Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 01/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa alla Messa a Tbilisi: cattolici non vivano in microclima chiuso

◊  

“La presenza di Dio nel cuore è fonte della nostra consolazione nelle vicende della vita, per riceverla occorre farsi piccoli, umili e fiduciosi nel Padre”. E’ quanto Papa Francesco, ispirandosi all’odierna memoria di S. Teresa di Gesù Bambino, chiede al “piccolo amato gregge di Georgia”, durante la Messa nello stadio Meskhi a Tbilisi nella seconda giornata del suo viaggio apostolico. Contrariamente a quanto previsto, non ha partecipato alla celebrazione la delegazione del Patriarcato ortodosso georgiano. Presenti i rappresentanti delle diverse denominazioni cristiane di Georgia e Armenia e di altre religioni. Il servizio della nostra inviata Gabriella Ceraso

Didi madloba!

“Molte grazie”, dice il Papa in georgiano davanti ad uno stadio che da tempio del football, si è trasformato straordinariamente oggi in una grande Chiesa dei credenti georgiani. Cattolici, assiro caldei, ortodossi, battisti, luterani, armeni, insieme sugli spalti, nel coro e come volontari in servizio. E’ il ”Popolo di Dio al di là delle nostre divisioni” ha detto nei suoi saluti il vescovo Giuseppe Pasotto.

Donne georgiane: custodi della fede
Il Papa raggiunge l'altare varcando una porta simbolica del Giubileo georgiano e il primo pensiero nell’omelia lo dedica al grande valore delle donne georgiane, “nonne e madri”, “tesoro di questo splendido Paese”:

“Nonne e madri che continuano a custodire e tramandare la fede, seminata in questa terra da Santa Nino, e portano l’acqua fresca della consolazione di Dio in tante situazioni di deserto e conflitto"

Dio ci ama: apriamo il cuore alla sua consolazione
Come le madri per le fatiche dei figli così, dice il Papa, "Dio ama farsi carico dei nostri peccati e proteggerci":

“Egli, che ci conosce e ci ama infinitamente, è sensibile alla nostra preghiera e sa asciugare le nostre lacrime. Guardandoci, ogni volta si commuove e si intenerisce, con un amore viscerale, perché, al di là del male di cui siamo capaci, siamo sempre i suoi figli”.

La consolazione di cui allora abbiamo bisogno nelle turbolenze della vita è la presenza di Dio nel cuore. Occorre dunque fargli posto, il Papa usa un’immagine evocativa e dice: occorre “aprirgli la porta” e non restare nei sotterranei dell’angoscia. Ma come fare? 

“Il Vangelo letto ogni giorno e portato sempre con noi, la preghiera silenziosa e adorante, la Confessione, l’Eucaristia. Attraverso queste porte il Signore entra e dà un sapore nuovo alle cose".

Non rattristiamoci per disarmonie, condividiamo le speranze
Allo stesso tempo per il cristiano deve interrogarsi sulla propria capacità di portare la consolazione di Dio a cui è sempre chiamato, come per la Chiesa ricevere e dare consolazione è una missione che il Papa definisce "urgente":

“Cari fratelli e sorelle sentiamoci chiamati a questo: non a fossilizzarci in ciò che non va attorno a noi o a rattristarci per qualche disarmonia che vediamo tra di noi. Non fa bene abituarsi a un microclima ecclesiale chiuso; ci fa bene condividere orizzonti ampi e aperti di speranza, vivendo il coraggio umile di aprire le porte e uscire da noi stessi".

Dio si conosce con un cuore umile e fiducioso
Farsi piccoli e umili. Ma c’è una condizione di fondo, chiarisce Francesco, per ricevere la consolazione, e la ricorda il Vangelo odierno: "Farsi piccoli come bambini", “non accumulare onori e prestigio, beni e successi terreni, ma svuotarsi di sé”. Beate quindi, è l'invocazione di Francesco, le comunità povere di mezzi e ricche di Dio, i pastori che seguono solo la legge dell’amore, e la Chiesa che non si affida al funzionalismo, all’ efficienza, al ritorno di immagine".

Ecco allora il lascito che il Papa, congedandosi, affida al “piccolo amato gregge di Georgia”, fidarsi della consolazione di Dio:

"Chiediamo oggi, tutti insieme, la grazia di un cuore semplice, che crede e vive nella forza mite dell’amore; chiediamo di vivere con la serena e totale fiducia nella misericordia di Dio".

Al termine della cerimonia, dallo schermo al fianco dell'altare si compone la scritta "Ut Unum sint" da lettere prima sparse: come a dire che gli elementi per costruire l'unità della Chiesa ci sono, occorre solo continuare a lavorare.

inizio pagina

P. Majewski: Papa in Georgia, segno di riconciliazione per il mondo

◊  

Una Messa per donare rinnovata speranza al piccolo gregge della Georgia. E’ il significato profondo della celebrazione di Papa Francesco nello stadio di Tblisi. Alessandro Gisotti ha chiesto un commento al direttore dei programmi della Radio Vaticana, padre Andrea Majewski, al seguito del Papa: 

R. – Il viaggio del Papa in Caucaso ha questa dimensione: è arrivato alle piccole comunità cattoliche sparse qua, in due-tre Paesi … domani saremo in Azerbaigian dove la presenza cattolica veramente è minima. Papa Francesco molte volte ha ripetuto la frase ormai famosa che “il mondo si vede meglio dalle periferie che dal centro”: ed è arrivato in periferia! Questo è importante non soltanto per la Chiesa qui, la Chiesa in Georgia che supera appena l’1% della popolazione, ma è importante anche per la Chiesa universale. Se crediamo davvero che il mondo si vede meglio dalle periferie, è la Chiesa stessa che può imparare molto vedendo se stessa dalle periferie.

D. – Un momento particolare, forte, è stato il passaggio di una Porta Santa - allo stadio - di una chiesa che ancora non è stato possibile costruire. E’ anche il segno delle difficoltà che ha il gregge, la piccola Chiesa della Georgia?

R. – E’ vero: da una parte possiamo leggere questo gesto come segno delle difficoltà che trova questa Chiesa, essendo una piccola Chiesa minoritaria. D’altra parte, dal punto di vista positivo possiamo interpretare questo anche nel senso che la Porta Santa senza chiesa è un’apertura della porta al mondo. Io l’ho letta così, e lo stesso Papa ci ha incoraggiati, nella sua omelia, a leggerla così, quando ha proprio invocato questo fatto che la Chiesa cattolica in Georgia è piccola, dicendo di non chiudersi in un microcosmo. Lo stesso Papa ha chiesto di aprire le porte, di uscire da noi stessi, di uscire a tutto il mondo.

D. – Papa Francesco è in Georgia; tra poco sarà in Azerbaigian. Il Caucaso ha delle ferite profonde: questo viaggio, anche solo con la presenza del Papa, vuole portare riconciliazione?

R. – Certamente. E questo si riferisce anche al ruolo del Pontefice nel mondo: costruire ponti tra le parti che non si parlano, tra le parti a volte in profondo conflitto. Il tema della pace, qui nel Caucaso è veramente molto attuale. Speriamo che questa visita porti alcuni frutti, ma già lo stesso fatto che si siano incontrate persone che di solito non si incontrano, può essere un piccolo, primo buon segno per il futuro, che le cose possano cambiare. Il Papa stesso ieri ha detto che l’ecumenismo – ma la stessa cosa vale per la pace – si fa con i piccoli passi. Questo viaggio del Papa è un altro, ulteriore piccolo passo verso la pace!

inizio pagina

Dalla Georgia la preghiera del Papa per la pace in Siria e Iraq

◊  

Papa Francesco nel pomeriggio si è recato nella chiesa di San Simone Bar Sabbae di Tbilisi per incontrare la comunità assiro-caldea. Qui ha elevato un’accorata preghiera di pace per la Siria e l’Iraq alla presenza del Patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako. Il servizio di Sergio Centofanti

E’ stato un incontro commovente. Questa è una piccola comunità di immigrati cattolici, nata in seguito a persecuzioni e violenze subite nel corso dei secoli. Gli ultimi profughi sono caldei giunti da Iraq e Siria. Qui hanno trovato una Chiesa povera ma che li ha accolti con generosità. Hanno sofferto molto, hanno testimoniato con coraggio la loro fedeltà a Cristo e al Papa. Durante l’incontro di preghiera sono stati intonati gli antichi inni dei martiri caldei risalenti ai primi secoli del cristianesimo.

Il Papa ha pregato per le vittime dell’ingiustizia e della sopraffazione, ha invocato la liberazione dall’odio, dall’egoismo e dalla cultura della morte:

“Signore Gesù, unisci alla tua croce le sofferenze di tante vittime innocenti: i bambini, gli anziani, i cristiani perseguitati; avvolgi con la luce della Pasqua chi è ferito nel profondo: le persone abusate, private della libertà e della dignità; fa’ sperimentare la stabilità del tuo regno a chi vive nell’incertezza: gli esuli, i profughi, chi ha smarrito il gusto della vita”.

Forte l’invocazione al Signore perché i popoli in guerra ritrovino la pace:

“Imparino la via della riconciliazione, del dialogo e del perdono; fa’ gustare la gioia della tua risurrezione ai popoli sfiniti dalle bombe: solleva dalla devastazione l’Iraq e la Siria; riunisci sotto la tua dolce regalità i tuoi figli dispersi: sostieni i cristiani della diaspora e dona loro l’unità della fede e dell’amore”.

Al termine della preghiera, Papa Francesco libera una colomba bianca, simbolo di pace, tra gli applausi e le grida di gioia di quanti hanno potuto incontrarlo.

inizio pagina

Parroco caldeo: commossi da vicinanza Papa a sofferenze profughi

◊  

Uno dei momenti più toccanti della prima giornata di Papa Francesco in Georgia è stato l’incontro con la comunità assiro-caldea nella chiesa di San Simone Bar Sabbae di Tbilisi. Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza del parroco, padre Beniamino Beth Yadegar

R. – Portiamo dentro un senso di tranquillità, di pace, di solidarietà; di “tutta la Chiesa cattolica è con noi”. Ed è stato molto bello perché il Papa si è fermato, era contento. E la sua preghiera era veramente molto significativa. Ha ricordato i profughi, i martiri … è stato un momento veramente molto prezioso. Tutti con le lacrime agli occhi, pieni di gioia, pieni di forza … Siamo usciti di là, avremmo potuto volare, come quella colomba che ha liberato: volevamo tutti volare, così eravamo pieni di questo spirito di amore, di fraternità …

D. – Padre Beniamino, la preghiera del Papa ha sottolineato la Croce e la sofferenza ma anche la Risurrezione, la fede nella Risurrezione. Che messaggio arriva?

R. – Gesù è morto, però non è rimasto sulla Croce: ha vinto la morte. Dunque anche voi che soffrite, che siete perseguitati, che vivete momenti molto difficili in queste terre martoriate: io sono accanto a voi, con le mie preghiere, con la mia comunità, con la mia intera Chiesa. Questo … noi abbiamo sentito questo veramente molto, molto, molto vicino.

D. – Può la preghiera risollevare i cuori di persone che da anni subiscono violenze?

R. – Bisogna ripetere queste cose: bisogna ripetere questi incontri, ripetere questi contatti con la Chiesa universale … Questo è un messaggio continuo! Il Papa apre la porta, però adesso bisogna continuare. Noi abbiamo deciso in questa data, il 30 settembre, ogni anno – ogni anno! – faremo una preghiera alla radice della pace con tutte le nostre comunità: una volta da me, una volta in Europa, una volta in Iraq, se il Signore vuole una volta in altri Paesi … Però, questa data è rimasta nella nostra memoria come la data della pace per le nostre Chiese. E’ così.

inizio pagina

Greg Burke: emozionante incontro tra Francesco e Ilia II

◊  

L’incontro con il Patriarca Ilia II e la preghiera per i cristiani della Siria e dell’Iraq. Sono i due momenti salienti della prima giornata di Papa Francesco nel suo viaggio apostolico in Georgia. La nostra inviata a Tbilisi, Gabriella Ceraso, ha chiesto un commento al direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke

R. – Certamente è stata giornata intensa. Non c’è dubbio! Come tanti viaggi del Papa è un elemento chiave, come sapevamo, il rapporto con gli ortodossi. Però, forse, ancora più bello rispetto a quanto ci si aspettava dalla visita al Patriarcato: questa musica, questo coro splendido e anche le parole del Patriarca, quando ha detto, alla fine del suo discorso: “Che Dio benedica la Chiesa di Roma”. Quindi una cosa molto nel cuore… E anche il Papa ha parlato molto dal cuore. Quindi, nonostante tutte le difficoltà si vedeva veramente molta buona volontà.

D. – Quindi una cosa anche molto naturale: un rapporto semplice, schietto e diretto..

R. – Sì! Tutte e due hanno pregato l'uno per l’altro.

D. – C’è stata anche questa preghiera grande che si è aperta al mondo intero, al mondo in sofferenza, che è partita proprio dalla piccola chiesa di San Simone, quella degli assiro-caldei…

R. – Qui è stato interessante che non ci sia stato un discorso del Papa, né una omelia; ma una preghiera, che è forse la cosa che, in questo momento, ci vuole di più. E’ il Papa che vuole dimostrare una vicinanza alla Chiesa sia in Siria, sia in Iraq. E questo è stato il modo più bello per farlo. Abbiamo sentito anche i canti in aramaico, la lingua di Gesù…

inizio pagina

L'impegno della Chiesa georgiana per i più bisognosi

◊  

La presenza cattolica in Georgia seppur di minoranza è molto attiva e apprezzata in ambito culturale ma soprattutto in opere di carità. Il Papa le ha incontrate a Temka, periferia di Tbilisi: circa 600 persone, volontari medici e assistiti lo accoglieranno davanti al Poliambulatorio dei Camilliani Redemptor Hominis. Al microfono di Gabriella Ceraso il direttore del Poliambulatorio, il padre camilliano Pawel Dyl

R. - In Georgia per un certo periodo la sofferenza si viveva come un castigo dato da Dio. Noi vogliamo cambiare questa mentalità, perché la sofferenza che incontra il Buon Samaritano può cambiare la vita di entrambi. Allora il messaggio di Papa Francesco - che mette sempre i malati in prima linea quando dice che loro sono il cuore della Chiesa  - è un messaggio che vogliamo trasmettere a tutto il popolo georgiano perché è difficile portare la croce propria, ma è ancora più difficile quando la Croce viene legata al castigo di Dio. Questa è una follia, un’eresia! Noi vogliamo far passare questo messaggio evangelico che Dio è buono, è sempre accanto alla persona che soffre e soffre insieme alla persona sofferente.

D. - Quanto riuscite a fare per la popolazione?

R. - Ci sono tante aree ancora abbandonate dove vogliamo arrivare. Ultimamente abbiamo cominciato a servire i malati nella regione del Sud, ma ci accorgiamo che questo grande mare di misericordia del quale parlava San Camillo è ancora da diffondere, da esplorare; c’è ancora tanto, tanto, tanto da fare.

D. - Che volti ha la sofferenza che voi incontrate?

R. - Il volto dell’abbandono, del disprezzo, del disinteressamento. Ma vediamo anche i volti felici delle persone che dopo tanti anni di isolamento, di abbandono si sentono veramente umane. Quando i nostri assistiti, i ragazzi disabili ritornano da noi provano tanta gioia perché, stando qui con noi, lavorando, imparano tante cose.

D. - Oltre alla cura proprio ambulatoriale, a domicilio, diurna che offrite c’è anche una formazione che svolgete?

R. - Noi vogliamo formare i nostri operatori sanitari nella nuova Scuola di Carità di San Camillo. E allora sottolineiamo sempre che il malato è Gesù Cristo; il popolo georgiano è molto religioso e per loro capire che il malato è Gesù Cristo è molto importante. Mi ricordo un incontro di formazione: dopo aver finito un prete ortodosso mi ha detto: “Io non ho mai sentito che Gesù è proprio quel malato”. Poi facciamo diversi corsi di aggiornamento per i fisioterapisti, per terapisti occupazionali logopedisti, ma soprattutto cerchiamo di fare formazione soprattutto con la nostra vita.

La cura domiciliare tra gli strati sociali più poveri: è questa l’attività più diffusa tara i tanti volontari che in Georgia affiancano i diversi religiosi nelle opere di carità. Un ruolo delicato e impegnativo, come racconta al microfono di Gabriella Ceraso, Daniele Mellano giovane torinese che ha lasciato la sua città per servire gli ultimi: 

R. – I camilliani hanno cominciato ad accogliere e a prestare assistenza sanitaria attraverso il poliambulatorio, e poi andando a domicilio per raggiungere quelle persone che non avrebbero potuto altrimenti uscire di casa per motivi di salute. E questo è espressione assolutamente del carisma camilliano. Quando ho cominciato questo servizio, il regime comunista era caduto da cinque anni; quindi la situazione era veramente gravissima, di povertà e miseria assolute.

D. – Cosa significa andare nelle case? Che realtà trovate?

R. – Io sono un semplice operatore socio-sanitario. Ho lavorato in ospedale a Torino e la situazione di lavoro è diversa rispetto a queste prime linee dell’assistenza domiciliare. Ci sono pochi strumenti: le mani, la propria fisicità, il mettersi a disposizione veramente con poco. E questo era quello di cui io, anche personalmente, avevo bisogno: riscoprire un po’ la solidarietà, mettermi a disposizione.

D. – Daniele, quando il Papa dice: “La misericordia non è una bella idea, ma è sempre un’azione concreta”…

R. – Assolutamente, perché attraverso il servizio rimane solo l’essenziale.

D. – Concretamente che cosa fate a domicilio?

R. – Abbiamo situazioni diverse. Con le persone allettate arriviamo al mattino e aiutiamo i familiari; in alcuni casi ci affianchiamo a loro, in altri il nostro compito è quello di mostrare loro come si deve fare. Abbiamo visto anche tanta meraviglia, in alcuni casi, da parte dei familiari nel vedere come noi prestavamo aiuto ai malati. Con una presenza costante, settimanale anche il loro atteggiamento nei confronti del parente è cambiato!

D. – Il Papa spesso dice che “noi cristiani non possiamo permetterci di voltarci dall’altra parte”, cioè di non vedere: esiste questa "cultura dello scarto" in Georgia?

R. – Sì, esiste. Sicuramente il nostro è un credo di fraternità, condivisione e compassione: quello che avete fatto al più piccolo lo avete fatto a me. E questo forse qui non è così sviscerato. La gente non ha tanti strumenti e non è forse molto accompagnata a sviluppare questi aspetti molto concreti. La mistica camilliana, secondo me, è la più alta possibile, perché più del servizio non ci può essere.

inizio pagina

P. Bragantini: Papa in Georgia, slancio per unità cristiani

◊  

L’ultima tappa della visita del Papa in Georgia e del suo cammino ecumenico al fianco del Catholicos Ilia II sarà, oggi pomeriggio, nella cattedrale di Svetytskhoveli, a Mtskheta. Poco fuori Tbilisi, il Pontefice sarà accolto in questo luogo sacro alla fede ortodossa dove la tradizione vuole sia custodita la tunica di Gesù che la giovane Sidonia portò nella tomba tenendola stretta a sé. La tunica intatta è divenuta simbolo dell’Unità dei cristiani. Sul valore di questo sentiamo padre Gabriele Bragantini, vicario episcopale per la cultura e l’ecumenismo al microfono di Gabriella Ceraso

R. – E’ la prima capitale della Georgia, dove è avvenuta – all’inizio del IV secolo – la ri-evangelizzazione della Georgia da parte di Santa Nino, questa schiava – come dice la tradizione – venuta dalla Cappadocia. In questo luogo - Mtskheta si trova una grande cattedrale del X secolo: questa Chiesa si chiama Svetytskhoveli cioè “colonna vivente”. Questa “colonna vivente”, secondo la leggenda, è nata dal corpo di Sidonia, sepolta stringendo a sé la tunica non divisa di Gesù (portata da Gerusalemme da suo fratello Elia), e presa come simbolo dell’unità della Chiesa. Quindi è un luogo molto importante di fede. E poi gli avvenimenti più importanti vengono celebrati qui.

D. – Proprio qui, durante la visita di Giovanni Paolo II nel ’99, lo stesso Santo Padre, insieme al Patriarca Ilia accesero una candela…

R. – Per la sensibilità ortodossa pregare insieme tra due Chiese non unite è ancora molto difficile: quindi il gesto di accendere una candela è carico di tutta una sua forza. E’ una luce che viene messa proprio presso la tunica, segno dell’unità di Cristo. Sarà l’ultima immagine, l’ultima foto che ci resterà di questa visita. E proprio essendo l’ultima immagine, credo che dobbiamo accoglierla con tutta la sua forza, pur nella sua semplicità. Credo che potrà ravvivare, in noi, il desiderio di unità.

D. – Dunque un cammino tra due Chiese sorelle. Lei lavora proprio in questo ambito. Quali sono gli spazi di comune collaborazione che sviluppate e quali frutti portano, se ce ne sono…

R. – Se tanti paletti ci sono, se tanti ostacoli ci sono o alcune porte sembrano essere chiuse, mi sembra che alcune porte invece sono aperte, come quella della cultura  e della carità. Questi sono i due ambiti in cui la Chiesa cattolica qui in Georgia cerca di far propri per non dimenticare e per non trascurare questa caratteristica della Chiesa, che è quella del dono dell’ecumenismo.

D. – Ruota intorno all’università questo impegno? Ruota intorno a dibattiti comuni?

R. – Quella della cultura è una strada che apre tante possibilità: per esempio siamo riusciti a far sì che quello che era un Istituto Teologico diventasse una università riconosciuta dallo Stato. Una università che aveva attenzione alla teologia e che adesso ha anche altre facoltà che ci permettono di entrare in contatto con tante persone. E anche se piccoli mi sembra che ci siano già dei risultati: pensiamo agli incontri che facciamo per la Settimana Biblica; penso agli argomenti legati alla storia che trattiamo. Questo dà la possibilità di rivedere non solo la presenza della Chiesa nel mondo, ma anche la presenza della Chiesa in Georgia e ci permette anche di vedere che è possibile collaborare, parlare e dialogare.

D. – Si capisce – anche da quello che lei ha detto – che ci sono degli spazi ancora da colmare in questo cammino, che anche la società chiede di colmare?

R. – Senz’altro! Credo che la richiesta più forte sia quella dell’unità, della collaborazione e che queste due Chiese, insieme anche alle altre Chiese presenti, non si vedano come concorrenti.

D. – Nell’attesa e nella preparazione per l’arrivo del Papa ci sono stati anche degli incontri tra di voi, con il Patriarcato: qual è stato lo spirito di questi giorni?

R. – Posso dire che la Chiesa ortodossa di Georgia si è dimostrata disponibile fin dall’inizio. Il Patriarca ha dimostrato anche una grande gioia e ha indicato questo momento come un avvenimento importante della Storia della Georgia. E poi ha ricordato anche l’impegno che aveva preso con Giovanni Paolo II di pregare ogni giorno… Speriamo che tutto questo entri anche in quelle che sono le pieghe della Chiesa georgiana e della società georgiana.

inizio pagina

Papa in Azerbaigian: dialogo interreligioso e servizio alla popolazione

◊  

Dialogo interreligioso e servizio alla popolazione. E’ questa la realtà che vive ogni giorno la piccola comunità cattolica nell’Azerbaigian, circa 500 fedeli, che il Papa incontrerà domani nella seconda tappa del viaggio nel Caucaso meridionale. Prefetto apostolico in Azerbaigian è il salesiano slovacco mons Vladìmir Fekète, che al microfono di Gabriella Ceraso racconta l’importanza di  incontrare il Papa e l’attesa per il messaggio che vorrà lasciare loro: 

R. – Siamo ben consapevoli del fatto che qui siamo una piccola comunità salesiana, e quindi abbiamo sentito una grande gioia quando abbiamo appreso che il Santo Padre aveva preso la decisione di venire in Azerbaigian. Lui vuole soprattutto incoraggiare il piccolo gregge dei cattolici che vive in questo Paese, e questo è tanto per noi! Inoltre, penso che la sua presenza possa aiutare anche tutta la società, che è musulmana, ma abbastanza tollerante, aperta e moderata.

D. – “Siamo tutti fratelli”: il motto della tappa in Azerbaigian. Voi con i musulmani, con i cristiani, con gli ebrei, questa fraternità come la vivete?

R. – In Azerbaigian ci sono tanti valori umani molto belli. Questa è una convivenza che dura già da molti secoli, e non ci sono mai stati problemi: loro sono molto aperti a conoscere la nostra vita, le nostre feste e le nostre abitudini. Le donne musulmane vengono spesso nella nostra Chiesa e dicono che “questo è un luogo sacro è una casa di Dio”. Sono sempre aperti a dialogare, anche e soprattutto i giovani, gli studenti universitari e lo fanno senza difficoltà.

D. – Quale prevede sia il significato profondo di questa presenza del Papa lì da voi?

R. – Speriamo che sia molto grande. Da una parte, è un segno che il Papa è amico di tutti: è un segno di fratellanza e dell’appartenenza ad una grande famiglia umana. E poi pensiamo – o speriamo – che la presenza del Santo Padre possa aprire le porte per la nostra Chiesa, far sviluppare la nostra presenza, così da poter servire meglio il popolo che è curioso di sapere chi siano e cosa facciano i cattolici.

D. – Quali sono le necessità più urgenti della società?

R. – Purtroppo, nell’ultimo anno l’Azerbaigian ha attraversato grandi difficoltà. Il Paese è infatti un grande produttore di gas e petrolio e si trova ora in difficoltà dal momento che le entrate dello Stato sono diminuite. Il valore di acquisto della moneta locale è dimezzato, e a questo si lega il problema della disoccupazione. Le difficoltà si sentono, e noi cerchiamo di rispondere anche alle necessità dei gruppi più bisognosi. C’è un progetto di adozione a distanza, e stiamo cercando soprattutto di aiutare le ragazze madri con i loro bambini che non riescono a sopravvivere. Abbiamo aperto un Centro educativo in una zona popolare frequentato da centinaia di ragazzi provenienti da famiglie povere, che non hanno la possibilità di ricevere l’istruzione primaria perché gli insegnanti non hanno un buon salario e quindi forse non fanno tutto quello che dovrebbero. Se una persona qui vuole fare un esame o entrare all’università deve cercare e pagare degli insegnanti privati; e le famiglie povere non hanno questa possibilità. Poi ci sono le suore di Madre Teresa che gestiscono una casa per le persone in punto di morte e per i senzatetto.

D. – È ottimista per il futuro della Chiesa in Azerbaigian? Che cosa sogna?

R. – Sto pregando affinché la Chiesa continui ad essere presente nella sua maniera pacifica, e affinché anche in futuro sia ben accettata dalla società. Segni di speranza ci sono, e poi, siamo nelle mani di Dio!

D. – C’è qualcosa che personalmente vorrà chiedere al Papa se avrete a modo anche di trascorrere qualche minuto insieme?

R. – Io sono qui, come anche tutta la comunità, per ascoltare quello che il Santo Padre vuole dirci. Ma non abbiamo pensato o preparato nessun discorso. Siamo qui per servire e siamo molto felici che il Santo Padre venga ad incoraggiarci in questo servizio.

inizio pagina

Festività ebraiche. Papa: si rafforzino i legami di amicizia

◊  

Papa Francesco ha espresso i suoi auguri alla comunità ebraica di Roma e a quelle del mondo, in occasione delle ricorrenze di Rosh ha-Shanah 5777, il capodanno ebraico, di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, e di Sukkot, conosciuta come Festa delle capanne. In un messaggio - reso noto oggi e rivolto al Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni - il Papa auspica che le imminenti feste portino “abbondanti benedizioni”. L’Altissimo ci conceda "l’instancabile desiderio" di promuovere la pace  e “rafforzi i cordiali legami di amicizia fra noi”, scrive il Papa che auspica il dono di speranza e serenità.

inizio pagina

Papa agli argentini: lavorate insieme con la Patria “sulle spalle”

◊  

Mettersi la Patria “sulle spalle”, per realizzare una cultura dell’incontro in cui “vivere con dignità” ed esprimersi “pacificamente” senza essere insultato, condannato, aggredito o scartato. Questo l’auspicio del Papa per gli argentini, in un videomessaggio inviato ai conterranei, in cui sottolinea anche le figure di Mama Antula, beatificata in agosto, che aiutò “a consolidare l’Argentina in maniera profonda”, e del Cura Brochero, la cui canonizzazione avverrà il prossimo 16 ottobre, che “lottò” per la dignità “dei suoi cari montanari”. Il servizio di Giada Aquilino

Non Francesco, non il Papa, ma Jorge Mario Bergoglio l’argentino. È lui a parlare nel videomessaggio al popolo dell’Argentina. Un figlio di quella terra che, afferma, vorrebbe “tornare” a visitare, ma al momento – dice – “non è possibile”. Non lo sarà nemmeno l’anno prossimo, per “impegni” già fissati “con l’Asia, l’Africa”: il mondo, riflette, “è più grande dell’Argentina”, quindi – constata – “bisogna dividersi” e lasciare al Signore di decidere “la data” opportuna. Intanto, si rivolge ai connazionali in quello che definisce un “monologo” che “vuole essere una chiacchierata”: allunga il tempo, confessa, “come un elastico”. E lo fa non solo quando “ancora si respira l’atmosfera dei festeggiamenti del Bicentenario”, ma anche per la beatificazione di Mama Antula e in vista della canonizzazione del Cura Brochero:

“Para mí el pueblo argentino es mi pueblo..."
Per Francesco, spiega, quello argentino è il suo popolo e confida di viaggiare “con un passaporto argentino”.

“Estoy convencido que como pueblo son el mayor tesoro que tiene nuestra Patria”…
Sono convinto - afferma - che come popolo siate “il più grande tesoro che ha la nostra Patria”, raccontando della “gioia” che prova quando riceve lettere dall’Argentina, per cui prega costantemente.

“Es el amor a la Patria que me lleva”...
E’ “l’amore verso la Patria” - sottolinea - che lo porta a chiedere “una volta di più” agli argentini di mettersi “la Patria sulle spalle, quella Patria che ha bisogno che ciascuno di noi dia il meglio di sé, per migliorare, crescere, maturare”. Solo così, ribadisce, si potrà conseguire “quella cultura dell’incontro” capace di superare tutte le “culture dello scarto”, che oggi nel mondo “si presentano da tutte le parti”.

“Una cultura del encuentro”...
“Una cultura dell’incontro in cui – evidenzia - ognuno abbia il suo posto, in cui tutto il mondo possa vivere con dignità e si possa esprimere pacificamente senza essere insultato o condannato o aggredito o scartato”: essa va cercata, “con la preghiera e la buona volontà”.

Al di là delle ricchezze naturali conosciute dell’Argentina - un “Paese ricco”, mette in luce – il patrimonio più grande rimane “il popolo”, che sa essere solidale, sa camminare “fianco a fianco”, sa aiutarsi, rispettarsi e che, quando “si sente male”, gli altri lo aiutano “perché il male passi”.

“Yo a ese pueblo argentino lo respeto, lo quiero, lo llevo”...
Questa gente d’Argentina il Papa la rispetta, la ama, la porta nel cuore e, anche se – prosegue – “non possiamo stringerci la mano”, spinge a contare sul suo ricordo e sulla sua preghiera affinché il Signore la “faccia crescere” come popolo che si ritrova, lavora unito e cerca la grandezza del Paese.

Nell’Anno della Misericordia, esorta a compiere “tutti i giorni o ogni due giorni” le opere di misericordia corporali e spirituali. Le elenca, leggendole. Quindi ribadisce che così parlando si sente “come a casa”, evocando due persone Mama Antula e il Cura Brochero che “hanno lavorato per la Patria e per l’evangelizzazione”.

inizio pagina

Nomine episcopali di Papa Francesco

◊  

Nelle Filippine, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Baguio, presentata da Mons. Carlito J. Cenzon, C.I.C.M. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Baguio il rev.do Mons. Victor B. Bendico, del clero dell’arcidiocesi di Capiz, finora Parroco della Cattedrale dell’Immaculate Conception, Roxas City.

In Irlanda, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Clogher, presentata da Mons. Liam S. MacDaid.

inizio pagina

La Santa Sede chiama Maria Pia Garavaglia alla guida dell'Idi

◊  

“In forza dell’art. 8.6. dello Statuto della Fondazione Luigi Maria Monti, la Santa Sede ha nominato oggi, 1º ottobre 2016, la prof.ssa Maria Pia Garavaglia nuova presidente del Consiglio di Amministrazione della medesima Fondazione, a cui appartiene l'Istituto Dermopatico dell'Immacolata (IDI)”. Lo rende noto un comunicato della Sede Apostolica.

La prof.ssa Garavaglia, già ministro della Sanità e Commissario della Croce Rossa italiana, succede al card. Giuseppe Versaldi, che negli ultimi due anni ha ricoperto il ruolo di cardinale patrono della medesima Fondazione – prosegue la nota – “in un momento di grande difficoltà ed emergenza, dove si era resa particolarmente necessaria la vigilanza della Santa Sede. Ora, in forme diverse data la situazione parzialmente migliorata, la Santa Sede continua ad essere vicina all'IDI che, a oltre cento anni dalla sua fondazione, è tra le più importanti realtà ospedaliere in Europa nella cura delle malattie della pelle, anche di quelle più rare, dove lavorano risorse e professionalità che non possono essere perdute”.

“Il Beato Luigi Maria Monti istituì la Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione per prestare soccorso, con spirito di carità, alle fasce più deboli e indifese della popolazione. La Santa Sede auspica vivamente che, con questo stesso spirito, la Fondazione porti avanti la sua missione in un contesto di globalizzazione nel quale nascono nuove patologie e nuove povertà, trovando spazi sempre più adeguati per la presenza della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, che conserva il carisma del Fondatore”.

Al card. Versaldi – conclude il comunicato – “va un sentito ringraziamento per il prezioso lavoro svolto con grande dedizione, generosità e intelligenza in questi anni complessi e di grandi cambiamenti e alla nuova presidente del Consiglio della Fondazione Luigi Maria Monti l’augurio di un fruttuoso lavoro nel suo nuovo incarico”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “Il Vangelo prima di tutto”

La proposta di una via sapienziale: una riflessione di Pablo d’Ors sulla cultura contemporanea.

La tragedia dei civili ad Aleppo.

L’Ue ratifica l’accordo sul clima.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



India-Pakistan: accuse reciproche per le tensioni in Kashmir

◊  

Torna alta la tensione tra India e Pakistan nelle aree di confine nella regione contesa del Kashmir. Oggi nuovo scambio di accuse tra i due Paesi per la violazione del cessate il fuoco lungo la cosiddetta Linea di Controllo (LoC). Intanto il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha offerto la sua mediazione per trovare una soluzione diplomatica. Il servizio Marco Guerra: 

L’evacuazione di migliaia di abitanti dei villaggi di confine con il Pakistan da parte delle autorità indiane è solo uno degli ultimi atti che segnano il crescendo di questa nuova crisi nei rapporti tra New Delhi e Islamabad. Con due comunicati molto simili, oggi gli eserciti dei due Paesi si accusano a vicenda di aver violato il cessate il fuoco, sparando colpi oltre confine senza essere stati provocati. Questo nuovo incidente e' avvenuto due giorni dopo che l'India ha annunciato di avere realizzato una "operazione chirurgica" per distruggere basi terroristiche in territorio pachistano, uccidendo numerosi militanti islamisti e due soldati pachistani. Da parte sua Islamabad ha negato che vi sia stato ingresso di militari indiani sul suo suolo. Lo scontro si riverbera anche nel settore delle comunicazioni: l'Authority  dei media pakistani (Perma) ha reso noto che a partire dal 15 ottobre sarà proibito diffondere i canali televisivi indiani su tutto il territorio nazionale. Inoltre, le principali sale pakistane hanno deciso lo stop alla proiezione di pellicole indiane, mentre il Partito nazionalista indiano ha lanciato un contestato ultimatum di "48 ore" agli "attori e artisti  pakistani per lasciare l'India". Sul fronte diplomatico si registra l’iniziativa del Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon che ha offerto la sua mediazione tra le due potenze asiatiche. Su le ragioni di questa nuova escalation di tensione sentiamo l’esperta dell’area e giornalista di Limes, Francesca Marino:

R. – C’è una nuova fiammata di tensioni, perché giorni fa una base militare indiana in Kashmir, a Uri, è stata attaccata da un gruppo di militanti e 18 soldati sono morti. L’Esercito e l’Intelligence hanno dichiarato subito che non si trattava di militanti semplici, ma erano stati coordinati, addestrati, gestiti e armati direttamente da forze militari o paramilitari pakistane. A quel punto in India c’è stata una specie di fiammata guidata per ritorsioni. Sempre giorni fa si diceva che gli indiani avessero fatto un’azione oltre la linea di confine. Due giorni fa hanno annunciato di aver fatto quello che hanno definito un “surgical strike” nel Kashmir pakistano. I pakistani negano. C’è tutta una questione: “E’ successo? Non è successo? Come è successo? C’è un soldato indiano catturato in Pakistan o no?” Però questa è la situazione e minaccia di diventare anche più grave.

D. -  La questione, quindi, dei militanti islamici radicali resta una delle principali cause delle turbolenze in Kashmir…

R. – Certo, è una questione vecchia ormai di quasi 30 anni e il problema è che i militanti islamici in Kashmir sono addestrati, armati, gestiti e coordinati dal Pakistan. Il problema è questo. Il nocciolo è sempre quello dei rapporti quantomeno ambigui che ha il Pakistan con i terroristi, divisi da sempre in buoni e cattivi. Quelli che chiama “militanti”, cioè eroi per la libertà, che combattono in Kashmir, anche se sono definiti dalla comunità internazionale gruppi terroristici, per il Pakistan non lo sono.

D. – Vale la pena ricordare brevemente quali sono le ragioni storiche che hanno determinato l’instabilità in Kashmir…

R. – Per dirla proprio in pillole - perché è una questione dibattutissima – il Kashmir all’epoca della divisione tra India e Pakistan era uno Stato indipendente, a maggioranza musulmana, ma retto da una dinastia indù. Dopo una serie di vicende, il Maragià che governava il Kashmir ha deciso per l’annessione all’India. In seguito a questo il Kashmir che era ritenuto dai pakistani come naturalmente parte della nazione musulmana, è stato invaso dal Pakistan. Nel corso degli anni si sono combattute quattro guerre – cinque, se si considera Kargil. C’è una risoluzione dell’Onu, tra l’altro proposta dall’India a suo tempo, che stabilisce che venga indetto un referendum per far decidere ai kashmiri il loro destino. Il piccolo particolare è che la risoluzione dell’Onu parla di tutto il Kashmir, cioè di quello indiano, di quello pakistano e probabilmente anche della parte occupata dalla Cina.

D. – Ieri sera il governo di Islamabad ha convocato gli ambasciatori di cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza e Ban Ki-moon ha offerto la sua mediazione tra le due potenze asiatiche. Sul piano diplomatico quali attori possono condurre una trattativa sul Kashmir?

R. – L’India non accetterà mai che la questione del Kashmir venga internazionalizzata. L’India lo ha sempre detto: è una questione che riguarda India e Kashmir. A livello diplomatico, la soluzione della questione è molto complessa e a livello diplomatico è molto complessa la situazione dei due Paesi in questo momento. Anche perché negli ultimi mesi, al tentativo pakistano di premere per una internazionalizzazione della questione del Kashmir, l’India ha risposto sostenendo la causa dei Beluci, cioè del Belucistan, una regione pakistana che, secondo la maggioranza dei suoi abitanti, si trova più o meno nella stessa situazione del Kashmir, nel senso che i Beluci non volevano l’annessione al Pakistan e combattono per ottenere l’indipendenza.

inizio pagina

Congo: negoziati diretti governo-opposizione per evitare il caos

◊  

I delegati al “dialogo nazionale” hanno deciso ieri, di impegnarsi in “negoziati diretti” in vista della firma di un accordo per risolvere la crisi nella Repubblica Democratica del Congo. Lo hanno annunciato, con formulazioni diverse, sia i portavoce dell’opposizione che quello della maggioranza presidenziale.

Problemi di sicurezza per i cittadini stranieri
Il dialogo nazionale era stato sospeso dopo i gravi incidenti del 19 e 20 settembre, e dopo che i vescovi cattolici avevano annunciato il ritiro della Chiesa dai colloqui. Nel frattempo i governi di Stati Uniti, Francia e Belgio, oltre che l’Onu, moltiplicano gli appelli perché maggioranza e opposizione congolese trovino un accordo per impedire che il Paese sprofondi nel caos e nella guerra civile. Le famiglie del personale diplomatico americano a Kinshasa hanno ricevuto l’ordine di rientrare negli Stati Uniti, perché secondo il Dipartimento di Stato “si sta deteriorando la situazione per quanto riguarda la sicurezza”.

Rischi di altre violenze se non si trova un accordo
“La data fatidica del 20 dicembre 2016, scadenza del mandato del Presidente Joseph Kabila, si avvicina a grandi passi e la tragedia del 19 settembre rischia di ripetersi” sottolinea una nota inviata all’agenzia Fides dalle Rete Pace per il Congo. “Per evitarla - continua la nota - occorre trovare un avvicinamento tra le due posizioni".

I punti per un possibile accordo tra governo e opposizione
I seguenti punti potrebbero contribuirvi: L’organizzazione delle prossime elezioni presidenziali in un tempo ragionevole e il più vicino possibile alla data costituzionale che era stata prevista e che non è stata rispettata. In tutti i casi: non oltre ottobre-novembre 2017. L’identificazione di indicazioni chiare e precise sulle date di convocazione delle elezioni presidenziali, della giornata elettorale e dell’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica eletto. Il rispetto del principio costituzionale che impedisce all’attuale Presidente della Repubblica di presentarsi come candidato alle prossime elezioni per un terzo mandato presidenziale. L’intangibilità dell’articolo 220 della Costituzione che permette di assicurare che, anche nel periodo intermedio che intercorre tra la data della fine del mandato dell’attuale Presidente e la data dell’insediamento del nuovo Presidente eletto, non si procederà ad alcuna revisione costituzionale, né per via parlamentare, né per via referendaria. Una modifica costituzionale in tale periodo equivarrebbe a cambiare le regole quando il gioco è già iniziato. L’impegno, da parte del Governo, ad elaborare, secondo scadenze precise e continuative, un piano di finanziamento delle elezioni, a cominciare da quelle presidenziali, affinché la Commissione elettorale possa disporre di tutti i mezzi che le sono necessari”. (L.M.)

inizio pagina

Bangladesh: dopo il massacro di Dhaka la paura della gente

◊  

Tre mesi fa, il 1° luglio 2016, a Holey Artisan Bakery, nell’enclave diplomatica a Dhaka, in Bangladesh, sono state uccise 22 persone, tra cui nove italiani. Nel blitz sono morti due poliziotti bengalesi e cinque terroristi (giovani tra i 18 e i 28 anni). In agosto, la polizia ha individuato e ucciso il presunto organizzatore dell’attacco, Tamìm Ahmed Chowdhùry, un bengalese nato e cresciuto in Canada che era stato espulso nel 2013 come tipo sospetto. Tornato in Bangladesh, Tamìm non aveva ripreso i rapporti con la famiglia e gli amici. Sulla nuova situazione che si è venuta a creare in Bangladesh dopo questo efferato attacco terroristico, Marcello Storgato ha intervistato un missionario che vive nel Paese da oltre 25 anni, e che chiede di mantenere l’anonimato per motivi di sicurezza: 

R. – L’evento del 1° luglio ha tragicamente dimostrato la presenza dell’Isis anche in Bangladesh, ripetutamente negata dal governo. Certamente i terroristi erano stati bene ammaestrati. Hanno agito con determinazione pianificata. La brutalità sulle donne italiane ha richiamato alla mente il massacro delle donne che l’Isis ha compiuto nei territori da loro occupati. Subito dopo l’assalto, l’Isis ha pubblicato su internet le foto dei giovani terroristi sorridenti… Sconcertante!

D. – Gli attentati in Bangladesh sono diretti contro gli stranieri in generale?

R. – No: anche qui c’è stata una rapida evoluzione. Ha creato panico tra la popolazione il tentativo fallito di uccidere il famoso imam maulana Farid Uddin Masoud, che nel giugno scorso aveva pubblicato dieci “fatwa” contro il terrorismo, un documento sottoscritto da ben 108mila imam e maulana bangladeshi; tra cui anche alcune donne maulana.

D. – Cos’è successo all’imam?

R. – Il 7 luglio, l’imam avrebbe dovuto guidare la grande preghiera a Shokàlia, a nord di Dhaka, alla quale hanno partecipato oltre 200mila devoti. Sul percorso verso il luogo del grande raduno, la polizia aveva creato dei posti di blocco. Un terrorista è stato scoperto; c’è stato un conflitto a fuoco in cui sono morti due poliziotti, una donna e il terrorista, che aveva osato attraversare il metal detector. Sembra che i terroristi fossero cinque. La preghiera poi è stata guidata da un altro imam, in tono minore.

D. – Come ha reagito la popolazione bengalese?

R. – Con questo episodio, che avrebbe avuto conseguenze disastrose, i bengalesi musulmani si sono resi conto che le azioni terroristiche non erano più soltanto contro hindu e cristiani ma anche contro loro stessi. C’è paura e insicurezza tra la popolazione. Anche per questo, gli incontri pubblici sono molto diminuiti. Inoltre, è obbligatorio avvisare la polizia e chiedere esplicito permesso per ogni incontro pubblico.

D. – E com’è la situazione attuale degli stranieri in Bangladesh?

R. – In seguito al massacro degli stranieri nel ristorante, molti imprenditori esteri hanno lasciato il Bangladesh: circa 300, in maggior parte impegnati nel settore tessile. Per coloro che devono restare per motivi di lavoro, sono aumentate le misure di sicurezza, sia nel posto di lavoro sia nelle loro abitazioni. L’ambasciata giapponese aveva chiesto al governo del Bangladesh di poter inviare poliziotti armati per proteggere i propri cittadini. La richiesta è stata disattesa. Ma giapponesi e sudcoreani che lavorano ai progetti di ponti e strade, per esempio nella regione di Khulna, nel sudovest del Paese, sono stati tutti alloggiati nello stesso palazzo, con la protezione della polizia armata bengalese, 24 ore su 24.

D. – Praticamente, non è consigliabile agli stranieri recarsi in Bangladesh?

R. – Attualmente agli stranieri è vietato recarsi a Chittagong Hill Tracts, la regione meridionale e turistica del Bangladesh, confinante con il Myanmar (Birmania), a maggioranza tribale. La ragione ufficiale è “per motivi di sicurezza”. C’è da menzionare, tuttavia, che in questa regione è ancora in atto una “occupazione” dei territori tribali, che a volte sfocia in conflitti e repressioni. I medici e gli infermieri italiani che volontariamente, da oltre 25 anni, ogni anno si recano in Bangladesh per operazioni maxillo-facciali, ortopediche, per malformazioni genetiche, urologi e ginecologi, quest’anno hanno dovuto cancellare il loro programma, con rammarico dei tanti malati, soprattutto bambini e donne, che si erano già prenotati per le cure e le terapie.

D. – In questa situazione, come vi comportate voi missionari?

R. – La situazione sta diventando sempre più pesante anche per i missionari, che non possono più muoversi liberamente. In alcune zone del Bangladesh devono comunicare alla polizia giorno, ora e destinazione di ogni loro spostamento e vengono scortati dalla polizia armata. Queste limitazioni rendono la vita del missionario difficile e intricata, e comunque più controllata. Anche i nostri incontri per il dialogo interreligioso con studenti musulmani, hindu e cristiani, sono praticamente sospesi. L’unico modo per tenere qualche collegamento è internet; dobbiamo quindi potenziare e migliorare il sito web per il dialogo.

D. – Cosa sta facendo il governo per arginare i terroristi?

R. – Oltre all’azione di arresto e ricerca dei terroristi, il governo ha organizzato incontri con la popolazione, per conoscere il numero delle persone – uomini e donne – che hanno lasciato le proprie famiglie senza dare più notizie di sé. La polizia ha creato una lista apposita di queste persone. Le famiglie sono state invitate a riallacciare i contatti, per quanto possibile. Ai neo-arruolati terroristi, infatti, viene chiesto di tagliare completamente i rapporti con le loro famiglie e gli amici. I genitori, i cui figli e figlie sono andati via da casa, hanno dovuto informare per iscritto la polizia. Anche le università devono segnalare alla polizia i nomi degli studenti che non partecipano regolarmente alle lezioni. Il primo ministro Sheik Hasina, sta insistendo perché i genitori seguano i propri figli anche nella scuola e nelle loro frequentazioni.

inizio pagina

Festa di Santa Teresa patrona delle missioni apre mese missionario

◊  

La festa di Santa Teresa di Gesù Bambino (1873-1897), proclamata nel 1927 Patrona delle Missioni con San Francesco Saverio, che la liturgia celebra oggi 1° ottobre, apre l’Ottobre missionario. Nella cappella del palazzo di Propaganda Fide, il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il card. Fernando Filoni, ha presieduto questa mattina la Concelebrazione Eucaristica cui hanno partecipato, oltre a mons. Protase Rugambwa, segretario aggiunto e presidente delle Pontificie Opere Missionarie, sacerdoti, religiosi, religiose e laici della Congregazione e dei Segretariati internazionali delle Pontificie Opere Missionarie.

Ottobre, mese delle missioni
In gran parte del mondo la Chiesa cattolica celebra ottobre come “Mese delle Missioni”, utilizzando i numerosi sussidi che le direzioni nazionali delle Pontificie Opere Missionarie preparano per ricordare il dovere di ogni battezzato di collaborare alla missione universale della Chiesa con la preghiera ed il sostegno economico. Ottobre è stato scelto come mese missionario a ricordo della scoperta del continente americano, che aprì una nuova pagina nella storia dell’evangelizzazione. Il mese di ottobre ha il suo culmine nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale la penultima domenica del mese, il 23 ottobre. In alcune nazioni la Giornata viene spostata ad altra domenica per motivi pastorali.

Il 90° anniversario della Giornata Missionaria Mondiale
Quest’anno ricorre il 90° anniversario della Giornata Missionaria Mondiale, promossa dalla Pontificia Opera della Propagazione della Fede e approvata da Papa Pio XI nel 1926. Nel suo Messaggio per la Giornata Missionaria 2016, Papa Francesco sottolinea a questo proposito: “Ritengo opportuno richiamare le sapienti indicazioni dei miei Predecessori, i quali disposero che a questa Opera andassero destinate tutte le offerte che ogni diocesi, parrocchia, comunità religiosa, associazione e movimento ecclesiale, di ogni parte del mondo, potessero raccogliere per soccorrere le comunità cristiane bisognose di aiuti e per dare forza all’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra. Ancora oggi non ci sottraiamo a questo gesto di comunione ecclesiale missionaria. Non chiudiamo il cuore nelle nostre preoccupazioni particolari, ma allarghiamolo agli orizzonti di tutta l’umanità”. (S.L.)

inizio pagina

Oggi e domani porte aperte in tutti i musei ecclesiastici italiani

◊  

Porte aperte  ed ingressi gratuiti oggi e domani in tutti i musei diocesani in Italia, in occasione della IV edizione delle giornate promosse dall'associazione Musei ecclesiastici italiani, per promuovere maggiormente le preziose collezioni d’arte sacra, le raccolte d’arte contemporanea e i beni archeologici ed etnoantropologici conservati in questi luoghi spesso poco conosciuti. Il servizio di Marina Tomarro

Sono oltre 200 i musei ecclesiastici diffusi in tutto il territorio italiano, che al loro interno spesso  conservano opere di grande valore artistico e raccontano la storia del territorio di cui fanno parte. E proprio per aiutare  a scoprire i loro tesori a volte sconosciuti sono state promosse due giornate dedicate proprio  a questi musei. Ascoltiamo il commento di Domenica Primerano, presidente dell’associazione dei musei ecclesiastici italiani:

“I nostri Musei continuano a essere musei poco frequentati, poco conosciuti. E quindi le Giornate consentono alle persone di entrare gratuitamente e scoprire i nostri Musei. Tutte le persone ci dicono che non avrebbero pensato di vedere una cosa del genere: c’è ancora un grande pregiudizio sui nostri Musei che vengono vissuti come sacrestie polverose, ma non è più così. E quindi le Giornate servono proprio per invitare le persone a oltrepassare la nostra soglia e a scoprire quello che noi conserviamo, e anche quello che facciamo. Lavoriamo con le scuole, facciamo iniziative teatrali, espositive: insomma, i nostri sono musei vivi”.

E in occasione di questo evento tante le proposte lanciate: dagli scambi di opere d'arte tra musei cittadini e quelli diocesani ad iniziative di beneficenza, come la raccolta di generi alimentari  in collaborazione con le Caritas locali, oppure percorsi guidati in cambio di materiale scolastico da donare ai bambini colpiti dal sisma. Ascoltiamo ancora Domenica Primerano:

R. - Tutto questo passa attraverso le Giornate dei Musei ecclesiastici che quest’anno, tra l’altro, hanno in comune lo slogan: ‘Se scambio, cambio’, che è un messaggio che i nostri Musei vogliono dare alla società, nel senso di aprirsi ed essere disponibili al dialogo, all’incontro con l’altro da sé - quindi allo scambio - perché comunque il confronto fa crescere. E quindi molti musei hanno fatto scambi con altri musei ecclesiastici oppure con musei di tutt’altra misura. Il mio museo è il Museo diocesano del Trentino e lo ha fatto con il Muse, che è il museo della scienza. Poi, ad esempio, il museo diocesano di Genova ha fatto lo scambio con il Castello d'Albertis che è un museo che raccoglie collezioni di culture di Paesi orientali; il Museo diocesano di Catania ha scambiato con il museo tattile della stessa città, quindi un museo destinato a persone che hanno disabilità visiva. E poi c’è la raccolta di prodotti alimentari: noi ad esempio abbiamo fatto una bancarella dello scambio con una serie di libri che avevamo in deposito; chi ci porta un prodotto alimentare può scegliere il libro da portare a casa. Il tutto è gestito insieme alla Caritas.

D. – Dottoressa, perché è importante promuovere i Musei diocesani e far conoscere le loro ricchezze, quasi sconosciute al grande pubblico?

R. – Perché i nostri Musei fanno un lavoro molto importante legato all’identità del territorio. Tutte le nostre opere provengono dalle chiese della diocesi; e quindi attraverso l’esposizione e lo studio di queste opere, si ricostruisce quello che la comunità ha realizzato nel corso dei secoli. Anche perché, attraverso i nostri musei, tutto il progetto di inventariazione, che è stato portato a termine in molte diocesi - e quindi noi abbiamo la schedatura completa delle opere che stanno nelle chiese - possiamo creare anche delle azioni di promozione sul territorio. Quindi il museo non è solo chiuso nelle proprie pareti, ma esce da queste per creare dei percorsi sul territorio, destinati alle scuole, ai residenti e ai turisti. Certo, abbiamo bisogno del sostegno dei nostri vescovi, perché – chiaramente - siamo in un periodo di grande difficoltà economica, e troppo spesso si pensa che si debba tagliare sulla cultura, quando invece la cultura è la colonna portante della nostra società”.

inizio pagina

Vescovi India: pubblicata traduzione in hindi dell'Amoris laetitia

◊  

La Conferenza episcopale dei vescovi di rito latino (Ccbi) dell’India ha sponsorizzato la traduzione in hindi dell’Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica post-sinodale “sull’amore nella famiglia” pubblicata da papa Francesco lo scorso 8 aprile. L’obiettivo dei vescovi cattolici è diffondere nelle basi della società gli insegnamenti dell’esortazione, avendo come focus le famiglie cattoliche.

L'esortazione apostolica discussa in tutte le diocesi del Paese
La traduzione - riferisce l'agenzia Asianews - è stata presentata in conferenza stampa a Bangalore, in Karnataka. Il testo è stato mostrato per la prima volta dal card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, presidente della Ccbi e della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc). Il porporato ha consegnato la prima copia nelle mani di mons. Anil Couto, arcivescovo di Delhi. Da mesi la Commissione sulla famiglia della Conferenza dei vescovi latini promuove iniziative per divulgare il testo dell’esortazione, che è stato ampiamente oggetto di discussione su tutto il territorio, a livello nazionale, regionale e diocesano.

Uno strumento per rafforzare la vita familiare
Secondo i vescovi indiani, la traduzione sarà utile soprattutto ai cattolici della parte settentrionale del Paese, dove l’hindi rappresenta la lingua madre. L’impegno da parte della Conferenza, affermano, è “rafforzare la vita familiare, nonostante tutte le sfide che essa affronta”.

Prossimi appuntamento dei vescovi sul tema della famiglia
In conferenza stampa i vescovi hanno ricordato che anche i prossimi appuntamenti della Ccbi saranno centrati sul tema della famiglia. L’11ma assemblea plenaria che si terrà a Bhopal (in Madhya Pradesh) dal 31 gennaio all’8 febbraio 2017 discuterà della “Gioia dell’amore nella famiglia: l’Amoris Laetita e le sue implicazioni per l’India”. In precedenza, l’11ma assemblea plenaria della Fabc a Colombo, in Sri Lanka, dal 28 novembre al 4 dicembre 2016 avrà per tema “La famiglia cattolica: la Chiesa locale dei poveri e la missione della misericordia”. (R.P.)

inizio pagina

Cassazione riconosce due madri. Cerrelli: negazione del diritto

◊  

Fa discutere la sentenza della Cassazione secondo la quale l’anagrafe di Torino dovrà riconoscere che è figlio di due mamme il bambino nato in Spagna grazie ad inseminazione eterologa.  La sentenza della  Suprema Corte si basa sull’osservazione che la Costituzione non vieta alle persone dello stesso sesso di generare o accogliere figli. Il bambino è nato dal seme di un donatore anonimo, dall’ovulo di una delle due donne e partorito dall’altra. Le due si erano sposate nel 2009 nel Paese iberico  e oggi sono divorziate. Per un commento alla sentenza Paolo Ondarza ha sentito l’avvocato Giancarlo Cerrelli, consigliere centrale dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani: 

R. – Quello che la Cassazione fa è mettere in dubbio la regola prevista dall’art. 269 del Codice Civile, che afferma che la madre è colei che partorisce. Praticamente, secondo la Cassazione, bisogna rivedere questa norma, perché oggi non è più così visto che ci sono delle nuove tecniche di fecondazione artificiale... Stiamo assistendo, ormai da anni, ad una deriva del diritto: si sta decostruendo la famiglia, ma si sta decostruendo anche la nostra antropologia. Bisogna ribadire che non vi è un diritto al figlio! Il diritto al figlio comporta che il figlio sia un oggetto. Il diritto alla autodeterminazione fin dove può giungere? In questo caso si pensa al bambino?

D. – Oltre a confliggere con il diritto naturale - sta dicendo lei - in base al diritto all’autodeterminazione, si ignora quello che potremmo definire un diritto che ogni uomo e ogni donna dovrebbe avere alla propria identità, a conoscere le proprie origini…

R. – Certo! Vi è il diritto a conoscere le proprie origini, a conoscere il padre. E purtroppo, in questo modo, con le tecniche soprattutto di procreazione eterologa, questo diritto rimane inevaso! Quindi stiamo veramente assistendo ad una negazione del diritto. Quello che dispiace di più, soprattutto per chi è un uomo di diritto, è vedere che la Cassazione non guardi a che cosa sia veramente il diritto e cioè dare a ciascuno il suo e quindi alla giustizia; ma dia invece il lascia passare a tutte quelle forme di genitorialità sociale che non si basano più sulla certezza del diritto.

D. – Avvocato, si giustifica questa sentenza con il fatto che la Costituzione italiana non vieta a persone dello stesso sesso di generare…

R. – La Costituzione non lo fa perché è un qualcosa che effettivamente è contrario anche al buonsenso. E’ vero che l'omogenitorialità è qualcosa che non si immaginava ai tempi dei padri costituenti, ma è contraria anche al buonsenso. La Costituzione tutela il superiore interesse del minore, che è quello di nascere, di crescere, di essere educato da un papà e da una mamma, da due figure complementari e differenti.

D. – Questa sentenza rappresenta una parola definitiva, essendo un pronunciamento della Cassazione?

R. – Sì, questa pronuncia è definitiva e darà la stura al riconoscimento della genitorialità sociale, al superamento della genitorialità biologica e quindi da questa sentenza la maternità surrogata viene legittimata.

inizio pagina

"Mothers": film sul dramma delle madri i cui figli aderiscono all'Is

◊  

Liana Marabini, presidente del Festival del Film Cattolico Mirabile Dictu, ha concluso le riprese del film "Mothers", sul tema delle madri di giovani aderenti all'Isis. Il film sarà presentato negli Stati Uniti l'11 settembre, e uscirà nelle sale italiane in ottobre. L'autrice ne parla al microfono di Rosario Tronnolone

R. – “Madri” è dedicato alle madri, ma non a madri qualunque, bensì alle madri di ragazzi ai quali queste madri hanno dato tutto quello che potevano – una buona educazione, buone condizioni di vita – e poi vedono questi giovani che abbandonano tutto quello per cui erano stati preparati – una vita in Occidente con buone scuole, buona educazione – per arruolarsi nella jihad. Le due eroine del mio film sono due mamme – una musulmana e una cristiana – che hanno in comune questo grande dolore e questo senso di abbandono e di tradimento che ricevono dai due figli, che entrambi si arruolano nella jihad e partono per combattere nelle fila dell’Isis. Allora le due mamme si ritrovano impotenti di fronte a questa scelta dei figli, la loro vita è drammaticamente capovolta, perché perdono le amicizie, perdono perfino il lavoro a causa di questa scelta dei figli; però, nasce una grande amicizia tra loro due. Tengo a sottolineare che non è un film anti-islamico, perché è solo il film sul dolore di due mamme; ma è anche un film nel quale esprimo un mio pensiero, che è quello di dire ai genitori e alle scuole: “State attenti quando vedete che i giovani incominciano a radicalizzarsi, perché esistono dei segni precursori che si vedono”. Quindi, star loro vicino, ascoltarli: a volte questa radicalizzazione avviene anche per la troppa solitudine dei giovani, l’impressione che hanno di non essere ascoltati e anche una loro ricerca spasmodica che ovviamente trovano in internet. E quindi bisogna stare attenti, essere vicini ai giovani con maggiore attenzione e con maggiore delicatezza per aiutarli a non cadere in questa spirale.

D. – Come ha fatto a documentarsi su un tema così delicato, così veramente particolare?

R. – Soprattutto in Francia, dove io passo una parte della mia vita, ci sono casi  sconvolgenti – ma ce ne sono stati anche in Italia – di giovani che sono riusciti a scappare e a tornare indietro! Quindi mi sono documentata guardando la realtà, anche studiando la figura dei tanti psicologi che ultimamente, tra le loro cose, si specializzano anche nell’aiutare, appoggiare i genitori e i familiari di queste persone che hanno questa tragedia in famiglia. Quindi, ecco, mi sono ispirata alla realtà.

inizio pagina

Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XVII T.O.

◊  

Nella 27.ma domenica del Tempo ordinario, ci propone il Vangelo in cui i discepoli chiedono a Gesù: ”Accresci in noi la fede!”. Il Signore risponde:

Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

La fede aiuta a non soccombere davanti all’iniquità, spesso dilagante, ed incoraggia, chi crede nel Salvatore, a sperare l’impossibile nelle situazioni più ardue. Essa spinge i cristiani a distinguersi, andando controcorrente, in mezzo alle tenebre dell’egoismo edonista. Apprezzare l’indissolubilità e la fedeltà del matrimonio fino alla fine, rispettare la vita dal concepimento alla morte naturale, accogliere in casa i propri cari anziani, obbedire a Dio con l’Humanae Vitae, amare la differenza sessuale e la castità liberante fin dalla gioventù, sono alcune attitudini cristiane che solo la fede adulta fa risplendere in questa generazione. A queste si aggiungono: la cura del povero e delle sue necessità, facendo pure attenzione, però, alla fame e sete spirituale di chi è privato della verità di Cristo e dell’uomo, e mendica, pertanto, perdono, e capacità di amare, anche il nemico. Questo stile di vita, unito allo zelo per l’annuncio del Vangelo, nutre la speranza di eternità e la ricerca del senso dell’esistenza che attendono con impazienza una risposta nel cuore di ogni uomo. Proprio da qui, Gesù chiede a tutti noi: “Preparami da mangiare, dammi da bere”. La fede che induce a servire il Signore nei fratelli è un dono che non viene da noi, per questo possiamo affermare con il Vangelo “Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 275

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.