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Sommario del 27/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa Angelus: non farsi dominare da cose materiali e da sicurezze di questo mondo

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Nella prima domenica di Avvento, il Papa all’Angelus richiama tutti i fedeli a non essere dominati dalle cose di questo mondo, a non dipendere dalle proprie sicurezze, perché il Signore arriva inaspettato. Dopo la preghiera mariana il pensiero di Francesco è corso alle popolazioni del Centro America - colpite nei giorni scorsi dall’uragano Otto e dal sisma - e a quelle alluvionate del Nord Italia. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“La visita del Signore all’umanità”, ha commentato il Papa il Vangelo domenicale, avviene in tre tempi. La prima è avvenuta con l’incarnazione, la seconda avviene nel presente di ogni giorno, la terza è quella che avverrà alla fine dei tempi:
“Il Vangelo non vuole farci paura, ma aprire il nostro orizzonte alla dimensione ulteriore, più grande, che da una parte relativizza le cose di ogni giorno ma al tempo stesso le rende preziose, decisive”.

“La relazione con il Dio-che-viene-a-visitarci – ha osservato Francesco - dà a ogni gesto, a ogni cosa una luce diversa, uno spessore, un valore simbolico.” E da questa prospettiva viene anche un invito alla sobrietà”:
“…a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali, ma piuttosto a governarle. Se, al contrario, ci lasciamo condizionare e sopraffare da esse, non possiamo percepire che c’è qualcosa di molto più importante: il nostro incontro finale con il Signore: e questo è l’importante”.

Infatti, “come dice il Vangelo ‘due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato’":
“È un invito alla vigilanza, perché non sapendo quando Egli verrà, bisogna essere sempre pronti a partire”.

Dunque, “in questo tempo di Avvento, siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro cuore”:
“…a farci sorprendere dalla vita che si presenta ogni giorno con le sue novità. Per fare ciò occorre imparare a non dipendere dalle nostre sicurezze, dai nostri schemi consolidati, perché il Signore viene nell’ora in cui non immaginiamo. Viene per introdurci in una dimensione più bella e più grande”.

Quindi l’invocazione del Papa alla Madonna:
“... ci aiuti a non considerarci proprietari della nostra vita, a non fare resistenza quando il Signore viene per cambiarla, ma ad essere pronti a lasciarci visitare da Lui, ospite atteso e gradito anche se sconvolge i nostri piani”. 

E poi ancora, nel dopo Angelus, un pesniero speciale di Francesco:
“…vorrei assicurare la mia preghiera per le popolazioni del Centro America, specialmente Costa Rica e Nicaragua, colpite da un uragano e, quest’ultimo, anche da un forte sisma. E prego anche per quelle del Nord Italia che soffrono per le alluvioni”.

Infine un saluto a tutti i fedeli in piazza San Pietro per "un buon cammino di Avvento“:
"Che sia un tempo di speranza! Andare incontro al Signore che viene incontro a noi. La speranza vera, fondata sulla fedeltà di Dio e sulla nostra responsabilità. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!”.

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"Misericordia et Misera": il commento di p. Spadaro e del prof. Boscia

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A pochi giorni dalla sua pubblicazione la Lettera Apostolica Misericordia et Misera, scritta dal Papa a chiusura del Giubileo, continua a suscitare riflessioni. Papa Francesco invita la comunità ecclesiale a vivere una vera e propria 'conversione spirituale'. Ma in quale direzione? Fabio Colagrande l'ha chiesto a padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. 

R. – Direi che la conversione sostanziale, il significato di questa Lettera, è che non c’è peccato che la misericordia non possa raggiungere. Questo messaggio deve stare al cuore e al centro della Chiesa perché il messaggio della Chiesa è quello della misericordia: il Vangelo è il messaggio della misericordia. il Papa è consapevole che ciascuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia. In fondo qui c’è una grande lezione di incarnazione: la Chiesa si confronta, non con il peccato, il giudizio in astratto, ma con persone concrete. Proprio all’inizio della Lettera il Papa fa riferimento al capitolo 8 del Vangelo secondo Giovanni, dove ci sono una peccatrice e un salvatore, cioè fa riferimento a persone concrete. Allora, questo è il grande messaggio: non c’è barriera che tenga di fronte alla misericordia di Dio, nessun peccato può rimanere non assolto.

D. - Il Papa dà indicazioni concrete per celebrare e vivere la misericordia. Quali sono le indicazioni più importanti di questa Lettera secondo lei?

R. - La cosa che mi ha colpito di più è il tema della dimensione ‘artigianale’ della misericordia, aggettivo che Francesco ama molto. E’ questo, se vogliamo, anche un appello a far ricorso a una certa creatività. Il pastore deve mettersi di fronte ai suoi fedeli cercando in ogni modo di mostrare questo amore, questa bontà di Dio. In fondo, è proprio ciò che il Papa fa, non solo con le sue parole, ma anche con i suoi gesti. Ci sono poi immagini molto belle nella lettera, come quella delle pietre che cadono dalle mani di chi voleva lapidare l’adultera. C’è un’indicazione molto precisa per i sacerdoti, insieme a tante altre, che il Papa ripete spesso in questi mesi: la necessità della lungimiranza, cioè, di discernere il singolo caso. Quindi, non avere norme generali da applicare sempre e comunque in tutti i casi, ma discernere le situazioni concrete, questa è la lungimiranza.

D. - Le decisioni concrete prese nella Lettera apostolica che riguardano la conferma dei missionari della misericordia, la possibilità per tutti i sacerdoti di assolvere dal peccato di aborto procurato o quella che riguarda quanti frequentano le chiese guidate dai lefebvriani … Che senso hanno queste scelte del Papa?

R. – Il senso è lavorare sui terreni nei quali è possibile esercitare la misericordia. Quindi, nel caso dei lefebvriani, questo concedere che la loro assoluzione dei peccati sia valida e lecita, significa aprire uno spazio dove abbia la priorità assoluta la misericordia e non la divisione. L’assoluzione del peccato di aborto significa che non c’è un peccato che può bloccare la misericordia di Dio. Quando una persona è sinceramente pentita, può presentarsi da un sacerdote e ricevere l’assoluzione. Non c’è da seguire percorsi difficili o ardui. Consideriamo anche che, recentemente, i vescovi hanno sempre affidato ad alcuni sacerdoti la facoltà di assolvere questo peccato. In realtà il Papa sta solo normalizzando una situazione che era già di fatto in atto. Ma, all’interno di questa Lettera, questo gesto ha un significato particolare: farsi carico della sofferenza e della problematicità che una donna può vivere, prendendo questa decisione terribile – visto che il peccato è un male che il Papa ha definito gravissimo – e dare a questa persona la possibilità di un’assoluzione di fronte a qualunque sacerdote.

D. – Cosa rispondere a chi teme che questa decisione in particolare svilisca o banalizzi il peccato di aborto procurato?

R. - Non ha alcun senso affermare che questa scelta svilisca o banalizzi il peccato di aborto procurato. Il Papa, come ha detto più volte, e lo leggiamo anche nella Lettera, lo considera un peccato molto grave, un omicidio. E su questo non c’è alcun dubbio, anzi il concetto viene ribadito. Francesco ha solo voluto riaffermare, con questo gesto, che non c’è un ostacolo, non c’è una porta chiusa. Le porte che simbolicamente sono state chiuse alla fine dell’Anno Santo in realtà rimangono aperte nelle loro sorgenti. Quindi lo scopo è ribadire che la misericordia di Dio è a portata di mano. Il messaggio non è l’assoluzione facile di un peccato, per niente: servono il pentimento e la consapevolezza della gravità, ma allo stesso tempo il Papa vuole farci capire che il Signore è vicino ai peccatori. Come ha detto nell’omelia Lui non si ricorda dei nostri peccati, ma si ricorda di noi, dei suoi figli.

Sulla decisione del Papa di concedere a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto - contenuta nella 'Misericordia et Misera' - sentiamo ora il prof. Filippo Boscia,  presidente nazionale dell'Associazione medici cattolici italiani, sempre al microfono di Fabio Colagrande

R. – Questa scelta del Papa viene veramente come una grazia incredibile, perché quello che era stato concesso limitatamente al periodo giubilare, esteso nel tempo, ribadisce non soltanto che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine ad una vita innocente, ma impegna tutti quanti al sostegno delle gravidanze inattese. Come medico cattolico – come presidente dell’Amci – ho conosciuto i volti delle centinaia di bambini che sono nati grazie all’attenzione e agli interventi dei medici cattolici, e quindi sento che è giunto il tempo di una riflessione seria: non sarebbe possibile un ulteriore sviluppo e diffusione di civiltà senza dare una dimostrazione tratta dall’esperienza di chi ha favorito l’aborto. La prevenzione dell’aborto è soprattutto questo: far sì che questo individuo vivente, appartenente alla specie umana, sia riconosciuto nel suo valore. Ogni nuova parola del Papa si leva alta e chiara, ed è indispensabile a rompere ogni censura sociale per proclamare il valore della vita incipiente. La parola del Papa ridona speranza: il trauma delle donne, le conseguenze psichiche nelle donne che affrontano questa indelebile e dolorosa esperienza, che lascia cicatrici nella loro psiche ci mostrano che è un trauma che non può essere tenuto nascosto, soprattutto se la donna si è trovata sola, abbandonata nel suo percorso, a fare una scelta e a prendere una dolorosa decisione, dopo aver compiuto poco e male i percorsi di prevenzione. Avere eliminato l’embrione non toglie lo scrupolo. Questo viene vissuto come una colpa da condividere ed eventualmente da proiettare anche verso gli altri.

D. – Lei parlava prima dei percorsi di prevenzione che non vengono rispettati. C’è, in questo senso, un peccato di omissione che riguarda anche le istituzioni, la società?

R. – Certo, questo è forse il peccato più grave, perché omettere è anche un commettere. Perché significa che non sono stati messi in conto tutti i provvedimenti per salvare una vita; non aver preso questi provvedimenti significa aver compiuto e provocato la morte. E molti aborti si verificano proprio perché è stato omesso o trascurato di curare misure atte a conservare la vita. Penso ai consultori familiari, ma anche alla politica e alla facilitazione dell’aborto: l’aborto è facilitato da legislazioni permissive; è anche finanziato. Ormai è diventato un fenomeno assai diffuso, e questo, in sostanza, porta fatalmente molti a non avvertire più alcuna responsabilità verso la vita nascente, e a banalizzare queste colpe gravi. È un inquietante panorama, quello dell’omissione, che significa non fare un’azione tra tutte quelle che rientrano nell’ambito di ciò che si può fare e si potrebbe tranquillamente fare. Io credo che il Papa ci richiami oggi a questo delicato compito: capire che esistono dei doveri nei confronti delle pazienti, nei confronti dei medici, nei confronti della prevenzione dell’aborto; e che oggi, anche uno Stato democratico deve essere in grado di fornire al massimo possibile il sostegno alla vita, che deve andare ben oltre quello che le famiglie si aspettano di ricevere.

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Oggi in Primo Piano



Morto padre Kolvenbach, alla guida dei Gesuiti per 25 anni. Il ricordo di p. Lombardi

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E’ morto ieri sera a Beirut padre Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1983 al 2008. Nato in Olanda nel 1928 e ordinato sacerdote in Libano nel 1961, era stato provinciale dei Gesuiti in Medio oriente prima di essere eletto alla guida della Compagnia durante la XXXIII Congregazione generale dell’Ordine. Restò in carica per 25 anni,  fino a quando, nel 2008, presentò le dimissioni a Papa Benedetto XVI.  Il suo incarico arrivò in un periodo difficile per la Compagnia di Gesù, come ricorda padre Federico Lombardi, presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger, al microfono di Michele Raviart

R. – Padre Kolvenbach fu eletto in un momento particolare: era il tempo in cui, dopo la malattia di padre Arrupe, Giovanni Paolo II aveva nominato il padre Dezza come suo rappresentante per il governo della Compagnia di Gesù, e il padre Dezza in tempi molto rapidi, godendo della piena fiducia del Papa, indisse la Congregazione generale per fare rientrare il governo della Compagnia di Gesù nelle piste normali. E fu appunto in quell’occasione che venne eletto padre Kolvenbach. Io ne ho un ricordo molto vivo, perché in quella Congregazione erano presenti anche il padre Bergoglio, come rappresentante dell’Argentina, il padre Sosa – giovanissimo – rappresentante della Provincia del Venezuela e io, anche relativamente giovane, rappresentante della Provincia d’Italia. Il padre Kolvenbach era una figura un po’ particolare: lui era stato provinciale del Medio Oriente e pur essendo di origini europee, aveva vissuto tutta la sua vita apostolica in Libano. E’ una persona che ha governato la Compagnia non tanto con una proiezione all’esterno, cioè lui orientava la Compagnia verso la missione nel mondo, con grande attenzione al discernimento per adattarci alle situazioni di oggi, per capire cosa lo Spirito ci chiede; però, lui non era tanto proiettato all’esterno, personalmente, come era stato invece padre Arrupe che quindi ha avuto una figura più conosciuta anche nel mondo della vita religiosa e nell’orizzonte pubblico. Aveva una memoria e un’intelligenza straordinaria per cui leggeva tutte le lettere, si ricordava assolutamente tutto e quindi conosceva meglio anche le situazioni particolari, meglio dei suoi assistenti che dovevano aiutarlo, invece, a conoscere le situazioni particolari dell’Ordine. E’ quindi una persona che ci ha sempre molto colpito per la sua presenza, per la sua attenzione, per la sua arguzia, perché era piacevolissimo e spiritosissimo, anche nel colloquio personale: molto vivace. Quindi, è stato una persona che ci ha colpito sempre, di cui abbiamo un bellissimo ricordo e che lascia alla Compagnia il ricordo di una persona dedita per circa 25 anni al bene del nostro Istituto religioso e che poi, quando si sono avvicinati gli 80 anni, ha spontaneamente presentato la rinuncia, secondo le norme che noi abbiamo, anche se era stato eletto ad vitam. Lui è ritornato in Libano, all’Università di Saint Joseph, facendo un semplice lavoro di archivista-bibliotecario.

D. – Di padre Kolvenbach si ricorda anche la vita quasi ascetica …

R. – Era una persona di grandissima austerità, anche se con lui si stava benissimo ed era vivacissimo nella conversazione; quando visitava le comunità, per esempio, gli incontri, i dialoghi con i suoi confratelli erano sempre molto ricchi di spunti, di informazioni, erano sempre piacevolissimi. Ci dava un esempio di austerità e di vita religiosa estremamente intensa dal punto di vista spirituale e ascetico. Ricordo anche che lui fu invitato una volta da Papa Giovanni Paolo II a fare gli esercizi alla Curia romana: infatti, era un grande conoscitore della spiritualità di Sant’Ignazio, della storia della Compagnia … tutti i suoi discorsi, i suoi documenti sono intessuti di una conoscenza, che si vedeva che era del tutto personale, delle nostre fonti, molto arguta: essendo lui un linguista, era attentissimo anche ai particolari; era anche un esegeta dei nostri testi originali, ed era piacevolissimo ascoltarlo.

D. – Che eredità lascia padre Kolvenbach per la Compagnia di Gesù e per la Chiesa?

R. – Praticamente, è stato il generale del Pontificato di Giovanni Paolo II, per così dire; quindi ci ha accompagnati in tutti quegli anni anche con il cambiamento del mondo di oggi, anche con la diminuzione dei numeri del nostro Ordine, ma sempre con uno sguardo rivolto alla missione, all’attesa della Chiesa, al sentire cum ecclesia, all’essere così, molto serenamente e positivamente inseriti nella missione universale della Chiesa. Ecco: quindi, una persona che noi ricordiamo con grandissimo affetto e con grandissima gratitudine.

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Cuba omaggia Fidel Castro con nove giorni di lutto. Domenica 4 i funerali

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Cuba si ferma per la morte di Fidel Castro. Oggi primo dei nove giorni di lutto nazionale, che culmineranno con i funerali, il prossimo 4 dicembre, a Santiago di Cuba, da dove era partita la rivoluzione. Lutto anche in Nicaragua e Venezuela. Il servizio di Francesca Ambrogetti

E’ cominciato a Cuba il lento e doloroso addio al “leader massimo” della rivoluzione. Mentre molti piangono nell’isola la morte di Fidel Castro, continuano a Miami senza interruzione da venerdì, i festeggiamenti. Preoccupazione e incertezza sul fronte dell’opposizione che non prevede cambiamenti a breve scadenza. Raul Castro infatti governa con mano ferma ormai da dieci anni mentre suo fratello Fidel si era lentamente allontanato dalla scena.

Nove giorni di lutto nazionale e una lunga cerimonia lunedì e martedì per rendere omaggio al leader a L’Avana nella ‘Plaza de la Revolución’, la stessa dalla quale ha pronunciato la maggior parte dei suoi storici discorsi-fiume. Poi le ceneri percorreranno alla rovescia la strada intrapresa nel 1959 dal giovane rivoluzionario di Sierra Maestra, per conquistare la capitale e cambiare la storia. Fidel era partito da Santiago di Cuba nel cui cimitero, da domenica prossima, riposerà per sempre.

Diverse le reazioni in America Latina. I presidenti dei Paesi più vicini a L’Avana, Venezuela, Bolivia, Ecuador ed anche Cile e Uruguay, hanno espresso profondo cordoglio e grande ammirazione per il leader scomparso e il suo ruolo nella storia del Continente. Semplici e formali messaggi di condoglianze invece, da parte degli altri.

Con la morte di Fidel Cuba ha perso un simbolo e il mondo l’ultimo leader del ventesimo secolo. Ma ancora prima della sua scomparsa, gli sguardi erano puntati sul nuovo scenario dopo le elezioni americane, con un risultato che tocca da vicino l’Isola; e anche su un possibile cambio generazionale. Raul Castro, che ha compiuto 85 anni, conclude a febbraio del 2018 il suo mandato. Il vicepresidente e forse possibile successore, Miguel Diaz Canel, quando è avvenuta la rivoluzione non era ancora nato.

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Siria: l'esercito riconquista un quartiere di Aleppo est

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In Siria le truppe governative del presidente Bashar Al-Assad hanno riconquistato la zona “Massaken Hanano” di Aleppo. Si tratta del più grosso quartiere della parte orientale della città, il primo ad essere occupato dagli insorti nel 2012. Secondo la Tv di Stato sarebbero ora in corso le operazioni di sminamento delle strade. Più di 400 civili hanno già lasciato Hanano per raggiungere la parte ovest di Aleppo, controllata dal governo e dagli alleati iraniani e russi. Per l’Osservatorio siriano per i diritti umani di Londra, durante questa offensiva,  lanciata dall’esercito siriano dieci giorni fa, sono morte finora 357 persone.  Rimangono intrappolate nella città sotto assedio ancora 250 mila persone, con l’Onu che denuncia l’esaurimento delle scorte di viveri e il bombardamento degli ospedali. (M.R.)

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Centrafrica: la testimonianza di un missionario italiano

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In Centrafrica continuano sporadici gli scontri tra fazioni opposte. La visita del Papa l’anno scorso, con l’apertura della Porta Santa a Bangui, e il Giubileo della Misericordia certamente hanno contribuito alla pacificazione del Paese dopo un lungo periodo di guerra civile. Ma molto resta ancora da fare come riferisce il padre carmelitano scalzo Aurelio Gazzera, missionario da 25 anni in questo Paese. Antonella Palermo lo ha intervistato: 

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I "Pasti di Maria": dal Malawi una storia di fede e di aiuti

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Quasi 1 milione e 200 mila bambini che ogni giorno ricevono un pasto in 12 Paesi sparsi su 4 continenti, con 100 mila volontari che si adoperano per dare loro anche la possibilità di avere un’istruzione, con cui poter sconfiggere l’indigenza. È l’operato di "Mary’s Meals", letteralmente “Pasti di Maria”: una onlus apolitica e aconfessionale nata nel 2002 dalle vicende dello scozzese Magnus MacFarlane-Barrow, legate a una storia di fede e di aiuti umanitari, che ha avviato anche in Italia un ciclo di appuntamenti nelle università e collaborazioni con varie associazioni, tra cui la Fondazione Protettorato di San Giuseppe, la Comunità di Sant'Egidio e la Croce Rossa. Francesco Gnagni ne ha parlato con il responsabile italiano di "Mary's Meals Italia", Francesco Stefanini

R. - "Mary’s Meals" nasce nel  2002: all'epoca forniva cibo a duecento bambini in Malawi con un piccolo programma di alimentazione in una piccola scuola. Oggi alimenta nel mondo, in 12 Paesi, un milione e 187 mila bambini per ogni giorno di scuola.

D. - Com'è nata l’associazione?

R. - Era appunto il 2002. Il nostro fondatore Magnus MacFarlane-Barrow, uno scozzese, visitò una famiglia che viveva in una situazione di estrema povertà, con una mamma morente di Hiv. Magnus chiese al figlio più grande - erano sei - quale fosse il suo sogno, quali fossero le sue ambizioni per il futuro. E lui rispose: “Avere abbastanza cibo per potere andare a scuola”. Quella è stata l’intuizione che a Magnus ha fatto scattare l’idea di fondare un’associazione che fornisse cibo per permettere di andare a scuola. "Mary’s Meals" nasce dunque dall’intuizione di un piccolo, di un bambino; non nasce in un tavolo di grandi, di pensatori, ma dal desiderio di un bambino.

D. - Quali sono i profili dei volontari che collaborano?

R. - Moltissimi dei nostri volontari appartengono a parrocchie sia in Italia sia all’estero. "Mary’s Meals" letteralmente in italiano significa “Pasti di Maria”. Il nome si ispira a Maria, figura che ha cresciuto e allevato Gesù in maniera molto più semplice, consentendogli di crescere. Quindi "Mary’s Meals", come "Pasti di Maria", si richiama alla figura della Madonna che è stata capace di crescere suo figlio anche in condizioni di povertà.

D. - Distribuendo pasti, la vostra associazione garantisce un futuro e la possibilità non solo di immaginarlo ma anche di progettarlo concretamente. Ci racconta qualcosa delle storie che lei ha vissuto facendo questa attività?

R. - A giugno ero in Malawi. Ricordo che visitando alcune scuole, in posti anche molto difficili da raggiungere, vedevo questi piccoli bimbi che si muovevano per la strada: dal loro villaggio di origine verso la scuola, ognuno aveva la sua coppetta, andava a scuola e prendeva il pasto servito dai nostri volontari. Questo è stato veramente commovente e toccante. Un’altra storia: ero sempre lì, in Malawi, a giugno, a versare questo “cuore” nelle coppe dei bimbi; non sono riuscito a versare una coppa fino all’orlo. Dopo un po’ vedo il bambino scomparire dietro la fila; dopo qualche minuto mi sento toccare sulle spalle e questo bambino mi dice: “Piena fino all’orlo: io mangio solo una volta al giorno”. In quel momento ho capito quanto "Mary’s Meals" sia veramente importante per la vita di questi bambini che oggi, soprattutto nel momento di crisi che vive il Malawi, mangiano solamente una volta al giorno.

D. - State organizzando delle iniziative anche in Italia?

R. - Ad oggi abbiamo anche un programma molto interessante che avvicina le persone perché diamo ai bambini sia il pasto quotidiano per ogni giorno di scuola, per tutto l’anno scolastico, sia degli zaini. Quindi diamo anche la possibilità materiale di poter studiare. Moltissime scuole, gruppi, associazioni raccolgono i loro zaini secondo una lista prestabilita, noi li raduniamo in ogni parte d’Italia e dopo li spediamo a questi bimbi. E quando ricevono il loro zaino personalizzato con tutte le cosine dentro, si sentono onorati perché hanno sia la possibilità di mangiare a scuola sia gli strumenti per poterla frequentare, quindi un quaderno, una penna, le ciabatte per poter camminare e un’agendina per poter appuntare delle cose. E la loro gioia - quando ero lì a giugno, ho visto scaricare il camion degli zaini - era tantissima!

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Vescovi Brasile: distruggere l'Amazzonia va contro cuore e ragione

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Un incontro molto significativo per il presente e futuro di questa terra. Così in sintesi mons. Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins che ha partecipato al Convegno ecclesiale dell’Amazzonia che si è svolto nei giorni scorsi a Belém. Ai lavori hanno partecipato operatori pastorali, religiosi, religiose e laici della Conferenza episcopale brasiliana. Al microfono della nostra inviata, Cristiane Murray, mons. Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins in Amazzonia: 

R. – Un incontro bellissimo, con più di 60 vescovi coinvolti in questo lavoro di difesa dei popoli e della natura, seguendo le indicazione della Laudato si di Papa Francesco e l’esperienza di ormai quasi mezzo secolo di aiuto delle Chiese sorelle qui. Ho avuto l’occasione di sentire per la prima volta qui, dal mio cellulare l’intervista fatta ai miei confratelli, i vescovi; e poi attraverso questo anche le notizie del Papa. Ho anche capito come mai dalla mia radiolina qui in Amazzonia, tutte le domeniche mattine quando c’è il giornale della diocesi c’è sempre una parte relativa al Brasile e una parte sul Vaticano. E mi chiedevo: 'Ma come fanno a registrare?'. Ed ecco come i miei giornalisti, che sono molto più abili di me evidentemente, registrano la Radio Vaticana in portoghese e quindi anche io sono riuscito ad arrivare a queste notizie direttamente con il mio cellulare!

D. – Noi siamo qui, davanti alla baía do Guajará, nel Portale dell’Amazzonia, Belem; e davanti a noi passa una chiatta con alcune tonnellate di legno: ci stanno portando via l’Amazzonia, don Giuliano?

R. – Sì. Io sono davanti al fiume del Rio delle Amazzoni e anche io mi trovo davanti ad una immagine come questa e purtroppo anche io vedo, soprattutto di notte, che escono dall’interno della foresta, vanno via e arrivano a Belem: vengono qui a portarle sulle navi… Io ho già portato la Polizia, ho portato quelli della protezione dell’ambiente, ho portato anche un avvocato, ma purtroppo quando si arriva sul luogo non si vede nulla! E’ tutto pulito, non c’è nessuna macchina, non c’è nessun trattore… Ormai sono abituati a nascondersi continuamente. E’ terribile, perché – come dice il Papa – uno non pensa a cosa lascerà ai suoi figli, ai suoi nipoti. E’ questo che mi fa male, quando vedo - perché le ho viste! - le persone vendere i tronchi per qualcosa come 3 euro ogni tronco... E’ una pazzia! Va contro la ragione, contro il cuore, contro la saggezza che il Signore ci ha dato. Speriamo che le preghiere di chi prega e le lotte di chi lotta riescano almeno a far smettere questo massacro e non soltanto dell’ambiente, perché questo implica anche il massacro di centinaia di migliaia di persone; così come del sistema ecologico mondiale…

D. – E anche noi della comunicazione abbiamo la nostra parte: la stiamo svolgendo?

R. – Sì, è importantissimo! Anche per dar voce a iniziative positive. Ad esempio ho incontrato delle persone che fanno la raccolta di tutti i residui elettronici: a Manau, il nipote di un mio vicario generale ha messo su una ditta, in cui ricicla i cellulari; mettendo in atto delle scuole di computer con tutto il materiale riciclato. In queste scuole c’è anche la raccolta di tutto il materiale elettronico: quindi, oltre alla raccolta del materiale che potrebbe essere una distruzione dell’ambiente, anche questo per evitare che si distruggano centinaia di migliaia di tonnellate di materiali, che servono per fare dei microchip. E questo è interessantissimo…. Dentro i nostri cellulari ci sono materiali che è possibile recuperare, invece che buttarlo nella spazzatura.

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Arca, l’Emporio della Solidarietà: un aiuto contro la povertà

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Fare la spesa in cambio di ore di volontariato, su questi presupposti nasce "Arca, l’Emporio della Solidarietà” per sostenere le famiglie indigenti, allontanandole dalla tendenza all’isolamento. Nato dalla collaborazione tra "La Casetta Onlus" e la Fondazione "Progetto Arca Onlus", il progetto è stato attivato a Bacoli e Monte di Procida, in Campania, coinvolgendo 40 famiglie disagiate. Secondo i recenti dati Istat, sarebbero 4,6 milioni le persone povere in Italia, mentre i bambini di quattro famiglie povere su dieci si trovano in condizioni precarie, come riporta il 7° "Atlante dell’infanzia (a rischio)" presentato da Save The Children. Sabrina Spagnoli ha chiesto ad Anna Gilda Gallo, presidente de "La Casetta Onlus", di presentare il progetto: 

R. – E’ nato da un’idea di osservazione mia personale. Volevo trovare una strategia per incontrare l’altro in modo diverso. La Fondazione "Progetto Arca" di Milano mi ha ascoltato, mi ha dato la possibilità della realizzazione pratica. Ho chiamato i servizi sociali di Monte di Procida e di Bacoli per aiutarmi a selezionare le famiglie. Ci sono 40 famiglie: 20 del comune di Procida e 20 del comune di Bacoli, che fanno la spesa presso un emporio della solidarietà, senza spendere soldi, utilizzando una tessera. E quando arrivano a un totale di 150 punti, questi punti si convertono in ore di volontariato. Prima di fare il volontariato, io faccio loro formazione per un periodo di tempo; quindi, incontro queste famiglie, le ascolto e mettiamo in essere poi un modello da seguire. Inizia una storia di inclusione: questa è la formazione, per poi attivarli in una storia di volontariato presso enti pubblici e quindi presso servizi sociali, nelle scuole, nelle associazioni.

D. – Dal punto di vista sociale, l’iniziativa permette alle famiglie di non gravare sulle comunità con l’ausilio di fondi pubblici. Com'è stato finanziato il progetto?

R. – Il progetto è stato finanziato dalla Fondazione “Progetto Arca” di Milano e dalla “Casetta”: sono fondi privati. Man mano si sono presentate tutte le persone - piccoli imprenditori, per adesso, anche perché comunque è una risorsa - che si sono fatte avanti e hanno creato una rete, hanno adottato uno scaffale e in questa adozione loro mantengono e aggiungono ogni mese prodotti di base che già ci sono e a cui provvedono sia la Fondazione sia la “Casetta”.

D. – I recenti dati di “Save the Children” vedono i bambini di quattro famiglie povere su dieci in condizioni di povertà e i recenti dati Istat hanno evidenziato 4,6 milioni di persone povere, soprattutto nel Sud d’Italia. Sono dati riscontrabili? Quali sono le problematiche di queste famiglie?

R. – E’ una realtà: “Save the Children” non sbaglia. Le famiglie di cui mi interessavo prima, e di cui continuo a interessarmi, erano quelle totalmente abbandonate, senza lavoro; avevano difficoltà anche per quanto riguarda la malattia, problemi quali alcol, droga e via dicendo. Ma poi si è affiancata la famiglia che ha perso il lavoro o che ha ridotto in grande misura l’attività lavorativa. Quindi ci troviamo di fronte a famiglie che si sono trovate impoverite e questi dati sono veramente gravi.

D. – Ampliare la catena di solidarietà con il coinvolgimento dei commercianti flegrei può essere visto in una duplice ottica: aiuto alle famiglie ma anche ai negozianti in crisi?

R. – Il negoziante in crisi certo che lo aiuta; però il negozio dona, diventa donatore. Quindi, affittano uno scaffale ma diventano donatori. L’emporio riceve anche il beneficio di imprenditori che donano.

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Kennedy Shriver: vi racconto il mio viaggio alla ricerca di Francesco

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“Pilgrimage”, “Pellegrinaggio”: si intitola così il nuovo libro di Mark Kennedy Shriver, presidente di Save The Children negli Stati Uniti, in uscita il 29 novembre per i tipi della Random House. Nipote del presidente John F. Kennedy, Mark ha voluto con questo libro raccontare la sua personale ricerca per conoscere da vicino Papa Francesco. Un “viaggio” che lo ha portato da Washington al Vaticano e poi in Argentina, da Buenos Aires a Cordoba, dove ha potuto parlare con le persone più vicine al Papa argentino. In questa intervista esclusiva di Alessandro Gisotti, Mark Kennedy Shriver racconta cosa ha trovato nel suo "pellegrinaggio" alle radici di Jorge Mario Bergoglio: 

R. – One of the question I struggled with was …
Una delle domande su cui ho avuto difficoltà a rispondere è stata: chi è quest’uomo? E la risposta che mi sono dato è stata: di chi è quest’uomo, a chi appartiene? Appartiene a Gesù. Ha veramente impegnato la sua intera vita alla chiamata e al messaggio di Cristo. Una grande cosa di Papa Francesco, dal mio punto di vista, è che lui è un “maestro” fantastico perché ti fa interrogare sulla tua fede fino al nocciolo in funzione del suo modo di vivere, di quello che dice e del modo in cui agisce. Quello che fa e quello che dice è così assolutamente coerente da costringermi – in quanto americano ma anche come persona - a considerare il modo in cui vivo, il modo in cui mi comporto, il modo in cui tratto le persone. Quindi, prima di tutto penso che quest’uomo è un grande maestro e ci sfida a guardare al modo in cui pensiamo, ci comportiamo e cosa diciamo e ci aiuta così a diventare persone migliori.

D. – Nel libro ha scritto che Papa Francesco è una figura che ispira la gente, così come lo era suo zio, il presidente John F. Kennedy. Cosa l’ha colpita di più della visione di Jorge Bergoglio?

R. – I think that the most challenging part of his vision is …
Penso che la sfida maggiore che ci propone sia quella di “andare fuori”, di sporcarci le scarpe e – come dice lui – di prendere l’odore delle pecore. Questo significa “andare fuori”, lavorare con le persone, ascoltare i poveri, e credo che quando dice “povero” non intenda solo chi è povero economicamente ma quelli che soffrono di povertà fisica, emozionale o spirituale. Questo include tutti noi, perché tutti soffriamo di qualcosa, tutti siamo peccatori, e la sfida che Papa Francesco ci propone è di avere misericordia l’uno nei riguardi dell’altro, di  passare del tempo insieme l’uno con l’altro, di uscire dalla nostra “zona di sicurezza”. Penso che questo sia il messaggio di cui possiamo beneficiare tutti, qui, negli Stati Uniti e in tutto il mondo: usciamo dalla nostra “zona di sicurezza”, raggiungiamo i nostri vicini ma anche gli stranieri che incontriamo per strada, aiutiamoli veramente e impariamo da loro. E questo è quello che fa un grande leader: ci sfida a diventare persone migliori. E penso che questo sia quello che in passato ha fatto il presidente Kennedy e quello che oggi sta facendo Papa Francesco.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 332

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