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Sommario del 14/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai calciatori della Germania: campioni sul campo, ma anche nella vita

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I campioni dello sport siano anche di esempio nella vita per i giovani: così Papa Francesco che ha incontrato stamane nella Sala Clementina in Vaticano la squadra nazionale di calcio della Germania, che domani affronterà in amichevole l’Italia nello Stadio Meazza di Milano. Il servizio di Sergio Centofanti

Campioni del mondo sul campo ma campioni anche nella vita: il Papa argentino si congratula con i calciatori tedeschi perché le loro vittorie “sono vittorie di squadra”, tanto da meritarsi l’appellativo di “Mannschaft”, ovvero “La squadra” per eccellenza:

“In effetti, lo sport agonistico richiede non soltanto tanta disciplina e sacrificio personale, ma anche rispetto per il prossimo e spirito di squadra”.

E’ una caratteristica – osserva il Papa – che porta i calciatori tedeschi a impegnarsi anche per “importanti obiettivi sociali”, riconoscendo la loro responsabilità “al di là del campo di calcio, soprattutto verso i giovani” che spesso prendono come modello i campioni dello sport. In questo senso, Francesco ha espresso la propria gratitudine alla squadra per il sostegno dato ai “Cantori della stella”, i bambini dell’Infanzia missionaria tedesca che durante il tempo natalizio girano per le case con i loro canti, raccogliendo offerte per i coetanei dei Paesi più poveri:

“Tale iniziativa mostra come sia possibile superare insieme le barriere che sembrano invalicabili e penalizzano le persone bisognose ed emarginate. Anche in questo modo voi contribuite alla costruzione di una società più giusta e solidale”.

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Bangui: chiusa Porta Santa, ma spirito Giubileo continua a soffiare

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Si sono chiuse ieri, in tutte le diocesi del mondo, le Porte Sante del Giubileo della Misericordia. Domenica prossima, nella Solennità di Cristo Re, Papa Francesco con una solenne celebrazione in San Pietro chiuderà l’Anno Santo che, fatto inedito nella storia della Chiesa, non era iniziato a Roma ma a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Proprio nella cattedrale di Bangui, si è svolta ieri la chiusura della Porta Santa aperta da Francesco il 29 novembre scorso. Ascoltiamo la testimonianza del parroco della Cattedrale, don Mathieu Bondobo, raggiunto telefonicamente in Centrafrica da Alessandro Gisotti

R. – Un’emozione unica. Abbiamo accolto il Santo Padre il 29 novembre scorso durante la sua visita in Centrafrica e con l’apertura della prima Porta Santa, un evento grande, un evento spirituale unico per quanto riguarda la storia della Chiesa. Ieri con la celebrazione della chiusura dell’Anno Santo abbiamo vissuto nuovamente anche l’emozione dell’accoglienza del Santo Padre. Tutte le parrocchie della capitale e tutte quelle dell’arcidiocesi di Bangui e tante persone di buona volontà hanno preso parte a questa celebrazione. Abbiamo invitato anche i nostri fratelli musulmani e i nostri fratelli protestanti. Il Santo Padre venendo a Bangui ci ha indicato la via della misericordia per la pace in questa terra che da molti anni sta soffrendo. Quindi, ieri è stata una giornata di ringraziamento perché questa terra, questo Paese, ha vissuto anche delle cose belle durante questo Anno Santo e quindi la benedizione del Signore è scesa su ciascuno di noi e abbiamo accolto questa chiusura come una missione.

D. - Come durante l’apertura della Porta Santa, erano presenti, assieme all’arcivescovo di Bangui, l’imam e il pastore protestante locale. Questo segno tangibile di dialogo interreligioso per la pace quanto ha toccato il cuore del popolo centrafricano?

R. – Tutti i leader religiosi, l’imam, il pastore e la chiesa di Bangui fin dall’inizio si sono messi insieme per dare questa testimonianza, questo segno visibile che non c’è guerra di religione: il problema è altrove! Quindi questo dialogo interreligioso e questo lavoro di ecumenismo sono molto importanti per il Centrafrica.

D. - Aprendo la Porta Santa a Bangui Francesco ha detto che la città – Bangui – era la "capitale spirituale" del mondo. Quali frutti avete raccolto nella fede del vostro popolo in questo anno giubilare iniziato proprio a Bangui?

R. - Diciamo che questa è una delle frasi del Santo Padre che la gente in Centrafrica ripete. Questa parola del Santo Padre è forte per noi. È Pietro che parla. Sappiamo che chi incontra Pietro, incontra Gesù. Quindi è una parola da prendere sul serio. Dopo questo, è anche una bella sfida per noi del Centrafrica: cosa abbiamo fatto per meritare questo? Niente. Non abbiamo fatto niente. Non abbiamo meritato niente agli occhi di Dio, però il Signore ha posato il suo sguardo misericordioso su di noi e noi lo abbiamo accolto. E questo nella capitale spirituale del mondo dice di più: dice che ogni africano, ogni abitante di Bangui, deve cercare, nel suo modo di fare e di agire, di vivere questa capitale spirituale del mondo. Questo significa che Dio è lì, Dio è presente e con Lui possiamo fare cose grandi, perché è il suo Spirito che ci spinge a fare cose grandi. Quindi Bangui, che è divenuta "capitale spirituale del mondo", è stata accolta da noi e la stiamo vivendo per la gioia di Dio.

D. - Come sappiamo purtroppo c’è anche chi non vuole la pace in Centrafrica. Pensa che l’onda del Giubileo sarà più forte anche con questo segno di dialogo tra esponenti di diversi religioni?

R. - L’onda del Giubileo avrà – a mio parere – un impatto, qualcosa di molto positivo per questo Paese. Tra poco ci sarà un incontro a Bruxelles, dove si discuterà molto della pace in Centrafrica. Tutto questo lo abbiamo offerto al Signore. Tutto il popolo del Centrafrica prega sempre per la pace. Credo che - come dicono le Sacre Scritture: “un povero grida e il Signore lo ascolta” - stiamo vivendo, stiamo pregando perché il Signore possa ascoltare la nostra preghiera, che possa esaudire questo grido che viene dal profondo del cuore del popolo del Centrafrica. Questa onda del Giubileo sono sicuro che darà i suoi frutti perché Dio è la pace definitiva. Quindi stiamo chiedendo a Dio di agire, di fare qualcosa nel nostro Paese, il Centrafrica. Lo stiamo pregando, ma lo stiamo anche cercando, perché chi prega e non fa niente per la pace, forse non è cristiano. Ognuno sta cercando la strada della pace e con questa grazia giubilare credo che questo sia possibile.

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Papa presiede riunione capi dicastero della Curia

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Alle ore 9.30 di questa mattina, nella Sala Bologna del Palazzo Apostolico, Papa Francesco ha presieduto una riunione dei Capi Dicastero della Curia Romana. E’ quanto rende noto la Sala Stampa della Santa Sede.

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Nasce ‘l’isola ecologica’ in Vaticano

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Da oggi, lunedì 14 novembre 2016, è operativa e funzionante la nuova area ecologica ubicata all’interno dello Stato della Città del Vaticano, presso la Torre San Giovanni. Anche lo Stato della Città del Vaticano, seppur di limitata estensione territoriale,  produce infatti i suoi rifiuti e già da alcuni anni si sta promuovendo la raccolta differenziata nei vari uffici e presso le abitazioni dei residenti.

Il competente reparto della Nettezza Urbana, da circa due anni, ha distribuito alle varie  utenze i cosiddetti “kit” per la raccolta differenziata che consistono in contenitori di vari colori per distinguere i diversi tipi di rifiuti ed i sacchetti per la raccolta.  I cassonetti, dislocati su tutto il territorio dello Stato,  sono stati conseguentemente  implementati e suddivisi secondo le varie classi di rifiuto.

Su disposizione dei  superiori, dopo aver individuato un’area idonea, la Direzione dei  Servizi Tecnici ha effettuato i necessari interventi per adattarla alle esigenze richieste  per le isole ecologiche, ovvero le zone di raccolta dei rifiuti, ove possono essere  posizionati anche gli ‘scarrabili’, i container che poi vengono prelevati dai camion per  essere conferiti nei  vari punti di raccolta. In via sperimentale saranno gli imballaggi in carta e cartone ad inaugurare la nuova  isola ecologica. Per iniziare vi stazionerà un unico compattatore ma, superata la prima fase, si auspica  che detto punto di raccolta diventi il principale per tutto lo Stato della Città del  Vaticano.

Già da diversi anni in Vaticano si effettua la raccolta di diverse tipologie distinte di rifiuti: presso l’area  detta della “Molazza” vengono collocati quelli ferrosi, il legno ed i rifiuti “inerti” ovvero gli scarti edili, non pericolosi. Presso la zona detta della “Vignaccia” invece vengono sistemati quei rifiuti catalogabili come speciali (pericolosi e non) quali oli esausti, materiale elettronico, liquidi vari etc. Ovviamente, per un corretto conferimento,  le varie utenze sono state informate circa  l’assoluta necessità di separare i rifiuti per tipologia, di ridurre il più possibile quelli voluminosi, di fornire all’operatore addetto al centro di raccolta un apposito documento  di accettazione degli stessi rifiuti e procedere in modo ordinato al deposito dei materiali.

Tutte le aree saranno aperte dal lunedì al sabato e saranno presidiate da quello che è l’organismo preposto alla gestione e manutenzione dei giardini vaticani e, appunto,  della nettezza urbana. Si parla di circa trenta persone addette – tra l’altro – anche alla realizzazione dei vari addobbi floreali per le cerimonie presiedute dal Santo Padre. L’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’ ha contribuito in modo determinante ad  accelerare i tempi di realizzazione e messa in opera del sistema differenziato della  raccolta dei rifiuti anche se, come detto in precedenza, questo tipo di selezione veniva  già attuato anche se in modo meno organizzato e puntuale.

I superiori del Governatorato, il cardinale Giuseppe Bertello e mons. Fernando  Vérgez Alzaga, ed  il responsabile dei Giardini e Nettezza Urbana, Domenico  Ambrifi, auspicano che il Vaticano possa in qualche modo diventare anche  un bell’esempio di Stato ‘verde’ e non inquinante.

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Oggi in Primo Piano



Trump: fuori dagli Usa 3 milioni di migranti che hanno commesso reati

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Tre milioni. Sono i “criminali, pregiudicati, membri di gang, trafficanti di droga” tra gli immigrati giunti illegalmente negli Stati Uniti, perlopiù latinoamericani, che il neo eletto Presidente Donald Trump ha annunciato di voler espellere dal Paese o mettere in carcere non appena si sarà insediato alla Casa Bianca, il prossimo 20 gennaio. In campagna elettorale aveva parlato di 11 milioni di espulsioni. Mentre inizia a comporsi la squadra di governo, con il capo di gabinetto che sarà Reince Priebus, attuale presidente del partito repubblicano, e Stephen Bannon, al vertice della campagna elettorale del tycoon, che sarà nominato consigliere del Presidente e capo della strategia politica nazionale e internazionale, Trump nella sua prima intervista ufficiale come Presidente eletto, alla Cbs, ha ribadito la necessità di un muro lungo i 3mila km di frontiera con il Messico, per fermare l’immigrazione irregolare. Ha comunque ammesso che tale barriera non sarà sempre tecnicamente realizzabile. Ma chi sono i migranti che arrivano negli Usa? Giada Aquilino lo ha chiesto a Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli studi di Milano e direttore della rivista “Mondi Migranti”: 

R. – Gli immigrati irregolari che risiedono negli Stati Uniti sono stimati intorno agli undici milioni. Sono leggermente diminuiti soprattutto a motivo della crisi economica – erano arrivati intorno ai dodici milioni – ma rappresentano pur sempre la maggioranza dei messicani che oggi vivono gli Stati Uniti. Un milione sono minori. Molti sono studenti, arrivano alla maggiore età e improvvisamente scoprono di dover imparare a vivere da irregolari. Obama aveva fatto uno sforzo in particolare per regolarizzare questi ragazzi al passaggio della maggiore età. La “Immigration reform” più ampia del Presidente Obama puntava a far entrare nella regolarità i residenti ormai da anni, a volte da decenni: l’immigrazione irregolare è una “irregolarità” che non si sana mai. Va anche detto, però, che la presidenza Obama ha deportato molti immigrati irregolari – 300mila, fino 400mila all’anno – ma negli ultimi tempi aveva cambiato linea vedendo che non serviva: molti deportati rientrano.

D. – Come rientrano?

R. – Il confine tra Stati Uniti e Messico è lunghissimo: molti di questi migranti sono messicani o di altri Paesi dell’America centrale. Attraversare il confine a piedi, attraversare il deserto, è solo uno dei modi: si può entrare con un visto turistico; per cure mediche; per andare a far visita ai familiari che risiedono oltre la frontiera. Si stima che più della metà dei messicani abbia un parente oltre la frontiera: e non si possono impedire gli incontri di famiglia al di là della frontiera. Quindi una persona entra con un permesso di qualche tipo e poi rimane.

D. – Lei ha citato un termine riferibile anche all’amministrazione Obama: “deportare”. Lo ha ripetuto pure Donald Trump. Cosa significa nei fatti?

R. – Le deportazioni appunto non le ha inventate Trump e neanche il muro. Il muro hanno cominciato a costruirlo all’epoca delle Torri Gemelle, quando improvvisamente l’America si è sentita insicura. Sui tremila chilometri di confine con il Messico, più di mille sono vigilati da un qualche tipo di barriera, muro, confine attrezzato o rete metallica. Ecco: “deportare” vuol dire che gli immigrati che vengono sorpresi senza avere i documenti in regola vengono invitati o a lasciare spontaneamente il Paese oppure a seguire una procedura in cui possono anche ricorrere contro l’espulsione, ma rischiano poi dieci anni di veto per il rientro negli Stati Uniti. Gran parte delle espulsioni vengono attuate in pullman: sono certamente meno complicate di quelle che invece attua l’Europa. Con tutto ciò, ci sono 560mila casi pendenti di fronte alle corti degli Stati Uniti, perché molti immigrati irregolari si ribellano, si oppongono all’espulsione. Esistono delle garanzie legali – appunto il diritto di appello – che valgono anche per gli immigrati irregolari.

D. – Al di là di chi pagherà il muro tra Usa e Messico – una questione emersa durante la campagna elettorale – Trump ha ribadito la necessità di questa barriera ma ha ammesso che non sarà sempre tecnicamente realizzabile. Che cosa si può prevedere?

R. – Leggevo recentemente che tutt’ora nell’agricoltura del sud degli Stati Uniti più della metà della manodopera è fornita da immigrati in condizione irregolare. Quindi Trump mette in evidenza un simbolismo, il muro, vuole far vedere ai suoi elettori che usa il pugno duro nei confronti degli immigrati irregolari; poi, tendo a pensare che anche lui dovrà venire a patti con la realtà e non esercitare controlli assai antipatici nei confronti delle famiglie statunitensi che hanno colf immigrate non regolari; dei potenti datori di lavoro agricoli che fanno funzionare le loro colture grazie al lavoro di immigrati irregolari; e di tutti gli altri settori che nel sud degli Stati Uniti prosperano grazie al lavoro dei messicani in condizione irregolare.

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Colombia. Nuovo accordo di pace: Farc rendono denaro e beni a vittime

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Attesa in Colombia per gli sviluppi del nuovo accordo di pace tra il governo di Bogotà e la guerriglia delle Farc, arrivato 40 giorni dopo la clamorosa bocciatura referendaria il 2 ottobre scorso dell’intesa che era stata raggiunta il 28 agosto a Cuba, sede dei negoziati, e siglata a Cartagena il 26 settembre. Roberta Gisotti ha intervistato Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, membro della Comunità di Sant’Egidio, che ha supportato sin dall’inizio il processo negoziale, avviato nel 2012. 

Un accordo “migliore”, secondo il Presidente colombiano Santos, per mettere fine a 52 anni di conflitto civile, che ha causato 200 mila morti e 5 milioni di sfollati. Prof. Di Bella che cosa è stato corretto nel nuovo testo per rispettare la volontà popolare?

R. – Questo accordo è stato “revisato”, come si dice in America Latina, sotto diversi aspetti. Il primo è che le Farc si sono impegnate a restituire i loro beni e il denaro di cui sono in possesso, denaro e beni che verranno utilizzati per sostenere, aiutare le vittime colpite dalla guerra. Questo è un punto importante, perché su questo aspetto nel primo accordo non si era giunti ad una chiarificazione concreta. Il secondo aspetto rilevante è quello dei Tribunali: nell’accordo precedente, alcuni giudici venivano nominati da alcune istituzioni internazionali come l’Onu e la Corte penale dell’Aja; invece in questo nuovo accordo i giudici saranno tutti colombiani. E questi due aspetti rispondono a due delle critiche che l’opposizione – il Centro democratico di Uribe – aveva mosso al precedente accordo. Gli altri tre aspetti importanti sono che le persone riconosciute responsabili di qualche forma di delitto ecc. avranno una restrizione alla loro mobilità: cioè non potranno abbandonare le zone loro indicate se non autorizzate dal governo. È stata poi risolta la famosa polemica di genere: il problema delle donne come particolari vittime del conflitto. E c’è una sostanziale rassicurazione ai membri delle Forze armate e della Polizia, le quali potranno essere portate in giudizio nella misura in cui si sia di fronte a delle prove certe e inoppugnabili.

D. – Professore, quale sarà l’iter dell’accordo?

R. – Dovrà essere ratificato dal Parlamento, com’era nel primo scenario. Però qui ci troviamo, per la prima volta nella storia, di fronte a una situazione molto particolare, nel senso che l’ex Presidente Álvaro Uribe, appena questo accordo è stato reso noto, ha fatto una dichiarazione che è di difficile interpretazione, perché sostanzialmente ha detto che l’accordo “si firmi, però non si chiuda definitivamente”; e che questo accordo dovrà essere rivisto anche l’anno prossimo. Quindi, è un accordo che formalmente è stato firmato, però l’opposizione si è riservata una sorta di giudizio definitivo, che avverrà non si sa quando e in quale forma.

D. – Ecco, possiamo dire che il responso popolare ha avuto davvero un effetto migliorativo?

R. – Io credo che la bocciatura del primo accordo abbia avuto un effetto indubbiamente positivo: quello di aver richiamato tutto il popolo colombiano a vivere con maggiore responsabilità questo passaggio nodale, storico, della loro pace. Come lei ricorderà, nel plebiscito, quasi il 60% della popolazione non ha votato. Quindi questo fatto ha poi scatenato numerose manifestazioni, soprattutto del mondo giovanile, universitario, degli ambienti più colpiti dalla guerriglia, che di fronte a questa bocciatura si sono mobilitati perché lo sforzo di oltre quattro anni del processo negoziale non andasse perduto. Adesso il problema è che tutta la società colombiana sostenga questo ulteriore passo avanti, che senza dubbio ha chiarificato e migliorato l’accordo precedente. Ma tutti gli accordi sono manchevoli in qualche aspetto; quindi bisognerà partire dal riconoscimento di questo nuovo accordo di pace, e soprattutto agire – il governo e tutte le parti sociali – perché venga implementato, reso concreto, nel più breve tempo possibile.

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Iraq: prosegue offensiva su Mosul, liberata Nimrud

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Non si fermano le violenze in Iraq. E’ di otto vittime il bilancio dell’attentato avvenuto oggi di Karbala, mentre l’esercito governativo continua l’offensiva per liberare Mosul. Strappata ai jihadisti la città di Nimrod, sede di un antichissimo sito archeologico risalente al tredicesimo secolo avanti Cristo. Il servizio di Elvira Ragosta: 

Sei kamikaze hanno preso di mira una località a Sud di Baghdad uccidendo otto persone e ferendone almeno sei. L’attentato è avvenuto al confine tra la regione di al Anbar, in parte controllata dall'Is, e il distretto di Karbala, città santa sciita. Su Mosul, intanto, continua la campagna dell’esercito governativo per strappare la città dall’occupazione del sedicente Stato islamico. Le forze curde peshmerga si sono ritirate da Bashiqa, città a Nordest di Mosul liberata la scorsa settimana, e hanno lasciato il posto alla polizia irachena. A quasi un mese dall’inizio dell’offensiva per liberare quella che l’autoproclamato califfo Al Baghdadi nominò la capitale del sedicente stato islamico in Iraq, l’esercito iracheno ha ripreso il controllo della zona di Nimrud, a pochi kilometri da Mosul. Qui si trova l’antico sito archeologico distrutto dall’Is nella primavera del 2015. Posta sulle rive del Tigri, la vecchia Nimrud rappresentava un gioiello dell’impero assiro, fondato nel tredicesimo secolo avanti Cristo. Nella primavera del 2015 fecero il giro del mondo le immagini di mine e bulldozzer e martelli, con cui i jihadisti dell’Is la rasero al suolo. Non solo Nimrud, è accaduto anche al sito siriano di Palmira, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’umanità, e quando sarà completata la liberazione di Mosul si dovranno accertare gli altri danni nella Piana di Ninive. L’archeologo Sebastiano Soldi, esperto di Vicino Oriente e membro del comitato scientifico dell’Associazione nazionale archeologi:

R. - La distruzione del sito archeologico di Nimrud si inserisce, purtroppo, in un panorama più ampio che in questi anni ha interessato danneggiamenti a beni culturali sia iracheni che siriani. Tutto questo sia come parte di una distruzione seguita da una volontà deliberata, oltre ai danni inevitabili dei conflitti nella regione, senza dimenticare scavi e ricerche clandestine.

D. - Quando Numrud è stata distrutta l’Unesco ha parlato di “crimine di guerra”. Un crimine orrendo che si affianca alle uccisioni barbare di civili, alle distruzioni della città e dei villaggi contemporanei. Dal punto di vista storico, la distruzione dei siti archeologi artistici e religiosi pesa moltissimo…

R. - Certo, perché come nel caso di Palmira in Siria e della stessa Hatra in Iraq, sono sempre stati elementi forti e di identità per tutte le popolazioni che vanno aldilà di tutte le barriere ideologiche, religiose o etniche delle popolazioni che rappresentano.

D. - Dopo la riconquista la conta dei danni, poi progetti di recupero, forse di ricostruzione. Come si interviene su questi siti?

R. - I danni andranno calcolati e verificati. Poi saranno necessari degli interventi con i ministeri competenti, poi ovviamente con l’Unesco ed eventualmente con l’apporto di professionalità e competenze di Paesi che possono aiutare in questa ricostruzione con varie modalità che verranno discusse in un secondo momento.

D. - La distruzione di questi siti per cancellare la storia di questi luoghi, ma poi è si è parlato anche di traffico di reperti archeologico da parte dei miliziani dell’Is per sostenersi economicamente …

R. - Questo purtroppo è un altro punto dolente. Per questo l’Unesco ha pubblicato una lista dei beni su cui si ha certezza che siano stati trafugati. Questo soprattutto per quanto riguarda beni che sono già documentati, inventariati o catalogati nei musei. Chiaramente in più ci sono gli scavi clandestini, quindi materiali che finora non erano conosciuti perché inediti e che sicuramente stanno trovando una strada di collocazione sui mercati neri che portano verso l’Occidente, verso l’Oriente e verso i Paesi arabi. Quindi questo è un appello perché ci sia da parte di tutti i Paesi che aderiscono alle convenzioni dell’Unesco una convinzione nel fermare questo mercato clandestino che sta depauperando così pesantemente queste regioni - Siria e Iraq in particolare, ma non solo, anche lo Yemen, l’Afghanistan - interessate da queste attività belliche.

D. - Era già accaduto all’Afghanistan nel 2001 quando i talebani distrussero le statue di Buddha più alte al mondo, pure patrimonio Unesco. Anche qui la ricostruzione difficile, anche per gli alti costi, e c’è stato un intervento con la ricostruzione in 3D …

R. - Sì, il 3D è sicuramente un sistema innovativo che ci consente di visualizzare come erano questi monumenti prima delle distruzioni. Però chiaramente quando parliamo poi dei siti archeologici si può fare a altrettanto con le competenze di archeologi, di architetti locali e internazionali che possono ricostruire, rivalorizzare, chiaramente nel rispetto di quelle che sono oggi le linee guida per quanto riguarda il restauro architettonico. 

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Libano. Patriarca Raï: governo 'inclusivo' ispirato alla Costituzione

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Un “governo inclusivo” in grado di rappresentare tutte le anime del Paese e pronto al giuramento prima della festa nazionale dell’Indipendenza, che si celebra in Libano il prossimo 22 novembre. È l’appello lanciato ieri dal patriarca maronita card Bechara Raï, durante l’omelia della messa domenicale. Il porporato - riferisce l'agenzia AsiaNews - chiede uno sforzo ulteriore al Parlamento e alla classe politica del Paese, perché dopo il Presidente Michel Aoun raggiunga un compromesso per la formazione del nuovo esecutivo. 

Un governo frutto del consenso e che sappia unire
Rivolgendosi ai fedeli il porporato ha chiesto che “il nuovo governo sia inclusivo, frutto del consenso ed efficace”. Un esecutivo, ha aggiunto, “che unisca piuttosto che dividere” e che sappia “condividere le responsabilità con lo spirito del Patto nazionale e della Costituzione”.  Condannando la logica della “spartizione” delle cariche e delle poltrone, il card Rai ha concluso con l’auspicio che il governo “possa essere formato prima della giornata dell’Indipendenza, in modo che la festa possa davvero essere completa”. 

Sono molte le sfide che attendono la nuova leadership
​Nell’ultimo periodo l’elezione di Aoun a capo di Stato e l’incarico all’ex premier Saad Hariri di formare il nuovo governo hanno rilanciato la speranza per il futuro del Paese. Sono molte le sfide che attendono la nuova leadership, da un’economia stagnante al milione di rifugiati giunti in questi anni dalla Siria. Problemi gravi e annosi, cui la classe politica libanese non ha saputo finora rispondere in modo adeguato. (R.P.)

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Messico: liberato sacerdote sequestrato venerdì. E'stato torturato

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Il sacerdote diocesano José Luis Sánchez Ruiz, che era stato rapito venerdì 11 novembre, è stato rilasciato ieri con "evidenti segni di tortura", secondo il comunicato della diocesi messicana di San Andres Tuxtla di Veracruz, firmato da mons. Fidencio Lopez Plaza.

Vescovo ringrazia per solidarietà Chiesa e autorità messicane
Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, il vescovo ringrazia per l'interesse delle autorità e informa che la comunità aspetta le conclusioni del pubblico ministero per chiarire i fatti. Mons. Lopez Plaza ringrazia anche per la "sentita solidarietà e la preghiera di tutti i fedeli, come della Conferenza episcopale Messicana, e in particolare i vescovi della Provincia ecclesiastica di Veracruz".

Atti di violenza contro i sacerdoti che condannano criminalità e corruzione
​Secondo la stampa locale, don Sánchez Ruiz, parroco della parrocchia Los 12 Apóstoles a Catemaco, nei giorni precedenti al rapimento aveva ricevuto delle minacce, sicuramente per le sue dure critiche contro la corruzione e il crimine nella cittadina di Catemaco. I cittadini più di una volta avevano manifestato per la mancanza di sicurezza e la prepotenza del crimine organizzato. Fides in diverse occasioni ha segnalato che gli Stati messicani di Veracruz, Guerrero e Michoacán sono le regioni più violente anche per i sacerdoti. (C.E.)

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Indonesia: morta una delle bimbe ferite nell'attentato alla chiesa

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È morta una delle quattro bambine ferite in un attentato avvenuto ieri ai danni di una chiesa cristiana protestante a Samarinda, in Indonesia. Olivia Intan Marbun stava giocando con altri bambini davanti la chiesa, quando un ordigno rudimentale è esploso travolgendo lei e gli altri bambini. Arrestato dalla polizia, il presunto assalitore è un ex carcerato per terrorismo, sospettato di legami con il sedicente Stato islamico. Jo Bin Muhammad Aceng Kurnia, conosciuto anche come Johanda, era stato arrestato nel 2011 per aver progettato attacchi al Centro di scienza e tecnologia di Puspitek Serpong, a sud-ovest di Jakarta. Condannato a tre anni e sei mesi, era stato rilasciato su cauzione nel 2014 per partecipare alla festività di “Eid El Mubarak”, ottenendo uno sconto di pena. Invece del pentimento, l’uomo ha continuato nel perpetrare azioni criminose fino all’ultimo attentato per cui sono stati fermati altri cinque uomini. A commentare l’accaduto, intervistato da Sabrina Spagnoli, padre Bernardo Cervellera, direttore dell'agenzia AsiaNews: 

R. – Avvengono perché ci sono infiltrazioni di tipo terroristico, di tipo radicale, che molto spesso poi sono utilizzate per scopi politici o per distruggere un po’ questa convivenza tra cristiani e musulmani.

D. – L’assalitore è già noto per simili precedenti ed era stato rilasciato su cauzione per la festività islamica… Essendo dunque a conoscenza di questi trascorsi, non è forse una leggerezza burocratica rilasciare un terrorista?

R. – Si lo è. D’altra parte essendoci questi gruppi anche fondamentalisti, il governo cerca di tenere buoni tutti, quindi quando c’è Natale liberano alcuni cristiani, quando c’è invece qualche festa islamica, liberano qualche musulmano. Certo, il problema grosso, secondo me, è che questo fondamentalismo che sta venendo fuori adesso, in queste settimane, in Indonesia è molto motivato politicamente: cioè, alcuni politici indonesiani vogliono a tutti i costi mettere in crisi il governo di Joko Widodo, che sarebbe il Presidente, e il governo del governatore di Jakarta, che è un cristiano… Ci sono alcuni che con la scusa di essere musulmani vogliono governare loro ma in realtà è una questione di potere più che di confessione.

D.  – Quali sono i provvedimenti adottati in Indonesia per chi si macchia di terrorismo e cosa viene fatto in via preventiva?

R. – In via preventiva questi Paesi non hanno molta esperienza di chissà quali grandi strutture, ci sono i soldati, ci sono controlli nelle varie città. Però, certo, continuamente il terrorismo sfora questa sicurezza. L’altra cosa è che ci possono essere all’interno della società o rapporti famigliari o rapporti di potere con l’esercito, con la polizia, per cui, qualche volta, questi rapporti inclinano il muro della sicurezza.

D.  – Come procede in Indonesia il dialogo tra cristiani e musulmani? Si è arrivati ad un punto di incontro o il cammino è ancora lungo?

R. – Gli incontri ci sono sempre. In Indonesia, il fondamentalismo dura da pochi decenni e sono sempre gruppi che soffiavano dall’esterno: una volta c’era Gheddafi, poi c’era l’Arabia Saudita… Tante volte poi l’islam è stato utilizzato per dividere la società e far rafforzare la funzione dell’esercito, dentro nella società. Ma, per esempio, ci sono state manifestazioni alcuni giorni fa di musulmani, fondamentalisti, integralisti, e le due organizzazioni maggioritarie musulmane - che raccolgono all’incirca 30 milioni di persone - si sono dette contrarie a quelle manifestazioni perché erano politicamente motivate. Quando c’è il Natale o la Pasqua queste organizzazioni che fanno i cordoni intorno alle chiese per evitare che durante le feste di Natale o di Pasqua avvengano gli attentati. Quindi c’è un rapporto che è stabile e continuo ma ci sono queste frange fondamentaliste che cercano più il potere che la distruzione apocalittica delle minoranze.

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In Bulgaria e Moldavia vincono due presidenti filo-russi

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Svolta filo russa per la Bulgaria e la Moldavia, dove ai ballottaggi di domenica hanno vinto due candidati Presidente che vogliono rilanciare il rapporto con Mosca. L'ex generale Rumen Radev è diventato il nuovo Capo di Stato bulgaro, mentre in Moldavia si è affermato Igor Dodon, esponente della minoranza russofona. Battute le due candidate filo-europeiste. Il servizio di Marco Guerra: 

L’Europa orientale torna a guardare con grande interesse alla partnership con la Russia. Questo dicono le elezioni presidenziali svoltesi domenica in Bulgaria e Moldavia. Nel Paese balcanico, nell’Ue dal 2007, si è imposto il socialista 53enne, ex generale dell'Aeronautica, Rumen Radev, con il 58% dei consensi. In Moldavia si è affermato con il 55% Igor Dodon, esponente della minoranza russofona. Entrambi correvano contro due candidate filo-occidentali risultate troppo deboli per l’elettorato. Dopo la sconfitta della candidata del partito di centro-destra al governo, il premier bulgaro Bojko Borissov ha annunciato le sue dimissioni, malgrado il Presidente abbia un ruolo di rappresentanza. Si attende ora di capire se saranno convocate elezioni anticipate o se si cercherà  di formare un governo di coalizione. Intanto un portavoce del Cremlino parla del risultato delle elezioni in Bulgaria come di un’opportunità per lo sviluppo del gasdotto South Stream. Ma sul voto in Bulgaria sentiamo il commento della giornalista bulgara Iva Mihailova:

R. – Non direi che può essere letta come rabbia contro l’Europa, perché molte delle persone che hanno sostenuto il generale Radev non sono contrarie all’Europa: anche lui ha detto di non essere contrario all’Europa, ma che vuole aprire la Bulgaria maggiormente nei confronti della Russia. Il generale Radev è stato ampiamente appoggiato, da più di 2 milioni di bulgari, e questo perché è stato un voto di protesta: la gente è stanca; vuole dei cambiamenti; ritiene che tutto quello che è stato fatto in Europa, tutto quello che è stato fatto in Bulgaria per una vita migliore non basta; la gente vuole ora più trasparenza, più cose concrete, più onestà nella politica. E il generale Radev rappresentava tutto questo: è un patriota, è un uomo dalla mano forte… La gente adesso ha tanta paura e infatti in queste elezioni si è giocato anche molto sui migranti e sul fatto che la Bulgaria sia alla frontiera esterna dell’Unione Europa: il generale Radev ha assicurato che la Bulgaria non sarà trasformata in un ghetto di migranti. Inoltre il Partito di governo ha lanciato un candidato molto debole, che parlava di comunismo e anticomunismo, che usava questi vecchi stereotipi, che ormai non vanno più… Il generale Radev è invece riuscito ad ottenere un maggiore appoggio, perché per lui hanno votato molte persone che non sono delle sinistra, che sono della destra, che sono del centro, ma che hanno visto in lui questa speranza.

D. – L’elezione di Radev ha comportato le dimissioni del premier Borisov. Qual è la situazione politica al momento e cosa si prospetta?

R. – Il premier Borisov si è dimesso proprio perché il Partito Gerb è un partito molto centrato sulla sua leadership. E Borisov aveva detto che qualsiasi candidato avesse proposto – fosse stato anche un asino – se solo fosse stato fotografato con lui sarebbe stato eletto, perché gode grande appoggio popolare; alla fine ha scelto la presidente del Parlamento, che invece non era molto popolare… Aveva anche detto che se non avesse vinto, si sarebbe immediatamente dimesso. Negli ultimi mesi ha dimostrato una certa sicurezza del potere e questo non è certamente piaciuto. Molto probabilmente ora ci sarà un governo ad interim ed elezioni al più presto, in primavera, perché i socialisti hanno detto che non intendono provare a fare un governo nell’ambito della presente legislatura. E questo è un problema, anche perché la finanziaria che sarebbe dovuta essere approvata in Parlamento questa settimana, non sarà invece neanche introdotta: almeno questo ha detto il partito del premier Borisov.

D. – Quindi è una Bulgaria che non volta le spalle all’Europa, che non guarda tanto alla Russia, ma che ha votato per un uomo forte…

R. – Sì, diciamo che guarda anche verso la Russia. Ma la ragione principale per la quale è stato scelto il generale Radev non è perché è filorusso: la ragione principale è che lui rappresentava questa chance di cambiamento, perché il problema è la politica interna. Sì, l’altra candidata era più espressamente verso i valori occidentali e verso Bruxelles, ma non riusciva a convincere… Il problema è che noi non conosciamo questo generale Radev, perché non è mai stato finora un politico: arriva appoggiato dai socialisti e non sa chi e cosa rappresenta e soprattutto cosa farà. La gente, votando, non si è fatta tutte queste domande ...

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P. Gaetani (Cism): religiosi tornino a scaldare i cuori della gente

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Al via oggi a Rimini l’Assemblea generale della Cism, la Conferenza italiana Superiori maggiori, organismo che coordina le esperienze delle congregazioni religiose del Paese. Al centro dei lavori, la riorganizzazione delle Province, dato il costante calo delle vocazioni e l’invecchiamento dei consacrati, con la conseguente chiusura di molti conventi. Ma qual è la ragione più profonda di questa assemblea? Fabio Colagrande lo ha chiesto al padre carmelitano scalzo Luigi Gaetani, presidente della Cism: 

R. - La ragione più profonda è il bisogno di capire dove nasce e dove porta questa riorganizzazione e soprattutto verso quali prospettive ecclesiali e di relazioni nuove può condurre la vita consacrata in Italia. Credo che possiamo ritenere questa come la ragione più profonda della nostra scelta: vogliamo che la riorganizzazione non sia solo un’ideologia di cambiamento - un cambiamento che fondamentalmente rientra in un’operazione interna, in un riordino delle risorse umane, delle opere, con tutto ciò che comporta - ma invece vogliamo vivere questa assemblea nella prospettiva indicata da Papa Francesco: quella della riforma della Chiesa. Se manca questo, tutto il processo del rinnovamento rischia di essere solo autoreferenziale. La riforma è una riforma che esige un processo spirituale.

D. - Il tema della riorganizzazione delle Province è legato a quello delle vocazioni, dell’invecchiamento e della riduzione dei consacrati?

R. - È sotto gli occhi di tutti il fatto che ci sia questa situazione – calo di vocazioni, invecchiamento dei nostri religiosi - però, noi negli anni abbiamo affrontato tutta una serie di riorganizzazioni interne e abbiamo creduto in una o nell’altra circostanza che il rinnovamento della vita religiosa passasse attraverso la modifica di qualche settore. Abbiamo constatato che questo non ha portato a grandi cambiamenti e per questo torno a sottolineare che quanto Papa Francesco ci sta dicendo va invece al cuore della vera riforma che ognuno di noi deve adottare per potere effettivamente vivere questo tempo che ci è dato come una risposta alle esigenze dello Spirito, del Vangelo e anche alle esigenze del popolo di Dio a cui noi siamo mandati.

D. - In questo senso possiamo leggere questa crisi come un’occasione preziosa per adeguare i carismi degli istituti religiosi alle nuove necessità che la Chiesa incontra?

R. - Direi di sì, però non parlerei di adeguamento dei carismi: c’è una riviviscenza dei carismi; questa significa dare vita, perché il carisma è un dono dello Spirito e lo Spirito non è mai morto; lo Spirito Santo, che dona i carismi alla sua Chiesa, la rende bella. Questo non vuol dire che i carismi durino in eterno, ma possiamo dire – e la storia della Chiesa ce lo conferma – che i carismi invece hanno una riviviscenza che consiste in questo: fino a quando dentro un istituto religioso i soggetti che lo costituiscono restano aperti all’azione dello Spirito, quel carisma può rivivere, può ritornare veramente a riscaldare il cuore e la mente della gente; può essere ancora effettivamente un dono che brilla per la bellezza della  Chiesa e dell’umanità.

D. - La ristrutturazione della presenza territoriale, che è un po’ implicita in questo processo, comporta in qualche modo anche il rischio di dimenticarsi di alcune “periferie”, per usare il gergo di Papa Francesco?

R. - Che la riorganizzazione diventi centralizzazione dimenticando appunto il radicamento sul territorio e l’opzione delle periferie è la nostra preoccupazione. Non a caso la vita consacrata è stata sempre molto attenta sia alle grandi città, dove ha posto significative presenze, ma anche alle periferie dove nessuno voleva andare. La vita consacrata e i religiosi hanno rappresentato realmente una presenza profetica in quei luoghi. Oggi la nostra preoccupazione è che la riorganizzazione non spopoli le periferie di questa presenza, di questa testimonianza, di questa bellezza; periferie geografiche, come dice Papa Francesco, ma anche periferie esistenziali. E per questo la riforma non può essere pensata solo come un movimento di facciata, cioè ‘ci facciamo più belli’. Non è un movimento estetico: è un movimento che ci deve portare al cuore dell’umanità per rispondere alle necessità dell’umano.

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Vescovi Malawi: nuovo fermo no a proposta di legge sull’aborto

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Il presidente della Conferenza episcopale del Malawi, mons. Thomas Luke Msusa, vescovo di Blantyre, ha ribadito la ferma opposizione della Chiesa alla proposta di legge sulla legalizzazione dell’aborto nel Paese.  Il progetto, presentato l’anno scorso, vuole legalizzare l’interruzione volontaria della gravidanza  in determinate circostanze, segnatamente in caso di pericolo di vita della madre, di gravi deformazioni del feto e di stupro o incesti.

La vita di ogni persona è sacra 
Intervenendo alla recente consacrazione della cattedrale di Karonga presieduta dal card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il presule ha riaffermato che la vita di ogni persona è sacra  e che le persone sono più importanti delle cose. Egli ha inoltre sottolineato che il grado di civiltà di una società si misura soprattutto dall’attenzione che essa riserva  alla vita e alla dignità della persona umana. Il presidente dei vescovi – riporta l’agenzia Cathpress - ha quindi esortato i fedeli a mobilitarsi contro la campagna a favore della legalizzazione lanciata da diverse organizzazioni, con il sostegno anche di alcuni membri del Consiglio delle Chiese del Malawi. Secondo i fautori della riforma, la legalizzazione  servirebbe a ridurre la piaga degli aborti clandestini e delle morti da esse causate.

Aborto punibile oggi in Malawi con pene fino a 14 anni di carcere
In Malawi l’aborto è attualmente vietato in modo tassativo e la legge prevede pene fino a 14 anni di prigione per chi lo pratica e sette per la donna che ne faccia richiesta. L’unica eccezione ammessa è il pericolo di vita per la madre, ma in questo caso è necessaria l’approvazione di due ostetrici indipendenti e del coniuge. (L.Z)

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Caritas Italia: "Europa no exit", sulle sfide per il vecchio continente

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È iniziato oggi il seminario organizzato dalla Caritas italiana “Per un’Europa no exit” dove, approfondendo il tema delle politiche europee, in modo particolare a partire dagli ultimi e dagli esclusi, si cercherà di capire qual è il loro effettivo riscontro tra le persone e le comunità. Si parlerà quindi di lotta alla povertà, di politiche sociali, dei diritti degli esclusi e della grande sfida delle migrazioni. Nell’occasione verrà poi presentato il 20° Dossier di approfondimento di Caritas Italiana, un volume che approfondisce il tema dell’impatto della crisi economica e finanziaria sul tradizionale sistema di welfare europeo, intitolato "Generatori di risorse. L’economia Sociale: un approccio per un nuovo welfare”. Quali sono quindi le prospettive e le speranze? Francesco Gnagni ne ha parlato con don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana: 

R. – Le prospettive dovremmo cercarle tutti assieme, non dico inseguendo ma sostando su quelli che sono gli interrogati che da parte ecclesiale e da parte delle istituzioni ci vengono posti; prendendoli in prima persona e ciascuno di noi dando un contributo. Ripercorrere quelle che sono le tappe storiche che hanno portato all’Unione Europea, certamente ci fa bene, ma cercando di sostare su quelle che sono le criticità e cercando di fare di più; avendo non tanto la capacità ma l’ardire di quanto è nelle nostre forze, nelle nostre capacità, e in modo particolare affidandoci – in quanto cristiani – a quanto ci proviene dalla Sacra Scrittura nell’azzardare a tessere sempre quelle trame di solidarietà e di convivenza pacifica, promuovendo soprattutto i più poveri: ecco, questo ci porterebbe certamente ad un’Europa nuova, ad un’Europa fatta non soltanto su principi più di una volta decantati, ma soprattutto a principi che vengono prima di tutto vissuti, che vengono vissuti dalle comunità locali, dalle comunità ecclesiali, dalle comunità istituzionali a livello più piccolo. Questa mattina ho raccolto l’immagine, quasi provocatoria, del premier Renzi che davanti alla Basilica del Patrono d’Europa, San Benedetto, ha detto: “Così come questa rinascerà, certamente anche l’Europa dovrebbe e dovrà rinascere”.

D. – Di fronte alle difficoltà però si tende sempre più spesso a chiudersi nella paura. Come ritrovare la speranza?

R. – Tutto ciò su cui si costruisce oggi è, appunto, la paura. Siamo davanti ad un vero e proprio paradosso: se uno dei fondamenti su cui è andata a ipotizzarsi, appunto, l’Europa è stato il desiderio di allontanare la paura di poter incorrere su quei gravi errori che furono dati proprio dalla chiusura, dall’affermazione di sé, dai nazionalismi esasperati e contrapposti che la portarono a conseguenze gravissime; oggi quella stessa paura viene certamente esibita per una vera e propria inversione di marcia. Davanti a questo dovremmo veramente interrogarci, accogliendo soprattutto quelli che sono gli orientamenti dati da un personaggio che oggi sembra ed è per noi l’unica figura di riferimento a lunga scadenza, quella cioè del Santo Padre, che ci dice che una pace duratura è la costruzione di un’Europa bella nella misura in cui si ricordano soltanto i valori fondativi, ma nella misura in cui quei valori fondativi sono messi oggi non tanto in discussione, ma sono fatti vibrare dalle membra vive di una comunità accogliente. Questo può veramente essere un grande segno di speranza. Ma ad iniziare dai cristiani, ad iniziare da coloro che sono le guide all’interno della Chiesa e cioè i sacerdoti. Papa Francesco ci ricorda che tutto questo deve essere fatto camminando assieme. Probabilmente i principi teorici devono essere messi in seconda fila: prima di tutto la voglia e il desiderio di costruire assieme. Ecco, questo è un grande segno di speranza che Papa Francesco ci sta dando tutti i giorni, nella misura in cui incontra le persone, incontra i grandi, incontra i diversi secondo le idee, secondo le ideologie, secondo anche i punti di vista che possono essere anche teologici. Ma nella misura in cui ci si incontra tutto questo viene non dico ad appiattirsi, ma certamente ad affievolirsi in vista di una costruzione politica, religiosa ed ecclesiale migliore.

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Terremoto Centro-Italia: a Norcia i ragazzi tornano a scuola

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Un’altra notte difficile nelle aree colpite dal sisma del 30 Ottobre scorso, la terra infatti non smette di tremare. Nonostante la scossa avvertita alle 2.33 tra Marche, Umbria e Lazio oggi a Norcia, sono riprese le scuole. I ragazzi sono rientrati nelle classi del prefabbricato consegnato proprio in questi giorni. Lo stabile conferito era quello commissionato dopo le scosse di terremoto del 24 Agosto scorso. Hanno riaperto anche le scuole di Cascia, Roccaporena , Macerata, Ascoli ed altri comuni della Valnerina. Per i giovani di Preci, Monteleone di Spoleto e molti altri invece, l’attesa proseguirà prima di poter riprendere la regolare attività scolastica. Sulla ripresa delle lezioni a Norcia Clarissa Guerrieri ha raggiunto telefonicamente, Rosella Ponti, dirigente scolastica Umbria: 

R. – I ragazzi sono entrati in classe alle 8:30; hanno preso visione di questa nuova scuola. Sono molto contenti ed entusiasti; è veramente accogliente, è dotata di qualsiasi comfort. Alle dieci sono arrivati i rappresentanti  delle istituzioni che hanno permesso la realizzazione di questo progetto. C’era la presidente della Regione Umbria, Marini, c’era Giannini, il ministro dell’istruzione, Curcio, della Protezione Civile, varie autorità, assessori all’istruzione, c’era il sindaco del comune di Norcia, Nicola Alemanno, …

D. - Le scosse che avete avvertito questa notte hanno creato qualche disagio tra i ragazzi?

R. - No, loro si trovano in sistemazioni provvisorie al momento; la maggior parte di loro non ha più casa, quindi per il momento si trovano in sicurezza. Certo il fatto di avere una scuola sicura dove poter svolgere le loro attività e dove poter passare il tempo, li solleva un pochino; mancava questo e adesso ce l’hanno.

D. - I lavori sono stati svolti in tempi record. E' soddisfatta?

R. - Sì, molto.

D. - Potrebbe definirlo un punto di partenza?

R. - Sì, l’ho definito già come un punto di 'ripartenza' per i ragazzi. Adesso tocca a loro.

D. - Ci potrebbe dire qualcosa sugli insegnanti e la loro reazione?

R. - Stamattina c’erano tutti, quelli delle superiori, delle medie, delle primarie. Tutti sono pronti a ricominciare per recuperare un po’ di quel tempo che è stato perduto e rimettersi in riga.

D. - In che modo pensa che continueranno a sostenere o questa realtà educativa?

R. - Questo dipende da noi. Continueranno tranquillamente a fare quello che hanno fatto finora; svolgeranno le loro lezioni e faranno in modo che il percorso formativo sia il più sereno possibile.

 D. - State lavorando  a qualche altro progetto in particolar modo?

R. - Dovranno arrivare alti moduli che ospiteranno le scuole primarie e le medie che attualmente svolgono lezioni nel pomeriggio. Quindi quando avremo gli altri moduli la scuola tornerà a regime normale: tutti i ragazzi seguiranno le lezioni  durante di mattina.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 319

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.