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Sommario del 04/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco tra i terremotati: sono qui per portarvi speranza e preghiera

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Stamattina la visita a sorpresa di Papa Francesco alle popolazioni vittime del terremoto del 24 agosto scorso. Ad Amatrice, Francesco ha visitato la scuola e poi si è avvicinato alla zona rossa. Il Papa si è recato anche ad Accumoli, a Pescara, ad Arquata del Tronto e a Norcia. “Vi sono vicino e prego per voi", andiamo avanti, l’incoraggiamento del Papa tra i terremotati che l'hanno accolto con gioia e gratitudine. Il servizio di Adriana Masotti

E’ arrivato alle 9.10, a bordo di una Golf con i vetri oscurati il Papa ad Amatrice, città simbolo del terremoto che ha colpito il Centro Italia, una visita la sua tenuta il più possibile riservata “per non disturbare”. Accompagnato dal vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, è subito entrato nel locale della scuola provvisoria realizzata dalla Protezione civile del Trentino, un container dipinto di rosso, per incontrare alunni e insegnanti. Per il Papa i bambini delle elementari hanno intonato il canto dell’amicizia e a lui hanno regalato i loro ricordi del dramma del sisma, soprattutto disegni. Poi all’esterno, circondato dalla gente, le parole di Papa Francesco:

"Ho pensato bene nei primi giorni di questi tanti dolori che la mia visita, forse, era più un ingombro che un aiuto, che un saluto, e non volevo dare fastidio e per questo ho lasciato passare un pochettino di tempo affinché si sistemassero alcune cose, come la scuola. Ma dal primo momento ho sentito che dovevo venire da voi! Semplicemente per dire che vi sono vicino, che vi sono vicino, niente di più, e che prego, prego per voi! Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta a voi. Che il Signore benedica tutti voi, che la Madonna vi custodisca in questo momento di tristezza e dolore e di prova".

E dopo la benedizione ancora il Papa ha voluto pregare l'Ave Maria con le persone presenti:

"Andiamo avanti, sempre c’è un futuro. Ci sono tanti cari che ci hanno lasciato, che sono caduti qui, sotto le macerie. Preghiamo la Madonna per loro, lo facciamo tutti insieme. [Ave Maria…] Guardare sempre avanti. Avanti, coraggio, e aiutarsi gli uni gli altri. Si cammina meglio insieme, da soli non si va. Avanti! Grazie".

Quindi il Papa ha abbracciato e salutato maestre, professori e studenti, il sindaco Sergio Pirozzi, le forze dell’ordine, i vigili del Fuoco, i sacerdoti. “Speranza” la parola rimasta di più nel cuore delle persone. Poi, camminando da solo lungo Corso Umnberto I, l'arrivo nella zona rossa di Amatrice e l’impatto con le macerie in un grande silenzio. Il Papa si è avvicinato il più possibile agli edifici crollati da cui sporgono ancora materassi e oggetti di vita quotidiana, per un momento di preghiera personale. Ad accompagnarlo Luca Cari, responsabile Comunicazione in Emergenza dei Vigili del Fuoco che il Papa ha salutato così: “Prego perché voi non dobbiate lavorare, il vostro è un lavoro doloroso. Vi ringrazio per quello che fate”. Poi il Papa ha chiesto di fare una foto con tutti gli altri vigili presenti perchè, ha sottolineato, "sono quelli che salvano la gente".

Quindi, con la stessa auto il trasferimento verso le zone terremotate nelle Marche, ma prima il Papa ha voluto recarsi a Rieti per far visita alla Residenza Sanitaria Assistenziale San Raffaele Borbona che accoglie malati cronici e non autosufficienti. Francesco ha salutato uno per uno tutti i 60 ospiti, una trentina dei quali anziani sfollati a causa del terremoto e ha pranzato con loro.

Verso le 13 l’arrivo nella zona rossa di Accumoli dove il Papa è stato accolto dal capo della protezione civile Fabrizio Curcio e dal commissario per la Ricostruzione Vasco Errani e dal sindaco, Stefano Petrucci. Il Papa è andato a salutare gli sfollati che erano ad attenderlo sulla piazza: "Preghi per noi Santo Padre, ne abbiamo bisogno", gli hanno detto. "Siete voi che dovete pregare per me - ha risposto Francesco - io vi sono vicino. La visita alle vittime del sisma è proseguita a Pescara e poi ad Arquata del Tronto dove bambini e insegnanti hanno accolto Papa Francesco con le autorità e il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D'Ercole. Nella tendopoli molto affollata ha salutato oltre 100 persone: "Buon pomeriggio a tutti voi, ha detto loro, io ho voluto esservi vicino in questo momento e dire a voi che vi porto nel cuore e so, so della vostra sofferenza e delle vostre angosce e so anche dei vostri morti e sono con voi e per questo ho voluto oggi essere qui", e ha concluso: "adesso preghiamo il Signore perché vi benedica e preghiamo anche per i vostri cari che sono rimasti lì, e sono andati in cielo".

Il desiderio di dare un segno visibile della sua vicinanza e partecipazione al dolore della gente colpita dal sisma, Papa Francesco l’ha coltivato a lungo annunciandolo già durante l’Angelus del 28 agosto a quattro giorni dal terremoto: “Appena possibile, aveva detto, spero anch’io di venire a trovarvi per portarvi di persona il conforto della fede, l’abbraccio e il sostegno della speranza cristiana”. Domenica scorsa, durante la conferenza stampa nel volo Baku-Roma, Francesco aveva detto che questa visita l’avrebbe fatta privatamente, da solo, come sacerdote, come vescovo, come Papa. Ma da solo. Così voglio farla. E vorrei essere vicino alla gente”.

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Parroco Amatrice: Papa tra noi a sorpresa, toccati dalla sua vicinanza

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Ad Amatrice, il Papa ha incontrato i bambini della scuola allestita in tempi record, quindi si è recato nella zona rossa, tra le macerie del vecchio paese, e si è fermato tra la gente. Giada Aquilino ha raccolto la testimonianza di don Savino D’Amelio, parroco di Sant’Agostino ad Amatrice, tra i presenti all’incontro con Francesco: 

R. – Noi sacerdoti non lo sapevamo. Abbiamo visto un dispiegamento di giornalisti, radio, tv e vari operatori. Quando è arrivato, è andato direttamente incontro ai bambini. E’ stato molto bello, molto significativo. Il vescovo Pompili ha presentato, poi, alcuni sacerdoti presenti. E’ stato un gesto inatteso, improvviso, un po’ come il terremoto, che è arrivato quando non ce lo aspettavamo.

D. – Ha potuto cogliere qualche parola che il Papa ha detto ai bambini?

R. – Solo l’emozione.

D. – Il Papa ha detto: “Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta per voi”…

R. – Sì, le battute prima di rimettersi in macchina dopo la visita alla scuola. Poi ha invitato a pregare tutti noi che stavamo lì e abbiamo recitato l’Ave Maria.

D. – Qual è stata l’accoglienza tra la gente, quando il Papa ha invitato a guardare al futuro. “Bisogna guardare sempre avanti”, ha esortato…

R. – La reazione della gente è stata di emozione, vedendo solo anche qualche scorcio del passaggio del Pontefice.

D. – Il significato di questa visita del Papa, che si fa pastore tra la gente, il 4 ottobre, San Francesco…

R. – Sì, è molto significativo che abbia voluto condividere con noi la sua festa, senza dare spazio a nessuna manifestazione esteriore. Questa vicinanza, a partire dai bambini, è stata molto bella, molto significativa.

D. – La gente, dopo questa visita del Papa, come si sente?

R. – Quando finiscono questi eventi si ritorna un po’ alla normalità, a guardare in faccia alla realtà. La realtà adesso si complica sempre di più, rimuovendo le tende e – chi può - rientrando nelle case, con tutte le paure. Ieri sera c’è stata un’altra scossa, infatti, e c’è gente che dorme con “un piede in fuga”, pronta a scappare. Ci sono poi situazioni più pesanti: persone che ancora non sanno dove devono andare, come devono collocarsi dopo la dismissione delle tende.

D. – Come, però, le persone con queste parole del Papa sono spinte veramente a guardare al loro futuro?

R. – Penso che la parola del Sommo Pontefice possa aiutare ad avere fiducia nella vita. Siamo dunque chiamati ad incarnare questa speranza che il Papa ha suscitato e ha comunicato con le sue parole. 

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Pescara del Tronto: la gioia dei terremotati per l'abbraccio del Papa

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Ancora un gesto di vicinanza alle popolazioni colpite dal sisma nella visita di Francesco a Pescara del Tronto e ad Arquata del Tronto. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente don Francesco Armandi, parroco di Pescara del Tronto e di altre tre frazioni terremotate: 

R. – Il Papa è venuto ed è stato molto gentile: ha parlato con tutti, ha abbracciato i bambini, ha fatto le foto, anche con noi parroci terremotati.

D. – Dove ha incontrato il Papa?

R. – Nella tendopoli di Arquata del Tronto, frazione Borgo; davanti alla “scuola”, che poi è una tenda installata per l’occasione.

D. – Il Papa, ai presenti, ha detto di conoscere bene la sofferenza e le angosce dei terremotati. Quale messaggio ha lasciato?

R. – Ha lasciato un messaggio di bontà, di coraggio: bisogna andare avanti. E’ una visita che ci può solo incoraggiare. Francesco ci ricorderà nelle sue preghiere e ci ricorderà anche materialmente.

D. – Qual è stata la reazione della popolazione, lì, nelle tende?

R. – E’ stata una reazione di contentezza, di gioia, per aver incontrato il Papa. Ha dato la mano a tutti, davvero.

D. – Nel giorno di San Francesco, il Papa è venuto tra i terremotati. Lei, che si chiama Francesco, cosa ricorderà di questa visita?

R. – Qui sono giorni di sofferenza. Però, in mezzo a questa sofferenza, sicuramente il Papa ha portato un alito di speranza per andare avanti, con coraggio e con fede, cercando di ricostruire quello che purtroppo il sisma ha distrutto. 

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Sindaci di Amatrice e Accumoli: presenza del Papa, messaggio straordinario

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A salutare il Papa, tra le macerie di Amatrice, il sindaco della località reatina, Sergio Pirozzi. Davide Dionisi lo ha raggiunto al telefono: 

R. – Questa è stata la visita più forte a livello emotivo. Come dissi il giorno dei funerali, la nostra fede ci insegna, ci trasmette speranza. Noi abbiamo la certezza che dopo la morte ci sia una vita. Per cui il messaggio straordinario è che, dopo la morte che noi abbiamo avuto, la visita del Papa rappresenta la vita, quella che verrà: torneremo a vivere nelle nostre case, nei nostri luoghi. Io gli ho detto queste cose e la cosa più bella è stata il suo abbraccio, a testimonianza di una vicinanza straordinaria non solo fisica, ma soprattutto emotiva. Lo ringrazio, quindi, perché ho visto negli occhi della mia gente la speranza: e non c’è cosa più bella di questa!

Ad accompagnare il Pontefice nella zona rossa di Accumoli, anche il sindaco Stefano Petrucci. La sua emozione, dopo la tragedia del terremoto, ancora raccolta da Davide Dionisi

R. – Dopo avere subito una disgrazia del genere, avere qui Sua Santità per noi è un punto di forza.

D. – Qual è la situazione ad Accumuli?

R. – La comunità - circa 250 persone – si è collocata a San Benedetto del Tronto: famiglie con bambini, ragazzi e nonni; altre 350 persone hanno usufruito del contributo e si sono autonomamente sistemate presso parenti o in affitto o altro; e qui sono rimaste circa 50 persone, impiegate nelle attività agricole e nell’allevamento. Adesso dobbiamo sistemarle, perché comunque ancora versano in una condizione di disagio, in quanto i container ad uso familiare non sono stati al momento forniti e arriveranno penso da qui ad una settimana. Attualmente sono presso amici, che hanno case agibili, o in qualche roulotte o caravan. 

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Il Papa incontra i feriti del sisma al San Raffaele di Borbona

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Nella sua visita alle zone terremotate, il Santo Padre si è recato anche alla Residenza Sanitaria Assistenziale “San Raffaele” di Borbona, in provincia di Rieti, dove ha salutato i pazienti ospitati nella struttura. Giada Aquilino ha intervistato Alberto Bertolini, amministratore delegato del San Raffaele di Roma: 

R. – Questa mattina è stata una cosa meravigliosa, nel senso che il Santo Padre inaspettatamente è venuto a far visita ai nostri ospiti ricoverati. Quindi è stato un momento di “gioiosa turbolenza”, una cosa che ha colto tutti inaspettatamente e ha riempito di speranza tutti coloro che stiamo ospitando nella nostra struttura: la maggior parte – almeno 50 – arrivano dalle zone terremotate a seguito del sisma che c’è stato nel mese di agosto. Dopo tanti disagi, amarezze, tristezze, questo squarcio di sole ha riempito tutti di una grandissima gioia.

D. – Ha potuto raccogliere qualche emozione dei presenti?

R. – Grande gioia, sorrisi… Quindi c’è stato veramente un momento di grandissima commozione e sono stati tutti molto contenti. Poi la solidarietà espressa dal Santo Padre è stata veramente tangibile, sentita da tutti.

D. – Il Papa ha pranzato con gli ospiti…

R. – Prima ha voluto far visita a tutti loro, nelle camere, poi ha voluto pranzare con loro e c’è stato grande fermento per questa occasione e grande tripudio di gioia per aver potuto godere di questa presenza.

D. – I vostri ospiti chi sono?

R. – Sono anziani non autosufficienti che hanno bisogno di cure e non possono rimanere a domicilio, che hanno bisogno di cure non di carattere ospedaliero e quindi nella catena delle strutture sanitarie della Regione Lazio, come in quelle di tutte le altre Regioni, ci sono queste “Rsa” (residenze sanitarie assistenziali) che sono dedicate a tale tipologia di pazienti.

D. – Quale messaggio ha lasciato il Papa?

R. – E’ un messaggio di grandissima speranza: che tutte le sofferenze comunque possono essere superate se si volge lo sguardo in modo un po’ più allargato che non alle specifiche sofferenze personali.

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Francesco: giornalisti promuovano cultura dell’incontro

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I giornalisti siano al servizio della cultura dell’incontro. E’ il cuore del videomessaggio di Papa Francesco per l’intenzione di preghiera del mese di ottobre, diffuso oggi. Il Pontefice chiede agli operatori della comunicazione di essere animati dal rispetto della verità e da un forte senso etico. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Suelo preguntarme: ¿Cómo se pueden poner los medios…”
“Spesso – afferma il Papa all’inizio del suo videomessaggio - mi chiedo: come i mezzi di comunicazione possono mettersi al servizio di una cultura dell'incontro?” Francesco sottolinea dunque la necessità di avere “informazioni che portino" all'impegno "per il bene dell'umanità e del pianeta”. Poi, rivolgendosi proprio agli operatori della comunicazione chiede di unirsi a lui in questa richiesta:

“Para que los periodistas, en el ejercicio de su profesión…”
“Perché i giornalisti, nello svolgimento della loro professione – è l’intenzione del Papa – siano sempre animati ​​dal rispetto per la verità e da un forte senso etico”. Francesco conclude il videomessaggio chiedendo proprio ai giornalisti di aiutarlo “a diffondere questa intenzione di preghiera?”.

 

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Mons. Pasotto: il Papa ha portato nel Caucaso la gioia dell'incontro

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Il nuovo viaggio del Papa in Georgia e Azerbaigian ha lasciato tanta gioia nella piccola comunità cattolica dell’area, ma ha anche suscitato un generale sentimento di rispetto e stima, un’opportunità per rilanciare il dialogo in una terra spesso ferita da conflitti. Gabriella Ceraso ne ha parlato con mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso: 

R. – È stata una visita intensa. In tanti ci siamo detti: “Ma che bello che è stato!”. Sono stati belli gli input che ci ha dato il Papa. Il mio compito sarà riprendere un po’ tutto per non lasciarli perdere, ma anzi per andarci un po’ più dentro.

D. – Il Papa ha lasciato una parola sulla famiglia e il matrimonio, una parola per i religiosi e una parola per i giovani e il futuro: che cosa ha ritrovato anche della realtà georgiana nelle parole del Papa?

R. - È stata una grande catechesi, molto semplice, con al centro i temi della donna, della famiglia, degli anziani, dei nonni, del trasmettere la fede. A un certo momento ha detto anche: “La Chiesa è donna”. A me è piaciuto, perché la donna georgiana è molto forte: è proprio quella che mantiene la società; e mi piace che abbia valorizzato questa figura, nella società ma anche nella Chiesa. Questo ci farà un po’ lavorare sul tema della donna. E poi ha parlato anche sulla famiglia: è stato molto chiaro sulle divisioni in famiglia, sul divorzio, su chi ne fa le spese, sul gender, cioè tutti temi che per noi sono importanti, perché anche in vista del Sinodo abbiamo lavorato molto – siamo una piccola Chiesa – ma abbiamo lavorato molto bene.

D. – Il Papa ha aiutato molto nel cammino ecumenico, non solo i cattolici …

R. – Beh, lui ha dato i fondamenti del cammino ecumenico che, credo, sono novità, più che per noi che ci siamo dentro da tanto tempo, per la Chiesa ortodossa. Quindi è stato un discorso forte, anche teologicamente forte, quello che ci ha dato. Mi sono trovato con alcuni vescovi ortodossi al termine della giornata e loro erano molto contenti. Mi dicevano: “Dobbiamo in qualche modo fare qualche passo in più”. Questo ha fatto bene anche se ci sono state delle dimostrazioni contro il Papa; però anche quelle il Papa le ha vissute molto serenamente. A un certo momento ero in macchina con lui quando abbiamo incontrato questa gente e lui diceva: “Beh, hanno bisogno proprio di una benedizione”, ha tirato giù il finestrino e ha detto: “Li saluto perché sono nostri fratelli”. E ha cominciato a benedire. Con molta serenità diceva: “Fate piccoli passi, non preoccupatevi: piccoli passi, piccoli passi”. E credo che sarà questo il compito che abbiamo noi.

D. – Belli anche i momenti di vicinanza al Patriarca Elia…

R. – Sicuramente. Quando il Papa è partito sono andato a salutare il Patriarca e poi gli ho detto: “Santità, è stato contento della visita del Papa?”. Lui mi ha detto: “Non contento, contentissimo! E’ un uomo di Dio”. Quindi, certamente è nato un feeling e il Papa mi ha detto del Patriarca: “Ma sa quanto è buono questo Patriarca!”. Quindi il feeling c’è. E credo che l’impegno che si sono presi di pregare l’uno per l’altro darà qualche frutto.

D. – Cosa dirà ai suoi fedeli per raccogliere tutto ciò che avete ricevuto?

R. – Una cosa che penso dirò è che quando ci ha parlato della consolazione ha dato un’immagine di Chiesa come la casa della consolazione e della carità, che non si chiude nel pessimismo, che guarda al di là delle difficoltà, che non si abitua alle cose che vanno così come devono andare, che si spende per fare un passo verso la fratellanza, l’amore disinteressato. Ecco: questo è bello perché nasce dalla consolazione. Ci diceva il Papa: “La consolazione non toglie i problemi, ma ci dà la forza di vivere i problemi”. Quando parlava di “piccolo gregge”, ci ha quasi messi sulle sue spalle, ci ha detto praticamente che bisogna, anche se siamo piccoli, guardando a Santa Teresa di Lisieux, che ci facciamo piccoli per far spazio a Dio e per far spazio all’altro. E forse la nostra Chiesa, proprio perché è piccola, può camminare su questa via.  

D. – Per l’area del Caucaso, secondo lei, questa visita che cosa veramente può significare e lasciare?

R. – Il seme che lui lascerà con il tempo – e speriamo che cresca – intanto è un’immagine: un Papa sereno, che “perde tempo” con i bambini, con la gente... E poi il discorso del non difendere niente. A me lo diceva personalmente: “Non abbiamo niente da difendere, noi siamo al servizio di Dio e degli altri”. Quindi, un uomo libero: ecco, libero. Questa è l’immagine che rimarrà – sono sicuro – anche nella Chiesa ortodossa.

 

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Lo sport a servizio dell'umanità: sul tema conferenza in Vaticano

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“Lo sport al servizio dell’umanità”. E’ il titolo della prima conferenza mondiale su Fede e Sport promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, che si svolgerà in Vaticano da domani sino al 7 ottobre. L’evento è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Domani la cerimonia d’apertura in Aula Paolo VI presieduta da Papa Francesco. Ospiti, tra gli altri, il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), Thomas Bach. All’iniziativa parteciperanno anche 15 leader religiosi, a significare che ogni fede riconosce allo sport la capacità di sviluppare una diplomazia del tutto particolare, di essere una sorte di “esperanto” del mondo, un vero linguaggio comune. Ci riferisce Giancarlo La Vella

Lo sport, a tutti i livelli, può abbattere le barriere e costruire ponti tra i popoli, può far dialogare religioni, etnie. Lo ha fatto nel passato e continua a farlo mettendo a confronto leale anche Paesi politicamente su fronti diversi, riconoscendo realtà che ancora ancora senza cittadinanza nel consesso internazionale. L’ultimo esempio, alle Olimpiadi di Rio, con la presenza del Kosovo e della squadra dei rifugiati. Sulle grandi potenzialità che lo sport possiede, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, che ha promosso l’evento:

Due sono le considerazioni spontanee. La prima, certamente, quella di considerare lo sport come una componente fortemente umana, perché è il coinvolgimento del corpo, dell’intelligenza, di tutto l’essere della persona. E, in secondo luogo, lo sport diventa un vero e proprio modello, un simbolo che domina la società contemporanea. La competizione vera non è la guerra! Per questo motivo bisogna ritornare a ritrovare una grande idea dello sport, che sia capace di coinvolgere la diversità delle nazioni, delle culture, delle etnie. La diversità anche delle situazioni fisiche, penso alla Paralimpiadi; e che sia anche capace di unire le diverse religioni, perché i valori morali fondamentali sono comuni di tutte le religioni.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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Nelle Filippine, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Ozamiz, presentata da Mons. Jesus A. Dosado, C.M. Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Ozamiz Mons. Martin S. Jumoad, trasferendolo dalla Prelatura di Isabela.

Negli Usa, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Anchorage, presentata da Mons. Roger L. Schwietz, O.M.I. Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita di Anchorage Mons. Paul D. Etienne, finora Vescovo di Cheyenne.

Sempre negli Usa, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Arlington, presentata da Mons. Paul S. Loverde. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Arlington Mons. Michael F. Burbidge, finora Vescovo di Raleigh.

In Itali, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Como (Italia), presentata da Mons. Diego Coletti. Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Como  Mons. Oscar Cantoni, trasferendolo dalla diocesi di Crema.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il Papa tra i terremotati per testimoniare la sua vicinanza.

Amico e fratello: l’amministratore apostolico del Caucaso sul viaggio del Pontefice in Georgia.

Antica e nuova preghiera: il discorso che il 23 marzo 1966 Paolo VI rivolse al primate anglicano Michael Ramsey.

Frate Elia tra obbedienza e indipendenza: Emilio Ranzato sul film “Il sogno di Francesco”.

Mosca e Washington ai ferri corti sulla Siria.

L’Europa e la sfida del clima.

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Oggi in Primo Piano



Naufragio sulle coste libiche, 11 morti. Mons. Perego: intervenga l'Ue

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Nuova tragedia nelle acque davanti alle coste libiche. La marina del Paese nordafricano ha reso noto che 11 migranti, 9 donne e due bambini, sono annegati dopo il naufragio di un barcone avvenuto ieri a ovest di Tripoli. Intanto sono circa 6300 i migranti attesi tra oggi e domani nei porti della Sicilia e della Calabria, dopo i numerosi salvataggi avvenuti nelle ultime 24 ore. E in Europa si riaccende il dibattito sulla redistribuzione dei richiedenti Asilo. Marco Guerra: 

Nell’anniversario del grande naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, costato la vita a 368 persone, davanti la Libia è avvenuta l’ennesima tragedia della disperazione. La guardia costiera libica ne da notizia oggi, parlando di 11 vittime su un totale di 150 persone a bordo del barcone colato a picco.  Ieri però è stata anche una giornata di salvataggi record; numerose navi impegnate nella missione Frontex stanno facendo rotta verso Catania, Palermo, Augusta, Reggio Calabria e Vibo Valentia con migliaia di migranti che sbarcheranno nelle prossime ore. Sbarchi si registrano anche in Sardegna: almeno 60 gli algerini arrivanti nel Sulcis. Sul fronte politico, il ministro degli Esteri italiano torna a criticare i Paesi che rifiutano le quote di accoglienza dei  richiedenti asilo. Sulla stessa linea il Presidente italiano Mattarella torna a chiedere “un indispensabile sforzo Europeo”. E nuove critiche all’Ue arrivano dal Presidente turco Erdogan che accusa Bruxelles di non aver inviato i fondi promessi ad Ankara per la gestione dei profughi. Il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino pone l’accento sulla necessità di creare un sistema mondiale ed europeo di corridoi umanitari. Sul ruolo dell’Ue e le celebrazioni della strage di Lampedusa, sentiamo mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes:

R. – E’ stata una giornata importante perché da Lampedusa fino al Brennero, dove io sono stato insieme alle realtà del volontariato di Bolzano e di Trento, si è alzata una voce proprio attorno a questo dramma di 11.500 morti in mare dal 3 ottobre 2013 a oggi, ma si è alzato anche un grido di responsabilità e di impegno a vie legali di ingresso ai richiedenti asilo in Europa.

D. – Siamo di fronte a nuove giornate di arrivi record: l’Europa risponde con la missione navale nel Mediterraneo, ma poi i richiedenti asilo rimangono in Italia …

R. – Continua questo arrivo di richiedenti asilo e rifugiati proprio per sfruttare ancora gli ultimi giorni della bella stagione: negli ultimi tre mesi sono arrivati un numero di immigrati pari a quelli dei sei mesi precedenti, e questo significa che occorre assolutamente che l’Europa riesca a fare finalmente quel piano di distribuzione non più volontaria in tutti i ventisette Paesi europei dei richiedenti asilo e rifugiati e che quindi il collocamento avvenga quanto prima, se non si vuole che l’Italia diventi come la Grecia dallo scorso anno, e diventi quindi una situazione difficile da governare soprattutto laddove sono già presenti moltissimi richiedenti asilo e dove c’è una situazione drammatica, soprattutto dei minori non accompagnati.

D. – Ma invece c’è un’Europa che continua ad alzare muri …

R. – Noi ci auguriamo che anche per il segnale che è venuto dalla non-partecipazione alle urne al referendum in Ungheria, ci si renda conto come l’opinione pubblica europea forse sta andando in un’altra direzione e anche la politica dovrebbe finalmente avere uno scatto di responsabilità e di solidarietà che vada chiaramente nella direzione di un maggiore impegno sia nel salvataggio in mare sia nel rivedere il Trattato di Dublino e quindi favorire maggiormente la circolazione dei richiedenti asilo, e un piano di ridistribuzione: questo a breve; oltre che, naturalmente, riprenda quel “Piano Marshall” per l’Africa che possa diventare veramente una grande azione di cooperazione internazionale, soprattutto nei Paesi africani, nei 75 Paesi del mondo dai quali provengono i migranti.

D. – Insieme al diritto a migrare, a cercare una vita migliore, c’è anche il diritto a vivere e crescere nella propria Patria, nel proprio Paese natale. Che cosa deve fare l’Europa per cercare di arginare questi grandi flussi di persone che fuggono dall’Africa e dal Medio Oriente?

R.- Papa Francesco lo sta ripetendo, in sintonia con il Magistero sociale della Chiesa,  dalla “Populorum Progressio” fino alla “Caritas in Veritate”. Occorre certamente agire in tre direzioni per garantire oggi il diritto di rimanere nella propria terra. Anzitutto, nei 35 Paesi in cui c’è la guerra, ritornare a una diplomazia della pace che possa effettivamente ridare condizione di vita a quei Paesi che oggi sono martoriati da guerre, ormai da troppo in corso. La seconda azione è certamente la condivisione dei beni: non fare di questi Paesi poveri Paesi in cui ancora una volta l’economia dei Paesi più ricchi diventa un’economia di sfruttamento, indebolendo ancora di più l’economia di questi Paesi. La terza azione, che la “Laudato si’” ha richiamato, è l’attenzione all’ambiente, al Creato perché i profughi ambientali oggi sono tre volte i profughi di guerra: 23 milioni e mezzo lo scorso anno, rispetto agli otto milioni di profughi di guerra.

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Siria: Usa sospende negoziati con Mosca. Appello dei Francescani

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"La decisione" di sospendere i contatti bilaterali con la Russia, sul cessate fuoco in Siria non significa che "abbandoniamo i siriani, continueremo a cercare un modo per mettere fine a questa guerra". Così il segretario di Stato Usa, John Kerry, secondo cui Mosca ha "chiuso gli occhi" di fronte all'uso che Assad ha fatto "di gas" per "massacrare la sua gente". Il presidente del Senato russo, Valentina Matviyenko, dichiara che la Russia non abbandona l'idea di futuri colloqui con gli Usa sulla Siria, ma non accetta lo "stile da ultimatum" di Washington. Sul terreno, intanto, ancora combattimenti: continuano i raid della coalizione internazionale contro il sedicente Stato islamico, anche le forze di sicurezza turche, impegnate nell’operazione “Scudo dell’Eufrate” nel Nord della Siria hanno colpito decine di obiettivi Is, mentre prosegue l'avanzata delle truppe governative nel cuore di Aleppo. Resta difficile anche la situazione umanitaria. Oggi i superiori dell’Ordine dei Frati Minori e della Custodia in Terra Santa hanno lanciato un appello per la pace in Siria, chiedendo l’istituzione di zone di sicurezza sotto il controllo Onu, in particolare una intorno alla città di Aleppo, per garantire protezione e aiuti umanitari alla popolazione. Ascoltiamo il custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, intervistato da Elvira Ragosta

R. - Questo appello nasce perché la situazione in Siria è una situazione veramente drammatica! Lì, i nostri frati sono quotidianamente a contatto con la sofferenza e con la morte di tanta gente. Noi ci siamo sentiti in dovere – il Ministro Generale, Fra Michael Perry, ed io come Custode di Terra Santa – di fare appello perché sostanzialmente tacciano le armi e cessi la violenza. Ci siamo sentiti provocati anche dai continui appelli che Papa Francesco sta facendo in questo ultimo periodo, chiedendo proprio la pace per la Siria, chiedendo di poter riavviare forme di dialogo, chiedendo di far cessare la violenza, chiedendo di far cessare anche questo massacro di inermi, che bisogna dire avviene da una parta e dall’altra.

D. – Il vostro è un messaggio rivolto alla Comunità internazionale: cosa chiedete, in particolare, per la città di Aleppo?

R. - In particolare per la città di Aleppo quello che noi chiediamo è che venga fatto quello che è stato fatto anche in esperienze passate, lì dove si è visto che c’erano delle soluzioni che funzionavano per garantire la sicurezza dei civili, per garantire anche per loro la possibilità di entrare ed uscire da certi luoghi estremamente pericolosi, garantire per loro l’acqua, la luce e la possibilità di cure mediche normali. Se i grandi di questa terra vedessero l’orrore, guardassero l’orrore, si lasciassero raggiungere dall’orrore nel vedere il volto di un bambino che fino ad un’ora prima giocava e che è poi tumefatto e insanguinato, perché è stato colpito, penso che anche i potenti della terra si lascerebbero toccare e commuovere da questo tipo di messaggio. E, forse, cambierebbero…

D. – Chiedete – si legge nel messaggio – anche altre zone di sicurezza, poste sotto il controllo delle forze di pace dell’Onu, che operino su mandato del Consiglio di sicurezza e con la cooperazione delle diverse parti coinvolte…

R. – Certo! E’ quello che è avvenuto anche in passato in altre situazioni di conflitto simile a quella che c’è adesso in Siria.

D. – E’ un conflitto, quello siriano, che genera sofferenze anche fuori dal Paese. Il vostro appello chiede alle nazioni anche di accogliere i profughi costretti a lasciare le proprie case e le proprie vite…

R. – Dobbiamo ricordare che più di metà della popolazione della Siria attualmente non vive più dove viveva prima dell’inizio della guerra. Sono ormai diversi milioni i siriani che sono all’estero o in campi profughi o inseriti nel tessuto sociale di quelle nazioni che li hanno accolti e hanno cominciato ad inserirli. Quindi c’è bisogno di accoglienza nei loro confronti e ce ne è bisogno in modo - direi - anche drammatico, sempre di più, mano a mano che passa il tempo. Trascorrere l’inverno in campi profughi, in campi di rifugiati, è qualcosa di estremamente duro: sono zone in cui d’inverno piove, nevica e fa anche freddo… Direi che nessuno di noi desidererebbe esser trattato in questo modo e quindi nessuno di noi dovrebbe rifiutare un trattamento umano ad altre persone che ne hanno bisogno.

D. – I Francescani sono presenti in Siria da quattro secoli. Quanto sono i religiosi che attualmente si trovano nel Paese?

R. – Attualmente i nostri frati sono una quindicina e sono dislocati in varie zone e in varie città, nelle città principali e anche in alcuni villaggi.

D. – Che testimonianze hanno portato sulla situazione in Siria?

R. – Soprattutto i frati che vivono ad Aleppo portano una testimonianza drammatica! Ci sono problemi per via dell’acqua e della corrente elettrica. I nostri frati stanno cercando di aiutare, come possono; così come stanno cercando di aiutare le famiglie che si trovano ovviamente senza lavoro e senza mezzi di sostentamento. Attualmente la parrocchia sta aiutando 14 mila famiglie, appartenenti a tutte le confessioni cristiane, ma anche al mondo musulmano… Quindi è una presenza che è operativa sul piano spirituale ovviamente, ma anche su un piano molto concreto di assistenza ai bisognosi: è una presenza che cerca di mantenere vita la fiammella della speranza, perché la nostra gente non scappi tutta. Perché un Medio Oriente, ma anche una Siria, in cui i cristiani sono scappati sarebbe decisamente molto più povero… Nel nome di San Francesco, io mi sento di chiedere a tutti coloro he ne hanno la possibilità, perché hanno una qualche forma anche di potere su questa terra, di lavorare per trovare una forma di pace, di aiuto, di vicinanza alle persone. Oggi è la festa di San Francesco: credo che se San Francesco fosse qui, piangerebbe e inviterebbe tutti a fare il possibile per rispettare le persone, per aiutarle, per cercare una soluzione pacifica. 

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Chiesa Colombia: il voto non è un no alla pace ma agli accordi

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In Colombia il referendum di domenica scorsa sull’accordo di pace con le Farc è stato bocciato. Il “no” all’intesa firmata fra il governo e il gruppo guerrigliero per la pacificazione del Paese, è prevalso sul “sì” con il 51,3% delle preferenze e uno scarto di appena 65 mila voti. “Il cessate-il-fuoco è bilaterale e definitivo, non mi arrenderò: cercherò la pace fino all’ultimo giorno del mio mandato” ha dichiarato il Presidente Santos. Alvaro Vargas Martino ha intervistato il presidente della Conferenza episcopale colombiana, mons. Luis Augusto Castro Quiroga

R. – Prima di tutto occorre dire che i sì e i no non fanno riferimento alla pace. Non è che alcuni dicano sì alla pace e altri dicano no; fanno riferimento soltanto all’accordo per arrivare alla pace. Quelli che dicono no considerano che l’accordo vada corretto in alcuni punti e per quello hanno detto no, però anche loro vogliono la pace. Per cui questo non è un caso di guerra e pace ma semplicemente di continuare a lavorare intorno a questo processo di pace per includervi quei cambiamenti, se è possibile, che loro chiedono. Non è una situazione così disperata, nessuno dice: “Adesso torniamo alla guerra”, nessuno vuole la guerra, mai più, però vogliono una pace migliore che non si sa se si possa raggiungere. Un punto difficile, infatti, è quello della giustizia transizionale. La giustizia transizionale facilita - per questo si chiama “transizionale” - il passaggio dalla sponda della guerra alla sponda della pace. Adesso quelli che hanno votato no dicono che è una giustizia troppo debole, ci vuole il carcere per i dirigenti guerriglieri… Però l’esperienza degli ultimi 80 conflitti che ci sono stati nel mondo è che si sono risolti tutti con la giustizia transizionale e che se si applica l’altra giustizia, la giustizia penale normale, nessun guerrigliero andrebbe a chiedere di entrare in un processo di pace. Per cui bisogna studiare molto bene questo punto. L’invito della Chiesa a tutta la Colombia è stato: continuiamo a lavorare per la pace. Adesso questi numeri che sono stati dati con il no al processo implicano che si cominci un dialogo nuovo; un dialogo non tanto con la guerriglia, anche con loro, però prima di tutto con le forze politiche del Paese. Fino ad adesso, infatti sappiamo che l’ex Presidente Uribe e il Presidente Santos non si parlano, Uribe non vuol sapere dell’altro… Anche questo ha reso difficile fare l’accordo di pace.

D. - In questo contesto quali sono gli scenari che si aprono in questo momento nel cammino verso la pace in Colombia?

R. – Il primo scenario sarà quello di un dialogo tra i delegati del governo che hanno dialogato a L’Avana con la guerriglia e la guerriglia stessa per studiare la problematica. Il secondo scenario è questo che ho detto: l’incontro fra il Presidente della repubblica e le forze politiche del Paese per studiare la maniera di andare avanti nel dialogo. Poi ci sono altri aspetti importanti. Per esempio, la guerra si è fermata, nessuno vuole né la guerriglia, né l’esercito, perché la decisione già è chiara: non più guerra. Quindi sono aspetti  molto importanti e molto positivi che continuano mentre si risolve questo altro problema delle votazioni. Inoltre, mi pare che occorra dire che è molto importante, anche per noi come Chiesa, lavorare per la riconciliazione dei colombiani e anche questi risultati sono espressione di una mancanza di riconciliazione. Molta gente ancora non riesce a perdonare, per diversi motivi. Ci sono conflitti interiori tra gli uni e gli altri, per cui dobbiamo continuare a lavorare per la riconciliazione di tutti i colombiani. Questo facilita anche accordi che avvengano più pacificamente, che siano più effettivi. Infine io direi che adesso, dopo questo risultato, occorre pensare a una pedagogia della pace perché molti hanno votato no semplicemente perché non capivano di che si trattava. Molti hanno votato no perché non hanno visto il valore di quello che si stava facendo, perché non hanno ricevuto una spiegazione semplice, chiara, facile per loro. Quindi, questa è la situazione e come Chiesa dobbiamo chiedere a tutti i cattolici della Colombia di continuare a pregare per la pace, perché la pace è un compito nostro ma è anche un dono di Dio e dobbiamo chiederla al Signore che sa trasformare i cuori.

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India: ucciso un politico cristiano in Tamil Nadu

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Un cristiano pentecostale, impegnato in politica, è stato assassinato nei pressi di una chiesa a sud di Chennai, in Tamil Nadu (India meridionale). Come riferisce l'agenzia Fides, l'uomo si chiamava Dhanasekharan, aveva 34 anni e frequentava la chiesa pentecostale di Devasabha. La mattina del 2 ottobre si trovava in una sala di preghiera quando ha ricevuto una chiamata per partecipare alla preghiera in una chiesa di un'altra località. Uscito, è stato brutalmente aggredito da un gruppo di uomini armati di falci e armi da taglio. Secondo alcuni testimoni oculari, l'uomo ha cercato di fuggire, ma è stato inseguito e colpito a morte. Dhanasekharan era anche membro del Consiglio di un piccolo municipio locale, composto da sei villaggi, in qualità di appartenente al partito "Dravida Munnetra Kazhagam".

Dopo l'omicidio i membri del partito si sono radunati chiedendo giustizia
Secondo gli inquirenti, dietro l'assassinio ci sono motivi di rivalità politica. Commentando l'omicidio a Fides, Sajan K. George, presidente del “Consiglio globale dei cristiani indiani” (Gcic) afferma: "Questo omicidio è l’ulteriore dimostrazione che le minoranze cristiane sono particolarmente vulnerabili. La scia di aggressioni compiute da militanti indù ai danni dei fedeli pentecostali è nota. La polizia sta indagando ma a nostro parere Dhanasekharan è stato ucciso anche a causa della sua fede" . (P.A.)

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Vescovi indiani: preghiamo per la pace in Kashmir

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Di fronte all’escalation della violenza in Kashmir, dove da settimane si combatte una guerriglia dilaniante tra separatisti ed esercito federale, i vescovi indiani sollevano la voce e chiedono di pregare per India e Pakistan. Il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza dei vescovi di rito latino (Ccbi), ha inviato all'agenzia AsiaNews un appello in cui afferma: “Oggi, nel giorno in cui ricorre la festa di san Francesco di Assisi, preghiamo per la pace. Faccio appello affinchè si instauri il dialogo e la cooperazione tra i due governi”.

Continua il coprifuoco
Oggi è l’88mo giorno di coprifuoco nello Stato indiano del Jammu e Kashmir. Il confronto tra separatisti e governo si è inasprito a luglio, quando le forze di sicurezza hanno ucciso Burhan Wani, tra i militanti più famosi per le sue imprese riportare sui social network. Da quel momento la vita nello Stato è paralizzata: la popolazione vive sotto stretta sorveglianza, scuole, università e negozi sono chiusi. Alcuni bambini frequentano le lezioni solo grazie all’opera di volontari che hanno aperto le porte delle proprie abitazioni e delle moschee per garantire una continuità nell’insegnamento. Le autorità hanno anche vietato la celebrazione delle feste religiose per impedire assembramenti.

Il conflitto si inasprisce
Piuttosto che disinnescarsi, nonostante i numerosi appelli al dialogo, nelle ultime settimane lo scontro è precipitato. Il 18 settembre un commando di militanti ha fatto irruzione nella base militare indiana a Uri e ha ucciso 18 soldati, prima di essere “neutralizzato”. Alle azioni dei separatisti il governo indiano ha risposto con durezza. Da una parte ha lanciato una campagna di “attacchi chirurgici” contro le basi dei militanti sparse lungo il confine con il Pakistan. Dall’altra sta utilizzando la diplomazia per isolare Islamabad: ha boicottato il summit Saarc per la cooperazione tra i Paesi dell’Asia del Sud e ha accusato il Pakistan di sponsorizzare il terrorismo internazionale.

La popolazione è sotto shock
L’asprezza della reazione indiana non ha però frenato le violenze. Nella notte del 2 ottobre i militanti hanno fatto irruzione in un’altra base indiana, quella di Baramulla, e hanno usato i civili come scudi umani. Il bilancio di questa ondata di violenze, in un territorio conteso tra i due Paesi fin dal 1947, è drammatico: più di 90 vittime e oltre 12mila feriti. Le ultime notizie riportano che la popolazione è sotto shock; inoltre il governo statale ha chiesto a coloro che abitano entro un raggio di 10 chilometri dalla frontiera di evacuare.

La Chiesa fa sentire la sua voce
Di fronte alla concreta possibilità che la situazione sfoci in una nuova guerra, la Chiesa cattolica ha deciso di far sentire la propria voce. Ad AsiaNews mons. Kuriakose Bharanikulangara, arcivescovo di Faridabad, ha inviato una nota nella quale “condanna con fermezza l’uccisione dei soldati indiani. Ora sono dei martiri”. Il prelato è preoccupato per la piega che ha assunto la contesa e afferma: “È arrivato il momento in cui ragione e buon senso devono prevalere su emozione e rappresaglia. Il padre dell’India, il Mahatma Gandhi, ha detto che la politica ‘dell’occhio per occhio’ renderà ciechi. Ogni azione immediata contro il Pakistan inasprirà il conflitto. Ed è esattamente ciò che vogliono i terroristi”.

India e Pakistan sono dotati di armi nucleari
Secondo mons. Bharanikulangara, ogni “attacco deciso alla leggera può portare ad una guerra, con conseguenze disastrose per il Paese”, soprattutto perchè sia India che Pakistan sono dotati di armi nucleari. Mentre sottolinea la necessità di “rafforzare la strada del dialogo e della diplomazia”, afferma anche che “è importante fortificare le frontiere e impedire ai terroristi di infiltrarsi in India”. “Il Pakistan – conclude – deve essere messo alla sbarra e isolato dal punto di vista internazionale per la sua sponsorizzazione del terrorismo”. (S.D.)

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Gabon: opposizioni in carcere e giornali chiusi dopo gli scontri

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Continua la crisi politica in Gabon, nell’Africa equatoriale. Dopo le contestate elezioni di agosto è stato confermato per una manciata di voti il Presidente uscente Ali Bongo, a scapito dello sfidante Jean Ping. Durante le contestazioni delle opposizioni, che hanno denunciato brogli e irregolarità nel voto, tre persone sono morte nelle scorse settimane. Una settantina i dissidenti ora in carcere mentre è stato chiuso un settimanale che aveva accusato Bongo di aver usato “squadroni della morte” contro gli oppositori. In questo clima di tensione sentiamo l’analisi di Anna Bono, docente di Storie e istituzioni dei Paesi africani all’Università di Torino, al microfono di Michele Raviart

R. – Nonostante tutto, la situazione è – almeno al momento – relativamente calma. Il capo dell’opposizione, il candidato sconfitto, Jean Ping, ha lanciato degli appelli alla popolazione che però non hanno avuto grande seguito: la maggior parte della gente, comprensibilmente, vuole vivere tranquilla e non correre rischi, anche perché le proteste popolari possono essere represse – e vengono represse – con brutalità dalla polizia, come dimostra quel che è successo nei giorni scorsi e nelle scorse settimane. Ci sono stati morti, ci sono stati molti feriti durante le manifestazioni …

D. – Ma Ali Bongo, ha la legittimità sufficiente e necessaria per mantenere – a questo punto – il potere? Ricordiamo che durante il suo giuramento sono stati solo quattro gli altri Presidenti africani presenti …

R. – La legittimità ce l’ha, perché il candidato sconfitto si è appellato alla Corte costituzionale e la Corte costituzionale, il 24 settembre, ha dato ragione ad Ali Bongo. Quindi sulla carta, dal punto di vista legale, la situazione è conclusa. Come poi questa sentenza della Corte costituzionale sia stata gestita, le influenze che possono avere subito i giudici che la compongono, le pressioni, le intimidazioni, questo è un altro discorso, ovviamente. Non solo Ali Bongo è legittimo Presidente, ma ha contrattaccato l’opposizione denunciandola alla Corte penale internazionale dell’Aja, configurando addirittura l’accusa di istigazione al genocidio.

D. – Quali sono le differenze tra governativi e opposizioni? Sono due blocchi sociali differenti, oppure è una lotta interna alle oligarchie? Ricordiamo che Jean Ping, poi, è sposato con la sorella di Ali Bongo …

R. – La mia impressione è che non si tratti di programmi politici, di programmi sociali diversi che tentano di imporsi; è più verosimile che si tratti di due schieramenti che ambiscono a controllare l’apparato statale perché una dilagante corruzione consente poi a chi detiene questo potere di accedere alle risorse di un Paese che produce petrolio, e gestirsele; come ha fatto per più di 40 anni il padre di Ali Bongo: infatti, Ali Bongo ha praticamente ereditato dal padre Omar la carica. Omar Bongo aveva governato dal 1967 al 2009, approfittando di questi decenni al potere aveva accumulato grandi proprietà, anche grandi proprietà immobiliari, soprattutto in Francia.

D. – Il Gabon è uno dei Paesi più ricchi dell’Africa subsahariana, dal punto di vista delle risorse, ed è intimamente legato alla Francia per il suo passato coloniale. Qual è il ruolo della comunità internazionale in generale, e della Francia in particolare, in questa crisi?

R. – In questa crisi il ruolo è stato molto limitato. Subito dopo le elezioni la Francia, così come la comunità internazionale, ma in particolare la Francia, aveva auspicato che si facesse chiarezza dicendosi anche pronta a collaborare nella verifica dell’attendibilità dei risultati elettorali. Mi sembra che si sia fermata lì. D’altra parte, dobbiamo considerare che stiamo parlando di Stati sovrani su cui non è facile influire. Sui Capi di Stato, sulle leadership si può influire e talvolta ci si riesce, tagliando loro i fondi; molto di più non si riesce a fare, però …

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Afghanistan. Padre Scalese: a Kabul aperta la Porta Santa

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In Afghanistan, oltre ai cappellani militari, la sola realtà cattolica è quella di una Missione «sui juiris» affidata nel 2015, da Papa Francesco al barnabita padre Giovanni Scalese. In questi giorni è rientrato in Italia per un breve periodo. Luca Tentori lo ha intervistato: 

La Porta Santa di Kabul, l’unica di tutto l’Afghanistan. Ad aprirla e custodirla, padre Giovanni Scalese, barnabita, superiore della Missione «sui juris» di quel Paese. Lui non è vescovo, la sua non è una diocesi, ma è la sola forma organizzata di presenza cattolica. La sua piccola cappella, che si trova all’interno dell’area diplomatica dell’ambasciata italiana, è una cattedrale «sui generis» non facile da raggiungere per  motivi legati alla sicurezza. Ascoltiamo padre Scalese:

R. - Quando ho saputo di questa iniziativa dell’Anno della Misericordia mi sono rallegrato perché penso che sia particolarmente opportuno ai nostri giorni riflettere e sfruttare questo dono, questa occasione della misericordia di Dio. Quando ho saputo che c’era la possibilità anche nelle Chiese locali di aprire la Porta della Misericordia non ho avuto dubbi di farlo anche lì a Kabul. Un fatto molto bello è stato quando l’arcivescovo di Astana in Kazakhistan è arrivato e si è trovato di fronte a questa Porta della Misericordia: si è commosso.

D. - La vostra presenza è tollerata, ma non l’evangelizzazione. Già San Francesco insegnava ai frati che stavano presso i saraceni ad essere una presenza silenziosa quando non era possibile predicare:

R. - L’Afghanistan è un Paese nella sua totalità musulmano; gli unici cattolici presenti sono gli stranieri che vivono in questo Paese per motivi di lavoro. E’ proibita qualsiasi forma di proselitismo, però ci siamo. Quando settimanalmente il venerdì facciamo una mezz’ora di adorazione eucaristica penso: siamo in Afghanistan, in un Paese completamente musulmano, però il Signore anche sacramentalmente è presente, c’è. Ed è la sua presenza quella importante, perché siamo soltanto degli strumenti, dei segni della sua presenza.

D. - Ha paura di quello che le può succedere in un Paese così pericoloso?

R. - E’ chiaro che si vive con la tensione che possa succedere da un momento all’altro qualcosa, ed effettivamente succede spesso qualcosa e anche di molto grave. Però devo dire che ci si abitua, si impara a convivere con il pericolo. E poi penso che è anche in queste situazione che dobbiamo esercitare la nostra fede. La fede non è qualcosa di intellettuale, di astratto: dobbiamo essere convinti che non siamo soli, che siamo sempre protetti. Interessante quello che mi diceva un fratello luterano, perché c’è anche una piccola comunità luterana. Si stava parlando di problemi di sicurezza, delle scorte e mi diceva: “Anche noi abbiamo la nostra scorta, gli angeli custodi”. Se ci crediamo non siamo soli, abbiamo tutte le protezioni necessarie”.

D. - A Kabul restano chiuse le porte dell’annuncio, ma sono comunque aperte quelle della carità e della misericordia, anche oltre il Giubileo...

R. - C’è una piccola presenza di religiose, le Missionarie della Carità di Madre Teresa, le Piccole sorelle di Gesù e una piccola comunità internazionale. Si occupano di bambini handicappati sia fisicamente che mentalmente: Papa Francesco direbbe “degli scarti della società”. Potrebbe sembrare un’attività inutile, tra virgolette, ma noi sappiamo che in questo campo non c’è nulla di inutile, anzi: credo che si tratti di attività estremamente preziose.

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ProVita: fronte politico comune contro utero in affitto

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Un fronte comune contro la pratica dell’utero in affitto in Italia e nel mondo. Oggi al Senato la presentazione  di importanti iniziative, politiche e mediatiche, bipartisan per dire no alla vendita dei bambini e allo sfruttamento delle donne. A promuovere l’evento l’Associazione Pro Vita Onlus. Il servizio di Paolo Ondarza

Un asse trasversale contro l’utero in affitto: parte dall’iniziativa di Pro Vita Onlus l’impegno comune di politici di varia provenienza politica per riportare il tema all’attenzione del Parlamento.  In Italia l’utero in affitto è illegale, ma cresce il turismo procreativo in quei paesi tra cui alcuni Stati Usa, India e Ucraina in cui comprare un comprare un figlio non è un reato. Maria Rizzotti di Forza Italia:

"In Italia la legge è molto chiara: la Legge 40 del 2004 vieta assolutamente la maternità surrogata. L’iniziativa di oggi serve a porre sotto i riflettori ulteriormente questo modo di fare molto ambiguo, cominciando anche dalle sentenze dei tribunali, per altro giustificate dalla Legge Cirinnà. Si fanno le leggi , ma il divieto esce dalla porta e rientra dalla finestra". 

Occorre ripartire dalla legge 40, fatta a pezzi da sentenze nel corso degli ultimi dieci anni, spiega Laura Bianconi di Ncd:

"Devo dire che la Legge 40 è stata fatta a spezzatino dalla Magistratura. Pensavamo di aver messo un argine a questa problematica e le interpretazioni della Magistratura hanno fatto sì che, pur mantenendo il divieto in Italia, chi affitta un utero all’estero può poi entrare in Italia. C’è un problema giuridico. Se da noi è vietata la schiavitù e c’è uno Stato in cui la schiavitù è reale, che facciamo importiamo schiavi?".

Sì ad un dibattito aperto e leale che parta dalla tutela dei minori, la richiesta di Donella Mattesini del Pd:

R. - Io penso che su questo tema dei diritti dei bambini, del ‘no’ alla maternità surrogata a scopo di lucro, ci sia un fronte molto aperto.

D. – Surrogata commerciale e altruistica: che riflessioni si possono fare su questa differenza?

R. – Io non ho risposte. Dico che è un tema e che se vogliamo essere capaci di trovare le risposte che davvero portino ad una crescita cultura di tutti, c’è bisogno anche di non chiudere gli occhi di fronte alla realtà e di sapere che il tema è complesso. 

Per Toni Brandi, presidente di Pro Vita, la gestazione per altri  va vietata tout court, commerciale o altruistica:

R. – A parte il fatto che altruistica non esiste, perché vi sono sempre rimborsi spese, indennizzi ed altro; ma in ogni caso chi può dire che non sa quanto crudele sia strappare un neonato dalla madre e chi può dire che sia giusto comprare un bambino e privarlo della madre?

D. – Uniti contro l’utero in affitto: perché questa iniziativa?

R. – La maternità surrogata e la compravendita di gameti, che d’altronde è pure vietata nel nostro Paese dalla Legge 40, è un business di decine di miliardi di dollari, che riduce la gravidanza ad un servizio commerciale e il bambino ad una merce da comprare. Lanceremo una petizione al governo, affinché la legge venga rispettata, e perchè il governo si impegni - anche a livello internazionale - a bloccare la pratica della maternità surrogata, senza se e senza ma, in tutto il mondo. Lanceremo anche il  Dvd – “Breeders: donne di seconda categoria?”, che sarà presente e reperibile sul nostro sito notizieprovita.it  da domani.

D. – In Italia la pratica è illegale ad oggi…

R. – E’ illegale, però vi sono numerose agenzie straniere che vengono qui in Italia a cercare clienti cui vendere bambini all’estero. Perché per queste agenzie straniere, soprattutto dopo il passaggio della Legge Cirinnà, il nostro Paese è un mercato in crescita. 

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Ai.Bi. : una famiglia per i bambini siriani non accompagnati

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In occasione della “Giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione”, l’associazione Amici dei Bambini, Ai.Bi, ha presentato alla Camera dei Deputati alcuni progetti, tra cui l’accoglienza familiare dei minori stranieri non accompagnati, in Italia 13.000 ogni anno, e la costruzione di un ospedale pediatrico all’interno di una collina. Il servizio di Eugenio Murrali: 

L’hanno chiamata “Bambini in Alto Mare” ed è la campagna che ha per testimonial Nino Frassica e con cui l’Ai.Bi vuole contribuire a fronteggiare il dramma dei minori stranieri non accompagnati, che arrivano sulle nostre coste e di cui spesso si perde traccia. L’idea è quella di favorire l’accoglienza di questi bambini e ragazzi in una famiglia e di stimolare anche la politica a riattivare quella catena della solidarietà istituzionale che oggi sembra inceppata, come spiega il presidente dell’Ai.Bi, Marco Griffini:

“Dopo l’appello che Papa Francesco ha lanciato tre anni fa, dopo il naufragio di Lampedusa, ci siamo interrogati come famiglie e abbiamo lanciato un appello alle famiglie italiane, che hanno risposto in duemila, pronte ad accogliere i minori stranieri non accompagnati. Purtroppo, delle 400 famiglie selezionate, che sono il risultato delle duemila che hanno risposto all’appello, solamente in 17 hanno attualmente un bambino in affido, perché il problema dell’Italia è che manca una legge che possa permettere a queste famiglie  di accogliere un bambino”.

L’associazione Amici dei Bambini – che, a oggi, in Italia, ha creato numerosi centri di accoglienza e affittato appartamenti per le famiglie siriane – ha considerato anche la brutalità di una guerra, in Siria, che non risparmia neppure le strutture sanitarie ed è per questo che stanno lavorando al progetto di cui ci parla Giacomo Argenton, operatore Ai.Bi. tra il Nord e il Centro-Sud della Siria:

“Si tratta di un ospedale di oltre duemila metri quadrati, scavato all’interno di una collina, protetto quindi interamente da quella che è la forza della natura, quindi dalla roccia. E’ un progetto che mira a dare non solo servizi di qualità, dal punto di vista ginecologico, ostetrico, pediatrico, ma anche dal punto di vista dell’emergenza”.

Argenton racconta anche i sentimenti che provano gli attori della cooperazione e del volontariato internazionale, la cui vita è oggi più che mai esposta alla violenza del conflitto:

“Si passa dall’euforia di essere riusciti a portare aiuti umanitari a migliaia di persone, a provare grande paura anche, a volte, e tristezza nel vedere immagini o progetti stessi che sono stati avviati da noi, che vengono bombardati o vengono distrutti, o sentire dei colleghi che rimangono comunque feriti”.

Griffini ha parlato inoltre di altri progetti messi in atto in Siria, ma soprattutto ha posto il problema sempre più grave dei sucidi dei minori:

“Siamo andati in Siria e abbiamo creato un forno, che purtroppo poi è stato bombardato, tant’è vero che adesso stiamo pensando di realizzare il progetto di un forno mobile; abbiamo realizzato delle ludoteche sotterranee, per evitare che venissero bombardate; abbiamo formato gli operatori e le famiglie, perché uno dei grossi problemi che oggi sta colpendo l’infanzia in Siria sono i suicidi. Questi bambini pare  proprio che abbiano perso la voglia di vivere; sono bambini che sono nati nella guerra, non conoscono cosa sia la parola “pace”, non conoscono cosa voglia dire passare una notte senza bombardamenti”.

E per conoscere quella pace fuggono via mare e sbarcano, quando riescono, in un’Europa in cui, ha commentato il vice-ministro degli Esteri Mario Giro in un messaggio all’Ai.BI,  “Noi europei non siamo l’esempio che dovevamo essere”.

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Indonesia: 2.600 giovani per la II Giornata della gioventù

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Almeno 2.600 giovani provenienti da ogni parte dell’Indonesia si sono riuniti a Manado (capitale della provincia delle Sulawesi del nord) per la seconda Giornata della gioventù indonesiana, dal titolo “La gioia del Vangelo nella società plurale indonesiana”. L’evento - riferisce l'agenzia AsiaNews - è iniziato il 1° ottobre e durerà fino a giovedì prossimo. Prevista la partecipazione anche di 14mila cattolici locali.

Due delegazioni da Malaysia e Timor Est
I giovani provengono da 37 diocesi dell’arcipelago e sono presenti anche due delegazioni estere: una da Kota Kinabalu (Stato malaysiano di Sabah) e una da Timor Est (il Paese a maggior percentuale cattolica d’Asia). Lo spirito che caratterizza queste giornate, spiegano i partecipanti, è quello dell’accoglienza e dell’unità nella diversità. Simbolo di questo è il fatto che migliaia di ragazzi vengono ospitati in modo gratuito dalle famiglie locali, cristiane e musulmane. I fedeli di Kota Kinabalu sono stati accolti con calore dagli indonesiani e hanno espresso la loro gratitudine per l’ospitalità.

La solidarietà con persone di fedi diverse
Mons. Joseph Theodorus Suwatan, vescovo di Manado, spiega che le giornate sono composte di momenti di preghiera e meditazione. I giovani lavoreranno su temi come il dialogo costruttivo, la mutua cooperazione e la solidarietà con persone di fedi diverse. Il presule racconta che lo scorso maggio la parata organizzata in preparazione alla Giornata è stata accolta con gioia dagli abitanti locali, diversi per etnia, fede e lingua. Padre Rheinner Saneba, organizzatore del media center, afferma che le prime tre giornate sono composte da attività a livello parrocchiale, organizzate nelle case dove i giovani sono ospitati. Oggi, quarto giorno, la Giornata è stata inaugurata in modo ufficiale e seguiranno seminari, catechesi, processioni e condivisione di testimonianze.

Un evento in vista della Giornata della Gioventà Asiatica nel 2017
​La Giornata della gioventù è organizzata dalla diocesi di Manado, con la collaborazione delle congregazioni cattoliche e le autorità governative locali. Padre Terry Ponomban, sacerdote responsabile del programma, afferma che i lavori compiuti per l’evento serviranno anche in preparazione della Giornata della Gioventù Asiatica che si terrà a Yogyakarta (Semarang) dal 30 luglio al 6 agosto 2017. (M.H.)

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San Francesco: uomo di pace, vicino ai poveri e amante del Creato

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Ieri si è celebrata la Commemorazione Nazionale del Transito di San Francesco, Patrono d’Italia mentre oggi verrà celebrata la festa di San Francesco. La città di Assisi rivestirà, come di consueto, un ruolo centrale nella giornata del 4 ottobre. Andrea Walton ha intervistato Padre Enzo Fortunato, giornalista e direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, iniziando col parlare del significato della Commemorazione del Transito: 

R. – Vogliamo ricordare il Transito di San Francesco, quando, al termine della sua vita, intonò il Cantico delle Creature e volle affidare il suo corpo a “Sorella Morte”. È stato un momento forte, perché è stato l’abbraccio con Dio: il momento più atteso da Francesco d’Assisi che, negli ultimi anni della sua vita, vede il suo corpo identificato a quello di Gesù, con le stimmate che aveva ricevuto al monte la Verna; da quel momento Francesco è chiamato “l’alter Christus”. E accanto a lui i suoi frati; donna Jacopa, che gli porterà quei biscottini che lui stesso aveva richiesto – i famosi “mostaccioli” –; ma soprattutto quei frati che lo avevano accompagnato lungo l’avventura che ha portato a fondare un nuovo ordine: la Fraternità Francescana. Ed è  un momento forte, perché è lo scacco matto di Francesco alla morte: non più da temere, ma la porta che porta a Cristo, la porta - direi oggi quella misericordia - che fa incontrare quella terra che ognuno di noi - Francesco vuole essere sepolto sulla “nuda terra” perché da lì proveniamo - e questa  piccolezza - perché San Francesco si è sempre definito “piccolo” - incontra la grandezza, l’amore, la bellezza di Dio.

D. – Quanto è attuale ancora oggi il messaggio di San Francesco?

R. – Il messaggio di San Francesco – direi – ha una caratura perenne, preziosa, perché è un messaggio tutto intriso di Vangelo. Francesco stesso vuole la sua Regola tutta imperniata sul Vangelo. E la Regola francescana – il carisma francescano – gode di una perennità come il Vangelo. Poi ci sono tre grandi aspetti che lo rendono attuale, e che lo stesso Papa ha indicato nella scelta del nome quando è stato eletto, prendendo il nome stesso di Francesco: “Ho scelto il nome di Francesco perché uomo della pace, uomo accanto ai poveri, uomo che ama e custodisce il Creato”.

D. – Parliamo dell’importanza della celebrazione di San Francesco anche alla luce della recente visita del Santo Padre ad Assisi…

R. – Il 4 ottobre si vive ad Assisi, nella Basilica superiore, la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Torino, mons. Nosiglia; e accanto a lui tutti i vescovi del Piemonte. Ad accendere la lampada votiva durante la celebrazione è il sindaco del capoluogo del Piemonte, Torino. Infine il presidente della regione, il rappresentante del governo e il Ministro generale, al termine della celebrazione, parleranno dalla Loggia del Sacro Convento per il tradizionale discorso alla nazione, perché – lo ricordiamo – San Francesco è patrono d’Italia. Quindi due momenti – direi – molto forti: uno liturgico, l’altro istituzionale, che ci portano a guardare anche alla tappa precedente vissuta pochi giorni fa, perché il 20 settembre Papa Francesco era ad Assisi con tutti i leader religiosi. E lì Papa Francesco ha ricordato come siano importanti il dialogo e l’amicizia tra le fedi, come la violenza e la guerra, soprattutto la guerra lui ha detto: “Non è mai santa”, e non si può combattere e uccidere “in nome di Dio”. Ecco che l’immagine di Assisi è stata un’immagine che fa comprendere come Francesco si sia battuto per far sì che l’altro sia sempre un volto amico, sia sempre il volto di un uomo che è tuo fratello.

D. – La Regione Piemonte offre l’olio per la lampada di San Francesco: che significato ha quello di far ardere l’olio nella lampada?

R. – Ha il significato, direi molto profondo, della devozione degli italiani a San Francesco. L’ulivo è una pianta che abita quasi tutte le Regioni del nostro Paese, e l’olio indica medicamento delle ferite e rafforzamento dell’uomo. L’olio indica anche la laboriosità del popolo italiano, ma ancora l’olio serve per far accendere e ardere una luce: questo significa che noi facciamo nostre le parole di Francesco: “Altissimo e Glorioso Iddio, illumina il cuore mio”. Quella luce significa che egli ci vuole illuminare e desidera orientare il nostro cammino sulla strada della pace, della fraternità, dell’incontro. Vivremo questa festa di San Francesco pensando anche e soprattutto a coloro che soffrono, alla gente terremotata di Amatrice e degli altri luoghi segnati dal terribile terremoto; pensando anche a tante persone che stanno fuggendo dalla guerra, dalle povertà, per trovare un rifugio migliore, una casa migliore. 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 278

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