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Sommario del 20/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa chiude Giubileo: Dio ci accoglie sempre con la sua Misericordia

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Nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo si chiude l’Anno Santo straordinario della Misericordia aperto dal Papa l’8 dicembre scorso. Francesco chiude la Porta Santa della Basilica di San Pietro, l’ultima ad essere chiusa nel mondo. Nell’omelia invita i fedeli a non distogliere lo sguardo dal vero volto del nostro Re e a costruire una Chiesa accogliente, libera, missionaria, povera ma ricca nell’amore. Il servizio di Adriana Masotti

"Riconoscenti per i doni di grazia ricevuti e incoraggiati a testimoniare, nelle parole e nelle opere, la tenerezza del tuo amore misericordioso, chiudiamo la Porta Santa: lo Spirito Santificatore rinnovi la nostra speranza in Cristo Salvatore, porta sempre aperta a chi ti cerca con cuore sincero, unica porta che introduce nel Regno che viene”.

E’ il momento più atteso e solenne della celebrazione di oggi: il Papa, arrivato in processione nell’atrio della Basilica, recita la preghiera e poi lentamente si avvicina alla Porta Santa. In un silenzio, rotto solo dai flash dei fotografi, chiude prima uno e poi l’altro, i due pesanti battenti. Francesco si dirige quindi all’altare sul sagrato lucido di pioggia in una mattinata soleggiata. Con lui il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e mons. Rino Fisichella, prefetto del Consiglio per la Promozione della Nuova evangelizzazione. In piazza oltre 70 mila fedeli, numerose le autorità civili.

La regalità di Cristo: il suo trono è la croce, la sua corona è di spine
E’ la figura di Gesù Cristo Re dell’Universo a dominare l’omelia del Papa. Egli appare, dice Francesco, senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore.

"La sua regalità è paradossale: il suo trono è la croce; la sua corona è di spine; non ha uno scettro, ma gli viene posta una canna in mano; non porta abiti sontuosi, ma è privato della tunica; non ha anelli luccicanti alle dita, ma le mani trafitte dai chiodi; non possiede un tesoro, ma viene venduto per trenta monete".

Cristo si è abbassato fino a noi, ha abitato la nostra miseria umana, continua il Papa, si è spinto fino ai confini dell’universo per abbracciare e salvare ogni vivente.

"Non ci ha condannati, non ci ha nemmeno conquistati, non ha mai violato la nostra libertà, ma si è fatto strada con l’amore umile che tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta. Solo questo amore ha vinto e continua a vincere i nostri grandi avversari: il peccato, la morte, la paura."

Con gioia, dice Francesco, riconosciamo la sua signoria di amore, ma sarebbe ancora poco credere che Gesù è Re dell’universo e centro della storia, senza farlo diventare Signore della nostra vita, se non accogliamo anche il suo modo di regnare. Il Papa va alle tre figure del Vangelo di oggi: il popolo, il gruppo vicino alla Croce e un malfattore crocifisso accanto a Gesù.

L'indifferenza del popolo riguardo a Gesù crocifisso
Del popolo il Vangelo dice che stava a guardare: nessuno parla, nessuno si avvicina:

"Di fronte alle circostanze della vita o alle nostre attese non realizzate, anche noi possiamo avere la tentazione di prendere le distanze dalla regalità di Gesù, di non accettare fino in fondo lo scandalo del suo amore umile, che inquieta il nostro io, che scomoda."

La tentazione di scendere dalla Croce e l'attrazione del potere
Nel gruppo vicino alla croce ci sono i capi del popolo, i soldati e uno dei due ladroni: tutti deridono Gesù e lo provocano: salva te stesso. È la tentazione più terribile, afferma il Papa, quella di scendere dalla Croce, e dimostrare potenza e superiorità. Gesù non reagisce, continua ad amare:

"La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il Regno di Dio. Quest’Anno della Misericordia ci ha invitato a riscoprire il centro, a ritornare all’essenziale. Questo tempo di misericordia ci chiama a guardare al vero volto del nostro Re, quello che risplende nella Pasqua, e a riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca nell’amore, missionaria."

Dio non ha menoria del peccato, ma ha memoria di noi
Infine, la figura del malfattore che dice a Gesù: "ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno". Lui ha creduto e ottiene la promessa: "Oggi con me sarai nel paradiso":

"Dio, appena gliene diamo la possibilità, si ricorda di noi. Egli è pronto a cancellare completamente e per sempre il peccato, perché la sua memoria non registra il male fatto e non tiene sempre conto dei torti subiti, come la nostra. Dio non ha memoria del peccato, ma di noi, di ciascuno di noi, suoi figli amati. E crede che è sempre possibile ricominciare, rialzarsi."

E come Dio crede in noi stessi, così anche noi siamo chiamati a infondere speranza e a dare opportunità agli altri, ad essere strumenti di misericordia.

"Chiediamo la grazia di non chiudere mai le porta della riconciliazione e del perdono, ma di saper andare oltre il male e le divergenze, aprendo ogni possibile via di speranza."

Proseguiamo questo nostro cammino, insieme, esorta il Papa: ci accompagni la Madonna, anche lei era vicino alla Croce.

Papa Francesco firma la sua Lettera Apostolica: "Misericordia et misera"
Proprio per continuare a vivere con la stessa intensità dell’Anno Santo la misericordia, Papa Francesco ha voluto scrivere la Lettera Apostolica “Misericordia et misera” che domani verrà presentata alla stampa. Al termine della celebrazione, il Papa firma la Lettera e la consegna, tra gli altri, al cardinale Tagle, arcivescovo di Manila, una tra le più grandi metropoli del mondo e poi a diverse persone: sacerdoti, suore, una coppia di giovani, una famiglia, due ammalati: rappresentano la Chiesa universale invitata ad attingere sempre al Cuore spalancato di Cristo.

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Francesco all’Angelus: grazie a quanti hanno lavorato per il Giubileo

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All’Angelus, Papa Francesco ha ringraziato quanti si sono impegnati per la buona riuscita del Giubileo della Misericordia. Quindi, ha ricordato la Beatificazione ad Avignone del padre Maria Eugenio del Bambino Gesù. Infine, ha affidato tutti i fedeli alla Vergine Maria affinché aiuti a far fruttificare i doni spirituali del Giubileo della Misericordia. Il servizio di Alessandro Gisotti

Grazie a quanti si sono impegnati per il Giubileo. All’Angelus, Papa Francesco esprime gratitudine a quanti hanno lavorato, nei diversi ambiti, per l’Anno Santo della Misericordia.

Grazie alle istituzioni italiane che hanno lavorato per la riuscita del Giubileo
Un saluto particolare il Pontefice lo ha rivolto al presidente della Repubblica Italiana e attraverso di lui a tutte le istituzioni così come alle forze dell’ordine:

“Ringrazio in modo particolare il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e coloro che hanno cooperato nelle diverse sue articolazioni. Un grato ricordo rivolgo a quanti hanno contribuito spiritualmente alla riuscita del Giubileo: penso a tante persone anziane e malate, che hanno incessantemente pregato, offrendo anche le loro sofferenze per il Giubileo. In modo speciale vorrei ringraziare le monache di clausura, alla vigilia della Giornata Pro Orantibus che si celebrerà domani”.

Dal Papa l’invito ad avere un particolare ricordo per queste nostre Sorelle che “si dedicano totalmente alla preghiera e hanno bisogno di solidarietà spirituale e materiale”. Ha così ricordato la Beatificazione in Francia, ad Avignone, del padre Maria Eugenio del Bambino Gesù, dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, fondatore dell’Istituto secolare “Nostra Signora della Vita”, uomo di Dio, “attento ai bisogni spirituali e materiali del prossimo”.

Il Giubileo continui a portare frutti spirituali nel cuore dei fedeli
Quindi, il saluto finale ai pellegrini con l’augurio che il Giubileo continui a portare frutto anche dopo la sua conclusione:

“Desidero salutare cordialmente tutti voi, che da vari Paesi siete venuti per la chiusura della Porta Santa della Basilica di San Pietro. La Vergine Maria ci aiuti tutti a conservare nel cuore e a far fruttificare i doni spirituali del Giubileo della Misericordia”.

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I fedeli: il Giubileo della Misericordia continua nella nostra vita

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Questa mattina erano decine di migliaia i fedeli, giunti da ogni parte del mondo, che hanno invaso festosamente Piazza San Pietro per partecipare alla Messa di chiusura del Giubileo della Misericordia presieduta da Papa Francesco. Tra i fedeli sentimenti di gioia e riconoscenza per questo Anno giubilare appena concluso. Per tutti la certezza che la porta della Misericordia del Signore rimarrà aperta sempre. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte da Marina Tomarro

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Giovagnoli: tema della Misericordia centrale anche dopo il Giubileo

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Con la chiusura della Porta Santa di San Pietro, si è concluso il Giubileo straordinario della Misericordia, annunciato da Francesco nel marzo del 2015 e iniziato l'8 dicembre scorso. “E’ un cammino che inizia con una conversione spirituale”, disse allora il Papa spiegando che aveva pensato a un modo in cui la Chiesa avrebbe potuto rendere “più evidente la sua missione di essere testimone della Misericordia”. Per un bilancio di questo Anno Santo straordinario, Francesca Sabatinelli ha intervistato lo storico Agostino Giovagnoli

R. – Credo che il bilancio più importante di questo Anno Santo sia quello di aver portato al centro della predicazione di tanti sacerdoti, della riflessione dei teologi, e via dicendo, il tema della misericordia. E questa è in qualche modo una riforma che è stata introdotta nel modo di pensare e quindi, poi, anche di essere, della Chiesa cattolica di tutto il mondo. Questo non è poco, è certamente un passo in avanti, che ha coinvolto tanti e che ha portato a comprendere qualcosa che poi è al centro anche del messaggio conciliare!

D. – Le ultime due domeniche giubilari sono state rivolte ai detenuti e poi ai senza fissa dimora, agli emarginati. Quanto di questo messaggio di carità, fortemente voluto da Papa Francesco, arriva a tutti quei fedeli che forse guardano con fastidio a queste categorie di persone, che sono gli ultimi, ma che sono stati gli “eletti” di quest’Anno Straordinario?

R. – Nella Evangelii Gaudium, Papa Francesco ha parlato dell’attenzione ai poveri, della scelta preferenziale per i poveri, come di qualche cosa che sicuramente avrebbe incontrato molte resistenze e molte difficoltà. È stato “profeta”, possiamo dire, perché certamente il suo messaggio è molto chiaro ed è, credo, arrivato ancora di più, durante questo Anno Santo della Misericordia, a tutti. E’ stato anche accolto da tutti ma, certamente, ha incontrato quelle resistenze che vogliono mantenere questo tema ai margini della vita di fede, della vita della Chiesa. Questa è certamente una questione cruciale di questo Pontificato, ed è anche un problema della Chiesa contemporanea, perché questo non è un messaggio che può essere archiviato, messo da parte, o inserito come tante altre cose, con la stessa importanza. Il povero è Cristo, l’incontro con il povero è esperienza di fede, dunque non è assolutamente qualche cosa di marginale. E credo che questo Anno Santo abbia contribuito molto a rendere questo discorso centrale per la fede di tanti.

D. – Questo è stato un "Giubileo delle periferie"; è stato aperto da Papa Francesco nella Repubblica Centrafricana, a Bangui; sono state aperte Porte Sante che per la prima volta non davano su cattedrali, su basiliche, come quella della “carità”, aperta all’ostello della Caritas di Roma di Via Marsala. Cosa ha significato questo per i fedeli?

R. – Io credo che la scelta del Giubileo “diffuso” sia stata la scelta di innestare lo straordinario nell’ordinario. Ecco, credo che l’idea che ha accompagnato questo Anno Santo sia che quest’ultimo non finisce nella sua eccezionalità e nella sua straordinarietà: deve prolungarsi. E in questo rientra anche la diffusione nelle periferie, anzi: è cominciato dalle periferie. In questo modo il Papa ha allargato il coinvolgimento di tutti coloro che non potevano venire a Roma per tanti motivi. Anche se io credo che non vada sottovalutato che comunque venti milioni di pellegrini sono venuti a visitare la città del Papa, questo sta a indicare che non si tratta di un banale decentramento, ma di una diffusione di uno spirito, di un’esperienza, di una direzione di cammino che, tuttavia, non incrina il senso dell’unità e della comunione cattolica.

D. – Quali gesti, quali immagini di Papa Francesco, nell’arco di questo Anno Giubilare, sono rimasti più impressi e rimarranno più nella storia?

R. – I gesti più importanti sono stati certamente gli incontri con i leader cristiani, i rappresentanti di altre Chiese, con il Patriarca Bartolomeo, e tanti altri incontri. Si è parlato di una “accelerazione del cammino ecumenico”. Anche la partecipazione alle celebrazioni per i 500 anni di Lutero va in questa direzione, così come il dialogo per la pace condiviso con altri leader religiosi ad Assisi: ecco, questi gesti indicano una volontà di imporre il Dio della misericordia, anche come riferimento fondamentale del percorso ecumenico. Questo, certamente, ha reso ancora più evidente la volontà di connettere il cammino di oggi della Chiesa con l’esperienza conciliare, ciò che il Papa ha richiamato come “inizio” di un percorso, che ha trovato in quest’Anno non una definitiva applicazione, perché certamente c’è ancora molto da fare, ma un momento di certo tra i più significativi di questo lungo proseguire, che sta portando la Chiesa a essere sempre più simile a quella immaginata dai padri del Concilio.

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Giornata pace Congo. Francesco: promuovere cultura del dialogo

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La Conferenza Episcopale (Cenco) ha indetto per questa domenica 20 novembre la Giornata Nazionale di preghiera per la pace e la riconciliazione nella Repubblica Democratica del Congo. Il Paese africano affronta una situazione di insicurezza sociale, oltre che politica, di cui ne fa drammaticamente le spese la popolazione civile. Ad incoraggiare la pace nel Paese è anche Papa Francesco che ha ribadito, con un messaggio ai vescovi, il suo invito alla costruzione di ponti, e non di muri. Dal Papa l'esortazione a stabilitre "nella società congolese una cultura del dialogo" e l'invito ai leader ad un impegno "coraggioso per il bene comune" che metta da parte "gli interessi personali". Sulla difficile situazione che sta vivendo il Congo, Sabrina Spagnoli ha intervistato Enrico Casale diella rivista "Africa": 

R.  – La situazione politica della Repubblica Democratica del Congo è particolarmente delicata in questo momento. Il presidente Joseph Kabila ha fatto trasparire la volontà di ricandidarsi o comunque di rimanere al potere. La maggior parte dell’opposizione ha contestato questa sua volontà e si sta organizzando per resistere. Una parte dell’opposizione ha stretto un rapporto con il presidente, un rapporto che dovrebbe portare ad un governo di unità nazionale, almeno di unità nazionale parziale. Questo però crea forti instabilità nel Paese. Un Paese che ha già dei grossi problemi, soprattutto nelle regioni orientali; pensiamo alle regioni che confinano con il Ruanda, con il Kivu, il Beni, che non sono mai state pacificate negli ultimi anni. Quindi che cosa fare per la popolazione… Innanzitutto servirebbe una pacificazione nazionale politica con un sistema politico democratico che consenta l’alternanza al potere. Questa è la condizione base per la ripresa della Repubblica Democratica del Congo.

D.  – Nella zona orientale del Paese non ci sono più scontri o manifestazioni violente, tuttavia vi è la presenza di bande armate o ex militari che effettuano comunque incursioni con relativi massacri di civili. Cosa spinge a perpetrare tali atti criminosi?

R. – La regione orientale è una delle zone più ricche al mondo perché nel sottosuolo ci sono oro, diamanti, minerali rari e quindi è una regione che fa gola a molti, non solo gli Stati confinanti ma anche a molte multinazionali che gestiscono le miniere o sfruttano queste miniere. Di conseguenza tutto questo crea una forte instabilità sia nel Kivu ma anche nel Beni. A queste ragioni, ultimamente se ne sono aggiunte altre, quelle di carattere interreligioso. Nel Beni è attiva una milizia che si chiama ADF che si ispira ai principi del jihadismo islamico e ha compiuto negli ultimi due anni delle stragi soprattutto tra la popolazione civile.

D. – Kabila ha sempre intrapreso la via del silenzio per evitare colpi di Stato, quali problematiche comporta adottare una simile prassi?

R. – Per quanto riguarda Joseph Kabila si capisce che vuole rimanere al potere, tanto è vero che ha messo in atto anche tutta una strategia che mira a questo; penso soprattutto alla sentenza interpretativa che gli dà il potere di rimanere in carica qualora non ci fossero nuove elezioni. Questo vorrebbe dire che Kabila rimarrebbe al potere almeno fino al 2018. Questo crea tensione, soprattutto nei confronti dell’opposizione, che negli ultimi tempi ha affermato più volte di non accettare una soluzione di questo tipo e l’unica soluzione accettabile è quella delle elezioni, di tornare alle urne per eleggere il nuovo presidente. E Kabila, che ha già fatto due mandati, non dovrebbe più candidarsi. Queste sono le condizioni poste dall’opposizione. Si vedrà nelle prossime settimane quali saranno gli sviluppi.

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Oggi in Primo Piano



India: deraglia treno in Uttar Pradesh, oltre 100 morti

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Terribile incidente ferroviario nella notte nel Nord dell’India. Un treno deraglia nello Stato dell’Uttar Pradesh, intrappolando centinaia di passeggeri. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta

Un forte boato, poi il buio e il treno che si ferma. Queste le testimonianze dei passeggeri sopravvissuti al deragliamento, avvenuto intorno alle 3 della notte scorsa, nel distretto di Kanpur, nel Nord dell’India. L’incidente ha coinvolto 14 delle 23 carrozze su cui viaggiavano circa 2500 passeggeri. Mentre le operazioni di soccorso proseguono, le vittime accertate sono più di 100, oltre 150 i feriti. E’ una delle peggiori tragedie ferroviarie accadute negli ultimi anni in India, la cui rete ferroviaria è la quarta al mondo e trasporta ogni giorno 20 milioni di passeggeri. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha rivolto via Twitter un pensiero di vicinanza e dolore alle famiglie delle vittime, mentre il ministro delle Ferrovie, Suresh Prabhu, ha annunciato l’avvio immediato di un’indagine per far luce sui motivi del deragliamento. In India non sono rari gli incidenti ferroviari, causati a volte anche dall’obsolescenza dei materiali. Un altro episodio, accaduto nel marzo del 2015 sempre nello stato dell’Uttar Pradesh, causò 39 morti. Il governo, intanto, ha previsto di stanziare 200mila rupie (pari 2.770 euro) per i familiari delle vittime e 50 mila rupie (circa 700 euro) per i feriti gravi. Somme, queste, alle quali si aggiungerà l’ulteriore risarcimento garantito dalle ferrovie.

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Siria: ancora raid su Aleppo, oltre 50 vittime

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In Siria, non si fermano i raid sulla parte di Aleppo controllata dai ribelli che combattono l’esercito del presidente Bashar al Assad. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, una famiglia con 4 bambini è rimasta vittima, la scorsa notte, dei bombardamenti governativi sul quartiere di Al Sajur. Salirebbe così a 54 il numero di civili uccisi nelle ultime 24 ore a causa dei raid e degli attacchi di artiglieria condotti dall’esercito siriano su Aleppo Est. La tv di Stato siriana riporta notizie di esplosioni anche nella parte occidentale della città, posta sotto il controllo dei governativi: nel quartiere Ovest di Furqan, dieci persone, tra cui sette bambini, sarebbero stati uccisi nell'esplosione di un razzo lanciato dai ribelli.

Sempre più difficile la situazione umanitaria
Intanto, a causa dei bombardamenti che colpiscono anche luoghi civili, ad Aleppo Est, sono ormai fuori uso tutti gli ospedali da campo e le cliniche mobili. È l’allarme lanciato ieri dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Medici senza frontiere denuncia il secondo attacco all'unico ospedale specializzato in pediatria di Aleppo Est: i raid hanno distrutto tre piani della struttura, che al momento non può più lavorare. "Si tratta - riferisce la ong - della peggiore campagna di bombardamenti degli ultimi anni sulla citta". Dura condanna anche da parte degli Stati Uniti contro i raid che hanno colpito le infrastrutture mediche e gli operatori umanitari. In un comunicato, il Consigliere Usa per la Sicurezza nazionale, Susan Rice, ha affermato che "non ci sono scuse per queste azioni atroci" e ha ammonito "il regime siriano e i suoi alleati, la Russia in particolare, responsabili per le conseguenze a breve e a lungo termine". 
Dal canto suo, l'Onu si è detto "inorridito" dall'escalation della violenza in Siria e ha chiesto l'accesso immediato ad Aleppo. "Le Nazioni Unite sono estremamente rattristate e inorridite dalla recente escalation di violenze in diverse regioni della Siria e chiede a tutte le parti di mettere fine agli attacchi indiscriminati contro civili e  infrastrutture civili", hanno detto il coordinatore umanitario Onu per la Siria, Ali al-Zaatari, e il coordinatore umanitario regionale,  Kevin Kennedy.(E.R.)

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Usa: Trump incontra Romney, si definisce squadra di governo

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Continua il lavoro del neoeletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per completare la squadra di governo. Ieri il futuro inquilino della Casa Bianca ha incontrato il repubblicano Mitt Romney, già battuto da Barack Obama Obama alle presidenziali del 2012. Un incontro definito "produttivo" da Romney, su cui potrebbe cadere la scelta di Trump per il delicato e prestigioso ruolo di segretario di Stato. L’incontro, dopo le accuse che i due si erano scambiati in campagna elettorale, rappresenta un’apertura di Trump all’establishment repubblicano e l’eventuale nomina di Romney dimostrerebbe che il futuro presidente è pronto ad affidare ruoli chiave della futura amministrazione anche tra i non fedelissimi. Oltre a Romney, Trump ha incontrato anche il generale in congedo dei Marine, James Mattis, candidato al Pentagono, anche se in pensione solo da 4 anni e la legge - salvo provvedimenti ad hoc - richiede un minimo di sette anni tra la fine di un incarico e l'assunzione della guida di un dicastero. (E.R.)

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Ragazza ibernata dopo la morte: il commento del prof. D'Agostino

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Continua a suscitare commenti e dibattiti il caso di una 14enne britannica, malata terminale di cancro, che ha ottenuto il diritto di essere ibernata subito dopo la morte, tramite criogenesi, negli Stati Uniti. Lo ha stabilito un giudice dell'Alta Corte di Londra. La ragazza aveva inviato una lettera al tribunale chiedendo di avere una chance di essere curata e risvegliata, anche tra 100 anni. Così, il corpo è stato trasportato da Londra negli Usa e congelato da una società privata specializzata al costo di 37 mila sterline. Le prime ibernazioni umane risalgono agli anni Sessanta. Ma è una pratica che non ha alcun fondamento, secondo la comunità scientifica. Ascoltiamo il commento del prof. Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, al microfono di Stefano Leszczynski

R. – È una notizia emotivamente forte. Però è palese che è anche una notizia scientificamente infondata, perché basta conoscere un minimo le cose dal punto di vista scientifico che ci possiamo rendere conto che questa speranza è priva di qualunque fondamento: la speranza di poter essere scongelati in un futuro, più o meno lontano, guariti dalla patologia che ci ha portato alla morte e reimmessi nel processo della vita. Però, dietro questa notizia, ci sarebbe l’opportunità di una meditazione molto forte, che però vedo che mediamente viene rimossa dai giornali: il desiderio di immortalità, che, in questo caso, viene delegato ad una scienza che non vi potrà mai dare una risposta positiva, ma che in altre epoche era invece in qualche modo soddisfatta dalla speranza cristiana di un’altra vita, al di là della vita fisica che stiamo tutti sperimentando. Questo tema di un’altra vita – ma diciamolo pure: usiamo parole che oggi potrebbero sembrare addirittura fuori corso – la speranza di una vita in Paradiso oggi viene ampiamente frustrata o addirittura rimossa; quando questa è l’essenza della questione: la nostra vita non ci basta, al di là del fatto che possa essere troncata in anni precoci, come questa povera ragazza di 14 anni, o esaurirsi in un’età molto avanzata. Questa nostra vita non ci basta. Abbiamo bisogno della speranza di un’altra vita. Ma la cosa importante è che questa speranza non deve essere alimentata da illusioni scientificamente infondate: deve trovare una forte radice nella spiritualità.

D. – Professore, qui c’è un altro elemento, mi sembra, eticamente molto importante: il fatto che sia intervenuto il diritto – una Corte – per stabilire che la volontà di questa ragazza di essere congelata nella speranza di una cura futura, venisse rispettata…

R. – Tecnicamente, il giudice è intervenuto perché era sorto un dissidio tra i genitori della ragazza: la madre voleva ibernarla, il padre no. E in una situazione di dissidio, l’intervento del giudice è praticamente necessario. Però, al di là di questo dato tecnico, è aberrante che un sistema giuridico possa intervenire a gamba tesa nel prendere posizioni su queste questioni che non sono giuridiche, ma sono antropologiche, psicologiche, emotive, ma – ribadisco – non sono giuridiche; così come non sono neanche propriamente mediche.

D. – Professore, come mai allora si parla tanto di questo sistema di conservazione dei corpi? E perché, soprattutto, si è creato un vero e proprio mercato? Perché c’è un business dietro questa vicenda e neanche di poco conto…

R. – Mi viene voglia di citare una famosissima battuta di Chesterton che conoscono quasi tutti: “Quando si smette di credere in Dio, si crede a qualunque cosa!”. Ecco, la crisi, tipica dell’Europa occidentale, del mondo secolarizzato – la crisi di fede – non si è trasformata in una visione lucida, fredda, razionale, del mondo: si è trasformata nel sorgere dirompente, irrefrenabile, di mille forme di idolatria e di illusione parareligiosa. L’idea che la scienza possa prometterci una vera e propria “resurrezione biologica” – perché di questo si tratterebbe – è una delle tante conseguenze dello smarrimento, tipicamente occidentale, dell’idea di Dio.

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Arcivescovo Norcia: la basilica sarà ricostruita, è patrimonio di tutti

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La Basilica di Norcia tornerà a vivere: è quanto ha affermato il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. “Aiutare gli amici italiani ad affrontare le conseguenze del terremoto - ha detto Juncker - è un compito europeo. La solidarietà europea è un atto dovuto di fronte ai danni che ha provocato il terremoto in Italia, distruggendo tanti beni culturali". Al riguardo la riflessione di mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, intervistato da Sabrina Spagnoli: 

R. – Credo che bisogna innanzitutto ricordare che lo spirito di San Benedetto, la sua visione di uomo e di società, non sono legati alle pietre e dunque rimangono al di là della presenza della Basilica nella sua casa natale, a Norcia. Questo è un patrimonio che appartiene a tutto il Continente europeo, che è chiamato a custodire e a vivificare questa eredità così preziosa. Nello stesso tempo, il ricostruire la Basilica diventa un segno. Questa Basilica è diventata l’icona del terremoto, che ha ferito l’Italia centrale e Norcia. Rimetterla in piedi, ricostruirla, restituirla alle generazioni che ci seguiranno, diventa una testimonianza di apprezzamento del valore e della fecondità del messaggio benedettino.

D. – Com’è attualmente la situazione a Norcia e nelle altre zone colpite dal terremoto? Cosa si sta facendo in merito?

R. – In questo momento la cosa urgente è ridare a queste popolazioni fiducia, speranza, e dunque sicurezza. Si tratta di assicurare loro un modo stabile di vivere: dunque delle case. Si tratta di sostenere e di appoggiare la ripresa delle piccole attività commerciali e industriali. Non bisogna dimenticare che questa gente vive ormai da oltre due mesi in un continuo stato di assedio: il terremoto non si è fermato. E dunque bisogna convivere con la precarietà, con la trepidazione, e anche con l’insicurezza e la paura. È urgente ricostruire umanamente e materialmente la vita di queste persone. In contemporanea, l’opera straordinaria dei volontari della Croce Rossa e della Protezione Civile sostiene la vita quotidiana di chi è alloggiato nelle tende, nelle tendopoli e nelle roulotte, da una parte. Dall’altra, i Vigili del Fuoco stanno realizzando anch’essi, da parte loro, il recupero di tutti i beni culturali nelle macerie delle chiese ormai distrutte. Dunque è una ricostruzione che si sviluppa a due livelli: a livello umano, innanzitutto – è fondamentale –, e a livello materiale: il recupero di quanto è recuperabile dalle abitazioni private, e tutti i beni culturali. Proprio ieri, mi diceva la sovrintendente, che oltre 500 delle statue e dei suppellettili liturgici sono stati recuperati, estratti dalle macerie.

D. – L’Europa si sta interessando riguardo al terremoto. Ma quali provvedimenti adotta per altre realtà come la povertà, l’immigrazione?

R. – Io credo che, anche qui, i provvedimenti dovrebbero andare di pari passo. Non si tratta di favorire un aspetto trascurando gli altri. Al centro dell’Europa ci deve essere la persona umana: la sua dignità, la sua promozione, la sua libertà. Le persone umane sono i terremotati, come sono i profughi, i migranti: tutti coloro che sono segnati da una qualche forma di povertà. Questa deve essere l’attenzione prioritaria che le istituzioni europee devono mettere in atto giorno per giorno. Accanto a questa c’è l’habitat: dunque la dignità, la qualità della vita, che deve essere promossa, sostenuta, difesa, quando necessario, proprio per riaffermare, anche materialmente, che il grande patrimonio europeo, così come degli altri continenti, sono le persone.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 325

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.