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Sommario del 16/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: sopportare persone moleste, anche noi a volte lo siamo

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Siamo molto bravi nell’identificare le persone moleste, ma anche noi tante volte lo siamo. Lo ha detto il Papa nella catechesi all’udienza generale in Piazza San Pietro, l’ultima del Giubileo della Misericordia che si chiuderà domenica prossima. La catechesi di oggi è stata dedicata all’opera di misericordia che invita a “sopportare pazientemente le persone moleste”. Francesco chiede di fare l’esame di coscienza e mettersi nei panni degli altri. Il servizio di Debora Donnini

Filo conduttore di queste ultime udienze sono state le opere di misericordia. La catechesi odierna è un invito a essere pazienti nel sopportare le persone moleste ma anche a consigliare, ad esempio i ragazzi nel catechismo: due i cardini della vita cristiana che si intrecciano nel discorso di Francesco. Tanti i fedeli riuniti, in una Piazza San Pietro intiepidita da un sole splendente, per quest'ultima udienza generale del Giubileo della Misericordia, a pochi giorni dalla chiusura della Porta Santa, domenica prossima, 20 novembre. 

Sopportare le persone moleste: anche noi tante volte siamo molesti per gli altri
Nel Vangelo proclamato, Gesù chiede di non guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello ma la trave nel proprio. “Siamo tutti bravi nell’identificare una presenza che può dare fastidio”, con lamentele, chiacchere, richieste o vanterie:

“Succede anche, a volte, che le persone fastidiose sono quelle vicine a noi, più vicine, anche: tra i parenti c’è sempre qualcuno; sul posto di lavoro non mancano; e neppure nel tempo libero ne siamo esenti. Che cosa dobbiamo fare con le persone moleste? Ma, anche noi tante volte siamo molesti agli altri, eh? Anche noi …”.

Dio insegna a metterci nei panni degli altri e a fare l’esame di coscienza
Nella Bibbia Dio stesso ha usato misericordia per sopportare le lamentele del suo popolo, che prima si lamenta dell’Egitto, poi della mancanza di cibo e così via. Dio ha avuto pazienza con Mosè - che facendo da mediatore sarà risultato molesto - e con il suo popolo insegnandogli questa dimensione essenziale della fede. Prima di tutto quindi bisogna riconoscersi peccatori per poter avere pazienza con gli altri:

“Viene quindi spontanea una prima domanda: ma facciamo mai l’esame di coscienza per vedere se anche noi, a volte, possiamo risultare molesti agli altri? È facile puntare il dito contro i difetti e le mancanze altrui, ma dobbiamo imparare a metterci nei panni degli altri”.

Accompagnare nella ricerca dell’essenziale, non a invidia e ambizione
Gesù ha dovuto avere pazienza molte volte. Il Papa fa riferimento all’episodio in cui la madre di Giacomo e Giovanni gli chiede che i suoi figli siedano uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Gesù prende spunto da quella situazione per dare un insegnamento: “andare all’essenziale”. Da qualcosa di negativo, scaturisce dunque un messaggio positivo:

“Pensiamo al grande impegno che si può mettere quando aiutiamo le persone a crescere nella fede e nella vita. Penso, ad esempio, ai catechisti – tra i quali ci sono tante mamme e tante religiose – che dedicano tempo per insegnare ai ragazzi gli elementi basilari della fede. Quanta fatica, soprattutto quando i ragazzi preferirebbero giocare piuttosto che ascoltare il catechismo!”.

“Accompagnare nella ricerca dell’essenziale è bello e importante”, dice Francesco, perché ci fa “gustare il senso della vita”: spesso ci sono persone che si soffermano su cose effimere proprio perché non hanno incontrato qualcuno che le stimolasse a cercare “i veri tesori”:

“Insegnare a guardare all’essenziale è un aiuto determinante, specialmente in un tempo come il nostro che sembra aver perso l’orientamento e inseguire soddisfazioni di corto respiro. Insegnare a scoprire che cosa il Signore vuole da noi e come possiamo corrispondervi significa mettere sulla strada per crescere nella propria vocazione, la strada della vera gioia”.

Gesù quindi insegna a non cadere nelle tentazioni sempre in agguato “anche tra noi cristiani”, come invidia e ambizione. E l’esigenza di consigliare non è per sentirsi superiori ma “ci obbliga – afferma – a rientrare in noi stessi per verificare se siamo coerenti con quanto chiediamo agli altri”.

Si sta per chiudere la Porta Santa ma non si chiude il cuore misericoridoso di Dio
Infine, nei saluti ai pellegrini polacchi presenti in Piazza San Pietro, il pensiero del Papa va alla ormai prossima chiusura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia:

“Non si chiude però il cuore misericordioso di Dio, non si spegne la sua tenerezza per noi peccatori, non cessano di scaturire i fiumi della sua grazia. Allo stesso modo non si possono mai chiudere i nostri cuori e non possiamo smettere di compiere le nostre opere di misericordia verso i bisognosi. L’esperienza della misericordia di Dio che abbiamo vissuto in quest’Anno giubilare rimanga in voi come ispirazione alla carità per il prossimo”.

Francesco conclude dunque con l'eredità che lascia questo Anno Santo.

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Papa: comunità internazionale garantisca i diritti dei bambini

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Al termine dell’udienza generale il Papa ha ricordato che domenica prossima, 20 novembre, si celebrerà la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Queste le sue parole: 

“Faccio appello alla coscienza di tutti, istituzioni e famiglie, affinché i bambini siano sempre protetti e il loro benessere venga tutelato, perché non cadano mai in forme di schiavitù, reclutamento in gruppi armati e maltrattamenti. Auspico che la Comunità internazionale possa vigilare sulla loro vita, garantendo ad ogni bambino e bambina il diritto alla scuola e all’educazione, perché la loro crescita sia serena e guardino con fiducia al futuro”.

Rapporto Unicef 2016
Secondo il Rapporto Unicef 2016 sulla situazione dell’infanzia nel mondo, negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi nel salvare le vite dei bambini, riportandoli a scuola e aiutando le persone ad uscire dalla povertà. Il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni, dal 1990 a oggi, è più che dimezzato e in paesi come Etiopia, Liberia, Malawi e Niger il tasso è sceso di oltre due terzi.

Globalmente, il numero di decessi annui fra i bambini sotto i 5 anni per polmonite, diarrea, malaria, sepsi, pertosse, tetano, meningite, morbillo e AIDS è diminuito da 5,4 milioni nel 2000 a 2,5 milioni nel 2015.  I programmi di vaccinazione hanno ridotto di quasi l’80% i decessi per morbillo tra il 2000 e il 2014, salvando così circa 1,7 milioni di vite. E sempre rispetto al 1990, anche la mortalità materna è calata drasticamente (- 43%). In 129 Stati è stata raggiunta la pari opportunità nella scuola primaria e, globalmente, il numero delle persone che vivono in povertà estrema si è ridotto quasi della metà.

Tuttavia, se la comunità internazionale non si concentrerà sulla drammatica situazione dei bambini più svantaggiati, entro il 2030 (data conclusiva degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) 69 milioni di bambini sotto i 5 anni moriranno per cause prevalentemente prevenibili, 167 milioni di bambini vivranno in povertà, 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine e oltre 60 milioni di bambini in età da scuola primaria saranno esclusi dalla scuola.

Le situazioni più tragiche si trovano nell’Africa Subsahariana. Inoltre, le emergenze umanitarie e le crisi perduranti in 35 Stati hanno costretto almeno 75 milioni di bambini tra i 3 e i 18 anni di età a interrompere il ciclo dell'istruzione. 17 milioni di loro sono rifugiati, sfollati o appartenenti a categorie a rischio.

In particolare, nei paesi in guerra, conflitto, le bambine soffrono una probabilità 2,5 volte superiore di dover abbandonare la scuola rispetto alle coetanee che vivono in ambienti pacifici. Nel 2014 in Nigeria, il gruppo armato Boko Haram ha rapito centinaia di donne e ragazze. Tra il 2012 e il 2014, il gruppo ha ucciso 314 bambini nelle scuole della Nigeria nord-orientale. Dall’inizio della rivolta alla fine del 2015, più di 600 insegnanti hanno perso la vita e più di 1.200 scuole sono state danneggiate o distrutte. Docenti e alunni sono stati rapiti, feriti o uccisi anche nello Yemen, in Siria e in molti altri paesi. Solo nel 2014, sono avvenuti 163 attacchi contro scuole in Afghanistan, 9 contro le istituti nella Repubblica Centrafricana e 67 contro le scuole in Iraq.

Secondo Anthony Lake, direttore dell’Unicef, “oggi siamo di fronte a un bivio: o investiamo per questi bambini adesso, oppure contribuiremo a rendere il nostro mondo ancora più diseguale e diviso”.

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Papa: Vigili del Fuoco e restauratori del Vaticano per la Valnerina

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“Ricordiamo con particolare affetto le vittime del recente terremoto nel Centro Italia: preghiamo per loro e per i familiari e continuiamo ad essere solidali con quanti hanno subito dei danni”. Così il Papa all’udienza, salutando i pellegrini italiani. Un ricordo, quello di Francesco, che si fa attenzione concreta nell’invio nelle zone della Valnerina, di una squadra di Vigili del Fuoco del Vaticano. “Siamo infinitamente riconoscenti al Papa”, ha commentato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, “per questo ulteriore gesto di vicinanza che è per tutti motivo di grande speranza”. Inoltre, Francesco mette a disposizione una squadra di restauratori dei Musei Vaticani perché s’impegni, gratuitamente, a riportare le opere d’arte lesionate al loro antico splendore. A coordinare il lavoro dei vigili vaticani, diretti al recupero di bene artistici all’interno delle chiese crollate e all’accompagnamento delle persone per il prelievo di oggetti personali nelle abitazioni lesionate, è l’ingegner Paolo De Angelis. Adriana Masotti lo ha intervistato: 

R. – Siamo partiti lunedì, siamo partiti con un mezzo poli-soccorso, attrezzato per questi tipi di interventi. La squadra che è su è composta da cinque persone e opera in stretto contatto con il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco italiano e con le alte forze di polizia, specialmente i nuclei di polizia che si occupano di beni artistici. Infatti sono stati fatti degli interventi all’interno di alcune chiese o alcuni conventi.

D. – Interventi di che tipo?

R. – Gli interventi sono di recupero beni. Quindi nella zona rossa, una volta nelle case, i Vigili del Fuoco ne verificano l’agibilità e recuperano quello che si può recuperare. Nel caso di monumenti tipo le chiese, l’intervento è un po’ più complesso, perché si opera in collaborazione con le altre forze dell’ordine e si recuperano i beni artistici che poi vengono catalogati e mandati al restauro, nel caso ce ne fosse bisogno.

D. – La scelta delle persone di questa squadra è stata fatta su base volontaria? Come sono partiti, questi uomini?

R. – Lo stato d’animo degli uomini è stato quello di estrema accoglienza di questa proposta: non è stato fatto su base volontaria, però è una cosa che ci gratifica profondamente.

D. – E’ arrivata una richiesta da parte del Papa stesso o siete voi che avete chiesto la possibilità di andare?

R. – No, questa è la volontà del Santo Padre che, appunto, ha voluto far sentire la vicinanza a queste popolazioni.

D. – Quando il Papa è andato a visitare le zone terremotate, ha avuto delle espressioni, dei gesti molto affettuosi e di grande attenzione proprio verso i Vigili del Fuoco che allora erano lì, accanto a lui. Ha detto di pregare per loro, per il loro lavoro, perché sono persone pronte a sacrificare se stesse, e perché salvano vite …

R. – Sì: in questi momenti di emergenza, poi, il Vigile del Fuoco diventa una persona che sta sulla frontiera. E’ una persona che si espone in primis perché ancora i rischi in certe zone sono alti, specialmente entrando in alcune strutture fortemente lesionate dal sisma. Noi facciamo questo mestiere con uno spirito in più, e questa attenzione ci gratifica profondamente. Quello di cui siamo consapevoli è di poter dare anche noi il nostro piccolo aiuto e soprattutto di portare la parola del Santo Padre. E questa è una cosa che ci fa profondamente piacere.

D.- Penso che quando le persone , sul posto, sapranno che un Vigile arriva dal Vaticano e che è mandato dal Papa, sentirà questa vicinanza del Papa stesso …

R. – Certamente, anche perché in quella veste abbiamo anche l’abito degli ambasciatori …

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Papa ai vescovi Usa: chiamati ad abbattere muri e costruire ponti

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A una settimana dalle elezioni americane, i vescovi statunitensi in apertura della loro Assemblea generale a Baltimora hanno chiesto alla nuova amministrazione Trump di adottare politiche umane nei confronti di immigrati e rifugiati e ieri sera in un video-messaggio, Papa Francesco ha invitato la Chiesa americana a creare una cultura dell’incontro, “che incoraggi gli individui e i gruppi a condividere la ricchezza delle loro tradizioni ed esperienze, ad abbattere muri e a costruire ponti”. Il servizio di Roberto Piermarini

"The Church in America, as elsewhere, is called…
La Chiesa in America, come altrove - afferma il Papa - è chiamata ad 'uscire' dal suo ambiente sicuro e ad essere un fermento di comunione. Comunione tra noi, con gli altri cristiani e con tutti coloro che cercano un futuro di speranza".

Ricordando il suo viaggio negli Stati Uniti, Papa Francesco sottolinea di essere "rimasto impressionato dalla vitalità e dalla diversità della comunità cattolica. Durante tutta la sua storia, la Chiesa nel vostro Paese ha accolto e integrato nuove ondate di immigrati. Nella ricca varietà delle loro lingue e tradizioni culturali, essi hanno forgiato il volto mutevole della Chiesa americana".

"The Christian community is meant to be a sign and prophecy of God’s plan...
La comunità cristiana - ha detto ancora Papa Francesco - deve essere segno e profezia del piano di Dio per l'intera famiglia umana. Siamo chiamati ad essere portatori di buone notizie per una società attanagliata da sconcertanti cambiamenti sociali, culturali e spirituali e da una crescente polarizzazione".

"In modo particolare, vi chiedo di considerare come le vostre Chiese locali possono rispondere al meglio alla crescente presenza, ai doni e al potenziale della comunità ispanica. Tenendo conto del contributo che la comunità ispanica dà alla vita della nazione, prego perché l'Encuentro - ha detto il Papa riferendosi al prossimo evento pastorale dei fedeli ispanici negli Usa che in molte diocesi rappresentano una maggioranza - rechi frutto per il rinnovamento della società americana e per l'apostolato della Chiesa negli Stati Uniti".

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Papa al Convegno Unesco e Focolari: "reinventare" la pace

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“Sviluppare i mezzi efficaci per ‘reinventare’ una pace che sia frutto di uno sviluppo integrale di tutti e di una presa di coscienza effettiva di una comunità universale fondata sul rispetto, l’ascolto, l’attenzione ai bisogni di ciascuno, la giustizia, il dialogo e la condivisione”. E’ l’invito che il Papa rivolge, in un messaggio reso noto ieri, ai partecipanti alla manifestazione, che si è tenuta a Parigi sul tema “Reinventare la pace – educare a un umanesimo fondato sull’unità della famiglia umana” organizzato all’Unesco in occasione del 20.mo anniversario della consegna del Premio “Per l’educazione alla pace” attribuito a Chiara Lubich.

Francesco sottolinea che “il Movimento dei Focolari, creato da Chiara Lubich, non ha cessato di operare, insieme certamente ad altre associazioni e in collaborazione con l’Unesco”, per la pace e l’amicizia fra i popoli e fra i membri delle diverse religioni. Il Papa auspica che questa iniziativa prosegua il lavoro di educazione alla pace per il quale Chiara Lubich si è impegnata con perseveranza e possa portare frutti.

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Nomine episcopali in Brasile

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Nomine episcopali di Papa Francesco in Brasile (Bollettino della Sala Stampa vaticana).

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Cism. Mons. Carballo: non è la crisi dei numeri ma della fede

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“Fuoco che accende altri fuochi”. È la missione a cui è chiamata la vita religiosa secondo mons. José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica , intervenuto oggi alla 56ª Assemblea generale della Cism (Conferenza italiana Superiori maggiori) in corso a Rimini. Per mons. Carballo - riferisce l'agenzia Sir - “è la dimensione profetica che non può mancare” e “ci vogliono Provinciali svegli che sappiano accogliere le sfide, uomini di fede”. 

Il futuro dei consacrati ci sarà “se sapranno cogliere le sfide attuali
“Non è la crisi dei numeri ma della fede che deve interpellarci” ha aggiunto. Tre le tentazioni principali da evitare: la tendenza all’autoreferenzialità, la lotta per la semplice sopravvivenza “importando magari forze da altri Paesi per mantenere aperte strutture”, l’attitudine a “mettere vino nuovo in otri vecchi” ovvero il carisma in strutture non più rispondenti ai reali bisogni. Il futuro dei consacrati ci sarà “se sapranno cogliere le sfide attuali”, ha precisato il segretario citando Benedetto XVI. È necessario, inoltre, il coraggio di “chiamare le cose per nome”, distinguendo tra trasparenza e discrezione e “sapendo chiedere perdono, quando dobbiamo”. 

La sfida dei mass media e della pluriformità
Il futuro della vita consacrata sarà allora nel “rinvigorirsi forte di un’opzione preferenziale per i poveri, nella ristrutturazione per rivitalizzare, nel creare fraternità e generare speranza, nella riscoperta di una profonda umanità, che sappia ascoltare e permetta la libertà di coscienza, nella compassione e comunione, nel passaggio dal protagonismo allo spirito di servizio, nella condivisione del carisma con i laici, nel farsi carico della sfida che anche il mondo digitale pone”. (R.P.)

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Conferenza in Vaticano su leader d'impresa per economia inclusiva

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“I leader d’impresa, agenti di inclusione economica e sociale”, questo il tema del Simposio internazionale, che sarà ospitato domani e venerdì in Vaticano, promosso dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, insieme alla Conferenza internazionale delle Associazioni di imprenditori cristiani (Uniapac), presente in una quarantina di Paesi. 500 gli ospiti attesi da tutto il mondo. A presentare i lavori alla stampa, sono stati stamane mons. Silvano Maria Tomasi, segretario del dicastero promotore e José Maria Simone, presidente di Uniapac. Il servizio di Roberta Gisotti

Un’economia più inclusiva: se ne era già parlato in Vaticano in un Incontro incentrato sul Bene comune globale, nel luglio 2014. Questa Conferenza è frutto anche di quel dibattito, che va avanti, ha spiegato mons. Silvano Tomasi:

R. – La ricerca del bene comune nell’economia è uno dei temi fondamentali degli interventi di Papa Francesco: vuole un’economia che rispetti la dignità di tutte le persone che si focalizzi non sul bene di alcuni, che accumulano molta ricchezza mentre la maggioranza viene lasciata da parte, ma che il bene comune venga rispettato, nella soluzione e nella ricerca di nuove attività economiche, nel tentativo di uscire dalla crisi che da qualche anno tocca l’economia mondiale, che sta facendo fatica a passare da un’economia di finanza a un’economia reale. In questa maniera, direi che sono due le tradizioni che convergono: quella che il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha portato avanti in questi anni e soprattutto l’insegnamento innovativo di Papa Francesco che parla di un’economia di mercato sociale, cioè con regole che equilibrino il giusto guadagno con il bene di tutte le persone coinvolte: dei datori di lavori, dei capi d’industria e degli operai e degli impiegati che devono vivere una vita decente.

D. – E’ importante che la Chiesa, con la sua autorevolezza, entri in questo dibattito con i giganti della finanza, i giganti dell’economia digitale …

R. – Per questa ragione la Chiesa pone un forte accento sul dialogo tra datori di lavoro e lavoratori nelle varie categorie e situazioni, in modo che non ci sia un confronto antagonista o violento ma un dialogo che porti all’incremento del benessere per tutti. Su questa strada si può costruire un futuro di pace, perché se c’è una situazione economica sostanzialmente positiva, che porti del bene a tutti, ne viene anche una conseguenza sociale per la pace e la convivenza; in questa maniera creiamo veramente un futuro più sano.

Viviamo tempi in cui i poteri della finanza e della tecnologia digitale dettano in massima parte l’agenda delle attività umane, a frutto di un numero sempre più ristretto di ricchissimi. Ma i leader d’impresa possono fare la differenza, ha sottolineato José Maria Simone:

R. – “Evangelii Gaudium and “Laudato si” are very clear…..
La “Evangelii Gaudium” e la “Laudato si’” sono molto chiare sugli obiettivi di cui dobbiamo avere chiara coscienza, sulle necessità che le persone hanno oggi. Ma il Papa afferma anche che quella dell’imprenditore è una vocazione nobile. Quindi se noi guardiamo all’esclusione che si è creata – in tutti i sensi, a prescindere dalle sue origini: sempre si tratta di esclusione – l’evoluzione dell’economia non è stata capace di gestire questa esclusione, perché non l’ha considerata. Questo da un lato. E dall’altro, quando sappiamo che la nostra è una “vocazione nobile”, non possiamo non sentirci coinvolti nell’obiettivo di tentare di mettere d’accordo questi due aspetti. In quanto imprenditori, infatti, siamo molto pragmatici, ma siamo molto deboli sul fronte sociale. Dobbiamo quindi imparare come trasformare i nostri punti di vista e prendere maggiormente in considerazione l’impatto che produciamo sulla società, quando prendiamo decisioni.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nei panni degli altri: all'udienza generale sulle opere di misericordia il Papa chiede di non puntare il dito contro le persone moleste.

Fermento di comunione: videomessaggio del Pontefice all'assemblea generale dei vescovi statunitensi.

Per rispondere a un mondo che cambia: Stefano Girola a colloquio con l'arcivescovo John Ribat che sarà il primo cardinale della Papua Nuova Guinea.

Da Dante a 2.0: Alfonso Berardinelli sulla crisi dell'umanesimo occidentale.

Edoardo Zaccagnini sul film "La classe degli asini".

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Oggi in Primo Piano



Mons. Zenari: non bombardate la speranza del popolo siriano

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“Fermate la violenza non uccidete, non bombardate la speranza delle persone”. E’ l’appello lanciato ai nostri microfoni da mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che sabato riceverà dal Papa la berretta cardinalizia. Il giorno dopo vivrà in Piazza San Pietro la chiusura del Giubileo. Su questi due importanti eventi e in relazione alla guerra in Siria ascoltiamo lo stesso mons. Zenari intervistato da Massimiliano Menichetti: 

R. – La porpora per un cardinale vuol dire sangue, essere disposto, pronto a dare il sangue per la fedeltà a Cristo e la difesa della Chiesa, ma appena ho appreso della decisione del Papa ho pensato alla Siria: questa porpora ha il sangue di tante persone, soprattutto bambini. E quindi, ecco, porterò tutte queste persone, questa sofferenza con me sabato e poi domenica in Piazza San Pietro …  Sono otto anni che vengo Siria alla Tomba di San Pietro – adesso sabato e domenica – e ogni volta scelgo la veste più adatta, oppure il clergyman, ma le scarpe sono le più usuali perché dico: lì sotto sarà sicuramente, anche se una parte infinitesimale, sangue innocente che ho calpestato. Ad esempio ricordo il balconcino dove due fratellini, in un quartiere molto molto popolare di Damasco – uno di quattro anni e uno di nove – aspettavano la loro mamma e un proiettile di mortaio li ha colpiti: sono morti sul colpo. Probabilmente, sotto le suole delle mie scarpe c’è qualche parte infinitesimale di questo sangue. Ricordo qualche mese fa, ancora, ad Aleppo: mi hanno chiamato perché era caduto un altro proiettile di mortaio in una casa per anziani tenuta da una congregazione religiosa. Sono arrivato lì, in fretta, accompagnato dal vescovo; siamo entrati in questa sala dove c’era sangue sparso in terra, perché il colpo aveva centrato in pieno un’anziana signora. Ecco: allora, quando vengo in San Pietro scelgo le scarpe che indosso sempre per dire: porto questa sofferenza, questo sangue davanti alla Tomba di San Pietro. E mi sembra che San Pietro a volte mi dica: “Ma caro nunzio, cosa semini qua davanti alla mia tomba?” – e io dico: “San Pietro, è il sangue dei nostri cristiani, della gente che hai conosciuto. Fai qualcosa, per questa povera gente …”.

D. – Lei domenica sarà alla cerimonia conclusiva dell’Anno giubilare della Misericordia. Nel contesto che ha appena descritto, che significato ha, questa parola?

R. – Credo che là, in Siria, proprio non si possa parlare di chiusura di Anno della Misericordia. Il luogo dove la misericordia corporale e spirituale era a 360° - ed è ancora – io lo vedo in Siria: 13 milioni e mezzo, circa, che hanno bisogno su 23 milioni di abitanti che contava il Paese prima del conflitto; se pensiamo ai cinque milioni ai quali è difficile fare arrivare gli aiuti perché si trovano tra fuochi incrociati; altre migliaia di persone che sono assediate; alcuni arrivano a parlare di due milioni di feriti e tra questi diversi amputati: ho visto anche bambini, giovani … Si parla di quattro milioni e mezzo di rifugiati … se pensiamo agli sfollati interni, che a volte sono sfollati più di una volta, perché fuggono da un bombardamento, si rifugiano in un’altra località, arriva ancora il conflitto e quindi … I circa sette milioni di sfollati interni … direi che la Siria è un campo di misericordia corporale e spirituale a tutto campo … Dar da mangiare a questi 13 milioni di persone … dar da bere agli assetati: un grosso problema è l’acqua potabile. Sono state distrutte condutture, tante malattie vengono anche perché l’acqua che arriva non è più potabile … Curare gli infermi, i malati: si arriva a dire due milioni di feriti … Seppellire i morti: in Europa si telefona a un’agenzia e si fa il funerale. In Siria ci sono persone, preti, che hanno rischiato la vita per andare a raccogliere sulla strada dei cadaveri sotto il tiro dei cecchini! E quindi, seppellire i morti: si parla di 400 mila morti … E poi, perdonare le offese. Ecco, io dico sempre: i danni che si vedono all’esterno sono gravi. Gravissimi. Però, quello che non si vede, i danni più grossi, sono le bombe che sono entrate negli animi, nel cuore di tanti giovani, di tanti bambini che hanno visto questa violenza … Domani, con i soldi si ricostruiranno, in qualche anno, questi palazzi, le infrastrutture; ma come rifare il cuore, gli animi di questi bambini, che portano queste ferite profonde? Sarà una sfida per tutte le religioni presenti in Siria, questa ricostruzione degli animi!

D. – Sul fronte politico internazionale, il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si insedierà il 20 gennaio prossimo. Si parla già da ora di rapporti diversi con la Russia, con il presidente siriano Assad … Secondo lei, cosa si profila?

R. – E’ difficile prevedere … C’è sempre il solito detto: “Wait and see”. Speriamo … Ho visto questo conflitto che nel giro di questi quasi sei anni, purtroppo è andato evolvendosi in una maniera sempre peggiore, imprevista. Però, si può sempre incominciare una strada, rifare il cammino … Io vorrei ricordare – pochi lo menzionano – in tutte queste cose che sono andate malissimo, che c’è stata una cosa che ha quasi del miracoloso: nel settembre 2013 c’è stata quell’iniziativa molto bella di preghiera e di digiuno lanciata da Papa Francesco. Eravamo, in Siria, in un momento molto, molto difficile: poteva capitare di tutto da un momento all’altro. Con l’aiuto della preghiera e con la coscienza che si è cercato di risvegliare in tutto il mondo, c’è stato – nelle settimane successive – lo smantellamento di un grosso arsenale chimico. Lì, bisogna dire che c’è stata la convergenza tra Stati Uniti e Russia. Certamente questo – bisogna anche dire – è avvenuto prima della crisi della Crimea, prima della crisi dell’Ucraina. Ma le preghiere che sono state fatte in tutto il mondo, il digiuno, questa convergenza – nel 2013 – tra Stati Uniti e Russia, hanno fatto sì che si sbloccasse questo grosso problema dell’arsenale chimico. Quindi, visto questo vento positivo, potrebbe anche ripetersi questa strada …

D. – Il Papa tante volte ha ribadito: è un abominio utilizzare le religioni per muovere le guerre, schiacciare gli altri. Cosa possono fare, secondo lei, le religioni, nel contesto siriano?

R. – In Siria, nella maggioranza sono musulmani; è un Islam moderato e c’è stato finora un buon mosaico di convivenze tra i diversi gruppi etnico-religiosi e una buona convivenza, convivialità. Certamente questi cinque anni e mezzo e più di guerra hanno creato delle fessure in questo mosaico, ma credo che con buona volontà si possa riparare. E credo che in questo Islam moderato le frange estremiste siano messe al bando, e questo Islam moderato con l’apporto dei Cristiani, possa far fronte, tener lontana la minaccia di usare la religione per uccidere.

D. – Qual è il suo appello attraverso la Radio Vaticana?

R. – L’appello è quello che ripete sempre il Papa: cessate la violenza, aprite le strade agli aiuti umanitari, non uccidete … Non bombardate la speranza!

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Indonesia: governatore cristiano di Giacarta accusato di blasfemia

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La polizia indonesiana ha formalmente indagato il governatore di Giacarta, cristiano e di etnia cinese, per blasfemia. La decisione è stata presa dopo le manifestazioni dei gruppi islamisti che si oppongono alla sua rielezione nel voto del prossimo febbraio. Il servizio di Sergio Centofanti

E’ un politico molto amato, anche dai musulmani dell’Indonesia, il Paese in cui vive la più popolosa comunità islamica al mondo: circa 220 milioni di fedeli. Si chiama Basuki Tjahaja Purnama, è chiamato Ahok, parla chiaro e semplice, arriva dritto al cuore della gente. Ma è cristiano e non piace agli estremisti. E’ stato accusato di aver insultato l'Islam in un discorso in cui ha citato un verso del Corano utilizzato dai fondamentalisti: secondo la loro interpretazione vieterebbe di votare un non musulmano.

Il governatore non è agli arresti, è solo indagato e non potrà recarsi all’estero. Ora dovrà affrontare le aule del tribunale. Si proclama innocente, accusa i suoi accusatori di aver manipolato le sue parole, ma ha dovuto comunque scusarsi. Il 4 novembre scorso oltre 100 mila islamisti hanno manifestato a Giacarta per chiedere le sue dimissioni e l’avvio del processo. La manifestazione è degenerata in violenti scontri con la polizia. Il governatore, appoggiato dai musulmani moderati, ha detto che si presenterà alle elezioni di febbraio nonostante l’inchiesta, invitando i suoi sostenitori a non lasciarsi intimidire dalla piazza.

La Costituzione dell'Indonesia tutela la libertà di culto e il Paese ha un’antica tradizione di tolleranza ma l’estremismo è in crescita così come gli episodi di violenza. Nei giorni scorsi una bomba è esplosa davanti ad una chiesa cristiana nel Paese provocando la morte di una bambina.

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Myanmar: accorato appello di pace dei leader religiosi

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E' la pace il bene supremo per tutti i cittadini e per tutte le comunità del Myanmar: lo afferma un accorato appello ai leader politici e militari lanciato da un gruppo di leader religiosi birmani, tra i quali il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon. Nel testo dell'appello, inviato all'agenzia Fides dallo stesso cardinale, si afferma: "Noi, rappresentanti di tutte le religioni che vivono in Myanmar rivolgiamo un appello ai leader politici, ai leader militari e ai gruppi armati, perché cerchino la via della riconciliazione e la pace come bene comune di tutta la popolazione".

Preoccupazione per gli scontri etnici con l'esercito governativo
I leader religiosi sono preoccupati per i nuovi scontri nel conflitto civile tra i gruppi armati delle minoranze etniche e l’esercito birmano registratisi negli Stati di Kachin e Karen, nonchè per le nuove violenze religiose sulla minoranza musulmana dei rohingya nello Stato di Arakan, esplose proprio dopo la conferenza nazionale sulle minoranze etniche organizzata in settembre dal governo birmano.

Nel testo dell'appello gli elementi di speranza 
"La democrazia è agli albori. Abbiamo avuto una nuova conferenza di Panglong con la partecipazione di tutti i gruppi delle minoranze. Il nostro Paese è corteggiato dal mondo. Milioni di turisti arrivano ogni anno per visitare questa nazione. Abbiamo avuto elezioni pacifiche, abbiamo un Parlamento legittimo. Il Presidente Daw Su guida la nazione con fiducia e saggezza. I nostri sogni stanno lentamente diventando realtà. Apprezziamo profondamente tutti coloro che hanno lavorato per questo".

Gli aspetti negativi
"L'incubo della guerra continua. Più di 200.000 sono gli sfollati interni. A vecchi conflitti se ne aggiungono di nuovi. Con la presenza dei profughi prolifera il traffico di esseri umani, il fenomeno della droga e la violenza rischia di esplodere nelle comunità. I conflitti interni hanno provocato sofferenze croniche a migliaia di persone, scoraggiando lo sviluppo umano e provocando maggiore animosità".

Esplorare una politica comune di risoluzione dei conflitti
I leader religiosi ricordano che nel 1947 il generale Aung San, Primo ministro del primo governo della nazione, “ebbe l'accortezza di coinvolgere tutti nel dialogo, esplorando prima i fattori di accordo e lasciando le questioni controverse in seguito. Aung San favorì una soluzione federale". Il testo prosegue: "Ci appelliamo a tutti voi, leader politici della Lega Nazionale per la Democrazia, capi militari, leader di gruppi armati, partiti politici etnici e gruppi della società civile, per esplorare una politica comune di risoluzione dei conflitti. Facciamo appello a tutti i leader religiosi perché siano strumento di pace. Il Myanmar ha bisogno di una sola religione oggi: che è la pace, è la nostra religione comune". "Siamo fratelli e sorelle. Urge fermare le guerre e costruire la pace e la giustizia per tutti" conclude. (P.A.)

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L'Ue rimprovera l'Italia. Renzi: no ad austerity suicida

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L’Italia e altri cinque Paesi dell’Unione Europea rischiano di non rispettare le regole del Patto di stabilità nel 2017. Questo il giudizio della Commissione Europea sul quale si pronuncerà l’Eurogruppo il prossimo cinque dicembre. Per l’Italia, spiega il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, un’ampia parte delle spese in eccesso “è legata ai costi associati al terremoto e alla gestione dei flussi migratori” e di questo sarà tenuto conto. Proprio la richiesta di maggiori investimenti su questi settori è stata alla base, ieri a Bruxelles, del no dell’Italia alla revisione del bilancio europeo. Il premier Renzi dice basta all'austerity suicida e annuncia la decontribuzione totale per chi assume al Sud. Dalla Grecia un messaggio all’Europa ad abbandonare l’austerità è arrivato anche da Barack Obama, che ha incontrato il premier greco Tsipras nel corso delle sue ultime visite da presidente. Per un commento ascoltiamo Alberto Quadrio Curzio, economista e presidente dell’Accademia dei Lincei, al microfono di Michele Raviart

R. – Il messaggio è molto chiaro, perché gli Stati Uniti dopo aver determinato la grande crisi hanno scelto una duplice strategia economica: da un lato, con una forte politica monetaria per facilitare l’afflusso di moneta al sistema produttivo, hanno salvato parecchie banche; ma dall’altro lato hanno messo ben presto in atto una politica di espansione fiscale attraverso investimenti pubblici, il supporto di alcune imprese industriali in difficoltà. L’Europa ha fatto solamente una scelta, quella di un forte irrigidimento dei vincoli di bilancio; successivamente, ancora, è intervenuta la politica monetaria che di giorno in giorno si è allargata ma che non ha fatto praticamente nulla sul lato della politica fiscale per stimolare, spingere gli investimenti e quindi la crescita economica. Quindi la differenza è notevole. Noi in Europa, più o meno, siamo usciti dalla crisi nel 2013; gli Stati Uniti, invece, erano già usciti nel 2010.

D. - Le parole di Obama arrivano a mandato finito e con Trump che ha appena vinto le elezioni. Questo, è un messaggio anche alla nuova amministrazione?

R. - Per ora le dichiarazioni del neopresidente non mi sembrano particolarmente interpretabili; quindi bisognerà aspettare, anche se bisogna tener conto che la situazione americana è profondamente cambiata dopo la crisi del 2009.

D. - Intanto l’Unione Europea in questi giorni ha avviato la procedura per l’approvazione delle modifiche di bilancio fino al 2020. L’Italia ha votato “No”. Che cosa significa questa presa di posizione?

R. - La richiesta dell’Italia è fondata: investimenti, problema dei migranti, ricerca, occupazione dei giovani … Sono tutti valori in sé e valori anche di natura economica. Detto questo, il bilancio comunitario, il quadro finanziario poliennale, è piuttosto rigido. Bisognerà vedere come si riesce a modificare. Il principio che Renzi afferma, cioè che chi non accetta le regole comuni di solidarietà non può poi beneficiare di sostegni marcati, mi pare un principio condivisibile. Esiste una solidarietà europea, i migranti vengono ripartiti per quote; queste quote devono essere in qualche modo accettate dai Paesi partecipanti.

D. - La Commissione europea ha affermato che sei Paesi tra cui l’Italia non hanno rispettato le regole di bilancio. Questi parametri possono ancora garantire l’Europa o c’è bisogno di una modifica?

R. - C’è bisogno di una modifica perché non basta fare un’analisi accuratissima, rigorosa, prescrittiva e in taluni casi con meccanismi eventualmente punitivi dal punto di vista monetario; ci vuole anche una strategia di sviluppo economico. L’Europa su questo devo dire che riflette, elabora, ma non giunge ad una conclusione soddisfacente. Non è possibile pensare ad una situazione in cui si usa solo parte della strumentazione di politica economica, la politica di rigore di bilancio e la politica monetaria, ma non c’è una vera e propria politica di sviluppo.

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Marazziti: grati a Francesco, non c'è pena giusta senza speranza

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Si è svolto oggi alla Camera dei Deputati l’incontro organizzato dal Cortile dei Gentili dal titolo “Pena e speranza. Carceri, riabilitazione, esecuzione della pena, riforme possibili”. Deputati e senatori, assieme alla Comunità di Sant’Egidio e a testimoni ed esperti, hanno formulato proposte e suggerimenti su reinserimento e riabilitazione dei detenuti nella società, raccogliendo l’invito fatto da Papa Francesco durante il Giubileo dei Carcerati. Ma in che stato versano le carceri italiane? Francesco Gnagni ne ha parlato con uno dei relatori dell’incontro, l’on. Mario Marazziti, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera: 

R. – Stiamo tornando alla fisiologia, perché eravamo a 64mila detenuti con 46mila posti solo tre anni fa. Oggi, con l’azione del parlamento e del governo, siamo a 54mila persone con 50mila posti; ma c’è moltissimo da fare perché il diritto alla salute non è sicuramente garantito in maniera uguale, paritaria, rispetto a quello degli altri italiani e perché in realtà all’interno del carcere troviamo condizioni di ozio forzato per circa 40mila persone, in quanto le misure alternative e il lavoro in carcere riguardano ancora una minoranza. Ci sono poi due problemi giganteschi. Per rispondere all’appello di Papa Francesco - per una pena capace sempre di dare speranza – uno dei due problemi riguarda la presenza di 1500 persone circa condannate ad un ergastolo senza speranza di benefici, quindi un "fine pena mai"; l’altro problema è quello di immaginare di nuovo l’intera esecuzione della pena come un’occasione di comprensione del problema all’interno di una logica di giustizia riparatrice e come una possibilità di ricominciare a imparare a reinserirsi nella società.

D. - Il ministro Orlando, alcune settimane fa, ha espresso dubbi sulla possibilità di un’amnistia. Quali sono invece secondo lei nell’immediato le prime riforme possibili sul tema?

R. - Ho presentato un progetto di legge per l’amnistia-indulto che riguarda solo i reati di minore allarme sociale, ma che introduce un concetto che, se ascoltato, potrebbe sbloccare la situazione. C'è il fatto che l’amnistia da molti è temuta perché aprirebbe ad un principio della non certezza della pena, cioè dello sconto imprevisto, effetto indesiderato. Ma prima di tutto bisogna ricordare che da moltissimi anni non c’è un’amnistia e che l’amnistia in un carcere che ritrova la sua fisiologia - quindi l’amnistia non più solo come strumento temporaneo “svuota carceri”, come è stato in passato - diventerebbe uno strumento anticipato di esecuzione della pena già con il reinserimento sociale accompagnato. Quindi un elemento di maggiore sicurezza per il Paese e un elemento di inizio di un sistema carcerario non più disfunzionale come quello che fino ad oggi produce due recidivi su tre tra chi sconta la pena.

D. - L’invito che il Santo Padre ha fatto celebrando il Giubileo dei carcerati, dal suo punto di vista, è riuscito a scuotere la politica italiana?

R. - Sono molto grato a Papa Francesco, prima di tutto perché parla al cuore di tutti noi. Quando lui dice: “Ogni volta che entro in un carcere, mi chiedo sempre: perché lui e non io?”, si apre ad un mondo che non è bianco e nero, dove ognuno di noi fa i conti con se stesso, dove l’altro non è un mostro. È  un mistero all’interno del quale dobbiamo entrare. Poi ci ha ricordato che non esiste pena giusta che non contiene in sé la possibilità di riabilitazione e l’obiettivo della riabilitazione, quindi la speranza. Credo che questo sia già un grande regalo al mondo, all’Italia e ai politici italiani, ma penso che dobbiamo fare quello che oggi ci siamo detti in questo incontro con il cardinale Ravasi e con il Cortile del Gentili. C’è chi sta ascoltando l’appello del Papa: oggi 787 condannati a Cuba hanno visto cancellata la loro sentenza da un provvedimento di clemenza e amnistia, più di duemila condannati a morte in Kenya, due settimane fa, hanno visto commutata la loro sentenza in pena detentiva. Ci sono altri che stanno ascoltando prima di noi: dobbiamo affiancarci a loro.

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Migranti: in 65 milioni costretti a fuggire dai loro Paesi

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Nel mondo sono 65 milioni i migranti forzati, di cui 24 milioni e mezzo sono rifugiati e richiedenti asilo. 4.899 sono le persone che hanno perso la vita per raggiungere l’Europa, di queste 3.654 nel Mediterraneo. In Europa sono state presentate circa un milione e 400 mila domande di protezione internazionale, un valore più che raddoppiato rispetto al 2015. Sono i dati riferiti alla fine dello scorso ottobre, contenuti nel Terzo Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2016, presentato oggi a Roma a cura di Anci, Caritas italiana, Cittalia e  Fondazione Migrantes. Francesca Sabatinelli

Fuggono dai 35 conflitti in corso e dalle 17 situazioni di crisi nel mondo. Scappano dalle disuguaglianze economiche, da quelle nell’accesso al cibo e all’acqua, dagli attentati terroristici. Degli oltre 65 milioni di migranti forzati nel mondo, il 51% sono minori, provenienti da Afghanistan Eritrea, Siria e Somalia, 98mila dei quali non accompagnati. Il 98% dei rifugiati arriva da Siria, Afghanistan Somalia Sud Sudan e Sudan, e si trova in Paesi in via di sviluppo, in testa la Turchia, seguita da Pakistan e Libano. A cercare la strada dell’Europa illegalmente sono state oltre un milione e ottocentomila persone, attraverso diverse rotte, soprattutto quella orientale del Mediterraneo e quella dei Balcani. In Italia alla fine di ottobre erano arrivate più persone che in tutto il 2015, per la maggior parte maschi. Mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei:

“Abbiamo assistito, quest’anno, a una crescita del numero degli sbarchi: siamo già a circa 160 mila alla fine di ottobre, rispetto ai 154 mila dello scorso anno, e probabilmente raggiungeremo e supereremo i 170 mila del 2014. E’ chiaro che una politica di esternalizzazione alla Turchia dei richiedenti asilo e rifugiati che viaggiavano verso l’Egeo, ha portato a una crescita di sbarchi, come era prevedibile, soprattutto sulle coste italiane; e l’Italia sta accogliendo uno su tre delle persone che sono sbarcate”.

In tutto il territorio italiano risultano ad oggi 170mila persone. In tre anni – sottolinea il rapporto – è stata del 300% la crescita del numero delle accoglienze nelle strutture precarie straordinarie, mentre è aumentato del solo 20% il numero delle persone negli Sprar, ossia il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, una seconda accoglienza, finalizzata all’integrazione sociale ed economica. Ancora mons. Perego:

“L’accoglienza diffusa e non volontaria è la risposta a un’accoglienza che unisca anche la capacità di un servizio che sia non un servizio legato soltanto al Comune, ma che possa essere realizzato anche dalle parti sociali che vivono in quel comune, come associazioni e le cooperative, così come avviene per tutti gli altri servizi, che siano accreditate attraverso un tavolo territoriale e un piano di zona. Cioè, occorre far diventare strutturale questa esperienza di accoglienza che, lo sappiamo, non durerà soltanto pochi mesi ma sarà uno degli aspetti su cui ridisegnare le nostre città e i nostri comuni nel futuro”.

Ciò che appare evidente, nella lettura del rapporto, è che in Italia aumentano le domande di protezione internazionale, ma che diminuiscono gli esiti positivi. Un calo dovuto, spiegato dal Viminale, alla diminuzione dei siriani e al fatto che le richieste ad oggi arrivano soprattutto da cittadini di Nigeria, Pakistan Gambia, Senegal e Bangladesh. La raccomandazione del rapporto è soprattutto quella di arrivare ad una definitiva implementazione di un sistema unico di accoglienza, perché “più sarà l’inclusione, più sarà il volontariato, meno sarà lo sfruttamento”.

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Chiesa Venezuela: muoiono bambini per mancanza di farmaci e cibo

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Il direttore del Dipartimento della comunicazione della Conferenza episcopale del Venezuela (Cev), padre Pedro Pablo Aguilar, ha evidenziato che i venezuelani sono "sempre più poveri" perché il Paese è in uno stato di "crisi umanitaria".

Ogni giorno muoiono da uno a due bambini per malnutrizione
In un breve colloquio con la stampa, appena arrivato a Roma per accompagnare l'arcivescovo di Mérida, mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo, che riceverà la porpora cardinalizia nel Concistoro del 19 novembre, padre Aguilar ha riferito che "ogni giorno muoiono da uno a due bambini per la malnutrizione" e che "ogni fine settimana circa 200 persone vengono uccise in Venezuela", nel Paese mancano farmaci e cibo.

Premio Fao al Venezuela per aver dimezzato la povertà non corrisponde alla realtà
​A questo riguardo, ha commentato l’assegnazione del premio al Venezuela, l’anno scorso, da parte dell'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), per aver dimezzato la percentuale di persone che soffrono la fame. Un riconoscimento che, a suo avviso, non corrisponde alla realtà: "Al Venezuela hanno dato di recente un premio per aver contribuito a ridurre il tasso di povertà, quando invece accade il contrario, ma alcune persone hanno molto denaro e forse sono state capaci di comprare anche le coscienze" ha detto.

La difficoltà del dialogo in Venezuela
Padre Aguilar ha confermato quanto sia difficile il dialogo in Venezuela: "Purtroppo, se uno non è a favore del governo, allora diventa nemico. Non è facile capire, ma è necessaria una soluzione politica per risolvere la situazione" ha concluso. (C.E.)

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Convegno ecclesiale dell'Amazzonia: il punto sul lavoro missionario

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Con l'obiettivo di discutere la situazione politica, sociale, economica, culturale e religiosa della regione e il contributo della Chiesa cattolica per la promozione e la difesa della vita degli abitanti e della biodiversità dell'Amazzonia, si sta svolgendo il Convegno ecclesiale dell’Amazzonia. L’incontro, dal 14 al 16 novembre nella città di Belem, in pratica vuole fare un’analisi generale di come si sviluppa attualmente il lavoro missionario nella regione, ascolterà la testimonianza dei vescovi e, da lì, traccerà nuove prospettive da offrire in risposta alle nuove sfide.

Una missione iniziata 400 anni fa
Il lavoro missionario della Chiesa cattolica in Amazzonia è iniziato circa 400 anni fa, proprio dalla fondazione della città di Belem. "La Chiesa è sempre stata presente nella storia dell'Amazzonia per accompagnare le popolazioni nella storia e per contribuire ad illuminare la strada in questa storia" ha detto il card. Hummes, uno dei partecipanti all'incontro come presidente della Commissione episcopale speciale per l’Amazzonia della Chiesa brasiliana.

C’è ancora molto da fare nella regione
Il primo incontro ha avuto luogo a Manaus nel 2013 e alla fine della riunione è stata redatta e pubblicata una lettera di impegno. Il vescovo emerito di Xingu e presidente del Comitato brasiliano della Rete ecclesiale Pan-amazzonica (Repam), mons. Erwin Kräutler, spiega che c’è ancora molto da fare nella regione. "Il documento era una dichiarazione, dei consigli per tutte le diocesi e prelature per l'attuazione e il rafforzamento della Chiesa in Amazzonia. Ciò che conta è che le Chiese diventino consapevoli del fatto che dobbiamo tutti camminare nella stessa direzione, e vivere l'impegno per l'Amazzonia" ha detto mons. Erwin. (C.E.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 321

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.