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Sommario del 03/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: no a indottrinamento gender, ma accogliere tutti come farebbe Gesù

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Papa Francesco ha concluso ieri sera il suo 16.mo viaggio apostolico che lo ha portato in Georgia e Azerbaigian. Di ritorno dalla capitale azera Baku, ha dialogato in aereo con i giornalisti del seguito. Tanti i temi al centro del colloquio: oltre a commentare la sua nuova visita nel Caucaso, ha parlato dei suoi prossimi viaggi, delle questioni del gender e dell'omosessualità, dei rapporti con la Cina e altro ancora. Ascoltiamo i particolari in questo servizio di Massimiliano Menichetti: 

Partono dalla Georgia le risposte del Papa ai giornalisti, una terra che definisce cristiana fino nel midollo e che ha “scoperto” con “tanta cultura e fede”. Francesco è toccato dal Patriarca Ilia II, “un uomo di Dio”, ribadisce più volte, che lo ha “commosso”. Poi indica la via dell’ecumenismo:

“Pregare gli uni per gli altri. Questo è importantissimo: la preghiera. E secondo, fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo insieme con i poveri; c’è questo e questo problema, possiamo farlo insieme? Lo facciamo insieme; ci sono i migranti? Facciamo insieme cose ... Facciamo le cose del bene per gli altri. Insieme. Questo possiamo farlo. E questo è il cammino dell’ecumenismo”.

Sulle questioni tra Armenia e Azerbaigian invoca “dialogo sincero” e per non cadere nella via della “guerra” parla del “coraggio di andare presso un Tribunale internazionale” come quello all’Aia:

“La guerra distrugge sempre, con la guerra si perde tutto! E anche, i cristiani, la preghiera, pregare per la pace perché questi cuori prendano questo cammino di dialogo, di negoziato o di andare a un tribunale internazionale”.

Sollecitato su omosessualità e gender il Pontefice afferma che ha accompagnato nella “vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa, persone con tendenza e con pratica omosessuali:

“Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: 'Vattene via perché sei omosessuale!'”.

Condanna ancora una volta con fermezza l’ideologia gender, la "cattiveria" dell'indottrinamento, soprattutto dei ragazzi nelle scuole "per cambiare la mentalità", quelle forme che chiama “colonizzazioni ideologiche”. Poi parla di un ragazzo spagnolo che ha cambiato sesso e ribadisce la necessità di avere un cuore aperto: 

“Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: 'Ma, tutto è lo stesso, facciamo festa'. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo”.

 Questo - afferma - "è quello che farebbe Gesù oggi”, poi aggiunge:

“Per favore, non dite: 'Il Papa santificherà i trans!'. Per favore, eh?”.

E prosegue:

“Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo parlato nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’Amoris Laetitia, ma sempre così, ma sempre con il cuore aperto”.

Francesco quindi torna anche sul tema del divorzio, delle famiglie ferite e dell’attacco alla famiglia:

“L’immagine di Dio non è l’uomo: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non ben gestiti e anche filosofie di oggi, faccio questo, quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto, è questa guerra mondiale che lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee”.

Centrale per Francesco è il fatto che "l'ultima parola non l'ha il peccato, l'ultima parola l'ha la misericordia". Esorta alla lettura integrale dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, dove dice “che esiste il peccato, la rottura, ma anche la cura, la misericordia, la redenzione” e mostra la via per risolvere i problemi:

“Con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare”.

Tante e a 360 gradi le domande dei giornalisti. Spiega che presto saranno eletti 13 nuovi cardinali che apparterranno ai cinque continenti perché si veda l'universalità della Chiesa. Sulla visita, “privata”, ai terremotati in Centro Italia ribadisce che a breve sceglierà la data, citando la possibilità della prima domenica d’Avvento. Molti gli appuntamenti internazionali per il prossimo anno a partire dalla visita a Fatima, poi India e Bangladesh, non ha confermato il viaggio in Africa né quello in Colombia, legato al processo di pace. Sulla Cina ammette il desiderio e ribadisce la stima per quel popolo, ma spiega:

“I rapporti tra Vaticano e i cinesi, si deve fissare in un rapporto e di questo si sta parlando, lentamente … Ma le cose lente vanno bene, sempre. Le cose in fretta non vanno bene”.

Sollecitato sul conferimento del prossimo Premio Nobel per la Pace evoca un riconoscimento, una dichiarazione dell’umanità per le vittime della guerra, delle bombe: bambini, invalidi, anziani, violenza - dice - che “è un peccato contro Gesù Cristo”:

“La carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è la carne di Cristo. Ma ci vorrebbe che l’umanità dicesse qualcosa per le vittime delle guerre”.

Interpellato sulla campagna presidenziale negli Stati Uniti non si esprime, sottolineando che il “popolo è sovrano”, pure evidenziando che “quando succede che in un Paese qualsiasi ci sono due, tre, quattro candidati che non danno soddisfazione a tutti, significa che la vita politica di quel Paese forse è troppo politicizzata ma non ha tanta cultura politica”.

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Francesco nella Moschea a Baku: "Le religioni siano albe di pace"

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“Mai più violenza in nome di Dio!”, “nella notte dei conflitti” “le religioni siano albe di pace”. Così il Papa all’incontro interreligioso con lo Sceicco e i rappresentanti delle altre comunità religiose dell’Azerbaijan, presso la Moschea Heydar Aliev a Baku, ultimo evento di questo 16.mo viaggio apostolico internazionale. Dal canto suo lo Sceicco Allahshukur Pashazadeh ha sottolineato la ricchezza del “multiculturalismo” del Paese e ha ribadito l’importanza delle parole di Francesco per una risoluzione pacifica del conflitto in “Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian”. Massimiliano Menichetti: 

E’ un incontro fraterno fatto di sorrisi, scambio di doni, quello nella Moschea Heydar Aliev dove il Papa rileva subito “quell’armonia” in cui “le religioni insieme possono costruire” la società. Francesco usa espressioni come “spirito di famiglia” per evocare la concordia tra le fedi in Azerbaigian. Parla di giornata “memorabile" riferendosi all’accoglienza e l’ospitalità ricevuti:

“Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura”.

“Dialogo”, “multiculturalità” e “collaborazione” sono segni in questo Paese concreti che costruiscono la società in cui ha spazio anche la piccola comunità cattolica:

“Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti”.

L’auspicio del Papa è che Azerbaigian “porta tra l’Oriente e l’Occidente” coltivi “sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo”:

“La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti”.

Francesco ribadisce vie di pace, di accoglienza e condivisione che sono “gradite a Dio”:

“Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani”.

Bisogna vedere la “vita come un dono per gli altri” - sottolinea -  e non come “traguardo” per i “propri interessi”. Per il Pontefice le religioni hanno il “grande compito” di “accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita”.

Le religioni aiutano a capire che il “centro dell’uomo è fuori di sé”, “siamo protesi verso l’Alto infinito - dice - e verso l’altro che ci è prossimo”:

“La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore”.

Le religioni hanno "un compito educativo” - prosegue - mentre parla dei paradossi della società come il “nichilismo” di chi non crede più a niente, “se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti”; della rigidità e fondamentalismo “di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente”. Le religioni - aggiunge - al contrario, aiutano a discernere il bene, a metterlo in pratica, centrale la preghiera, per edificare la cultura dell’incontro e della pace, “fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti”:

“Le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni”.

Il Papa rimarca che “è compito di ogni società civile sostenere la religione”, che l’uomo non deve essere privato della libertà di scelta del credo e che “nelle religioni” non devono entrare interessi mondani, brame di potere e di denaro:

“Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane”.

“Preghiera e dialogo” sono le vie indicate da Francesco per costruire la pace. Una pace fondata sul “rispetto”, “l’incontro”, la “condivisione”, che va oltre i “pregiudizi” e i “torti del passato”, che rinuncia “alle doppiezze”. Una pace che abbatte le barriere della “povertà” e ingiustizia, che denuncia e arresta “la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri”:

“La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune”.

Il Papa guarda alle giovani generazioni, invoca la costruzione di un “futuro di pace” che interpella tutti a dare una risposta “non più rimandabile”. “Non è tempo di soluzioni violente e brusche - afferma - ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione:

“Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti”. 

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Papa a Baku: religione autentica non usa Dio per imporre violenza

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"Ogni autentico cammino religioso non può che escludere atteggiamenti e concezioni che strumentalizzano le proprie convinzioni, la propria identità e il nome di Dio per legittimare intenti di sopraffazione e dominio". Così il Papa nell’incontro con le autorità azere svoltosi nel pomeriggio di questa domenica presso il centro Heydar Aliyev di Baku. Francesco si è detto fiducioso che con l’aiuto di Dio e la buona volontà delle parti il Caucaso possa diventare una porta aperta verso la pace. Quindi l'appello alla comunità internazionale: non sia lasciato “nulla di intentato per giungere ad una soluzione soddisfacente" per "l'apertura di una fase nuova" nella regione. Paolo Ondarza

I genuini valori religiosi sono incompatibili con la violenza in nome di Dio
“L’attaccamento ai genuini valori religiosi è del tutto incompatibile con il tentativo di imporre con violenza agli altri le proprie visioni, facendosi scudo del santo nome di Dio”. Francesco parla così durante il suo discorso alle autorità azere a Baku. “La fede in Dio  - continua il Papa - sia fonte ed ispirazione di mutua comprensione e rispetto e di reciproco aiuto, a favore del bene comune della società”. Il Vescovo di Roma si dice lieto delle cordiali relazioni che la piccola comunità cattolica locale intrattiene con quella musulmana, ortodossa ed ebraica: segno che tra i fedeli di diverse confessioni religiose è possibile la cordialità, il rispetto e la cooperazione in vista del bene di tutti:

“Ogni appartenenza etnica o ideologica, come ogni autentico cammino religioso, non può che escludere atteggiamenti e concezioni che strumentalizzano le proprie convinzioni, la propria identità o il nome di Dio per legittimare intenti di sopraffazione e di dominio”.

Sì a multiculturalismo. Necessaria complementarietà, collaborazione, rispetto tra culture e religioni
Il Successore di Pietro pensa alla storia dell’Azerbaijan, che tra pochi giorni festeggierà il 25.mo dell’indipendenza: Francesco si dice ammirato per la  complessità e ricchezza della cultura del Paese, frutto dell’apporto di tanti popoli che lungo la storia hanno abitato queste terre. Tanti i progressi compiuti, ma restano problematiche da affrontare, rileva il Santo Padre che lodando gli sforzi fatti per favorire la crescita economica e civile della Nazione, invita a rivolgere attenzione a tutti specialmente ai più deboli e invoca una società che riconosca i benefici del multiculturalismo e della necessaria complementarietà, collaborazione e rispetto  tra culture e confessioni religiose:

“Questo sforzo comune nella costruzione di un’armonia tra le differenze è di particolare significato in questo tempo, perché mostra che è possibile testimoniare le proprie idee e la propria concezione della vita senza prevaricare i diritti di quanti sono portatori di altre concezioni e visioni”.

Nessuna alternativa alla paziente ricerca della pace
Ciascuno porti il proprio contributo al bene del Paese è l’auspicio del Papa che augura all’interno dell’Azerbaigian così come nel rapporto con gli altri Stati armonia e coesistenza pacifica in un mondo che sperimenta il dramma dei conflitti che trovano alimento nell’intolleranza, nelle ideologie violente e nella negazione dei diritti dei più deboli:

“Per opporsi validamente a queste pericolose derive, abbiamo bisogno che cresca la cultura della pace, la quale si nutre di una incessante disposizione al dialogo e della consapevolezza che non sussiste alternativa ragionevole alla paziente e assidua ricerca di soluzioni condivise, mediante leali e costanti negoziati”.

Il Caucaso divenga porta aperta verso la pace
Il pensiero di Francesco va a chi ha dovuto lasciare la propria terra e a chi soffre a causa dei conflitti. Quindi l’esortazione: non sia lasciato nulla di intentato per giungere ad una pace stabile nella regione:

“Sono fiducioso che, con l’aiuto di Dio e mediante la buona volontà delle parti, il Caucaso potrà essere il luogo dove, attraverso il dialogo e il negoziato, le controversie e le divergenze troveranno la loro composizione e il loro superamento, in modo che quest’area, “porta tra l’Oriente e l’Occidente”, secondo la bella immagine usata da san Giovanni Paolo II divenga anche una porta aperta verso la pace e un esempio a cui guardare per risolvere antichi e nuovi conflitti”.

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P. Majewski: il Papa tra il piccolo gregge del Caucaso per ridare speranza

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Si è appena concluso il viaggio apostolico di Papa Francesco in Caucaso, che lo ha visto in Georgia ed Azerbaigian. Un viaggio alla 'periferia' dove i cattolici sono una minoranza. Per un bilancio su questo nuovo impegno pastorale del Pontefice, Roberto Piermarini ha raccolto il commento di padre Andrea Majewski, direttore dei programmi della Radio Vaticana al seguito del Papa: 

R. – Nel caso dei viaggi dei Papi, mi sembra molto difficile dire se il viaggio sia riuscito o no E questo perché, prima di tutto, ci vuole del tempo per una tale valutazione. Di solito, poi, il Papa non va in viaggio per risolvere questo o quel problema, per sistemare una cosa o l’altra. In diverse occasioni Papa Francesco ha ribadito che la cosa più importante non è solo fare una cosa o l’altra, ma iniziare certi processi che possono trovare la loro continuità. Il viaggio del Papa in Caucaso, lo vedrei proprio così. Si tratta, prima di tutto, di rafforzare un processo di dialogo e di collaborazione più stretta con le antiche Chiese, antichissime Chiese, che sono presenti in queste terre. Si tratta anche di piccoli passi, ma passi molto concreti. Se guardiamo - ad esempio - al fatto che ancora 15 anni fa non sarebbe stato possibile per i fedeli ortodossi georgiani partecipare ad una Messa cattolica e che ora una tale partecipazione oggi non sia stata espressamente proibita: questo è uno di questi passi concreti all’interno di un processo d’apertura. Veramente abbiamo le ragioni per pensare che queste cose siano irreversibili.

D. – Padre Majewski, qual è stato il messaggio che ha lasciato il Papa ai cattolici che vivono in minoranza in questi due Paesi?

R. – Per le comunità cattoliche sia il viaggio del Papa in Armenia, sia questo appena terminato in Georgia ed Azerbaijan sono stati davvero “una boccata d’aria”. Vivendo quotidianamente in un ambiente diverso culturalmente, con la venuta del Papa i cattolici certamente si sentono rafforzati, motivati e anche umanamente apprezzati. Una semplice parola del Papa rivolta a Baku alla fine della Messa - “Go ahead!”, “Avanti!”, “Coraggio!” - questo non ha prezzo! Durante il suo ultimo viaggio il Papa ha parlato spesso di “un piccolo gregge” e faceva allusione anche agli inizi della Chiesa. Essere solo un “piccolo gregge” ha anche dei suoi vantaggi. Salutando il Papa, in Georgia, l’amministratore apostolico, mons. Giuseppe Pasotto, ha detto che essendo le comunità minoritarie, loro si sentono più liberi, perché non hanno molte cose da perdere; possono veramente vivere in semplicità non cadendo nella trappola dell’orgoglio. E’ una ricchezza per tutta la Chiesa che – grazie anche al viaggio del Papa – è stata certamente messa in risalto.

D. – Il Papa si è recato in due piccoli Paesi, poco visibili nel contesto mondiale. Ancora una predilezione del Papa per le periferie?

R. - Il Papa è molto coerente con il suo programma che ha presentato all’inizio del Pontificato. Le cosiddette “periferie” sono per lui davvero importanti, perché – come lui stesso afferma spesso – “dalle periferie si vede meglio che dal centro”. Il Papa va, dunque, nelle cosiddette “periferie”, dove la Chiesa è appena visibile, per vedere meglio tutta la Chiesa. Mi ha toccato molto ciò che Papa Francesco ha detto ieri sul volo di ritorno; parlando della Georgia e del suo incontro con il Patriarca ha detto: “Ho incontrato un uomo di Dio”.  Penso che chissà, forse questa semplice parola del Papa valga più dei tanti discorsi che sono stati pronunciati… Quanti altri sconosciuti “uomini di Dio” il Papa potrà incontrare – per esempio - in India, in Bangladesh, dove pensa di recarsi l’anno prossimo? Dal Centro, che è sempre soggetto alla tentazione di sapere tutto e di vedere tutto, è difficile vedere e apprezzare tutto ciò. Per questo il Papa ama recarsi nelle periferie,

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Oggi in Primo Piano



Referendum in Colombia: vince "no" all'accordo di pace con le Farc

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Con uno scarto di 65 mila voti, la Colombia ha detto no all'accordo firmato tra governo colombiano e gli ex guerriglieri delle Farc. Un risultato che tuttavia non impedisce il proseguimento del cammino verso la pace, secondo quanto detto dai sostenitori del sì, guidati dal Presidente Santos, e quelli del no, vicini all'ex Capo dello Stato Uribe. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Jairo Agudelo Taborda, docente di Relazioni Internazionali all’Università colombiana del Nord di Barranquilla: 

R. – Ci sono diverse variabili che hanno determinato questo risultato. Coloro che hanno votato “no” l’hanno fatto per incalzare adesso i loro leader, perché cerchino a tutti i costi di non sprecare l’accordo raggiunto, ma di migliorarlo. Quindi, se c’è qualcosa di positivo, devo dire che, stando alle dichiarazioni che hanno fatto sia i leader del “sì” sia i leader del “no”, si apre una finestra, meno tragica di quanto non ci si potesse attendere qualora avesse vinto il “no”, come del resto è avvenuto. Quindi questo non è un “no” all’accordo di pace, ma un “sì” per cercare di migliorarlo, coinvolgendo anche il governo e anche la comunità internazionale. C’è stato un dato anche, che secondo me, non è stato indifferente - non so quanto sia stato determinante -: ovvero il grande astensionismo. Ha votato il 38% del corpo elettorale, con un 62% di astensionismo. E questo è un dato che veramente mi rammarica.

D. – Molte delle critiche nei confronti di questo accordo vertevano sul fatto che era stata usata una mano non troppo pesante nei confronti degli ex miliziani che si erano macchiati di reati anche gravi…

R. – Questo è stato un punto molto discusso, ma non ha fondamento, perché l’amnistia copre solo un piccolissimo gruppo di delitti minori, delitti politici... Invece per coloro che sono responsabili di delitti cosiddetti maggiori, ci sono pene tra 5 e 20 anni di prigione o altri modi di limitazione della libertà, anche con pene alternative. Se noi paragoniamo i parametri di giustizia che ha applicato l'ex presidente Uribe ai paramilitari, in cui la pena minore era di 4 anni e quella maggiore di 8 anni, possiamo ben capire che c’è una bella differenza. In più, questo pacchetto di giustizia di transizione è stato avallato dalla Corte Penale Internazionale e dalle più diverse istanze, tribunali, anche perché il diritto internazionale non prevede una soglia di pene, essendo questa una giustizia di transizione e la transizione dipende molto dai contesti. E’ chiaro, però, che questo punto venga rivendicato da quelli del “no”, perché credono di essere in grado di rinegoziarlo.

D. – Nella popolazione colombiana c’è desiderio di voltare veramente pagina nei confronti di questa vicenda così dolorosa per tutto il Paese?

R. – Devo dire che mi ha stupito l’apertura che nel discorso di Uribe è stata espressa. Ci sono, quindi, due posizioni molto interessanti. Primo, il Presidente Santos ha detto di non rinunciare – perché si temevano le sue dimissioni – e di andare avanti, convocando per domani una riunione, con incluso il partito di Uribe, per chiamare ad una unità nazionale, per poter negoziare, partendo dall’accordo già pattuito, e cercare di migliorarlo, arrivando ad una rinegoziazione con le Farc. Anche le Farc si sono dette disposte a ridiscutere. Quindi se c’è qualcosa da salvare è questa apertura verso un comitato di unità nazionale, che renda meno negativo questo risultato,anche perché, se non si riesce a fare un comitato di unità nazionale, si rischia la polarizzazione estrema.

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Ungheria: voto su migranti senza quorum. Orban: no a quote Ue

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L’Ungheria al voto referendario per dire ‘no’ alle quote obbligatorie dei migranti, decise dall’Unione europea, non raggiunge l’obiettivo del quorum del 50% + 1 dei votanti, ma il premier Viktor Orban, promotore della consultazione, annuncia comunque per oggi una modifica costituzionale e chiede all’UE di tenere conto dell’opinione di oltre 3 milioni di ungheresi. Il servizio di Roberta Gisotti: 

3 milioni e 100 mila no – questi i dati quasi definitivi al 95% dello spoglio – non sono bastati a validare il referendum voluto dal governo nazional populista del premier ungherese Orban per respingere la ripartizione dei migranti attraverso le quote stabilite dalla Commissione europea. La partecipazione al voto si è infatti fermata al 43,4%  su 8,2 milioni di cittadini chiamati alle urne. Massiccia però l’adesione di chi ha votato al 98% No ai migranti, ritenuti ‘imposti’ dall’Ue. Cosicché il premier Orban, pure avendo fallito l’obiettivo del quorum del 50% + 1 dei votanti, ha chiesto all’Unione europea di tenere conto della consultazione, annunciando pure una modifica costituzionale che proporrà oggi al Parlamento ungherese, vantando di essere stato il primo Paese ad avere consultato il proprio popolo sul ricollocamento obbligatorio dei migranti, arrivati sul territorio dell’Ue. Tra le prime reazioni, quella del ministro degli Esteri italiano Gentiloni: “se non c’è solidarietà - ha detto -  fra i Paesi europei, ci giochiamo l’Europa”. Il presidente del Parlamento di Strasburgo, Schulz, non ha escluso tagli dei fondi europei agli Stati non solidali con i migranti.

Al nostro microfono abbiamo Marco Di Liddo, analista del  Ce.s.i. - Centro Studi Internazionali 

D. Questo referendum appare un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di chi ne valuta il risultato. Ma quali conseguenze porterà in Ungheria, e che tipo di modifica costituzionale ha in mente Orban? 

R. – Orban, avrebbe voluto sfruttare il referendum per poter portare a Bruxelles una decisione popolare ungherese e non quella della classe politica. Tuttavia chi è andato a votare è stato molto chiaro nella sua volontà di non volere i migranti sul proprio territorio. Diverse sono le idee che sta valutando il premier per la riforma costituzionale, ma probabilmente il contenuto di questa riforma sarà quello di impedire al Paese di recepire determinate istanze europee, nel caso in cui sia in pericolo la sovranità nazionale o meglio l’integrità culturale delle tradizioni ungheresi.

D - Tra le reazioni negative c'è quella del presidente del Parlamento europeo Schulz, che ha prospettato tagli dei fondi e dell’Ue ai Paesi che non sono solidali con i migranti. Ancora parole o si passerà ai fatti?

R. - Esiste la possibilità che vengano utilizzati questi tipi di strumenti per modellare, influenzare le decisioni politiche dei Paesi. Sarebbe un precedente pericoloso però, perché la nostra Unione non è soltanto divisa sul dossier dei migranti, ma è anche divisa su tanti altri dossier, a cominciare da quello alle sanzioni alla Russia. Quindi il vero pericolo è cosa succederà se in sede negoziale, l’Ungheria o gli altri Paesi del Gruppo di Visegrad chiedessero qualcosa in cambio, qualora decidessero di accettare le quote dei migranti. E la prima moneta di scambio non è costituita solo dai fondi europei, ma anche da un allentamento delle sanzioni verso la Russia, per la ripresa di rapporti commerciali proficui.

D. - Il premier Orban ha affermato che il suo è stato il primo Paese ad aver consultato il proprio popolo sul ricollocamento obbligatorio dei migranti. Dunque, si potrà avere un effetto domino anche su altri Paesi dell’Est Europeo?

R. - Questo è molto difficile da valutare. Il rapporto estremamente carismatico che c’è tra Orban e il popolo ungherese non è al momento replicato in nessun altro Paese europeo. Il vero pericolo è che simili dimostrazioni populiste, avallate però dalla legittimità dello strumento politico, vengano utilizzate contro Bruxelles. Quindi, secondo una linea in cui questi Capi di Stato carismatici decidono di presentare alle istituzioni europee il valore e il volere del popolo contro le fredde burocrazie.

D. - Ecco, dopo la Brexit, questo referendum può, però, apparire una cartina tornasole di un’Europa che non c’è, anche nella politica interna oltre che in quella estera…

R. - Assolutamente si! La politica estera è soltanto l’ultimo riflesso delle difficoltà che ha l’Unione; e in un mondo globalizzato è sempre più difficile scindere la politica estera da quella interna. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che le decisioni che vengono prese a Bruxelles, sono sempre decisioni prese da tutti i Paesi membri e non da un ente distaccato, dispotico e sopraelevato: in molte occasioni le classi politiche europee, in maniera predatoria, imputano a Bruxelles responsabilità e decisioni che, invece, hanno parte della loro origine proprio all’interno del loro stesso territorio nazionale. Uno dei problemi più seri è che c’è una disillusione e un disinnamoramento del popolo europeo verso il sogno europeista. Bisognerebbe eventualmente rilanciarlo in altri modi e non sicuramente con politiche che cercano invece di risolvere i problemi dell’Unione in maniera poco solidale, poco sociale e troppo strette in vincoli di bilancio e poco su misure di sviluppo.

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Francia: riapre chiesa di p. Hamel. Al via processo di beatificazione

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Per la prima volta dal 26 luglio, ieri pomeriggio si sono riaperte le porte della chiesa di St Etienne du Rouvray, vicino a Rouen, dove il padre Jacques Hamel, è stato assassinato da due giovani jihadisti. Al termine della Messa - riferisce l'agenzia AsiaNews - mons. Dominic Lebrun, arcivescovo di Rouen, ha annunciato che Papa Francesco ha dato il suo accordo per iniziare un’inchiesta ufficiale in vista della beatificazione del sacerdote. Di solito i processi di beatificazione non possono iniziare prima di cinque anni dalla morte del candidato. Ai giornalisti - come ha confermato il Papa stesso alla stampa sull'aereo che lo riportava a Roma dall'Azerbaigian - mons. Lebrun ha spiegato: “È eccezionale. È un gesto di consolazione e di impegno di fronte ai parrocchiani che avevano espresso la domanda al Papa durante un’udienza il 14 agosto scorso a Roma”.

Cerimonia di riparazione per domandare il perdono per tutti i peccati del mondo
Prima della Messa seguita da un migliaio di persone all’interno e all’esterno dell’edificio, l’arcivescovo ha compiuto un rito di purificazione per “lavare ciò che è stato macchiato” dalla violenza. Il prelato ha asperso i muri, il pavimento della chiesa, il luogo dove è stato assassinato padre Hamel, l’altare – che i due giovani uccisori hanno colpito col coltello diverse volte -, il cero pasquale, un rosario dalla statua della Vergine. Mons. Lebrun ha anche spiegato che la cerimonia di riparazione è importante per domandare il perdono “per tutti i peccati del mondo, per i propri peccati e per tutti gli altri… I cristiani non possono domandare perdono per gli altri se non domandano perdono per se stessi”.

La tomba di padre Hamel è già luogo di pellegrinaggio per cristiani e musulmani
Suor Danielle, 72 anni, una delle tre religiose sfuggite alla violenza degli assassini, come pure Guy Coponet, 86 anni, gravemente ferito alla gola, hanno letto dei testi di penitenza e perdono dai luoghi dove erano stati aggrediti. Alla cerimonia hanno assistito anche alcune autorità e fedeli musulmani della vicina moschea. La tomba di padre Hamel, sulle colline di Rouen è diventata già un luogo di pellegrinaggio per cristiani e musulmani. Molti fedeli islamici si sono stretti ai cristiani nel dolore e nella condanna della violenza in nome di Dio. (R.P.)

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Giornata dell'accoglienza a tre anni dalla tragedia di Lampedusa

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L'Italia celebra oggi la prima Giornata nazionale della Memoria e dell'Accoglienza. Proprio il 3 ottobre di tre anni fa avveniva la tragedia del mare al largo di Lampedusa costata la vita a oltre 360 migranti. Papa Francesco, a pochi giorni dal naufragio, si recò nell’isola per il primo viaggio del suo Pontificato per portare conforto ai migranti, pregare per le vittime e lodare lo spirito d’accoglienza degli abitanti dell’isola. Il ministro dell'Interno Alfano ha commemorato oggi a Lampedusa questo triste anniversario. Ma come vivono i lampedusani questa Giornata? Marcello Storgato lo ha chiesto a don Mimmo Zambito, da tre anni parroco di Lampedusa: 

R. – I lampedusani vivono consapevoli di abitare in un’isola remota al confine fra due mondi e quando vedono arrivare uomini, donne e bambini, sono particolarmente sensibili perché sanno quello che ci vuole per andare e per venire su quest’isola e comprendono che certamente gravissimi motivi stanno spingendo queste persone a scappare e a passare per la nostra isola alla ricerca del loro progetto di vita.

D. – Don Mimmo, come vivono i lampedusani questi giorni della memoria?

R. - Questi sono giorni terribili, nella memoria e nel ricordo, sono anche giorni di gioia - potrà sembrare strano - perché molte famiglie hanno accolto i superstiti nei giorni successivi al tre ottobre del 2013. Sono anche giorni di impegno perché la parrocchia promuove un incontro, non solo di necessaria preghiera, ma anche di impegno perché Dio ispiri la realizzazione dei corridoi umanitari ai governi della nostra Europa.

D. – Corridoio umanitario e il muro di Calais: cosa ne pensi, a cosa può servire questo muro?

R. – Abbiamo avuto proprio qui il vescovo di Calais e con una profondità e semplicità assoluta ha ricordato i valori costitutivi della Repubblica, cioè la fraternità, e ovviamente da vescovo ha ricordato il valore universale che ha la fede nell’unità di tutto il genere umano. Abbiamo avuto questo rapporto così particolare proprio per indicare che la terra appartiene a tutti e che non è soluzione costruire muri, costruire barriere. Ne va della sopravvivenza di questi nostri amici, ma ne va anche della nostra sopravvivenza: cioè, la negazione del diritto dell’altro trascina con sé e abbrutisce coloro che opprimono. In realtà si tratta di uomini, di donne, di bambini che fuggono da situazioni terribili.

D. – Non basta commuoversi, vero don Mimmo?

R. - Papa Francesco ci insegna che non ci possiamo fermare solo all’avvertire la spina nel cuore: bisogna muoversi per entrare in un contatto vivo, reale, prendere  consapevolezza della realtà di questa tragedia ed operare occhi negli occhi, mani nelle mani, operare perché non solo non succedano più tragedie, ma perché queste persone possano raggiungere la meta del loro viaggio.

D. – Come percepisce il ruolo di Lampedusa in questa immane crisi migratoria?

R. - Credo che la funzione fondamentale di Lampedusa sia una sorta di riconciliazione alla vita, di nascita alla vita, alla dignità, alla libertà, da adulti. Il valore di Lampedusa per questi nostri amici è segnato soprattutto da ciò che hanno subito nei luoghi di origine, ciò che hanno visto attraversando il deserto, le persone che hanno perduto, le tragedie, le umiliazioni… Non parliamo di quello che subiscono in Libia: reclusi, oppressi, violentati, derubati e uccisi… Ulteriore tragedia, l’attraversamento del mare in quelle condizioni in cui altri ancora perdono la vita e vengono a subire menomazioni di ogni genere. Quando arrivano a Lampedusa nessuno li percuote, nessuno li umilia, ma con molta semplicità qualcuno sorride e offre un bicchiere di tè, dice un “Welcome in Italy”, “Welcome in Europe”: questo è il valore di Lampedusa. Poi questa filiera di dignità, di libertà, ha bisogno di altri passaggi.

D. – Come dovrebbero muoversi l’Italia e l’Europa per una soluzione più umana?

R. - E’ una filiera di dignità che l’Europa sulla carta e l’Italia, ovviamente, dichiara. L’Italia sta assolvendo a questa funzione di salvataggio della quale va dato merito agli operatori della Guardia Costiera, al nostro governo, perché non grava sugli italiani l’onta di veder morire persone a causa del nostro mancato salvataggio. Questa filiera di cittadinanza europea - che deve andarsi costituendo con la Dichiarazione del diritto dei rifugiati e dei richiedenti asilo - ha bisogno di altri passaggi che non vengono assolti a Lampedusa e dai lampedusani. Noi siamo consapevoli di far parte di una filiera di dignità e anche di carità, di solidarietà, che si dipana per l’Europa e che trova anche opposizioni e negazioni un po’ dappertutto.

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Papa su gender, Comitato Dnf: la "cattiveria" è sui bambini

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Dal Papa di rientro dall’Azerbaigian un nuovo chiaro pronunciamento contro i casi di indottrinamento gender nelle scuole. Parole molto importanti secondo il “Comitato Difendiamo i nostri figli” che nei giorni scorsi ha manifestato in 16 città italiane a favore della libertà educativa e ha consegnato al presidente Mattarella un dossier sui casi di gender nelle scuole chiedendo inoltre l’ufficializzazione del consenso informato preventivo da parte dei genitori. Paolo Ondarza ha intervistato la  responsabile scuola del Comitato Dnf, Giusi D’amico

R. – Noi siamo in piena sintonia con le parole del Santo Padre, perché sostanzialmente rivelano quale sia il danno profondo di questa teoria del gender: cioè travalicare e ignorare il primato educativo dei genitori in ordine all’educazione dei propri figli. Ed è su questo che noi vorremmo porre l’accento: questa “colonizzazione ideologica” supera e ignora il valore educativo della famiglia. Sappiamo che, oltre alla Costituzione, anche i trattati internazionali, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sottolineano ed esaltano che i genitori hanno il diritto di priorità sul genere di istruzione da impartire ai propri figli.

D. – E le parole del Papa sono forti; ha detto che è una cattiveria quella che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender…

R. – La cattiveria è proprio porre un dubbio esistenziale profondo in quella che è la costruzione dell’identità del bambino, a partire anche dai bambini di fasce anche del nido e della scuola materna fino ad arrivare all’università. Noi pensiamo che la cattiveria sia proprio porre questo dubbio esistenziale.

D. – Tra l’altro, da prima dell’estate voi attendete l’uscita delle linee guida del comma 16 della Legge sulla Buona Scuola, relative all’educazione di genere; e le attendete con una certa preoccupazione: perché?

R. – Proprio perché vogliamo capire cosa esattamente il Ministero intende proporre con quest’educazione di genere. Le indiscrezioni di stampa non ci hanno rassicurato assolutamente durante l’estate: siamo in attesa di qualcosa che abbia una chiarezza, in ordine non a linguaggi ambigui con cui si è espresso il Ministero fino ad oggi; chiediamo che i genitori siano opportunamente informati con chiarezza.

D. – Per questo, negli ultimi giorni avete manifestato in sedici città italiane; non solo: avete consegnato alla segreteria del presidente della Repubblica un dossier sui casi di gender nelle scuole italiane, quindi casi accertati…

R. – Sì, il dossier è qualcosa che abbiamo dovuto assolutamente elaborare come certificazione di quanto accadeva nelle scuole. Ma ovviamente non è esaustivo, perché non potevamo raccogliere le centinaia e centinaia di segnalazioni che ci sono e continuano ad arrivare alla segreteria del Comitato “Difendiamo i Nostri Figli”. Il dossier continua a ribadire qualcosa (l'ideologia del gender, ndr) che, se in passato era stato detto che non esisteva, pensiamo e possiamo dire che oggi, anche dopo le innumerevoli segnalazioni del Papa, non solo esiste, ma ne fanno esperienza tutti coloro che si trovano di fronte a questa problematica dalla quale non è possibile, ad oggi, difendersi. Allora, quello che abbiamo consegnato è sì un dossier, ma è essenzialmente una richiesta da parte del Comitato che, dopo essere stato inascoltato dal ministro Giannini, ignorato dal ministro Boschi, oggi inoltra questa istanza al presidente della Repubblica, mettendo nero su bianco quale sia l’esigenza profonda: lavorare sul metodo e il metodo è coinvolgere i genitori, ufficializzare l’uso del consenso informato preventivo, con annesso esonero da attività non condivise.

D. – A chi vi taccia di essere “omofobi”, voi più volte avete risposto: “Non siamo contro nessuno. Siamo favorevoli ad un'educazione che contrasti ogni forma di bullismo”…

R. – Assolutamente. Io credo che il Papa oggi abbia dato una risposta, a livello mondiale, su quale sia la posizione rispetto al gender. La posizione è appunto contro l’ideologia gender,  non contro la persona. Noi siamo i primi a voler valorizzare una sana lotta ad ogni forma di discriminazione. Pertanto, siamo ben lieti di collaborare e soprattutto di proporre quelle che sono le proposte delle famiglie, dei genitori e dei docenti che hanno a  cuore la lotta alle discriminazioni. Ma se avremo ancora – così come sta accadendo purtroppo, perché è questo il dato oggettivo – segnalazioni di progetti che tendono a decostruire lo stereotipo, in qualche forma diluendo la figura del padre o della madre – della famiglia composta da una mamma e un papà – e così come il mettere dubbi nei bambini, sulle origini della vita: ecco, noi pensiamo che tutto questo non sia lottare contro le discriminazioni, ma sia introdurre all’interno del percorso educativo del bambino dei dati che non corrispondono alla realtà oggettiva. 

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Al via la Congregazione generale dei Gesuiti

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E’ iniziata oggi a Roma la prima sessione plenaria della 36.ma Congregazione generale della Compagnia di Gesù che porterà all’elezione del nuovo preposito. Ieri pomeriggio, presso la Chiesa del Gesù a Roma, si è tenuta la Messa inaugurale. Hanno partecipato oltre 200 religiosi, in rappresentanza dei Gesuiti di tutto il mondo. Il rito è stato presieduto da padre Bruno Cadoré, Maestro generale dell'Ordine Domenicano. Tra i concelebranti, padre Adolfo Nicolás, superiore uscente della Compagnia di Gesù. Il servizio di Sergio Centofanti

Padre Cadoré ha parlato dell’urgente necessità, in questo “tempo di crisi”, di fronte a “sfide immense”, di “vivere come degli uomini di fede, dei contemplativi in azione, degli uomini la cui vita” è “veramente data per gli altri”. Occorre dare – ha detto – un’esperienza di perdono, di vita fraterna e di accoglienza ad un mondo “sfigurato da quelli che accumulano ciò che non è loro”, da quanti perseguono i loro interessi “sul sangue di una moltitudine di dimenticati e manipolati” e “inventano sempre nuovi idoli”.

Commentando il Vangelo del giorno sulla fede che compie cose improbabili, padre Cadoré ha osservato che “il compito principale” di una Congregazione come quella dei Gesuiti  è “attingere l’audacia dell’improbabile nella fedeltà all’opera dello Spirito. Trovare la forza e la creatività della fedeltà nel respiro in cui ci tiene lo Spirito che ci conduce verso l’incontro e l’ascolto dell’altro, che scava nel cuore dell’uomo il pozzo di compassione, che consolida l’alleanza indefettibile con quelli che ci sono affidati”.

“Ma quest’audacia dell’improbabile – ha proseguito - è realista anche perché cerca sempre di essere all’unisono” con il Salvatore Gesù Cristo “che ha realizzato l’improbabile quando ha distrutto la morte e fatto brillare la vita e l’immortalità con il Vangelo”.  “La vera audacia dell’improbabile è forse di far sentire” la voce del Signore che, “contro ogni previsione, conduce il suo popolo e gli dà la forza di vivere con la sua fedeltà. Che il Signore - è stata la sua preghiera - vi faccia la grazia, nelle vostre riflessioni e discernimenti, di lasciarvi guidare, generare, in quest’audacia di fare sentire tramite i vostri impegni, parole, solidarietà, la voce sempre inaspettata di Colui che spera nel mondo, rovescia la morte e stabilisce la vita, Colui che cercate di glorificare”.

Ricordando che "siamo soltanto servitori", padre Cadoré ha concluso l'omelia citando il fondatore dei Gesuiti, Sant’Ignazio, che pregava così: «Insegnaci, Signore, ad essere generosi, a servirTi come meriti, a dare senza contare, a combattere senza pensiero delle ferite, a lavorare senza cercare riposo, a prodigarci senza aspettare altra ricompensa, con la coscienza di fare la Tua santa volontà» 

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Egitto: da al Azhar Conferenza sulla pace con le Chiese d'Oriente

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L'Università islamica di al Azhar organizzerà nei primi mesi del 2017, in cooperazione con il Consiglio islamico degli Anziani, una Conferenza internazionale sulla pace, la convivenza e il dialogo interreligioso, a cui prenderanno parte attiva anche i rappresentanti delle Chiese cristiane d'Oriente. La notizia è stata rilanciata dalla stampa egiziana in margine a un incontro avvenuto a metà della scorsa settimana; tra Hamad bin Isa al Khalifa, Monarca del Bahrein, e lo Sheikh Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di Al Azhar.

Consiglio degli Anziani per porre fine a settarismo e violenza che affliggono il mondo musulmano
Il Consiglio Islamico degli Anziani è un organismo internazionale indipendente creato nel luglio 2014 come strumento per promuovere la pace tra le comunità islamiche. La sua sede è situata ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), e tra i suoi obiettivi figura anche il proposito di “porre fine al settarismo e alla violenza che affliggono da decenni il mondo musulmano”.

L'impegno di al Azhar per il dialogo interreligioso e la pace
L'impegno diretto di al Azhar sul terreno del dialogo interreligioso a favore della pace e del contrasto a ogni forma di violenza è stato confermato anche dalla partecipazione dello stesso Imam al Tayyeb all'incontro svoltosi a Ginevra dal 30 settembre al primo ottobre, che ha visto riuniti insieme una delegazione del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) e rappresentanti del Consiglio islamico dei saggi. Durante la sua permanenza a Ginevra, il Grande Imam al Tayeeb ha anche tenuto una relazione sul ruolo dei leader religiosi nella costruzione della pace, ospitata nell'Istituto ecumenico di Bossey – appartenente allo stesso Wcc - nel contesto del 70.mo anniversario della fondazione dell'Istituto.

Ruolo delle donne per la promozione della pace motivata dalla propria fede religiosa
L'incontro – si legge tra l'altro nel comunicato finale della Conferenza, ripreso dall'agenzia Fides – ha affermato la necessità per i membri di tutte le comunità religiose “di avere eguali diritti e responsabilità come cittadini dei rispettivi Paesi”. Per il prossimo anno, la collaborazione tra Wcc e Consiglio musulmano dei Saggi proverà anche ad esplorare insieme le vie opportune per affermare il “contributo vitale” che le donne possono offrire all'opera di promozione della pace motivata dalla propria fede religiosa. (G.V.) 

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Libano: leader religiosi in campo per l’elezione del Presidente

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Leader religiosi cristiani e musulmani libanesi lanciano nuovi appelli alla classe politica e dirigente del Paese perché compia gli sforzi necessari per l’elezione del Presidente, carica vacante da quasi due anni e mezzo. Nell'omelia domenicale - riferisce l'agenzia AsiaNews - il patriarca maronita card. Beshara Rai, ha criticato con forza la proposta di un cosiddetto “pacchetto di accordo”, che preceda l’elezione del Capo di Stato. Per il porporato il candidato che accetta questa soluzione non ha alcuna “dignità”. 

No ad un accordo complessivo per l'elezione del Presidente
Il riferimento è alla proposta lanciata nei giorni scorsi dal presidente del Parlamento Nabih Berri, che prevede un “accordo complessivo” attorno all’elezione del Presidente che comprende la legge elettorale e un governo di unità nazionale. Secondo le ultime indiscrezioni, Berri è disponibile anche a sottoscrivere un accordo 'azzoppato', che prevede: legge elettorale, ministro delle Finanze, creazione del ministero del Petrolio e una nuova candidatura per l’Energia. 

Voci sul sostegno al fondatore del Movimento patriottico libero Michel Aoun
Intanto sulla vicenda interviene anche il gran muftì Abdul Latif Daryan, massima autorità sunnita del Paese, il quale invita a sostenere gli sforzi messi in campo nelle ultime settimane dall’ex premier Saad Hariri per sbloccare l’impasse presidenziale. Da qualche giorno circolano voci secondo cui il leader del Movimento il Futuro è pronto a sostenere il fondatore del Movimento patriottico libero Michel Aoun per la presidenza. Una svolta emersa durante una serie di consultazioni con leader stranieri e politici libanesi effettuate di recente dall’ex Primo Ministro, fra cui lo stesso Aoun.

Il gran muftì Abdul Latif Daryan contro la minaccia di proteste di piazza
Nel sermone pronunciato in occasione del capodanno islamico (Hijri), il gran muftì si è scagliato contro la minaccia di proteste di piazza lanciata dai vertici del Movimento patriottico libero (Fpm).  Il leader sunnita libanese si è schierato in modo aperto contro questa e altre iniziative “che possano acuire la frammentazione della struttura libanese”, come l’ostruzionismo verso l’opera del governo e la “sospensione del dialogo nazionale” (il riferimento è sempre al Fpm). 

Due principali schieramenti divisi fra il sostegno a Suleiman Franjieh e a Michel Aoun
Dal maggio 2014, quando è scaduto il mandato di Michel Suleiman, il Paese dei cedri è senza Presidente; in questi mesi il Free Patriotic Movement, Hezbollah e loro alleati hanno a più riprese boicottato il voto per il rinnovo della carica, facendo mancare il quorum. Dietro la mancata elezione lo scontro aperto fra i due fronti rivali: l’8 Marzo (gli sciiti di Hezbollah, vicini all’Iran) e il blocco del 14 marzo (guidato da Saad Hariri e sostenuto dall’Arabia Saudita).  I due principali schieramenti del Paese sono divisi fra il sostegno a Suleiman Franjieh e a Michel Aoun. Finora non si è riusciti a raggiungere un accordo per sbloccare la situazione. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 277

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.