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Sommario del 10/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai Pallottini: siate gioia e speranza per i cuori induriti e desolati

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“Vi incoraggio a proseguire con gioia e speranza”: così il Papa ai 65 delegati Pallottini arrivati da tutto il mondo per la 21.ma Assemblea generale della Società dell’Apostolato cattolico, fondata nel 1835 a Roma da San Vincenzo Pallotti, “faro illuminante ed ispiratore della Chiesa”, ha sottolineato Francesco, ricevendoli in Vaticano. I Pallottini, circa 2.300, sono presenti oggi in 300 comunità, sparse nei cinque continenti. Il servizio di Roberta Gisotti

Cristo “divino Modello di tutto il genere umano”, ben comprese Vincenzo Pallotti - ha osservato il Papa - che “Gesù è l’Apostolo del Padre, grande nell’amore e ricco di misericordia”. “Questo mistero della paternità di Dio, che apre ad ogni uomo, mediante l’opera del Figlio, il suo cuore pieno di amore e di compassione”, acquista - ha sottolineato Francesco - un particolare significato ai nostri tempi":

“Davanti ai nostri occhi scorrono ogni giorno scene di violenza, volti senza pietà, cuori induriti e desolati. Abbiamo tanto bisogno di ricordarci di quel Padre, il cui cuore pensa a tutti e vuole la salvezza di ogni uomo”.

Da qui l’invito di Francesco a tutti i Pallottini:

“Vi incoraggio a proseguire con gioia e speranza il vostro cammino, impegnandovi con tutto il cuore e con tutte le forze, perché il carisma del vostro Fondatore porti frutti abbondanti anche nel nostro tempo”.

Vincenzo Pallotti, ha ricordato poi il Papa, “si considerava un prodigio della misericordia di Dio”:

“Egli amava ripetere che la chiamata all’apostolato non è riservata ad alcuni, ma è rivolta a tutti, ‘qualunque sia il loro stato, la loro condizione, la loro professione, la loro fortuna, tutti possono farvi parte’”.

L’Unione dell’Apostolato cattolico, che “offre tanti spazi e apre nuovi orizzonti” per partecipare alla missione della Chiesa, è dunque “chiamata a operare con rinnovato slancio per risvegliare la fede e riaccendere la carità":

“...specialmente tra le fasce più deboli della popolazione, povere spiritualmente e materialmente”.

Infine, l’auspicio:

“Possiate aiutare quanti incontrate nel vostro ministero a riscoprire l’immenso amore di Dio nella nostra vita”.

L’Assemblea generale della Società dell’apostolato - ospitata nella Casa Divin Maestro di Ariccia, nei pressi di Roma, dal 19 settembre al 15 ottobre - ha riconfermato nell’incarico di rettore generale Don Jacob Nampudakam, 61 anni, di nazionalità indiana.

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Il nunzio Zenari: questa porpora è per il popolo siriano

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Il primo dei nomi che Papa Francesco ha pronunciato annunciando i nuovi cardinali all’Angelus è stato quello del nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, che - anche dopo il Concistoro del 19 novembre - resterà accanto alla popolazione siriana martoriata dalla guerra. Alessandro Gisotti ha raccolto la sua testimonianza subito dopo l’annuncio del Papa: 

R. – E’ stata per me un’emozione che mi ha anche sconvolto, effettivamente… E’ stata una sorpresa: una sorpresa! Ringrazio di cuore il Santo Padre, perché questa porpora va alla Siria, alle vittime della Siria, a tutti coloro che soffrono per questo terribile conflitto. Quindi la porpora è per questa gente, per i tanti bambini che soffrono, per tanta povera gente che paga le conseguenze di questo terribile conflitto.

D. – Il Papa ha sottolineato che lei resta nunzio in Siria, come a dire "ci sono anche io con lui"…

R. – Direi che il Papa – sì - usa parole, parole molto forti anche nei suoi messaggi e in questo caso usa anche un avvenimento, quello di creare cardinale uno che è nunzio in Siria. E qui direi che è un avvenimento molto, molto eloquente: è qualcosa di nuovo, un nunzio cardinale che rimane nunzio lì nella nazione in cui è!

D. – Dopo tanto impegno per la pace in questa terra martoriata, che cosa pensa potrà dare di più il cardinale Zenari adesso per la Siria?

R. – Come mia umile persona credo che non faccio molto conto, però vorrei che questo segnale del Santo Padre venga utilizzato il più possibile. Il mio impegno è quello che è... però dietro c’è questo appoggio! E sento la forza, sento la spinta, sento questo segnale forte del Santo Padre dietro la mia povera persona e i miei limiti… Quindi mi sento incoraggiato e posso dire che questa missione come nunzio è veramente incoraggiata e sostenuta dal Santo Padre. E porterà qualche beneficio certamente in più questo segnale di vicinanza, anche in questa maniera così nuova che il Papa ha voluto.

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Nzapalainga: sarò cardinale per i poveri e la riconciliazione

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Con Papa Francesco ha aperto la prima Porta Santa del Giubileo, a Bangui il 29 novembre, ora l’arcivescovo della capitale centrafricana, mons. Dieudonné Nzapalainga, sarà alla conclusione del Giubileo come neocardinale, dopo il Concistoro del 19 novembre annunciato ieri dal Pontefice all’Angelus. Al microfono di Jean Charles Putzolu, il futuro cardinale – il primo del Centrafrica – si sofferma sull’importanza che le periferie assumono anche con questa sua nomina: 

R. – Le Pape François a mis le cap sur l’Eglise de périphérie…
Papa Francesco ha posto l’accento su una Chiesa di periferia, una Chiesa dei poveri, e questo l’ha detto e l’ha fatto non soltanto venendo in Repubblica Centrafricana, una Chiesa povera che vive una situazione difficile, sofferenze, tristezze; ma oggi, ancora, egli chiama uno dei figli poveri di questa Chiesa, per essergli vicino. Non possiamo che ringraziare il Signore e il Santo Padre per questo gesto rivolto ai poveri. Per me è una chiamata che ricevo come una chiamata a un impegno ancora più deciso al servizio dei poveri affinché ritornino la riconciliazione e la fratellanza e più che mai possiamo parlare, tra uomini, di pace e giustizia.

D. – Sappiamo che la Repubblica Centrafricana purtroppo è scossa da molte settimane da molte violenze, soprattutto a Bangui. C’è però anche qualche piccolo segno di speranza: mi sembra che in un quartiere musulmano in questi ultimi giorni ci sia stata una marcia per la pace. La porpora cardinalizia la aiuterà a dar maggior forza ai suoi appelli per la pace e la riconciliazione?

R. – Je l’espère et je peux vous dire que je ne l’ai pas attendu…
Lo spero; posso dire però che non ho aspettato la porpora per continuare questa missione. Adesso, mentre vi parlo, sono al “Chilometro Cinque", il quartiere musulmano. Sto andando a incontrare i miei fratelli e le mie sorelle per dire loro che dobbiamo ritrovarci, lavorare per il ritorno della pace, della giustizia e della riconciliazione, e questo richiede di accettare che possiamo sotterrare le nostre asce di guerra e lottare contro gli estremismi di una parte e dell’altra.

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Don Ernest Simoni: la mia porpora, una sorpresa di Dio

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Il 21 settembre del 2014 il mondo conosceva don Ernest Simoni. Papa Francesco ascoltava commosso la sua testimonianza nella visita a Tirana in Albania. Incarcerato, torturato, costretto a lavori forzati, più volte condannato a morte, don Ernest – la cui storia è stata raccontata recentemente in un libro del vaticanista di Avvenire, Mimmo Muolo – ha sempre confidato in Gesù e così ha vinto il totalitarismo comunista che ha oppresso l’Albania per decenni. Ieri, l’annuncio di Papa Francesco: don Ernest Simoni – oggi quasi novantenne – sarà cardinale. Una sorpresa a cui il sacerdote albanese fa fatica a credere. Alessandro Gisotti ha raccolto la sua testimonianza: 

R. – Quando ho visto in televisione l’Angelus che recito con il Santo Padre, ho sentito “Don Ernest”. E’ stata una sorpresa immensa per me: mai avrei pensato! Devo ringraziare il Signore per la vita che mi ha dato e per le grazie, le tante grazie che ho avuto. E’ opera e merito solamente di Nostro Signore Gesù Cristo e della Santissima Madonna. E così, come un povero missionario – un piccolo missionario di Gesù – ogni giorno prego l’amore di Gesù nel cuore di tutti gli uomini.

D. – Il Santo Padre era stato fortemente toccato – l’aveva detto anche in più occasioni – dalla Sua testimonianza e dall’incontro con Lei, in Albania. In qualche modo, questa porpora è proprio sugello per Lei ma per tanti, tanti cristiani in Albania e in tante altre terre che soffrono e subiscono persecuzione per testimoniare Gesù …

R. – Certo! “Come hanno perseguitato me, perseguiteranno pure voi che mi seguite”. Ma Gesù è stato sempre la fortissima speranza che ci consola e che ci aiuta, per amare. Io ho incontrato il Santo Padre quando è arrivato in Albania: ho scambiato due parole. Tutto è Gesù che mi ha salvato; sono tante le peripezie che ho subito: due volte sono stato condannato a morte … Gesù ha fatto tutto!

D. – Papa Francesco parla spesso delle “sorprese di Dio”: questa davvero è una sorpresa! Lei tante volte è stato vicino alla morte, in carcere, torturato e adesso è incardinato nella Chiesa di Roma, vicino al Papa …

R. – Questa è stata una sorpresa immensa! Io sono stato cinque volte vicino alla morte; in prigione mi avevano preso per eliminarmi, ma Dio mi ha salvato: mi ha salvato Gesù. Solo Gesù, Gesù amore infinito con noi!

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Papa contro condanne a morte: non c'è pena valida senza speranza

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“Non c’è pena valida senza speranza!” è il tweet pubblicato da Papa Francesco in occasione della quattordicesima Giornata mondiale contro la pena di morte. Il 22 giugno scorso il Papa aveva affermato che "la pena di morte è inammissibile, per quanto sia grave il reato commesso dal condannato. È un affronto all’inviolabilità della vita e della dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull'uomo, la società e la sua giustizia misericordiosa (...). Essa non rende giustizia alle vittime, ma incoraggia la vendetta. Il comandamento 'Non uccidere' ha un valore assoluto e riguarda sia l'innocente e il colpevole” (Videomessaggio al Congresso mondiale contro la pena di morte). Secondo Amnesty International, 140 Paesi, ovvero i due terzi degli Stati mondiali, hanno abolito la pena capitale, per legge o nella prassi, ma allo stesso tempo sono almeno 20 gli Stati che la usano per reati di terrorismo senza però ottenere una diminuzione dei crimini. Elvira Ragosta ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: 

R. – E’ una brutta esperienza, quella degli ultimi anni, in cui vediamo governi – penso all’Iraq, al Pakistan e ad altri ancora – che aumentano e in alcuni casi addirittura ripristinano la pena di morte, ma quel che è più grave è che aumentano le esecuzioni per reati di terrorismo, come se si volesse sfidare la lezione che la storia ha finora consegnato e cioè che la pena di morte non ha un deterrente particolarmente superiore rispetto ad altre pene quando si ha a che fare con qualunque reato e in particolar modo con i reati di terrorismo. Eppure si è presa questa scorciatoia irresponsabile, fatta di processi sommari, di prove estorte con la tortura, nella falsa speranza che impiccare qualche decina oppure qualche centinaia di persone serva a sconfiggere il terrorismo, senza però affrontarne le cause di fondo. Cito il caso del Pakistan, perché è la novità in negativo di questi ultimi anni: il Pakistan ha reintrodotto la pena di morte alla fine del 2014 e da allora c’è stata una media di una esecuzione ogni due giorni. Però io ricordo quel tragico avvenimento, quel massacro che ci fu nella Pasqua scorsa a Lahore, con una festa di famiglia, di bambini, molti dei quali cristiani, che festeggiavano la Pasqua: come a dire nel modo più tragico possibile che quando si minaccia la pena di morte per terrorismo, non ci sono persone che stanno a sentire…

D. – Quanti sono gli Stati che applicano ancora la pena di morte nel mondo?

R. – Sono 58 quelli che ce l’hanno in vigore, ma di questi circa la metà la applicano. Se vogliamo definire dov'è l’emergenza pena di morte, il numero dei Paesi si riduce ancora di più ed è quasi costantemente legato ad una parte di mondo, che è quella del Medio Oriente, dell’Asia: penso alla Cina, penso al Pakistan, all’Iran, all’Iraq e all’Arabia Saudita… Rimane il problema della pena di morte negli Stati Uniti, anche se per la prima volta da quando è stata reintrodotta i sondaggi ci dicono che i favorevoli sono scesi sotto il 50 per cento e anche se la Corte Suprema sta analizzando una serie di ricorsi riguardanti il metodo dell’esecuzione, giacché i farmaci per l’iniezione letale sono uno su tre completamente esauriti e non c’è azienda europea che voglia rifornirli…

D. – Ci sono, poi, 140 Paesi al mondo che hanno abolito la pena capitale per legge o anche solo nella prassi e si tratta dei due terzi degli Stati mondiali. Allora quanto e come il loro esempio può influire su quelli che ancora la applicano?

R. – Sarebbe importante che influisse. Il punto è che – sebbene abbiamo superato quella soglia di grande importante dei 100 Paesi completamente abolizionisti; sono 103 oggi – mancano ancora degli esempi importanti. Io credo che sarebbe fondamentale per quanto riguarda l’Asia, che Paesi come l’India cessassero di mettere a morte le persone: lo fanno raramente e quindi potrebbero cessare senza che nel Paese accadesse nulla… Penso al Giappone e naturalmente penso agli Stati Uniti, che potrebbero avere una influenza importante. Resta il fatto che tra i Paesi più popolosi al mondo, in Cina e anche in India, la pena di morte è applicata e questo è un problema di natura qualitativa: il numero dei Paesi che mantengono la pena di morte è scarso, ma al loro interno ci sono Paesi di grande influenza.

D. – In occasione di questa Giornata, Papa Francesco oggi pubblica un tweet in cui scrive: “Non c’è pena valida senza speranza”. Il Santo Padre si è più volte espresso contro la pena capitale, sottolineando il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, che appartiene anche a chi ha commesso un crimine. Dunque la speranza anche per il reinserimento sociale…

R. – E’ un messaggio di straordinaria importanza! La pena di morte è la punizione più estrema, crudele, degradante, inumana: è quella che toglie speranza sin dal giorno della condanna. Quindi ribadire che non esiste una punizione che sia priva della speranza in una Giornata come quella di oggi è di una importanza fondamentale.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Il Santo Padre Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: Jan TombiƄski, Ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; Mons. Vito Rallo, Arcivescovo tit. di Alba, Nunzio Apostolico in Marocco; l’On. Torsten Albig, Ministro Presidente del Land Schleswig-Holstein (Repubblica Federale di Germania), e seguito.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Preghiera e solidarietà per Haiti: all'Angelus l'appello per l'isola devastata dall'uragano e l'annuncio della creazione di diciassette cardinali il 19 novembre.

Santa impazienza: anticipazione della prefazione di Anne-Marie Pellètier al libro "Du dernier rang. Les femmes et l'Eglise", traduzione in francese di "Dall'ultimo banco. La Chiesa, le donne, il sinodo" di Lucetta Scaraffia.

La solitudine dell'aprirsi a Dio: Cristiana Dobner su Elisabetta della Trinità.

Un lungo film sulla Polonia: Emilio Ranzato ricorda il regista Andrzej Wajda.

Un articolo di Charles de Pechpeyrou dal titolo "Per arginare la deriva populista": i vescovi austriaci sull'ipotesi di limitare il diritto di asilo.

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Oggi in Primo Piano



Haiti devastata dall'uragano, appello Fondazione Rava

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E’ un dramma senza fine quello che sta colpendo Haiti, uno dei Paesi più poveri al mondo già profondamente scosso dal devastante terremoto che, nel 2010, ha provocato la morte di oltre 230 mila persone. L’isola, flagellata lo scorso 4 ottobre dall’uragano Matthew, è in ginocchio. I morti, causati da questa nuova catastrofe umanitaria, sono almeno mille. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Haiti ha un disperato bisogno di aiuti internazionali. Sono oltre 350 mila, secondo l’Onu, le persone che necessitano di assistenza. Il bilancio delle vittime è destinato a crescere per la diffusione di malattie - in particolare il colera - legate alla contaminazione dell’acqua. Con l’inizio della stagione delle piogge, la corsa contro il tempo per evitare nuove stragi ed epidemie procede tra enormi ostacoli. La più grande urgenza, al momento, è quella di fornire alla popolazione cibo, acqua potabile e altri beni essenziali. La distruzione di vasti campi di coltivazioni e la morte di un rilevante numero di capi di bestiame hanno ulteriormente aggravato la già precaria catena della produzione alimentare, soprattutto nella parte meridionale del Paese. Le immagini provenienti da Haiti sono la drammatica testimonianza di una nuova catastrofe: alberi sradicati, alluvioni, fiumi in piena, crolli, case scoperchiate e strade interrotte sono lo specchio di un Paese in ginocchio. Molte zone sono isolate e più di 60 mila persone, costrette a vivere nei campi per sfollati dopo il sisma del 2010, hanno perso quanto, con grandi difficoltà, avevano ricostruito. E aumenta anche il popolo degli sfollati. Dopo il passaggio dell’uragano, con raffiche di vento ad oltre 230 chilometri all’ora, più di 30 mila case sono state distrutte e 600 mila abitazioni sono rimaste senza corrente elettrica. Le persone evacuate sono almeno 1 milione e 300 mila. Tra quanti restano nelle regioni più colpite, almeno 500 mila sono bambini. La Chiesa locale e Caritas Haiti si sono subito attivate, in coordinamento con le autorità del Paese, per fornire gli aiuti necessari.

Tra le organizzazioni umanitarie, che operano ad Haiti, c’è anche la Fondazione Francesca Rava. Amedeo Lomonaco ha intervistato la presidente della Fondazione, Maria Vittoria Rava

R. – Abbiamo ricevuto notizie da padre Rick Frechette, direttore dei progetti della Fondazione Francesca Rava in Hait, che è stato due giorni con i suoi team di soccorso nel Sud dell’Isola, in paesi lungo la costa che sono stati colpiti più duramente dall’uragano. Quello che ci ha raccontato è molto triste perché è stato spazzato via tutto. E’ inutile fare paragoni: il terremoto ha distrutto le strutture, l’uragano ha spazzato via nell’80 per cento del Paese, i campi coltivati e l’economia di sussistenza delle famiglie. Lui ci ha detto che, non solo sono state scoperchiate e distrutte le loro baracche e le loro case, ma soprattutto sono stati abbattuti gli alberi, alberi da mango, alberi da cocco. E padre Rick Frechette ha visto la gente, le famiglie cercare acqua nei cocchi buttati a terra dall’uragano. E poi ha visto persone cercare anche da mangiare nelle carcasse di animali morti per strada, che è l’unica risorsa di cibo che trovano. Gli effetti a medio-lungo termine sono la fame e anche le epidemie. In particolare l’epidemia di colera: essendo questi fiumi tracimati e essendo allagate queste aree, queste infezioni si diffondono rapidamente. L’ospedale Saint Damien è pronto a ricevere i malati. Abbiamo chiesto allo staff di essere presente 24 ore su 24 per ricevere sia chi è in ipotermia, perché è rimasto nel fango e nell’acqua per tanto tempo, e anche chi poi rimane infettato dal colera. Quindi l’appello è proprio di portare aiuto, innanzitutto per nutrire le persone …

D. – Tra le tante immagini del devastante passaggio dell’uragano, una emblematica è quella di un albero sollevato dal vento e strappato dalle proprie radici. La comunità internazionale è chiamata ad aiutare la popolazione di Haiti, a fare in modo che in questa nuova catastrofe umanitaria “le radici della solidarietà” non vengano recise…

R. – Padre Rick, nella disperazione, ci ha detto: "Io ho le idee molto chiare. Bisogna aiutare queste famiglie a ricostruire la loro case e dare loro la possibilità di ricominciare a coltivare. E' necessario veramente che gli aiuti arrivino subito, che siano efficaci". In questo momento, da soli non ce la fanno: bisogna mandare medici. L’appello della Fondazione Francesca Rava è rivolto ai medici pediatri di andare giù nelle missioni di soccorso, alle aziende che per esempio producono pasta, riso, fagioli e beni alimentari che possono essere spediti. Stiamo organizzando dei container da mandare. Normalmente, noi produciamo pasta con i ragazzi haitiani stessi. I ragazzi producono le cose che mangiano perché ne vogliamo garantire l’indipendenza, ma in questo momento il bisogno è così grande che abbiamo bisogno di ricevere anche da fuori. E poi servono donazioni: donazioni per riparare le strutture e per aiutare. Si pensi che un kit di emergenza per il colera costa 5 euro e poi occorrono anche il cloro per disinfettare l’acqua, sacchi di riso … Anche con piccole donazioni si può fare veramente tanto. Io invito a visitare il nostro sito www.nphitalia.org, o anche digitare “Fondazione Francesca Rava”, e di contattarci … Qualunque idea di aiuto è stra-benvenuta!

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Mons. Audo: ad Aleppo la gente è stremata, basta guerra

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Non si allenta la morsa su Aleppo Est, ancora nelle mani dei ribelli e sottoposta a continui bombardamenti dell’aviazione russa e delle forze governative, che nelle ultime due settimane hanno provocato almeno 377 morti. Medici senza frontiere chiede di aprire un accesso umanitario per i quartieri orientali dove le strutture sanitarie sono al collasso, mentre molti governi occidentali accusano Mosca di crimini contro l’umanità. Il servizio di Marco Guerra: 

“In un’area con una popolazione approssimativa di 250 mila persone, sono rimasti solo sette medici in grado di eseguire interventi chirurgici su pazienti con ferite di guerra”. E’ drammatico l’allarme lanciato da Medici senza frontiere riguardo ai quartieri assediati di Aleppo Est. Il capo di Msf in Siria, Carlos Francisco, riferisce di una situazione definita “insostenibile”: completamente isolate dall'assedio, le persone di queste zone soffrono per la mancanza di beni di prima necessità e otto strutture sanitarie sono sopraffatte dall’alto numero di feriti di guerra. Ma intensi scontri armati oggi si registrano anche nel centro della città tra forze lealiste e insorti asserragliati. Secondo l’Onu, i bombardamenti governativi e russi potrebbero causare migliaia di morti entro la fine dell'anno. E sale la tensione tra l’asse Russia-Damasco e le maggiori potenze occidentali: il presidente francese Hollande ha detto che potrebbe non incontrare Putin che sarà a Parigi il 19 ottobre. Nei giorni scorsi il segretario di Stato americano, John Kerry, aveva chiesto l'avvio di un'indagine per crimini di guerra nei confronti della Russia e del governo siriano per le stragi di Aleppo. Mosca, da parte sua, parla di obiettivi terroristici e rafforza la sua presenza in Siria annunciando la costruzione di una base navale nel porto di Tartus. Ma sulla situazione di Aleppo sentiamo il vescovo caldeo della città mons. Antoine Audo:

R. – Non posso parlare della parte Est, perché non abbiamo notizie dirette: non ci si può andare, anche se è a un solo chilometro da noi. Quello che so è che sono bombardamenti contro questa parte Est della città nella quale si trovano i gruppi armati, di cui però non si conosce il numero. Tanti parlano di loro, ma nessuno parla di noi, dove vivono due milioni di siriani e dove c’è la minoranza cristiana che finora è rimasta ad Aleppo.

D. – Quindi c’è emergenza anche nella parte Ovest della città?

R. – Sì! Per esempio, ieri ho fatto due visite a famiglie caldee: una famiglia ha perso il padre e il figlio – questo è stato con i bombardamenti della fine di settembre – e poi un’altra famiglia, sempre nel quartiere Midan: una giovane di 16 anni era affacciata in balcone; è stata colpita da una bomba. E’ ancora viva ma con ferite gravi. Dalla mattina alla sera, si ripetono storie così terribili. Siamo senza elettricità, senza acqua e nessuno parla di noi; tutte le informazioni sono orientate alla parte Est, dove ci sono questi gruppi armati. Veramente, mi chiedo dov’è l’oggettività …

D. – Quindi, ci sono due milioni di persone nel resto della città che vivono nell’emergenza e poi c’è comunque Aleppo Est che è assediata: non entrano aiuti. Voi come Caritas Siria, non riuscite? Non siete mai entrati, lì?

R. – No: non si può! Se andiamo lì, è pericoloso! No. Noi facciamo il nostro lavoro in tutta la Siria, fin dove si può andare; dove ci sono i gruppi armati, non è possibile. Soprattutto come cristiani, come indipendenti: non è possibile.

D. – Dunque i combattimenti proseguono in tutta la città …

R. – Sì ma per esempio, se lei venisse dove io sono adesso, le cose sembrano normali: non si sente nulla, tutto è normale. Ma non si sa quando: ci sono bombe abbandonate che provocano 40 morti, 50 morti in questo quartiere o in quell’altro, così camminiamo per la strada e pensiamo: “Forse adesso toccheremo una bomba”. Dobbiamo fare attenzione a come camminare, dove andare …Siamo costantemente in pericolo. E questo crea una terribile atmosfera di paura, e tutti i cristiani, la maggioranza di loro va via: quelli che hanno i mezzi, vanno via. E questa è la nostra grande sofferenza!

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In Iraq l'impegno per la pace del Movimento dei Focolari

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L’Iraq vuole tornare a vivere e i pochi cristiani rimasti tentano di ricostruirsi un futuro che sognano unito. E non smettono di pregare per la pace anche nel resto del mondo. E’ quanto testimonia al microfono di Gabriella Ceraso, Rula Dababneh, del Movimento dei Focolari a Erbil: 

R. – L’Iraq è un Paese soprattutto pieno di risorse umane. Nel popolo iracheno ci sono diversità, varie religioni, vari modi di fare… C’è questo desiderio nel popolo di vivere insieme nonostante tutto ma si avverte l’intenzione di altri di usare queste risorse per dividere più che per unire.

D. – Si cerca di ricominciare a vivere?

R. – Sì, il popolo iracheno è un popolo molto religioso, che ha tanta fede, e si sente questa forza nella Chiesa. Si può sperare in un futuro, magari non uguale a prima, ma diverso, con altre sfumature… Un nuovo Iraq ci sarà. Alcuni dicono che forse sarà diviso, ma come ho detto prima, la gente non vuole la divisione. Il popolo vuole vivere insieme, vogliono nonostante tutto dire: "Ci vogliamo bene, siamo un solo popolo".

D. – Per cosa pregate quando vi ritrovate insieme?

R. – Noi preghiamo per la pace nel mondo, non solo in Iraq, ricordiamo tanti Paesi. Ho visto la sensibilità della comunità cristiana per i dolori degli altri. Anche quando c’è stato il terremoto in Italia hanno fatto qualcosa per raccogliere un po’ di fondi da mandare alle famiglie…

D. – Cosa pensate quando il pensiero va a chi ha creato tutto questo, quelli che il mondo considera i nemici dell’Iraq…

R. – Io una volta sono rimasta molto colpita, quando ho sentito un cristiano dire: io prego per questi che ci hanno fatto del male. Non è facile dire queste parole! Ma è anche una realtà che i cristiani vivono lì: sono stati feriti ma non solo, sono stati perseguitati varie volte. Ma c’è questo sentimento nella Chiesa e si sente dire di pregare per questi che ci hanno fatto del male perché solo la preghiera può trasformare questo male in bene.

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Etiopia: tensioni tra il governo centrale e l'etnia oromo

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L’instabilità politica continua ad affliggere l’Etiopia, importante Paese del Corno d’Africa. A partire dal 2 ottobre si è riaccesa la tensione, mai del tutto sopita, nella regione dell’Oromia tra la popolazione locale e il governo centrale, che il 9 ottobre ha proclamato lo stato d’emergenza in tutto il Paese. Oggi risultano bloccati internet e social media sugli smartphone ad Addis Abeba e in gran parte dell'Oromia. Gli oromo lamentano la decisione di estendere la provincia di Addis Abeba a discapito dei loro terreni agricoli e la propria sottorappresentanza a livello istituzionale. Andrea Walton ha intervistato sull’attuale situazione nel Paese il dottor Fabio Manenti, direttore della sezione progetti della Ong Medici con l’Africa Cuamm, che per anni ha vissuto nel Paese: 

R. – Ci sono notevoli tensioni. Ormai l’esercito controlla le strade, le comunità. Da mesi c’è questa situazione di instabilità, di insurrezione da parte della popolazione in particolare oromo ma non solo oserei dire. Quindi manifestazioni di protesta più o meno spontanee; manifestazioni antigovernative che si risolvono poi nel blocco delle strade, nel danneggiamento dei veicoli o nell’attacco alle forze dell’odine. Quindi è una situazione di decisa tensione a fronte di queste richieste da parte della popolazione oromo. L’inizio delle tensioni risale a dicembre dello scorso anno, quando la regione di Addis Abeba aveva dichiarato di volersi espandere e quindi di togliere ulteriore terra ai contadini. Quello era stato il motivo scantenante, però da allora si continua. C’è questo governo che dura da più di due decenni salito al potere dopo la rivoluzione contro il regime comunista, ma di fatto la popolazione oromo in particolare che comunque rappresenta un terzo della popolazione, è rimasta sostanzialmente esclusa dall’accesso alle cariche politiche, ai posti che contano.

D. - Qual è la situazione sanitaria in Etiopia?

R. – La situazione sanitaria resta estremamente precaria; parliamo di una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti e di una spesa sanitaria pro capite che resta comunque una delle più basse al mondo in un sistema in termini infrastrutturali e di personale largamente insufficiente a garantire l’accesso ai servizi di base per la stragrande maggioranza della popolazione nonostante, bisogna dirlo e riconoscere, i grandi miglioramenti compiuti negli ultimi 15, 20 anni per tentare di portare almeno alcuni servizi verso la popolazione. Resta però di fatto un sistema ancora largamente insufficiente. Le popolazioni che vivono nelle aree più rurali hanno scarso accesso a servizi ospedalieri; quindi ad esempio anche l’accesso ad un parto sicuro,  quando questo richiede un trattamento come il taglio cesareo, è praticamente ancora negato alla maggioranza della popolazione.

D. - Cosa fa Medici con l’Africa Cuamm nel Paese?

R. - Noi siamo presenti in due siti: in un ospedale nella regione Oromia - Ospedale San Luca di Wolisso-; siamo presenti in questa struttura fin dall’inizio perché abbiamo contribuito alla sua costruzione. L’ospedale appartiene alla Conferenza episcopale etiope. Quindi contribuiamo al funzionamento di questo ospedale offrendo il nostro personale. Abbiamo un progetto di salute pubblica che invece investe tre distretti intorno ad un ospedale; poi siamo presenti nella regione del Sud. Anche lì siamo presenti in due distretti con un progetto a supporto, a rafforzamento del sistema sanitario che ha come focus quello di aumentare almeno l’accesso al parto sicuro. Poi da qualche anno lavoriamo con la chiesa cattolica etiope per la creazione di un ufficio di coordinamento della chiesa cattolica che possa coordinare le quasi 80 strutture sanitarie cattoliche presenti nel Paese. Cerchiamo quindi di rafforzare una sorta di coordinamento ma anche di valorizzare il peso che le strutture sanitarie cattoliche hanno nel Paese, per quanto minoritarie rispetto ovviamente al sistema proprio perché locate nelle zone più rurali, più remote, dove  il sistema pubblico non c’è, ma ovviamente fungono da importante servizio pubblico per le comunità interessate.

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Messaggio vescovi europei: negare Dio è impoverimento spirituale e sociale

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“Il togliere o il negare cittadinanza al Dio di Gesù Cristo non è garanzia di sviluppo, ma è all’origine di quell’impoverimento spirituale e morale che caratterizza i nostri tempi e che, alla lunga, genera anche impoverimento sociale, economico e culturale”. E’ un messaggio all’Europa perché non releghi il cristianesimo ai margini quello che i vescovi presidenti delle Conferenze episcopali d’Europa lanciano all’Europa da Monaco, al termine della loro Assemblea plenaria annuale che ha portato alla elezione della nuova presidenza con alla guida il card. Angelo Bagnasco. 

Le religioni fattore si crescita umana e di sviluppo integrale
“Le religioni – scrivono i vescovi nel messaggio - quando sono autentiche, cercano di essere sempre fattore di crescita umana e di sviluppo integrale. In questa prospettiva, auspichiamo che anche in Europa, dove molteplici segni socio-culturali vanno nella direzione di assegnare al cristianesimo un ruolo marginale attraverso pratiche discriminatorie, di considerare attentamente che una sana laicità implica il riconoscimento del giusto valore della religione nella società e nella vita dei popoli”.

Condanna delle persecuzioni anti-cristiane nel mondo
Nel corso dell’Assemblea plenaria, i vescovi hanno affrontato anche la drammatica urgenza dei fenomeni di persecuzione di molti cristiani in crescita in varie parti del mondo. “Esprimiamo con forza – si legge nel messaggio – la nostra ferma condanna per questi eventi che ledono i diritti dell’uomo e in particolare la libertà religiosa. Sono manifestazioni di una violenza irrazionale alimentata, troppo spesso, da un richiamo a motivazioni religiose che costituiscono un abuso ed un affronto al Nome stesso di Dio”. 

Appello a governi e Stati contro la violenza
Nel ricordare la denuncia più volte espressa da Papa Francesco sull’ “ingiusto riferimento a Dio nella pratica della violenza”, i vescovi lanciano un appello ai governi e capi di Stato. “Noi vescovi, riuniti a Monaco mossi da una preoccupazione pastorale, chiediamo a quanti sono preposti al governo dei popoli e delle nazioni, sul piano nazionale e su quello internazionale, di operare per garantire la dignità ed integrità delle persone e delle comunità, specialmente le più vulnerabili”. 

Pensiero ai cristiani emarginati e perseguitati a causa della loro fede
Il messaggio rivolge poi un pensiero forte ai cristiani emarginati e perseguitati a causa della loro fede. “Alle sorelle e ai fratelli cristiani che patiscono emarginazione e discriminazione, e specialmente a coloro che sono perseguitati, vogliamo dire la nostra prossimità. Non taceremo e soprattutto non vi abbandoneremo. Con il pensiero rivolto a quanti sono morti confessando la loro fede in Cristo, ricordiamo il valore luminoso della loro testimonianza e l’impegno della nostra”. (R.P.)

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Aumentano in Italia le violenze sui minori: +3 per cento in 5 anni

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Nel 2015 in Italia i minori che hanno subito violenza sono stati 5.080, con una crescita del 3% in 5anni. Oltre 770 di questi hanno subito violenza sessuale. Emerge dal Dossier "Indifesa" di Terre des Hommes, presentato oggi in Senato alla vigilia della Giornata mondiale dell'Onu delle bambine e delle ragazze che ricorre domani. Alessandro Guarasci: 

Per milioni di ragazze nel mondo la violenza fa parte della vita quotidiana. Soprattutto in Siria e in Iraq aumentano le schiave e le spose forzate. L’Italia, come terra di cerniera tra Africa ed Europa centrale registra un preoccupante aumento di ogni forma di prevaricazione. Oltre 5 mila i piccoli che hanno subito violenza, l’87% si tratta di ragazzine che hanno subito abusi sessuali e il 91% di minori entrati nel giro della produzione di materiale pedopornografico. Molte poi le piccole preda della prostituzione sui barconi che partono dall’Africa. Raffaele Salinari, presidente di Terres des Hommes Italia:

"All’interno di questo c’è una sezione dedicata a quelle bambine che dovranno poi diventare delle prostitute. Quindi vengono trafficate all’interno dei barconi ma poi vengono isolate per essere usate come prostitute. Come ce ne siamo accorti? Tutte queste bambine hanno subito violenze. In estrema sintesi abbiamo rilevato che venivano sterilizzate con degli ormoni sotto cute a lunga decorrenza proprio per evitare che rimessero incinta durante il percorso per poter poi essere utilizzate in Italia per la prostituzione".

In Italia e nei Paesi occidentali, sempre più reati, soprattutto a sfondo sessuale viaggiano sul web. La Polizia di Stato svolge giornate di formazione nelle scuole. La dirigente Maria Carla Bocchino, che si occupa di violenza su donne e minori:

"Le famiglie non sono sempre disponibili ad accettare dei consigli. Nelle scuole, quando si estende l’ora di chiacchierata anche ai contesti famigliari, i genitori spesso non sono presenti".

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Pakistan: dichiarate illegali 11 Tv cristiane

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Una recente ordinanza emessa dalla "Pakistan Electronic Media Regulatory Authority", ente del governo pakistano, ha dichiarato illegali 11 canali televisivi cristiani che trasmettono in Pakistan in lingua urdu. Come riferisce l'agenzia Fides, l’ordinanza, emessa il 22 settembre, segnala “TV non autorizzate” e cita 10 canali via cavo o su web gestiti da gruppi cristiani protestanti come Isaac Tv, Gawahi Tv, God Bless Tv, Barkat Tv, Praise Tv, Zindagi Tv, Shine Tv, Jesus Tv, Healing Tv, Khushkhabari Tv, nonchè la Catholic Tv, rete cattolica diocesana di Lahore. "Tutti i direttori generali regionali - recita l'ordinanza - sono invitati ad adottare le misure necessarie per fermare immediatamente la trasmissione dei canali Tv illegali nelle rispettive regioni".

Legge discriminatoria che colpisce i non-mulsulmani
Padre Mushtaq Anjum, religioso Camilliano pakistano che si interessa di comunicazione e mass-media, commenta a Fides: "Di fatto si rende illegale la proclamazione della Buona Novella. Da alcuni anni, con notevoli sforzi, le comunità cristiane hanno organizzato reti televisive, via cavo o su web, per parlare ai cristiani e per parlare della fede cristiana. I cristiani non hanno alcuno spazio nei canali televisivi pubblici. Vogliamo capire perchè sono dette illegali. Questa è un’altra legge discriminatoria che colpisce i non-musulmani".

Per i cristiani è un attentato alla libertà religiosa
“Chiediamo l’intervento del Ministro federale cristiano Kamran Michael - prosegue il sacerdote - perchè questo è un vero attentato alla libertà di praticare la propria religione. E' anche un attacco alla visione del fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinah, che immaginava una società libera e non un Paese islamico. Invece, in tal modo, si continua a trattare i membri delle minoranze religiose come cittadini di seconda classe". Il religioso Camilliano chiede al governo di " fermare questi atti di intimidazione e di revocare tale divieto". (P.A.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 284

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.