha voglia di potere e quello che è sleale, difficilmente può servire, diventare servo libero del Signore”.

Questi ostacoli, la voglia di potere, la slealtà, riprende Francesco, “tolgono la pace e ti portano a quel prurito del cuore di non essere in pace, sempre ansioso”. E questo, ribadisce, “ci porta a vivere in quella tensione della vanità mondana, vivere per apparire”.

Il servizio di Dio è libero, lo serviamo come figli non come schiavi
Quanta gente, è il suo rammarico “vive soltanto per essere in vetrina, per apparire, perché dicano: ‘Ah, che buono che è …’, per la fama. Fama mondana”. E così, è il suo ammonimento, “non si può servire il Signore”. Per questo, soggiunge, “chiediamo al Signore di togliere gli ostacoli perché nella serenità, sia del corpo sia dello spirito” possiamo “dedicarci liberamente al suo servizio”:

“Il servizio di Dio è libero: noi siamo figli, non schiavi. E servire Dio in pace, con serenità, quando Lui stesso ha tolto da noi gli ostacoli che tolgono la pace e la serenità, è servirlo con libertà. E quando noi serviamo il Signore con libertà, sentiamo quella pace più profonda ancora, no?, della voce del Signore: ‘Ah, vieni, vieni, vieni, servo buono e fedele’. E tutti vogliamo servire il Signore con bontà e fedeltà, ma abbiamo bisogno della sua grazia: da soli, non possiamo. E per questo, chiedere sempre questa grazia, che sia Lui a togliere questi ostacoli, che sia Lui a darci questa serenità, questa pace del cuore per servirlo liberamente, non come schiavi: come figli”.

“La libertà nel servizio”. Francesco evidenzia così che anche quando il nostro servizio è libero, dobbiamo ripetere che “siamo servi inutili” consapevoli che da soli non possiamo fare nulla. “Soltanto – afferma – dobbiamo chiedere e fare spazio perché Lui faccia in noi e Lui ci trasformi in servi liberi, in figli, non in schiavi”. “Che il Signore – è l’invocazione del Papa – ci aiuti ad aprire il cuore e a lasciare lavorare lo Spirito Santo, perché tolga da noi questi ostacoli, soprattutto la voglia di potere che fa tanto male, e la slealtà, la doppia faccia” di “voler servire Dio e il mondo”. “E così – ha concluso – ci dia questa serenità, questa pace per poterlo servire come figlio libero che alla fine, con tanto amore, Gli dice: ‘Padre, grazie, ma Tu sai: sono un servo inutile’.

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Francesco riceve Bonino: al centro il tema dei migranti

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata questa mattina Emma Bonino. Il colloquio - informa la Sala Stampa vaticana - si è focalizzato soprattutto sui temi dei flussi migratori, dell’accoglienza ai migranti e della loro integrazione.

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Giubileo degli emarginati. Sant'Egidio: il Papa è loro amico

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I poveri saranno dal Papa per tre giorni. Il Giubileo a loro dedicato, quello delle persone socialmente escluse, li vedrà venerdì in udienza da Francesco nell’Aula Nervi; sabato vi sarà una speciale udienza giubilare in Piazza San Pietro, ma il culmine sarà domenica, con la Messa di Francesco per centinaia di poveri. Oggi ne hanno parlato in Sala Stampa vaticana Francois Le Forestier, dell’associazione francese “Fratello”, e Carlo Santoro della Comunità di Sant’Egidio. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Sono il frutto di quella "cultura dello scarto" che Papa Francesco denuncia dall’inizio del suo Pontificato. Sono i diseredati, i senza tetto, i poveri, privati di tutto, a cominciare dalla loro dignità. Francesco li accoglierà, in un Giubileo a loro dedicato che vuole essere un messaggio diretto a tutti, a chiunque guardi con ripugnanza e diffidenza persone che come colpa hanno solo quella di esseri poveri. Carlo Santoro, con la Comunità di Sant’Egidio, è al loro fianco da anni:

R. – Sono le persone che noi incontriamo qui a Roma ogni sera, da molti anni, quelli che il Papa chiama “gli scartati”. Spesso il tentativo è quello di evitare di vederli, mentre il nostro è quello di far cambiare la mentalità a questa città. Auspichiamo anche che, a partire da adesso, con quest’anno del Giubileo della Misericordia, visto che l’inverno e  il freddo si avvicinano, verranno aperti dormitori e posti di accoglienza da parte delle istituzioni e anche da parte di altri enti e associazioni.

D. – Quante saranno le persone presenti al Giubileo con Papa Francesco?

R. - Noi speriamo qualche centinaio qui a Roma, il problema è che non sempre è facile raggiungere i romani, spesso la mattina molti di loro hanno il loro lavoro: andare in giro a cercare risorse, cibo. Però devo dire che la risposta che ho visto finora è molto positiva. C’è una grande aspettativa nei confronti del Papa, sanno tutti che è un loro grande amico e che ha fatto già diverse cose per loro. Questo è proprio l’atteggiamento cui tutti noi siamo chiamati: guardare le persone negli occhi, dar loro la mano, perché spesso in noi prevale l’individualismo e anche la nostra poca voglia di vedere persone così diverse da noi. In realtà, essendo amici dei poveri si scopre quanto loro siano simili a noi e quanto ognuno di noi, potenzialmente, potrebbe diventare povero in una società così assurda in cui, se non sei più produttivo, vieni fatto fuori. Come dice il Papa, quante volte è successo che un vecchio sia morto assiderato per strada e nessuno se ne è accorto, è morto nell’anonimato, senza funerale ... Questo, in genere, non fa notizia, non fa cronaca. Effettivamente, in questo mondo che mangia un po’ l’umanità, va recuperato questo senso forte che penso possa essere salvato solo dalla Misericordia di quest’anno, che ci è stata istillata e ispirata nei confronti “degli scartati”, come direbbe il Papa. Penso sempre che il discorso dello scarto in realtà vada ancora molto, molto, compreso.

D. - Come Comunità di Sant’Egidio avete visto un cambiamento nella percezione degli altri nei confronti di queste persone, grazie anche al messaggio di Papa Francesco?

R. - Assolutamente. In questi due, tre anni in cui il Papa non ha mai perso l’occasione per parlare dei poveri, di questo amore per i poveri che salva tutti noi, credo che abbiamo visto sempre di più la nascita di gruppi spontanei, così come di singoli, che iniziano a parlare, ad aiutare, a mettersi vicino alle persone che vivono in strada. Questo è un fenomeno in crescita. Spero che continui questa onda buona che è arrivata dal Papa, questo suo amore, questo suo mettere al centro della Chiesa i poveri. Penso che l’idea del Papa sia che ognuno di noi può fare qualcosa per i poveri, anche poco. Credo che tutta la Chiesa e ciascuno di noi che ne fa parte, siamo chiamati ad aiutare ogni povero che incontriamo per la strada. Nessuno può tirarsi fuori, ognuno deve prendersi la propria responsabilità.

D. - Cosa chiederanno al Papa queste persone? Se hanno delle richieste …

R. - Il Papa ci insegna sempre che ogni essere umano non ha un problema solo materiale, spesso noi dimentichiamo che fanno parte della Chiesa e che hanno anche dei bisogni spirituali. Credo che nei confronti del Papa l’aspettativa sia di carattere spirituale. Penso che il Papa sappia toccare le corde dei poveri nel dire: “Voi siete importanti per noi Chiesa” e penso anche che noi si debba comprendere ancora molto di cosa significhi essere poveri.

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"Così vicino alla felicità": il libro che racconta le voci dal carcere

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E’ nelle librerie da questo mese, il volume “Così vicino alla felicità. Racconti del carcere”, che riunisce i venticinque racconti finalisti della VI edizione del Premio Goliarda Sapienza, insieme alle introduzioni di scrittori, artisti e giornalisti d’eccezione nel ruolo di tutor letterari. E’ l’unico concorso letterario in Europa di questo genere i cui proventi sono devoluti in progetti in favore della cultura della legalità. Il significato di queste narrazioni, presentate all’indomani del Giubileo delle carceri, nelle parole dell’autore della prefazione mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. L’intervista è di Stefano Leszczynski

R. – Significa mettersi in ascolto. Ascoltare che cosa? Ascoltare non tanto opinioni ma quegli elementi di un racconto che indica un orizzonte: l’orizzonte che è la ricerca di qualcosa per cui valga la pena lottare, cioè il senso della propria vita. La narrazione di storie diventa un lasciarsi condurre da quei segreti carsici di grazia che sono presenti nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, anche quelli che vivono l’esperienza della reclusione.

D. – Il titolo è molto significativo “Così vicino alla felicità”: come si fa a essere così vicino alla felicità per le persone che sono detenute?

R. - Quando uno è detenuto viene privato della propria libertà, però è anche vero che c’è la speranza e la speranza ci fa ad andare avanti… La felicità, a volte, è coltivare una speranza che Dio ci accolga, che una famiglia, un uomo o una donna a cui abbiamo provocato dolore ci perdonino… Felicità però è anche che ogni uomo che vive questa esperienza del carcere possa trovare un rinnovato senso alla propria esistenza.

D. – Il Papa ha parlato della possibilità di un gesto di clemenza. Questo cosa ci deve ispirare?

R. – Credo che questo innanzitutto, laddove è possibile, diventi un atto concreto frutto dell’Anno della Misericordia. Credo che sia il momento in cui riflettere tutti e poter aggregare le forze per un miglioramento delle condizioni di vita all’interno di questo mondo perché non solo venga rispettata la dignità umana dei detenuti ma perché si possa immaginare che la giustizia non sia semplicemente una punizione ma sia, invece, piuttosto, un cammino che reintegri nella società e quindi un cammino che puntelli passo dopo passo una dignità che si fa carica di rinnovata speranza.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Servi liberi: messa a Santa Marta.

La visita ufficiale del segretario per i Rapporti con gli Stati nella Repubblica di Cipro.

Lucetta Scaraffia a colloquio conn il biblista presbiteriano argentino Marcelo Figueroa.

Victor Manuel Fernandez su Dio tra Borges e Neruda nell'opera dei due agnostici.

Il Sud è un bene calpestato: Carlo Triarico sulle possibili vie di un'agricoltura sostenibile.

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Oggi in Primo Piano



Clinton-Trump: americani al voto per eleggere il nuovo presidente

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Negli Stati Uniti, gli elettori scelgono oggi il nuovo presidente. Dopo una rovente campagna elettorale, la candidata democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump si trovano ad affrontare il voto degli americani. Incerto l’esito della consultazione, ma gli ultimi sondaggi danno in vantaggio l'ex segretario di Stato. Gli americani sono chiamati a rinnovare il Congresso e ad esprimersi su alcuni referendum su temi diversi. Il servizio dagli Stati Uniti di Elena Molinari

Hillary Clinton per il suo ultimo comizio si fa affiancare dal presidente Obama e da sua moglie. Donald Trump lancia da solo il suo  appello finale agli elettori, promettendo un futuro migliore lontano da, ha detto, “politici falliti”. I due candidati alla Casa Bianca, ieri, hanno attraversato gli Stati Uniti fino a notte fonda, pochissime ore prima dell’apertura delle urne. Entrambi hanno toccato gli stati decisivi per la vittoria, dalla Pennsylvania alla Florida al New Hampshire. E tutti e due hanno definito storica la scelta che finalmente gli americani si apprestano a fare, dopo 18 mesi di campagna che gli elettori hanno definito disgustosa. Clinton si presenta alla prova dei seggi sollevata dalla fine dell’indagine dell’Fbi nei suoi confronti e da sondaggi che la vedono in testa dai tre ai sei punti percentuali. Trump vi arriva con l’appoggio dei bianchi e la speranza di strappare ai democratici ampie fette del voto operaio. Ora sono al lavoro i volontari di entrambi gli schieramenti per portare quanti piu’ simpatizzanti possibile ai seggi. E domattina presto, ora italiana, si conoscera’ il nome del nuovo presidente americano.

Sul clima che si vive in questa giornata elettorale, Fabio Colagrande ha intervistato l’americanista, John Harper, docente della John Hopkins University di Bologna: 

R. – Io personalmente non ricordo una campagna così avvelenata, con tante accuse personali, colpi bassi e colpi di scena come li abbiamo visti in questa campagna elettorale che, peraltro, anche se dovesse vincere la Clinton, che sembra il risultato più probabile non promette niente di positivo per il futuro, perché questo clima avvelenato, purtroppo, a mio avviso è destinato a durare almeno per un po’.

D. – Questa è la preoccupazione di molti, che dopo l’8 novembre, a prescindere da chi sarà il candidato premiato, il Paese resti in qualche modo spaccato, con gravi conseguenze politiche e anche economiche. Anche lei condivide questo timore?

R. – Io lo condivido innanzitutto perché il campo di Trump, se dovesse perdere, sarà solo l’inizio dei problemi per Hillary Clinton: non intendono affatto smettere di contrastarla, ci saranno tentativi portati avanti dalla destra repubblicana, dal campo Trump, anche per invocare un impeachment sulla base degli scandali che hanno coinvolto la Clinton e che riguardano la Fondazione Clinton, innanzitutto, e poi il famoso problema delle e-mail. Quindi, il clima continuerà ad essere abbastanza avvelenato.

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Mosul. Focsiv nei campi sfollati di Erbil: un servizio per l'umanità

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Sono stati liberati dalle forze governative a sud di Mosul, in Iraq, circa mille uomini tenuti dai miliziani del sedicente Stato islamico in una sorta di prigione sotterranea. Il ritrovamento è avvenuto mentre i soldati di Baghdad esaminavano il terreno alla ricerca di mine lasciate dai gruppi jihadisti, per rallentare l’avanzata lealista verso Mosul. Mentre in Siria gli aerei della coalizione internazionale a guida Usa hanno compiuto raid su postazioni dell'Is a Raqqa, a sostegno dell'offensiva lanciata dalle forze curde che ha portato nelle ultime ore al controllo di due villaggi a nord della città, rimane critica la situazione umanitaria. In particolare per la popolazione irachena sfollata da Mosul, accanto alla quale da due anni lavora la Focsiv, la 'Federazione degli organismi cristiani Servizio internazionale volontario', impegnata nei Campi di Erbil, nel villaggio di Dibaga ed a Kirkuk, nell’ambito della campagna “Humanity. Esseri umani con gli esseri umani”. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente ad Erbil Jabbar Mustafa Fatah, coordinatore Focsiv-Kurdistan: 

R. – La situazione nella città di Erbil è abbastanza tranquilla visto che, prima dell’avvio dell’offensiva dei peshmerga e dell’esercito iracheno, avevano già predisposto una decina di Campi fuori dalla città di Mosul: attualmente questi Campi ricevono gli sfollati che arrivano a migliaia quasi tutti i giorni da Mosul. Quando i quartieri della città vengono conquistati sia dai peshmerga sia dall’esercito iracheno, queste persone vengono trasferite - anche con mezzi di trasporto dei peshmerga o delle forze di Baghdad - in questi Campi, che distano una trentina di km da Mosul.

D. - Cosa raccontano queste persone?

R. - Tutti raccontano di una liberazione dall’Is. Vivevano sotto l’incubo di questo gruppo terroristico che ad esempio non permetteva alle donne nemmeno di uscire da casa. Le persone vivevano in una situazione disastrosa su tutti i piani, umanitario, sanitario, socio-culturale…

D. - Le ultime testimonianze riferiscono addirittura di una fossa comune con cento cadaveri decapitati, ritrovata a sud di Mosul. Perché tanta atrocità?

R. - Perché questa era la strategia dell’Is per avere il controllo sul territorio: tutti dovevano convertirsi alla loro ideologia e chi non lo faceva veniva letteralmente eliminato, senza nessuna pietà.

D. - Voi avete raccolto la testimonianza di due anziane a Qaraqosh al riguardo…

R. - Sì, sono entrambe donne cristiane, rimaste lì per alcuni mesi. Poi, per caso, sono state scoperte dagli uomini dell’Is e sono state minacciate: o si convertivano all’islam o sarebbero state eliminate. Una di queste donne è non vedente, sorda e muta, non può fare niente; l’altra sta un po’ meglio dal punto di vista della salute. Ma, sotto la minaccia, hanno detto: “Sì, va bene accettiamo”. Così ogni tanto veniva dato loro da mangiare e un po’ d’acqua: hanno vissuto tutto il tempo sotto questa minaccia. Sono state poi rintracciate dalle forze di Baghdad circa una settimana dopo la liberazione di Qaraqosh.

D. - Quindi erano state costrette a convertirsi?

R. – Sì, costrette a convertirsi. Però quando sono state liberate la prima cosa che hanno fatto è stata entrare in chiesa per pregare!

D. – Mustafa, ci ha parlato dei Campi di accoglienza. Focsiv da due anni è al fianco degli sfollati nei Campi di Erbil, ma non solo. Come lavorate con loro?

R. - Sosteniamo i bambini attraverso la creazione di scuole, di attività sportive e di intrattenimento. A coloro che vivono nei Campi forniamo il cibo. Infatti la settimana scorsa abbiamo distribuito mille pacchi di generi alimentari a mille famiglie in un Campo vicino ad Erbil, che si chiama Dibaga. Attualmente stiamo preparando duemila pacchi per duemila famiglie che stanno arrivando in questi Campi. Poi cerchiamo di offrire pannolini, medicinali: tutto quello che è a nostra disposizione sarà destinato a loro.

D. - Tutto il lavoro, in base alla vostra campagna “Humanity. Essere umani con gli esseri umani”, è rivolto ai più vulnerabili. Chi sono?

R. - Tutti sono coinvolti, tutti sono colpiti da questa situazione, dal bambino neonato all’anziano di 80, 90 anni. Quindi noi cerchiamo di sostenere i più deboli.

D. - Lei è musulmano e lavora con tutti, senza distinzione. Qual è la sua esperienza?

R. - Sono curdo iracheno, vivo anche in Italia, la mia famiglia è in Italia, ho la doppia cittadinanza. Per me basta essere al servizio di un essere umano, senza distinguere il colore della pelle, la lingua, la religione. Basta esser “al servizio”. Per questo motivo ho dedicato quasi tutto il mio tempo agli sfollati cristiani. Sono architetto, ho partecipato con le mie mani a costruire due chiese nel Campo di “Ashti 1” e “Ashti 2” e un Centro religioso anche per gli yazidi in un Campo yazida. Quello che faccio lo faccio per l’umanità.

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A Marrakech la sfida per salvare il pianeta dai gas serra

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Le temperature record raggiunte nel 2015 diventeranno la norma prima del 2030, a meno di ridurre sostanzialmente le emissioni di gas serra. Lo indica un nuovo studio dell'Australian National University pubblicato in concomitanza della 22.ma Conferenza Onu sul cambiamento climatico in corso a Marrakech. In Marocco fino al 18 novembre, rappresentanti di nazioni, operatori del settore e Ong, discuteranno l'attuazione dell'accordo sul clima raggiunto lo scorso anno a Parigi ed entrato in vigore venerdì scorso. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Vincenzo Buonomo, Capo Ufficio della Rappresentanza della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali Governative: 

R. – Stando ai dati che l’anno scorso, durante la Conferenza di Parigi, sono emersi credo che siamo nella media che era già stata individuata, cioè di non dover superare il limite di un grado e mezzo rispetto ai livelli precedenti all’industrializzazione, perché bisogna stare ben al di sotto dei due gradi. Ora, la prospettiva per il 2030 credo che crei un’ulteriore soglia di attenzione: non direi proprio di allarme, ma di attenzione sì. Perché se a Parigi non c’è stato un risultato, questo significa aver eliminato qualunque possibilità di ricorrere ancora al carbone e quindi alla produzione di CO2 che è il principale inquinante, il principale protagonista dell’innalzamento delle temperature.

D. – In Marocco, a Marrakech, fino al 18 novembre di fatto ci si incontra per attuare gli accordi di Parigi, entrati in vigore peraltro venerdì scorso. Qual è lo scenario?

R. – L’impegno di Parigi, al di là degli aspetti più direttamente legati alle questioni delle temperature, è anche legato al finanziamento, soprattutto per aiutare i Paesi in via di sviluppo, che ricorrono ancora massicciamente all’uso del carbone per produrre energia, a ridurre questo tipo di riferimento. Per questo, già dal 2020, anno in cui l’accordo sarà effettivamente implementato, è necessario un finanziamento di circa 100 miliardi di dollari l’anno, una cifra che certamente si può raggiungere, però bisogna un attimo capire in che modo e quali sono le disponibilità dei singoli Stati.

D. – Questo diventerà realtà?

R. – Io spero di sì! Però, tengo presente anche il dato che l’aiuto pubblico allo sviluppo complessivamente, nel 2015, è stato di 131 miliardi di dollari, quindi a quelli poi bisognerebbe aggiungerne altri 100, per esempio, per poter finanziare la de-carbonizzazione. Allora, questo credo che sia un impegno che gli Stati devono necessariamente affermare adesso, non tralasciarlo e magari aspettare il 2020.

D. – L’accordo è entrato in vigore venerdì scorso, ma adesso sono due i punti che vanno resi operativi …

R. – C’è il problema di fare i piani nazionali, che dovrebbero dare implementazione all’accordo; piani nazionali che significa che ogni Paese, sulla base delle proprie esigenze, della sua politica energetica e della sua politica economica, dovrebbe cercare di dare esecuzione all’accordo. Questo è il primo punto. E chiaramente qui avremo delle realtà differenziate. Poi c’è l’attenzione che bisogna dare alla pressione della realtà climatica su settori come l’agricoltura, quindi in riferimento ai problemi dell’alimentazione e della fame; settori come l’ambiente in generale e quindi il problema della conservazione delle diversità biologiche e il problema della sicurezza biologica che si sta ponendo. Io credo che a Marrakech non potranno più esserci disattenzioni rispetto ai grandi problemi che ci sono in questo momento. La questione climatica non è un paradigma: la questione climatica è la realtà quotidiana in cui vivono almeno i due terzi della popolazione mondiale.

D. – Nuovo è sicuramente l’impegno. C’è il rischio, però, che alla fine non si arrivi a un risultato concreto?

R. – Domenica scorsa, il Papa all’Angelus ha fatto riferimento alle coscienze come unica strada per poter percorrere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Non possiamo dire che la Conferenza appena aperta non avrà risultati positivi, ma certamente tutto dipenderà dal livello di coscienza, che i singoli Paesi partecipanti alla Conferenza dimostreranno. E a questa coscienza io credo che concorra in modo diretto l’apporto che ognuno di noi può dare, singolarmente, come forme di associazione e – come si dice – come opinione pubblica organizzata.

D. – Professore, a rischio – in sostanza – c’è il futuro dell’umanità …

R. – A rischio c’è il futuro dell’umanità, c’è il futuro del pianeta: non dimentichiamo che noi abbiamo questa grande responsabilità collettiva nei confronti del pianeta e del Creato. Non è semplicemente una responsabilità individuale, ma collettiva. Quindi significa tutte le situazioni in cui ci troviamo quotidianamente a operare.

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Terremoto. Mons. Boccardo: gruppi di volontari nelle tendopoli

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“Rimettere a posto la Basilica di San Benedetto a Norcia non è solo un modo per ricostruire una Chiesa ma è un modo per ricostruire l'Europa". Così oggi il premier italiano Matteo Renzi. Sul terreno, intanto, continuano le scosse, una trentina nella notte. Alta anche la preoccupazione per gli allevamenti e l’agricoltura. Per fare il punto su quanto sta vivendo in particolare nella zona umbra, Debora Donnini ha intervistato mons. Renato Boccardo, vescovo di Spoleto-Norcia: 

R. – La situazione è quella di sempre: gente che ancora dorme in macchina, che dorme nelle tensostrutture della Protezione Civile e un grande senso di fatica fisica e psicologica, perché ormai questa gente vive da oltre due mesi in una situazione di precarietà continua. Nella notte passata sono state oltre 30 le scosse di terremoto: leggere, non particolarmente intense, però naturalmente percepibili…

D. – Ad Amatrice ci sono stati problemi con le scuole. Lì come è la situazione?

R. – Attualmente le scuole sono chiuse, perché gli edifici scolastici risultano particolarmente lesionati. I sindaci delle zone colpite si stanno impegnando, anche chiedendo alla diocesi la disponibilità di alcuni luoghi, per poter riaprire quanto prima almeno le scuole dell’infanzia, la scuola elementare, la scuola media, in modo tale che anche attraverso la ripresa delle scuole la vita possa ritrovare una qualche parvenza di normalità.

D. – I giovani di Confindustria di Ascoli hanno lanciato un’iniziativa per permettere di acquistare online pacchi dono con i prodotti tipici. Si stanno organizzando anche lì le industrie per poter sviluppare questo tipo di progetti?

R. – Qualcosa di simile è stato fatto per la zona di Norcia e di Cascia. Qui i diversi titolari delle piccole aziende – si tratta di piccole aziende perché non ci sono aziende grandi – si sono coordinati e c’è una lista di negozi e di piccole aziende che online vendono i loro prodotti che rischierebbero altrimenti di deteriorarsi. Una delle grandi difficoltà di questo momento è proprio quella di rimettere in movimento l’economia.

D. – Oggi l’incontro con le Caritas. Qual è l’impegno della Chiesa in questo momento nella zona colpita, specialmente nella sua diocesi?

R. – Stiamo vivendo proprio in questo momento l’incontro con i responsabili delle Caritas di alcune Regioni di Italia che si sono dette disponibili ed interessate ad una collaborazione concreta: parlo della Caritas del Triveneto, della Caritas della Sardegna e della Caritas della Campania. Insieme con le Caritas diocesane dell’Umbria, stiamo facendo questa riunione  - è presente anche il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu – per vedere proprio come concretamente dare risposte alle attese di questa gente, permettendo loro anzitutto di avere dei luoghi di incontro, quelli che si chiamano abitualmente i Centri di comunità, delle strutture in cui la gente possa stare insieme e ritessere un po’ un tessuto sociale, che adesso è evidentemente gravemente ferito. C’è il sostegno agli agricoltori e agli allevatori che hanno perso il loro sostentamento quotidiano, la vita di ogni giorno. In parallelo c’è, poi, il sostegno che chiamerei “di compagnia”, cioè delle persone che spendano il loro tempo per stare insieme con gli sfollati. Noi, come diocesi, abbiamo organizzato dei gruppi di sacerdoti ed alcuni volontari laici che a turno passeranno qualche giorno nelle tendopoli - e nei container e nelle casette quando ci saranno - proprio per condividere la vita quotidiana della gente e mantenere viva la speranza.

D. – Quando dovrebbero arrivare i container e le casette di legno nella zona colpita dell’Umbria?

R. – Le notizie che noi abbiamo ci dicono che nel giro di un mese dovrebbero arrivare i container e nel giro di qualche mese – immagino in primavera – le casette di legno.

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Card. Filoni: chiesa in Zambia dal forte spirito missionario

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Conclusa la sua visita pastorale in Malawi, il card. Fernando Filoni è arrivato in Zambia nel primo pomeriggio di ieri ed ha subito incontrato la Conferenza episcopale, a Lusaka, portando - riferisce l'agenzia Fides - il saluto e la benedizione di Papa Francesco, ed esprimendo il ringraziamento, come Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’impegno e la dedizione dei vescovi all’evangelizzazione.

Ricordato il lavoro pastorale dei primi missionari
“Che gioia essere qui con voi – ha detto il cardinale - durante la celebrazione del vostro Giubileo per i 125 anni del cattolicesimo in Zambia, inaugurato lo scorso agosto! Cari fratelli, voi seguite le orme dei grandi missionari che così coraggiosamente e disinteressatamente hanno lavorato per portare la Buona Novella a questa terra benedetta”. Quindi ha citato l’impegno infaticabile di padre Van Oosten e dei suoi confratelli, che nonostante la malaria e le misere condizioni di vita, fondarono la prima missione, e il primo vescovo consacrato in Zambia, mons. Joseph Dupont. Dopo di loro tanti uomini e donne hanno proseguito l’opera di evangelizzazione fino ad oggi. “Ognuno di voi, cari fratelli, deve continuare ad assumere la responsabilità personale di evangelizzare” ha esortato il cardinale, dicendosi felice di apprendere che “la Chiesa qui in Zambia è ancora caratterizzata da un forte spirito missionario”.

Sostenere “il santuario della vita” che è la famiglia
Nel suo discorso il Prefetto del dicastero missionario ha evidenziato l’importanza dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco, ha richiamato quanto il Papa disse ai vescovi dello Zambia nella loro visita ad limina del 2014 ed ha ribadito l’attualità del Decreto conciliare Ad Gentes. Dopo aver sottolineato il comune dovere di ogni battezzato di essere testimone di Cristo, e quello particolare del vescovo, di essere l’animatore e il coordinatore dell’attività missionaria nella sua diocesi, suscitando l’impegno di tutti i battezzati, il cardinale ha rilevato che “la strada dell’evangelizzazione non è facile”. “Come in altre parti del mondo – ha proseguito - , anche qui vi trovate di fronte a particolari sfide che riguardano le minacce contro la vita della famiglia e i valori del Vangelo connessi”. Ha quindi esortato i vescovi a continuare a sostenere “il santuario della vita” che è la famiglia, con pazienza e fermezza, inoltre “la pazienza missionaria contribuirà anche a promuovere una cultura di dialogo, di cui Papa Francesco parla spesso, tanto necessaria a livello sociale e politico qui in Zambia”.

Promozione della pastorale vocazionale e dell'uso di radio e Tv
Il card. Filoni ha quindi incoraggiato i vescovi su alcuni aspetti particolari. In primo luogo si è congratulato per l’uso della radio per diffondere il Vangelo e per le recenti iniziative riguardanti anche la televisione. Quindi ha raccomandato la promozione delle vocazioni sacerdotali accompagnata da un serio discernimento e da una adeguata formazione nei seminari, grazie alla guida di sacerdoti che abbiano profonde doti umane, spirituali e pastorali. “In questa luce, mi congratulo per gli sforzi già compiuti, con l'aiuto della Pontificia Opera di San Pietro, per formare adeguatamente i vostri sacerdoti per questo importante lavoro” ha rilevato.

Importanza di mantenere la comunione fraterna
Il porporato ha poi messo in guardia i vescovi dello Zambia sulle “tentazioni di sfiducia e scetticismo causate dalle differenze culturali”, evidenziando l’importanza di cercare e mantenere la comunione fraterna, importante per l'unità del popolo di Dio e della società in generale. Infine ha raccomandato di essere vicini amorevolmente a tutti quelli che il Signore ha loro affidato, in particolare ai sacerdoti, di promuovere la vita religiosa e di essere disponibili per i laici, “che sono parte integrante del lavoro di evangelizzazione in Zambia”. (S.L.) 

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Missionaria comboniana: uscire da ipocrisia per aiutare migranti

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E’ approdata oggi al porto di Palermo la nave Dattilo della Marina Militare con a bordo oltre mille migranti subsahariani. Sull’unità anche 10 corpi senza vita recuperati nel Canale di Sicilia. Ieri sera, centoventidue migranti, tra cui 27 donne e 41 bambini, sono sbarcati nel porto di Roccella Jonica, in Calabria. I profughi hanno dichiarato di essere di nazionalità siriana, irachena, somala e ucraina. Dopo l’accordo tra Unione Europea e Turchia, sta dunque aumentando l’immigrazione verso le coste italiane. L’accoglienza resta una delle principali questioni sul tappeto. Clarissa Guerrieri ne ha parlato con suor Mabel Mariotti, missionaria comboniana impegnata in Germania contro la tratta: 

R. – Noi siamo in Germania, quindi noi abbiamo il secondo flusso di arrivi. Le condizioni disastrose sono create anche dalle nostre leggi, purtroppo, perché più le leggi diventano restrittive più difficile è per gli immigrati riuscire a trovare un modo per avvalersi dei loro diritti.

D. – Quali possono essere le conseguenze di questa inadeguatezza nel gestire l’immigrazione?

R. – Una volontà di fondo nel guardare il problema da un punto di vista più ampio: la volontà di vedere anche le corresponsabilità e quindi gestire il problema da risolvere velocemente.

D. – Quali funzioni svolge il Centro di accoglienza che lei si occupa di gestire?

R. – Io lavoro per questa organizzazione chiamata “Solwodi”, che è un acronimo per “Solidarity with Women in Distress”, fondata in Kenya molti anni fa da una suora missionaria d’Africa e adesso in tutta la Germania, in Austria, in Romania e forse tra poco anche in Ungheria. Noi ci occupiamo del recupero delle vittime e facciamo un lavoro di sensibilizzazione e di lobby anche a livello politico, per cercare di cambiare le leggi, per influenzare la politica e l’opinione pubblica. E poi anche un lavoro di prevenzione. Lavoro direttamente nel Centro di Berlino, soprattutto con le vittime del Paesi africani.

D. – Cosa si dovrebbe migliorare nei progetti di accoglienza?

R. – I progetti di accoglienza ci sono; il problema è l’identificazione delle vittime. Le vittime non vengono identificate perché le leggi non ci permettono di farlo. Quindi, secondo la legge sei vittima solo se denunci, se parli con la polizia, se segui tutto un tipo di procedura che chiaramente le vittime non seguono per tante ragioni – tra cui le più importanti riguardano le rappresaglie nei riguardi della famiglia, eccetera – e quindi, alla fine, le vittime non hanno diritto all’aiuto e al sostegno. Quindi, noi lo facciamo lo stesso, lavorando giorno e notte, avvalendoci di quei pochi finanziamenti che abbiamo: questo è l’ostacolo più grande.

D. - Secondo lei, il problema principale è rappresentato dalle leggi?

R. – Certamente! Le leggi definiscono il concetto di vittima. Tra l’altro, non abbiamo neanche un concetto unificato in Europa, quindi peggio ancora …

D. – Come è possibile aiutare questi profughi?

R. – Innanzitutto, il problema è estremamente complesso e dobbiamo veramente avere una volontà politica a tutti gli effetti di guardarlo da diverse prospettive. Le cause: la povertà, la causa primaria. La domanda, che per me è centrale: la legge del mercato della domanda e dell’offerta. L’offerta sale perché sale la domanda. In Germania abbiamo una legge che regolamenta la prostituzione, quindi ci sono 3.500 bordelli riconosciuti in tutta la Germania; soltanto a Berlino ce ne sono 600/800. Abbiamo un flusso di donne immigrate che arriva da tutte le parti e vengono trafficate in questo campo: perché? Perché c’è una domanda altissima.

D. – Quale il suo appello?

R. – Siamo tutti nella stessa barca e questa barca l’abbiamo generata tutti insieme. Vogliamo finalmente guardarci in faccia, come fratelli e sorelle, come ci dice anche il Papa? Ma anche come fratelli e sorelle che fanno parte della stessa storia: questo è il mio appello. E soprattutto di regolamentare certe leggi: questo è il mio appello. Quindi, prima usciamo dall’ipocrisia e poi cominceremo a guardare insieme la realtà.

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Assemblea vescovi argentini su povertà, narcotraffico e riconciliazione

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“In apertura della 112.ma Assemblea plenaria dobbiamo ringraziare Dio per quest'anno che stiamo portando a termine. Abbiamo assistito a una serie di eventi che fanno la storia della Chiesa in Argentina e hanno arricchito la vita delle nostre comunità. L'Anno Santo della Misericordia con il suo messaggio di conversione e di santità, la celebrazione a Tucuman del bicentenario del nostro Paese insieme all'XI Congresso Eucaristico Nazionale, una vera festa della fede eucaristica e della comunione ecclesiale. Abbiamo assistito infine alla beatificazione di Mamma Antula e alla canonizzazione del nostro Cura Brochero, già nominato Patrono del clero argentino. Quanti momenti forti e proficui abbiamo vissuto!". Con queste parole mons. José María Arancedo, arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz e presidente della Conferenza episcopale argentina (Cea), ha iniziato l'omelia di apertura dell’Assemblea dell’episcopato.

La cura per i più bisognosi e la piaga del traffico di droga
Dopo una riflessione sulla figura di Maria come maestra nell'atteggiamento di vigilanza dinanzi ai bisogni dei figli - riferisce l'agenzia Fides - mons. Arancedo ha detto: "La sua vicinanza e la sua sensibilità è anche una scuola che ci insegna a riconoscere le necessità materiali e spirituali dei nostri fratelli, specialmente i più bisognosi. Conosciamo la realtà della povertà e le difficoltà in cui molti dei nostri fratelli vivono. Sappiamo che la situazione sociale rimane difficile, soprattutto per la piaga del traffico di droga con le sue conseguenze di distruzione e morte. Questo debito sociale richiede delle azioni che rispondano alle esigenze di base, come la creazione di posti di lavoro dignitosi, che insieme all'istruzione e alla formazione, promuovano ed incoraggino dei progetti di vita, soprattutto nei giovani".

La povertà è anche una questione morale e culturale
Prima di concludere, il presidente della Cea ha detto: "Per realizzare una società più giusta ed inclusiva, è richiesto, insieme alla presenza attiva dello Stato, l'impegno di una leadership in grado di lasciare una cultura individualistica chiusa nel proprio interesse, per aprirsi alle esigenze della solidarietà e del bene comune. La povertà non è solo una questione economica, è anche una questione morale e culturale".

La riconciliazione: una priorità per l'Argentina
​L'Assemblea dei vescovi è iniziata ieri e per quasi una settimana dovrà trattare diversi temi della vita sociale nazionale e della pastorale. Secondo il comunicato inviato a Fides, i temi principali sono le diverse situazioni di povertà, il narcotraffico e la riconciliazione, una priorità nel Paese, oltre alla situazione delle carceri. (C.E.)

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Regno Unito. Card. Nichols: perdono per adozioni forzate dal '45 al '76

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Il card. Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles (Cbcew),  ha chiesto perdono a tutti gli inglesi per il dolore causato a centinaia di migliaia di ragazze-madri costrette ad abbandonare i propri bambini attraverso la pratica dell’adozione forzata, usata frequentemente nel periodo tra il 1945 e il 1976.

La Chiesa cattolica comprende e riconosce le sofferenze causate
Nel corso della registrazione di un documentario dal titolo “Lo scandalo delle adozioni in Gran Bretagna”, che dovrebbe andare in onda domani sull’emittente britannica ITV, il card. Nichols – riporta l’agenzia Sir - ha dichiarato che la “Chiesa cattolica comprende e riconosce le sofferenze causate. Le pratiche di tutte le agenzie di adozione - ha aggiunto - riflettevano i valori sociali di quel tempo e, a volte, mancavano perfino di compassione e sensibilità. Pertanto, ci scusiamo per il dolore e per il danno provocato da alcune agenzie legate a istituti religiosi”.

Chiesto l’avvio di un’inchiesta
Nel corso della registrazione del documentario, l’avvocato Carolyn Gallwey, che ha chiesto al Ministro dell’Interno Ambra Rudd l’apertura di un’inchiesta,  ha  spiegato che le donne venivano convinte a non raccontare a nessuno quanto era loro successo. Ma adesso — ha proseguito Gallwey — queste madri hanno il diritto di scoprire cosa è avvenuto in quegli anni”.

Casi analoghi in Irlanda
​Tra il 1945 e il 1976, anno in cui il Parlamento di Londra modificò la legge in materia , nel Regno Unito si sono registrate circa mezzo milione di adozioni che hanno riguardato bambini nati da giovani madri prese in carico da alcune organizzazioni religiose legate alla Chiesa cattolica e alla Comunione anglicana. Una pratica diffusa nello stesso periodo anche in Irlanda, dove nel 2014 è stata aperta un’inchiesta su alcune Case di accoglienza che ospitavano appunto ragazze-madri,  dopo la scoperta di una “fossa comune” a Tuam, nella contea irlandese di Galway, con i corpi di 796 bambini. (L.Z.)

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 313

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