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Sommario del 07/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa incoraggia aiuti ad Haiti devastata da uragano: oltre 300 morti

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Papa Francesco esprime il suo dolore per le vittime causate dall'uragano Matthew ad Haiti - sono quasi 350 i morti - e “si unisce nella preghiera” con quanti hanno perso i loro cari. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin inviato al cardinale Chibly Langlois, presidente della Conferenza episcopale haitiana,  il Santo Padre assicura la sua “vicinanza spirituale” a coloro che sono stati colpiti da questa calamità, affidando “ i defunti alla misericordia di Dio, perché li accolga nella sua luce”. Incoraggia infine gli aiuti e la solidarietà "in questa nuova prova che conosce il Paese”. Intanto, l’uragano è arrivato sulla costa Occidentale degli Stati Uniti. In Florida e Carolina del Sud è stato decretato lo stato d’emergenza. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Con piogge e venti a oltre 220 chilometri orari l’uragano Matthew ha devastato l’isola caraibica di Haiti e ucciso oltre 300 persone, colpite da detriti, alberi o trascinate nei corsi d’acqua. Distrutte intere città come Jeremie dove l’80% delle case non esistono più. Il presidente del Consiglio elettorale provvisorio,   Leopold Berlanger, ribadisce la preoccupazione delle autorità che per ora non stimano i danni, ma sono ingentissimi. Per l’Onu si tratta della peggiore crisi umanitaria dal terremoto del 2010. Nella Repubblica Dominicana si registrano altre 4 vittime. Matthew, declassato a categoria 3, è arrivato negli Stati Uniti dove fa ancora paura. In Florida e Carolina del Sud è stato decretato lo stato d’emergenza. “È questione di vita o di morte” ha detto il presidente Obama che ha chiesto ai cittadini di lasciare le zone a rischio: si stima siano 3 milioni le persone in pericolo. “Proteggere le vite umane è la priorità”, “se mi state guardando e vivete in una zona da evacuare dovete partire subito” è l'appello del governatore della Florida, Rick Scott.

Ad Haiti “dobbiamo pensare alle famiglie e ai bambini colpiti dall’emergenza”. Così Elena Cranchi dell’Organizzazione umanitaria SOS Villaggi dei Bambini, Onlus presente sull’isola caraibica dal 1978: 

R. – L’urgano è stato devastante! Ci sono stati danni a migliaia e migliaia di case: quindi ci sono famiglie che hanno perso di nuovo, un’altra volta, tutto! E’ una terra che è stata ferita pesantemente da un terremoto solo sei anni fa… Ora ci sono problemi con le comunicazioni. L’emergenza più immediata ora è legata al fatto che mancano cibo e acqua. L’acqua è sporca, contaminata, e questo preoccupa molto, anche l’Unicef ha lanciato un appello, perché il rischio di epidemie è concreto. Noi ci stiamo muovendo con le autorità, come abbiamo già fatto durante il terremoto, per cercare di portare il primo soccorso alle famiglie e ai bambini coinvolti. Sono cifre importanti: si parla di 4 milioni di bambini.

D. – Qual è la situazione delle vostre strutture? Come stanno i bambini che assistete?

R. – Fortunatamente tutti i bambini, i ragazzi e i collaboratori all’interno dei nostri villaggi stanno bene. Però abbiamo ricevuto delle foto che mostrano gravi danni subiti… La nostra scuola Sos e il nostro villaggio sono stati danneggiati. Non c’è più il tetto, le stanze sono distrutte: quindi gravi danni. Ma – ripeto – fortunatamente nessuna vittima e nessun ferito. In questo momento siamo concentrati sulle famiglie che erano già vulnerabili. Una vera e propria catastrofe!

D. – Di cosa c’è bisogno in questo momento? E se qualcuno volesse sostenervi, come fare?

R. – In questa fase servono acqua, cibo e beni di prima necessità. Andando sul sito www.sositalia.it, stiamo raccogliendo per aiutare Sos Villaggi dei Bambini ad Haiti. Noi siamo ad Haiti dal 1978 e abbiamo sempre operato - e a maggior ragione durante l’emergenza - insieme alle organizzazioni presenti ad Haiti e insieme alle autorità governative.

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Papa a Oblati di Maria: Chiesa sia sempre più una casa aperta a tutti

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Cercare risposte coraggiose agli interrogativi del nostro tempo per raggiungere “nuovi poveri”. Questo, in sintesi, l’invito che il Papa affida nel discorso ai circa 100 membri del Capitolo Generale dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, ricevuti stamani in udienza nella Sala Clementina. Quest’anno ricorre il bicentenario della fondazione della Congregazione, ad opera di Sant'Eugenio de Mazenod. Bisogna lavorare per una Chiesa che sia "per tutti", accogliendo e accompagnando, esorta Francesco. Il servizio di Debora Donnini

La vostra Congregazione si è impegnata per riaccendere la fede che “la rivoluzione francese stava spegnendo nel cuore dei poveri delle campagne della Provenza, travolgendo anche tanti ministri della Chiesa”. Lo sottolinea il Papa all’inizio del suo discorso ai membri del Capitolo Generale. La Congregazione nasce infatti nel 1816, per opera di Sant'Eugenio de Mazenod, che abbandonò la Francia proprio a causa della rivoluzione francese. Tornato in patria e divenuto sacerdote, per far fronte all’abbandono della pratica religiosa nelle aree rurali della Provenza, con alcuni compagni organizzò la predicazione nelle campagne, ricorrendo anche all’uso del dialetto provenzale per farsi capire anche dai più semplici. E la Congregazione, nel giro di pochi decenni, si è diffusa nei cinque continenti, nota Francesco.

Lavorare per una Chiesa che sia per tutti, pronta ad accogliere e accompagnare
Due le caratteristiche centrali del fondatore messe in evidenza dal Papa: “Ha amato Gesù con passione e la Chiesa senza condizioni”. “Siete chiamati a rinnnovare questo duplice amore”, dice Francesco ai presenti, e la ricorrenza dei 200 anni dalla fondazione dell’Istituto cade proprio nel Giubileo della Misericordia che deve essere "il cuore della vostra missione”. Gli Oblati di Maria Immacolata sono infatti nati da un'esperienza di misericordia, vissuta da Sant'Eugenio un Venerdì Santo di fronte a Gesù crocifisso. Essere “uomini dell’Avvento” come Sant'Eugenio de Mazenod, esorta il Papa spiegando l’obiettivo centrale per la Congregazione nel mondo di oggi:

“La Chiesa sta vivendo, insieme al mondo intero, un’epoca di grandi trasformazioni, nei campi più diversi. Ha bisogno di uomini che portino nel cuore lo stesso amore per Gesù Cristo che abitava nel cuore del giovane Eugenio de Mazenod, e lo stesso amore senza condizioni per la Chiesa, che si sforza di essere sempre più casa aperta. È importante lavorare per una Chiesa che sia per tutti, una Chiesa pronta ad accogliere e accompagnare!”.

Ogni terra è "terra di missione": serve audacia missionaria
La storia della Congregazione è quella di tanti consacrati che hanno sacrificato la vita “per raggiungere terre lontane dove ancora c’erano 'pecore senza pastore'”, testimoniando “qualche volta anche con il sangue” un grande amore per Cristo e per la Chiesa. Una chiamata che si ripete ancora oggi:

“Oggi, ogni terra è ‘terra di missione’, ogni dimensione dell’umano è terra di missione, che attende l’annuncio del Vangelo. Il Papa Pio XI vi definì ‘gli specialisti delle missioni difficili’. Il campo della missione oggi sembra allargarsi ogni giorno, abbracciando sempre nuovi poveri, poveri uomini e donne dal volto di Cristo che chiedono aiuto, consolazione, speranza, nelle situazioni più disperate della vita. Pertanto c’è bisogno di voi, della vostra audacia missionaria, della vostra disponibilità a portare a tutti la Buona Notizia che libera e consola”.

Cercare risposte coraggiose agli interrogativi del'uomo di oggi
Una missione che si porta con la gioia del Vangelo che deve risplendere sul volto, per “uno slancio missionario nuovo”, punto di partenza per “incontrare nuovi poveri”:

“E’ necessario cercare risposte adeguate, evangeliche e coraggiose, agli interrogativi degli uomini e delle donne del nostro tempo. Per questo occorre guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione e abbracciare il futuro con speranza, senza lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà che incontrate nella missione, ma forti della fedeltà alla vostra vocazione religiosa e missionaria”.

Al centro c'è Maria Immacolata: un nome che Sant’Eugenio definì come “un passaporto per il Cielo”.

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Francesco: "Il Rosario è la preghiera del mio cuore"

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Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Beata Vergine del Rosario, Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet: "Il Rosario è la preghiera che accompagna sempre la mia vita; è anche la preghiera dei semplici e dei santi … è la preghiera del mio cuore". In questa giornata si apre il Giubileo Mariano, che vedrà domani pomeriggio il Papa presiedere una veglia di preghiera in Piazza San Pietro, dove domenica mattina celebrerà la Messa a conclusione dell'appuntamento. Sulla figura di Maria, Madre di misericordia, ascoltiamo mons. Giovanni Tonucci, arcivescovo prelato del Santuario di Loreto, al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Maria è ricordata con un’invocazione che dice di Lei che è Madre della Misericordia. Ecco: non dimentichiamo mai che tutto quello che comporta il processo della salvezza dell’umanità, nasce da un incontro tra Maria e l’Angelo che le espone il progetto di Dio. Ora, quando noi diciamo che Cristo si è incarnato nel seno di Maria, possiamo dire che è la Misericordia di Dio che si è incarnata, per cui la Madre della Misericordia ci richiama un pochino la parte fondamentale del processo di salvezza e quindi il progetto di amore da parte del Signore che si incarna attraverso l’opera di una donna. E non possiamo mai dimenticare che la presenza di Maria nella Chiesa, in tutti i cristiani, è qualcosa di fondamentale per cui anche chi è più tiepido nella sua fede, anche chi trova difficoltà a seguire il messaggio evangelico, di fronte alla figura di Maria si commuove ed è sempre capace di sentire quella chiamata, quella vocazione forte che tanto spesso poi chiama la conversione e ottiene la conversione.

D. – Oggi è la festa della Madonna del Rosario. Quanto è sentita questa ricorrenza?

R. – Credo che il Rosario sia, nel mondo cristiano e cattolico, la preghiera più familiare e più cara a tutti. Non è una preghiera facile, ma è senz’altro una preghiera ricca e qui la sentiamo particolarmente, perché il Rosario è sempre integrato da quella serie di invocazioni che chiamiamo le “Litanie lauretane”, che non sono tutte nate a Loreto ma sono un po’ l’espressione più forte di questo Santuario. Invocazioni e lodi a Maria che si susseguono come, appunto, una litania, quindi una serie di invocazioni, gesti di amore. Ora, il Rosario è una preghiera che ha la sua ricchezza nella varietà dei temi proposti: è un riflettere, è un ripassare un po’ la vita del Signore e la presenza di Maria nei vari misteri. E’ una preghiera che non sempre è facile, ma è una preghiera che possiamo fare anche quando siamo stanchi ed è una preghiera che possiamo sempre regalare, offrendo al Signore le nostre invocazioni per delle intenzioni particolari. Quindi è una preghiera facile e bella, anche difficile e ricca; comunque è una preghiera che ha una sua grandissima popolarità: non dimentichiamo che i Papi spesso si sono soffermati su questa preghiera per arricchirla e farcene sentire il gusto.

D. – Perché ci si rivolge a Maria, sempre nei momenti più dolorosi, nei momenti in cui si ha bisogno di un soccorso?

R. – Diciamo che Dio si manifesta “madre” attraverso la presenza di Maria, per cui ecco che la Madre di Gesù la sentiamo vicina, anche perché è una di noi, è una creatura umana come noi per cui la sentiamo vicina, materna; ed è quella realtà che ha una capacità di entrata molto forte. Io ricordo la frase di qualcuno che diceva: “Anche quelli che vogliono aver dimenticato la preghiera del Padre Nostro, quindi quelli che vogliono fare come se Dio non ci fosse, in fondo al cuore l’Ave Maria se la ricordano sempre”. Anche per chi vuole negare Dio, la presenza della Madre è una presenza sempre reale.

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Papa a vescovi europei: Chiesa annunci con gioia il Vangelo della speranza

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Una Chiesa “sempre più in uscita”, “annunciatrice gioiosa del Vangelo della misericordia e testimone di speranza". E’ l’immagine della Chiesa in Europa che Papa Francesco disegna nel messaggio inviato al cardinale Péter Erdő, presidente del Ccee, Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, in occasione della Plenaria dell’organismo in corso nel Principato di Monaco.

Francesco esprimere "vivo apprezzamento per il significativo contributo che la Ccee offre nella promozione di rapporti fraterni ed ecclesiali, che manifestano l’importanza della comunione e la gioia della fede". Incoraggia poi i partecipanti "a proseguire con fiducia il cammino volto a rendere un servizio alle popolazioni del Continente, valorizzandone 'i due polmoni', quello orientale e quello occidentale". “Sia vostra cura, continua il Papa, illuminare le coscienze dei credenti”, perché “non si lascino sviare da una cultura mondana''.

Il messaggio, letto in apertura dei lavori dal nunzio locale, l'arcivescovo Luigi Pezzuto, contiene anche un ringraziamento al cardinale Péter Erdő, che con questa plenaria conclude un doppio mandato di cinque anni alla guida dell'organismo europeo. “Ella, scrive Francesco, ha saputo servire con mitezza e lungimiranza, ponendo al di sopra di tutto la carità evangelica. Grazie per il suo zelo pastorale!".

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Altre udienze

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il card. George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia; mons. Nikola Eterović, arcivescovo tit. di Cibale, nunzio apostolico nella Repubblica Federale di Germania.

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Ultra HD. Mons. Viganò: innovazione per portare al meglio messaggio del Papa

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“Passaggi: comunicazione e tecnologia oltre le frontiere”: è il tema della Conferenza 2016 di HD Forum Italia, associazione che diffonde l’uso di contenuti multimediali e tecnologia d’avanguardia come l’Alta Definizione. L’incontro, organizzato in partnership con la Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede presso il Media Center San Pio X, in via della Conciliazione, a Roma. Al centro della Conferenza, con interventi di rappresentanti internazionali di primo piano, lo straordinario miglioramento delle immagini offerte dalla tecnologia Ultra HD. Ad aprire l’incontro il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Viganò, che ha sottolineato la necessità di “stare al passo con i cambiamenti tecnologici a livello globale per supportare al meglio i media della Santa Sede”. Il servizio di Debora Donnini

Papa Francesco apre la Porta Santa del Giubileo della Misericordia, l’8 dicembre: suscita grande emozione il filmato in Ultra HD trasmesso alla Conferenza. La gamma dei colori e la bellezza si avvicina alla capacità di percezione dell’occhio umano, consentendo così un’esperienza di “immersione” quasi totale nelle immagini, offerte dal televisore in 4 K. Un mondo tecnologico che pur apparentemente lontano dal quotidiano, si fa vicino nella comunicazione di immediatezza. Diffondere la tecnologia dell’HD, dell’Ultra HD e del 3D è infatti la mission dell’Associazione che ha organizzato la Conferenza. L’appuntamento celebra i 10 anni di vita dell’organizzazione  e vede la presenza di esponenti mondiali di primo piano del settore. Trasmesso anche un cortometraggio di Eugenio Bonanata, “Sorella Fibra”, nel quale il filo del ricamo delle Clarisse si lega con quello della fibra ottica che la Repubblica di San Marino diffonderà sul suo territorio a livello capillare entro il 2017. Centrale anche l’intervento del direttore del Centro Televisivo Vaticano, Stefano D’Agostini. Il prossimo step del Ctv sarà il 20 novembre, con la cerimonia di chiusura della Porta Santa, che sarà trasmessa in Ultra HD in diretta via fibra ottica a San Marino, e sul satellite.

Alla Conferenza, il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Viganò, ha parlato dell’evoluzione dei media e della riforma dei media vaticani. Oggi si va infatti verso una naturalizzazione dei mezzi di comunicazione, nel senso che viene meno una chiara distinzione fra i dispositivi multimediali. Debora Donnini ha chiesto a mons. Viganò come si sposi la riforma dei media vaticani con le innovazioni tecnologiche come l’Ultra HD: 

R. – La riforma è dettata più dalla storia: siamo in un momento in cui, ad esempio, non esistono più i confini rigidi dei dispositivi mediali. Pensiamo oggi a che cos’è la radio, che cos’è la televisione: non lo sappiamo… Quindi c’è una labilità dei confini proprio grazie alla convergenza digitale. Questa convergenza digitale offre anche l’occasione per riflettere molto sui formati e sulla qualità dei formati. E questo è il motivo per cui la Segreteria per la Comunicazione sposa, in qualche modo, un’occasione di riflessione ad altissimo livello proprio su formati e tecnologia. E questo perché noi siamo chiamati ad avere quanto di più importante abbiamo come contenuti e cioè il Papa, il Vangelo, il messaggio del Magistero. Abbiamo però anche bisogno di apprendere i formati di grande qualità e di grande “immersività”, sia dell’immagine che dell’audio.

D. – Lei diceva che si va verso una convergenza mediale anche grazie ai nuovi media e alle nuove tecnologie digitali, ai social network. Quanto è legato questo aspetto con la questione dell’ “immersività”, cioè di coinvolgere sempre più l’utente nel processo comunicativo?

R. – Moltissimo e a più livelli. Pensiamo a cosa significhi oggi che i media, e in particolare i media tradizionali, ad esempio gli schermi televisivi, abbiano invaso dei luoghi e degli spazi che non nascono propriamente per la loro fruizione: pensiamo ai musei, pensiamo ai videowall sulle strade… Quindi c’è un’ "immersività" che è anzitutto sociale, all’interno di un contesto di produzione audiovisiva. Poi c’è un’ "immersività" che è data dal fatto che noi diventiamo sempre più touch: c’è sempre più prossimità tra techne e bios. Anche questo è un dato del quale tener conto. Quindi abbiamo vari aspetti, vari paradigmi che si stanno modificando, e noi dobbiamo necessariamente guardarli in faccia, anche perché la Chiesa da sempre, nella storia, è stata molto capace non solo di cavalcare ciò che emergeva, ma quasi di anticipare: in questo momento noi, invece, siamo molto, molto arretrati. Questa è una grande occasione per riflettere insieme a professionisti di tutto il mondo – dagli Stati Uniti, alla Germania, alla Francia – su quali siano i formati e i formati di qualità.

D. – L’Ultra HD permette di far vedere la realtà quasi come se fosse l’occhio umano che la guardasse, riproducendo quasi tutta la gamma dei colori. Quanto è importante questo aspetto per diffondere il messaggio del Papa nel mondo?

R. – Questo è molto importante, perché non dimentichiamo che oramai l’audiovisivo si fruisce molto spesso sui device mobili, e lì non è richiesta una grande qualità. Allo stesso tempo, però, ricordiamo che la televisione sta diventando sempre più grande come schermo, perché sopravvive come cinema e nelle case gli schermi sono sempre più grandi. In questo caso la grande qualità permette appunto di far emergere con forza il messaggio. Pensiamo a cosa voglia dire un’assemblea liturgica, laddove si restituiscano le sfumature, si restituisca la precisione dei tratti… Questo aiuta assolutamente il fruitore a partecipare ad un evento, che è un evento certamente mediato, ma è un evento importante per la propria vita.

D. – Aiuta a partecipare anche emotivamente, che è un’altra caratteristica della nuova comunicazione…

R. – Sì, certo. Sapendo che la comunicazione del Papa è una comunicazione che, per quanto riguarda l’azione rituale, è decisivamente coinvolgente, perché l’azione rituale è presieduta da moltissimi codici: pensiamo al codice luminotecnico, al codice olfattivo, al codice prossemico… Ovviamente alcuni di questi codici nella mediazione televisiva non ci sono, ma se noi riusciamo a renderli in qualche modo intuibili, permettiamo allo spettatore di essere dentro la celebrazione e quindi di vivere con grande emotività, con grande empatia questo momento. Così come, invece, ci sono altri momenti del Papa, che non sono quelli dell’azione rituale, che però sono quelli dei grandi gesti, delle carezze, degli abbracci, di quando ad esempio fa salire qualche giovane sulla papamobile: sono gesti che sono molto forti, che diventano icone. E quando queste icone hanno anche la forza di stagliarsi per la qualità, questo è decisamente più utile.

Il sostegno alla filiera dell’audiovisivo, in Italia e nel mondo, è uno degli obiettivi dell’Associazione HD Forum Italia. Sul significato e l’impatto delle immagini trasmesse in Ultra HD, Luca Collodi ha intervistato il presidente dell’organizzazione, Benito Manlio Mari

R. – Noi vediamo delle immagini come se fossimo per strada, ammiriamo panorami, cosa che fino a ieri era impossibile, perché le quantità di informazioni non bastavano, il colore era scarso. Il grande entusiasmo è essere dentro un contenuto!

D. – Nelle aziende, l’elemento industriale, la produzione di nuove telecamere, la produzione di nuovi apparecchi televisivi, è al passo con queste innovazioni o c’è ancora nell’industria televisiva qualche dubbio?

R. – L’associazione che presiedo è un’associazione di filiera ed è una delle rare situazioni in Italia o comunque nei Paesi del mondo, in cui si siedono attorno ad un tavolo dal manufacturer al broadcaster, dall’operatore satellitare all’operatore del centro di ricerche fino all’operatore telefonico. Dialoghiamo, mettiamo a confronto quali sono le possibilità di progresso, diamo degli input, creiamo questo libro che raccoglie le specifiche, che le armonizza per l’Italia e oltre. L’industria segue molto questa attività e, grazie a questa attività, noi riusciamo a portare anche le esigenze italiane in un consesso internazionale, e spesso dobbiamo cercare di sincronizzare meglio la possibilità di avere contenuti in questa Alta Qualità - come per esempio sta facendo il Centro Televisivo Vaticano - per poter dargli spazio in questi nuovi apparati, nuovi televisori, che fanno vedere questa grande qualità.  Quindi dobbiamo lavorare insieme, dobbiamo sintonizzare e armonizzare.

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Nuovo Cd della Cappella Sistina per l'Anno della Misericordia

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Un’opera monografica su Giovanni Pierluigi da Palestrina, che musicalmente esalti l’Anno straordinario della misericordia che stiamo vivendo. Si intitola "Missa Papae Marcelli–Mottets" ed è l’ultimo CD della Cappella Musicale Pontificia “Sistina” edito da Deutsche Grammophon, presentato oggi in Sala Stampa vaticana. I fondi raccolti, come nei precedenti progetti con l'etichetta tedesca, saranno destinati alle opere di carità del Papa. Il servizio di Gabriella Ceraso

La Missa Papae Marcelli è la prima composizione a sei voci del '500 italiano dedicata esplicitamente ad un Papa, raffinata e sublime, con profonde ragioni spirituali che racchiudono ciò che la Chiesa stessa voleva e che la Cappella Pontificia esprime tutt’oggi. Mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia:

“Con questa Messa il principe della polifonia romana ha cercato, riuscendovi, di rispondere a quanto il Concilio di Trento chiedeva alla musica liturgica, cioè l’intellegibilità del testo unita alla qualità della musica”.

Palestrina realizzò ciò che il Papa voleva: musica che fosse veicolo di bellezza, elevazione dell’animo a Dio senza autoreferenzialità, ma musica capace anche di altro:

“Evangelizzare, cioè annunciare la buona novella anche attraverso la bellezza, che è via a Dio ed invitare alla ricerca di Dio, il quaerere Deum, che è sottesa all’arte, alla musica sacra. Tutto ciò vuole esprimere quella Chiesa in uscita, di cui ci parla Papa Francesco, una Chiesa che non ha paura di parlare il linguaggio dell’uomo e dei suoi bisogni di cui la musica è espressione alta ed universale".

Questa sfida rimane attuale ancora oggi, dice mons Gänswein, e prosegue nel lavoro della Cappella musicale pontificia che fuori da un tale ambito non avrebbe senso come istituzione. Entrando nel merito della registrazione, essendo questa Messa tra le opere più conosciute ed eseguite, spiega il direttore della Cappella musicale pontificia mons. Massimo Palombella, occorreva “ricercare un’edizione critica pertinente e lasciarsi sfidare, nella prassi esecutiva, da tutto ciò che la scrittura rinascimentale comunica in forma implicita“.

Tra le peculiarità nel rispetto del modello palestriniano, spiccano, secondo il direttore, “una sonorità di più intima percezione”, “la resa emotiva ed espressiva della parola attraverso il suono” e una grande “trasparenza” polifonica in un contesto percettivo dove ognuno ha modo di ritrovarsi. Il Maestro Massimo Palombella:

“In questo delicato processo è stato allora necessario ricuperare il testo, interpretarlo su basi semiologiche, decidere la dinamica nel rapporto tempo-scrittura, scegliere le altezze giuste in relazione alla regola rinascimentale del trasporto, curare l’intonazione in conformità alla scala usata nel Cinquecento (e non quindi su scala temperata), misurare e calibrare le sonorità non per un mero ripristino ‘filologico’ ma per una corretta collocazione ‘liturgica’ di questa musica e per una plausibile ricomprensione del clima vocale rapportato alla scrittura".

Risultato in evidenza è che come Palestrina ieri, il lavoro della Cappella Sistina si ripropone di coniugare la possibilità di vivere nel proprio tempo, guardando avanti, lasciarsi sfidare dalle richieste della Chiesa sulla musica sacra e rispondervi con un linguaggio nuovo. Ancora mons. Massimo Palombella:

“Ricercare la pertinenza estetica, ingegnarsi per essere “infedelmente fedeli” a un mondo lontano da noi, esige studio quotidiano, ricerca e sperimentazione. Tutto ciò credo sia la fedeltà a quanto oggi il Concilio Vaticano II ci chiede in relazione al grande patrimonio culturale della musica sacra, per restituire nella liturgia un segno sonoro “antico” e dunque “prezioso”, capace di resistere in modo fecondo alla storia, continuare ad essere attuale e, proprio per il suo essere “vivo”, aiutare ancora oggi tante persone nel loro cammino di fede.

 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Specialisti delle missioni difficili: agli Oblati di Maria Immacolata il Papa riaffida la consegna di Pio XI.

Premiata la volontà di dialogo: Nobel per la pace al presidente colombiano Juan Manuel Santos.

In prima pagina, sul prossimo Sinodo, un editoriale del cardinale Lorenzo Baldisseri dal titolo "La giovinezza del Vangelo".

Un articolo del prefetto Sergio Pagano dal titolo "Cartelle vuote ma immaginarie": a proposito delle accuse di antisemitismo rivolte al cardinale Maurilio Fossati.

Sinodalità e primato: per il dialogo teologico fra cattolici e ortodossi.

Il samaritano e l'albergatore: Fortunato Iozzelli sulla predicazione del vescovo duecentesco Odod da Chateeauroux.

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Oggi in Primo Piano



Premio Nobel per la Pace al presidente colombiano Santos

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Il vincitore del Premio Nobel per la Pace del 2016 è il presidente colombiano Juan Manuel Santos per l’accordo raggiunto con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Un’intesa, tuttavia, bocciata il 2 ottobre scorso da un referendum popolare. L’annuncio è stato dato ad Oslo dal Comitato norvegese per il Nobel. Nella motivazione si ricordano anche "anche il popolo colombiano" e "tutte le parti che hanno contribuito al processo di pace”. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Il presidente colombiano Santos è stato premiato per i suoi “sforzi tenaci” per mettere fine – si legge nella motivazione - ad una guerra civile lunga più di 50 anni e che è costata la vita ad almeno 220mila persone. Il Comitato che ha assegnato il Premio spiega anche che “il riconoscimento deve essere visto come un omaggio al popolo colombiano che, nonostante grandi difficoltà e abusi, non ha mai perso la speranza di una pace giusta, e a tutte le parti che hanno contribuito al processo di pace”. Un processo suggellato dal recente accordo di pace, siglato il 26 settembre a Cartagena, dal governo colombiano e dalle Farc. Un’intesa storica che, tuttavia, è stata bocciata dal 50,2 per cento degli elettori che hanno partecipato al referendum dello scorso 2 ottobre. Ma “il fatto che la maggioranza abbia votato no al referendum - si legge nella motivazione del Premio - non significa che il processo di pace sia morto: il referendum - si sottolinea - non ha bocciato il desiderio di pace, ma uno specifico accordo”.

Sul significato di questo Premio, Amedeo Lomonaco ha intervistato lo storico Gianni La Bella, docente di Storia Contemporanea all'Università di Modena e Reggio Emilia, che per conto della Comunità di Sant’Egidio, ha seguito il processo di pace tra governo colombiano e Farc: 

R. – E’ un Premio che conferma uno sforzo intrapreso da un uomo politico che, con coraggio, ha cercato la soluzione di un problema che ha devastato la vita del suo Paese. Ed incoraggia soprattutto lo sforzo verso una pace che tutti consideravano irraggiungibile e impossibile.

D. – Un incoraggiamento a non demordere e a continuare proprio nel solco dei negoziati con le Farc, anche se il referendum popolare dello scorso 2 ottobre ha bocciato l’accordo di pace tra governo e Farc. Non è stato, però, bocciato il processo di pace…

R. – Io credo che neanche l’accordo in quanto tale sia stato bocciato: sono stati respinti alcuni aspetti di quell’accordo. Il presidente Santos, dopo l’esito del referendum, ha detto nella sua prima dichiarazione: “Io voglio continuare tutto il resto della mia presidenza a dedicarlo alla pace”. Convinto che questo sia, in un certo senso, l’obiettivo prioritario del suo mandato presidenziale. Non bisogna scoraggiarsi. Bisogna tornare al tavolo del negoziato. Tutti i colombiani devono cercare insieme la soluzione ad un conflitto che non può che essere quella del negoziato, del dialogo, dell’incontro. “Alle armi non si torna!”: lo hanno detto anche le Farc con grande chiarezza. Nessuno vuole la guerra e tutti i colombiani – anche quelli che hanno votato “no” – hanno comunque votato a favore della pace.

D. – Nella motivazione, il Comitato che ha assegnato il Premio ricorda il popolo colombiano, ma anche tutte le parti che hanno contribuito al processo di pace. Non sono indicate esplicitamente, ma il riferimento è anche alle Farc…

R. – Io credo che questo Premio, in un certo senso, anche se non nominate ufficialmente, comprenda anche loro: in fondo le stesse Farc hanno accettato di rinunciare alla logica delle armi, alla logica dello scontro e di sedersi al tavolo del negoziato. E soprattutto oggi, nonostante che il referendum abbia messo un pochino in crisi questo accordo, hanno con grande chiarezza fatto una scelta di rifiuto della guerra e di rifiuto del conflitto. Quindi è un Premio che deve anche considerare una parte di questo Paese che sono loro. 

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Messico: narcotrafficanti uccidono 4 catechisti

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La violenza legata al narcotraffico non conosce tregua nello Stato messicano di Michoacán: quattro giovani catechisti sono stati sequestrati, torturati e uccisi. Le vittime erano Willibaldo Hernández, Adán Valencia, Jesús López Urbina e Jesús Ayala Aguilar. I loro corpi, con evidenti segni di tortura, sono stati trovati in una piantagione di limoni nella comunità San Juan de Los Plátanos, nel municipio di Apatzingán.

I quattro — stando alle ricostruzioni fornite alla Efe da Hipólito Mora, fondatore dei Grupos de Autodefensa Comunitaria — sono stati prelevati da un gruppo armato sabato scorso nella città di La Ruana, dove svolgevano volontariato. Mora accusa di questo crimine il cartello narcotrafficante Los H-3, uno dei più violenti del Paese. Va detto che nella città di Morelia, capitale dello Stato di Michoacán, operano anche altre bande di narcotrafficanti, famose per la loro ferocia: Cártel Jalisco Nueva Generación, los Caballeros Templarios, Los Viagras, Los H-3 e la Nueva Familia.

A Morelia, giorni fa, è stato ucciso, dopo essere stato sequestrato, il sacerdote José Alfredo López Guillén. La sua morte è stata registrata a una settimana di distanza dal rapimento e dall’assassinio di altri due sacerdoti a Veracruz. Dall’inizio dell’anno, in Messico sono stati assassinati tre sacerdoti e quattro catechisti. Nell’ultimo mese, nel Michoacán si sono avuti ben sedici omicidi e diversi episodi di violenza.

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Asia Bibi, udienza il 13 ottobre. L'avvocato chiede preghiere

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In Pakistan, è fissata per il 13 ottobre prossimo l’udienza della Corte Suprema per il caso di Asia Bibi, la donna cristiana, madre di 5 figli, ingiustamente accusata di blasfemia e per questo condannata a morte. La condanna in primo grado è stata confermata dalla Corte di appello e ora il ricorso è giunto al Tribunale supremo, terzo e ultimo grado di giudizio che ha disposto la data per l’esame del caso. Lo conferma a Fides Joseph Nadeem, tutore della famiglia della donna, aggiungendo che “si tratta di un momento decisivo in cui si richiede la preghiera costante di tutti i cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà, perché Asia sia liberata”.

Il caso sarà presentato dall’avvocato musulmano Saiful Malook, legale ufficiale di Asia Bibi, che “nutre buone speranze”, notando “i difetti in diritto e le prove che, nel merito, dimostrano l’innocenza della donna”. Asia Bibi si trova attualmente nel carcere femminile di Multan, in una cella singola. La donna è stata arrestata a giugno del 2009 in base alla nota legge sulla blasfemia, dopo un litigio con alcune contadine, sue compagne di lavoro nei campi. Dopo la condanna a morte nel 2009 e la conferma del verdetto di condanna nel 2014, il 22 luglio 2015 la Corte Suprema ha sospeso la pena e disposto il riesame del caso. 

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Morto mons. Antonio Xu Jiwei, vescovo di Linhai (Cina Continentale)

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Alle ore 23,16 di domenica 25 settembre, è deceduto mons. Antonio Xu Jiwei, vescovo della Diocesi di Linhai (Taichow), nella provincia di Zhejiang (Cina Continentale). Aveva 81 anni: da tempo era affetto da vari problemi di salute; nei mesi scorsi era stato colpito da un ictus cerebrale e, successivamente, da ricorrenti episodi di  infezione polmonare.

Il presule era nato il 2 aprile 1935 a Shanghai. Dal 1948 al 1958 aveva studiato nei seminari di Ningbo e di Shanghai. Nel 1960 fu arrestato e condannato a cinque anni di prigione, poi venne costretto ai lavori forzati. Negli stessi anni gli venne assegnato l’incarico di insegnante in una scuola secondaria. Nel 1985 gli fu rimessa la precedente condanna e, quindi, poté rientrare nel seminario di Shanghai e riprendere gli studi teologici, fatti da giovane. All’età di cinquant’anni, il 21 novembre 1985, fu ordinato sacerdote. Restò nello stesso seminario di Shanghai come formatore.

Nel 1987 tornò nella sua Diocesi di origine di Ningbo. Nel 1999 assunse l’incarico di amministratore diocesano e parroco di Shijiang, nella Diocesi di Linhai (Taizhou). Nello stesso anno, la Santa Sede lo nominò vescovo di Linhai (Taizhou), Diocesi che era vacante dal 1962. Per diversi motivi la sua consacrazione episcopale avvenne undici anni dopo, il 10 luglio 2010, presieduta da mons. Giuseppe Li Mingshu, vescovo di Qingdao, con la partecipazione di altri quattro vescovi legittimi.

Durante gli anni del suo ministero, mons. Xu Jiwei si è dimostrato un pastore prudente e zelante, animato da un profondo sentimento di comunione  e di fedeltà con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale, e si è preoccupato di dare un’adeguata formazione al clero locale. Durante i sei anni di ministero episcopale sono stati ordinati circa metà degli attuali sacerdoti della sua comunità diocesana e alcuni di loro sono stati inviati all’estero per approfondire la propria formazione.

I funerali del Vescovo Xu, ai quali hanno preso parte migliaia di fedeli, si sono tenuti il 29 settembre.

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Centrafrica, nuove violenze: la testimonianza di un missionario

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Undici persone sono morte e quattordici sono rimaste  ferite a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, pochi giorni dopo l’omicidio del comandante delle Forze armate. Il Paese continua a vivere una difficile situazione politica: anni di guerra civile tra le milizie Seleka e quelle anti-balaka hanno lasciato il segno. Il nuovo governo, nato dalle elezioni svoltesi tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, non esercita un controllo stabile sul territorio e continuano a sussistere focolai di violenza. Andrea Walton ha chiesto della situazione attuale a padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano da anni presente sul territorio: 

R. – Ci sono stati alcuni avvenimenti in questi ultimi giorni, come l’uccisione di un comandante dell’esercito, al chilometro cinque, che ha un po’ scombussolato le cose. Io sono attualmente a Banguì e sono arrivato proprio quel martedì, giorno in cui è stato ucciso. Avevano ripreso un po’ gli spari, i colpi, e ci sono stati anche degli attacchi di rappresaglia contro alcuni musulmani, alcuni “Peuls”, che sono allevatori. Quindi, diciamo che la situazione è ancora molto fragile, e questo fenomeno denuncia ancora una volta la fragilità del governo, che non riesce a far fronte a queste bande di criminali. Questa persona era – appunto – un comandante dell’esercito. Per adesso non ci sono state reazioni, nessuno è stato arrestato. E c’è anche la debolezza della Minusca – i Caschi Blu – che non riescono a prevenire, disarmare, avere un piano di azione serio che possa permettere un cambiamento.

D. – Cosa si può fare per risolvere la difficile situazione politica del Paese?

R. – Bisognerebbe che tutti si prendessero le loro responsabilità. Diciamo che rispetto a tempi più lontani, come l’anno scorso, l’elemento almeno positivo è che sembra che questo fatto sia limitato alla giornata di martedì, e non ci siano stati grossi scontri altrove nei giorni seguenti. Quindi, diciamo che questo è un elemento abbastanza positivo. Però non basta affidarsi al fatto che non ci siano state troppe rappresaglie, ma bisogna proprio che il governo si assuma le sue responsabilità, si dia da fare, e che la Minusca – i Caschi Blu – inizino a fare il lavoro per cui sono stati chiamati e per cui sono profumatamente pagati.

D. – Che ruolo può avere la comunità internazionale?

R. – La comunità internazionale continua a fare molto, però penso che a questo punto bisognerebbe che la comunità internazionale fosse più decisa nell’esigere, sia dal governo che dai Caschi Blu, che sono pagati dalla comunità internazionale, delle azioni più incisive: non possono limitarsi a fare dei comunicati, a condannare ecc., per poi lasciare che un ufficiale sia ucciso praticamente sotto i loro occhi, dove ci sono blindati, macchine della Nazioni Unite e altri militari dell’esercito centrafricano.

D. – Quali sono le prospettive future?

R. – Diciamo che non ci sono molte prospettive. Adesso c’è in ballo la grande riunione di discussione per i “bailluers de fonds” – quelli che dovrebbero finanziare la ricostruzione – ma bisognerà vedere un pochino qual è la credibilità del governo, che si presenta a questa riunione, e anche della Minusca. Quindi bisogna vedere quanti fondi riusciranno ad ottenere. Ma siamo sempre più convinti che sia questione di meno fondi, ma soprattutto di una maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti. E quindi sarebbe bene che la comunità internazionale facesse pressione in questo senso: che esigesse dei fatti concreti da parte di tutti gli attori sul posto. 

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Padre Dermine: film "Liberami" non corrisponde a realtà esorcismo

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Il film intitolato “Liberami”, della regista e antropologa Federica Di Giacomo, non rappresenta il ministero esorcistico nella sua realtà: è quanto afferma il padre domenicano François-Marie Dermine, esorcista e presidente nazionale del Gris, il Gruppo di Ricerca e di Informazione Socio-religiosa. La pellicola, che vorrebbe essere una sorta di documentario sull'esorcismo, è stata premiata all’ultimo Festival di Venezia ed è da poco uscita sugli schermi italiani. Ascoltiamo il commento di padre Dermine al microfono di Sergio Centofanti: 

Il film di per sé è fatto bene dal punto di vista cinematografico, perché la regista è molto abile nel fare le riprese; tanto è vero che questo documentario – a mio avviso – ha più le fattezze del film vero e proprio che non del documentario, del reportage. Poi bisogna riconoscere che la regista è rispettosa dell’esorcismo, nel senso che considera, dal suo punto di vista di antropologa, che l’esorcismo sia una specie di nuova assistenza sociale, e per di più gratuita, offerta dalla Chiesa. Per cui non ci sono dei pregiudizi nei confronti dell’esorcismo.

Dall’altra parte, ci sono dei fatti che non vanno, nel senso che la regista si concentra su un esorcista che agisce in modo del tutto soggettivo, arituale, e direi anche lontano dall’insegnamento ufficiale della Chiesa sull’esorcismo. E quindi è uno sguardo poco rappresentativo di quello che dovrebbe essere l’esorcismo.

Stranamente, in coda al film viene rivolto un particolare ringraziamento a “tutti coloro – cito – che hanno reso possibile questo film”. E tra i nomi menzionati vi sono alcuni esponenti del Gris e dei relatori del corso sull’esorcismo e la preghiera di liberazione svolto annualmente all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Ora, nessuno di noi ha partecipato direttamente all’elaborazione di questo film. Molti dei nomi citati non erano neanche al corrente del fatto che si stava girando un film sull’argomento, per cui – ovviamente – molte di queste persone sono cascate dalle nuvole. Perché – effettivamente – il film presenta l’esorcismo in una maniera che non corrisponde al corso che noi svolgiamo ogni anno al Regina Apostolorum.

In particolare, ci sono delle cose che non possiamo condividere: come delle diagnosi affrettate, riduttive e qualche volta anche ingiuste. Come quando l’esorcista dice: “Quando uno è in questa situazione è perché è stato lontano da Dio”. Questo non è necessariamente vero: ci sono delle vittime che, pur essendo cristiane, sono state investite da un attacco del demonio. Ci sono addirittura dei Santi che sono stati posseduti o vessati dal demonio: pensiamo a San Pio da Pietrelcina. E poi nel film si vede una vittima che viene afferrata per i capelli dall’esorcista oppure l’esorcista che versa un intero secchiello di acqua benedetta sulla testa di un’altra vittima, delle manciate piene di sale benedetto buttate in faccia, le intromissioni di alcuni laici che si rivolgono a volte in modo diretto al demonio con una specie di incoscienza e direi quasi di narcisismo. E questo è contrario ovviamente a quanto insegna la Chiesa.

Ma quello che dà più da pensare è il fatto che, di per sé, questi esorcismi avvengono anche in pubblico e questo è completamente contrario all’insegnamento della Chiesa sull’esercizio di questo ministero esorcistico: cioè la Chiesa richiede che gli esorcismi vengano compiuti nel massimo riserbo. Il motivo lo si capisce: l’esperienza è che degli esorcismi pubblici vengono a creare – fuor di metafora – un vero e proprio “pandemonio”, con una specie di sinergia e di contagio, nel senso che in queste celebrazioni nessuno è più in grado di distinguere tra il dilagare dell’autentica azione occulta o malefica e l’innesco di un processo di suggestioni e di psicosi collettiva. Di qui il contesto offre comunque tutti gli ingredienti: la centralità del sacerdote carismatico; la presenza di persone già in trans da possessione; le urla; le aspettative a volte spasmodiche di liberazione; e, perché no, la semplice curiosità o attesa di qualche fenomeno straordinario.

Per cui, siamo molto lontani dal riserbo che dovrebbe essere tutelato e portato avanti nell’esercizio di questo ministero. Personalmente, mi ricordo che quando esercitavo il ministero esorcistico, quando facevo uscire un paziente dalla sala, facevo in modo che non incontrasse il paziente seguente, pur di rispettare la cosiddetta privacy e dignità di queste vittime. Penso che sia una prassi più che giusta da seguire. Invece il film ci presenta una situazione in cui molte preghiere vengono svolte in pubblico; ci sono le vittime che si scatenano, e gli altri fedeli che rimangono o impauriti o comunque sgomenti. Quindi il contesto non è molto aderente a quanto dovrebbe essere l’esorcismo in se stesso. Perciò spero che gli esorcisti non prendano come modello il sacerdote protagonista del film “Liberami”. 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 281

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.