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Sommario del 13/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Giornata Migrante, Papa denuncia lo scandalo dei minori ‘senza voce’

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“Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”: il tema scelto dal Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata il 15 gennaio 2017. Nel suo Messaggio, pubblicato oggi, Francesco invita la comunità cristiana e la società civile tutta ad offrire risposte al dramma di milioni di bambini e ragazzi, spesso non accompagnati nel flusso globale delle migrazioni, in fuga da guerre, violenze, povertà e calamità naturali. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Parla chiaro Gesù: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” e aggiunge anche: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, conviene…..sia gettato nel profondo del mare”. Parole di monito, sottolinea Francesco, per “gente senza scrupoli” che sfrutta bambine e bambini “avviati alla prostituzione o presi nel giro della pornografia, resi schiavi del lavoro minorile o arruolati come soldati, coinvolti in traffici di droga e altre forme di delinquenza, forzati alla fuga da conflitti e persecuzioni, col rischio di ritrovarsi soli e abbandonati.” Per questo mi sta a cuore, scrive il Papa, “richiamare l’attenzione sulla realtà dei migranti minorenni, specialmente quelli soli, sollecitando tutti a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari”.

Come rispondere a tale realtà? “Puntare sulla protezione, sull’integrazione e su soluzioni durature”, suggerisce Francesco. Anzitutto proteggere, intervenendo “con maggiore rigore ed efficacia” sugli “approfittatori”, per fermare “le molteplici forme di schiavitù di cui sono vittime i minori”. Poi intensificando la collaborazione tra i migranti e le comunità che li accolgono, creando “reti capaci di assicurare interventi tempestivi e capillari”.

Per l’integrazione sono indispensabili “risorse finanziarie” per “adeguate politiche di accoglienza, di assistenza e di inclusione”. “Invece di favorire l’inserimento” dei minori migranti o “programmi di rimpatrio sicuro e assistito”, denuncia il Papa, si impedisce il loro ingresso, favorendo il ricorso a reti illegali, o si rimandano nel Paese d’origine senza assicurarsi che ciò sia nel loro interesse.

“Il diritto degli Stati a gestire i flussi migratori e a salvaguardare il bene comune nazionale deve coniugarsi - ribadisce Francesco - con il dovere di risolvere e di regolarizzare la posizione dei migranti minorenni, nel pieno rispetto della loro dignità”.

Soluzioni durature, indica il Messaggio, richiedono di “affrontare nei Paesi d’origine le cause che provocano le migrazioni”. Questo esige, “l’impegno dell’intera Comunità internazionale ad estinguere i conflitti e le violenze che costringono le persone alla fuga” e “programmi adeguati per le aree colpite da più gravi ingiustizie e instabilità, affinché a tutti sia garantito l’accesso allo sviluppo autentico, che promuova il bene di bambini e bambine, speranze dell’umanità”.

Infine, un incoraggiamento del Papa a quanti camminano al fianco di bambini e ragazzi sulle vie dell’emigrazione: “Hanno bisogno del vostro prezioso aiuto, e anche la Chiesa ha bisogno di voi e vi sostiene nel generoso servizio che prestate”.

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Vegliò: accogliere piccoli migranti in fuga dalla morte

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Il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato si concentra sulla drammatica situazione di milioni di minori costretti per diversi motivi a lasciare il loro Paese. Le stime delle organizzazioni internazionali parlano di 50 milioni di bambini. Non respingere i migranti: è quanto auspica il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che in occasione della pubblicazione del Messaggio ha incontrato i giornalisti in Sala Stampa vaticana. Uno dei punti centrali del testo riguarda lo sfruttamento a cui i minori migranti vanno incontro, specialmente quelli soli. Debora Donnini ne ha parlato con lo stesso cardinale Vegliò: 

R. – Questo è un problema enorme, perché si sa dove vanno a finire: nella criminalità. Non di loro volontà, poverini, sono piccoli, anche se sono giovanotti. Se non hanno un ambiente sereno, se non vivono in un ambiente che li accoglie, che li capisce, prima o poi vanno a finire nella criminalità, o volendolo o essendo costretti. Se poi parliamo di bambini, loro non lo vogliono, non possono volerlo: vogliono solo essere bambini, ma non possono esserlo.

D. – La Chiesa, concretamente, come può aiutare l’integrazione, che è uno dei punti centrali anche per i minori che arrivano in Occidente?

R. – Credo che la cosa principale che la Chiesa debba fare e sta facendo, è sensibilizzare la gente verso l’altro: è un individuo che ha il diritto di essere rispettato e, se parliamo del migrante, di emigrare, di avere un’educazione, di avere una casa, come ognuno di noi. Sensibilizzare a questa mentalità.

D. – La situazione è particolarmente grave in questo momento in Siria - penso ad Aleppo Est, in particolare - ma è anche una situazione che si ripercuote su quanti fuggono e arrivano in Occidente…

R. – E’ grave per tutti, ma per le piccole creature la situazione è sempre più grave. Un bambino, poverino, è inerme, piccolo e anche straniero quando viene qui. Quindi se uno ci pensa, fa solo tristezza, quando qualcuno dice: “Tornino al loro Paese!”. Ma quale Paese? Tornare dove c'è la guerra a morire?

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Papa ai luterani: testimoniamo insieme la misericordia di Dio

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Liberi dai pregiudizi, con l’aiuto di Dio camminiamo verso la piena comunione: così il Papa nel suo discorso ai partecipanti al pellegrinaggio dei luterani provenienti dalla Germania e ricevuti nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Ce ne parla Sergio Centofanti

Sono circa un migliaio i luterani giunti in Vaticano dalla regione tedesca dell’Anhalt che quasi subito aderì alla Riforma. Oggi – ha detto nel suo saluto il presidente della Chiesa evangelica locale, Joachim Liebig – qui la religione è ormai minoritaria.

Papa Francesco ricorda il suo ormai prossimo viaggio a Lund, in Svezia (31 ottobre-1 novembre), per fare memoria dei 500 anni dall’inizio della riforma di Lutero, un’occasione per ringraziare il Signore per 50 anni di dialogo ufficiale tra luterani e cattolici:

“Rendiamo grazie a Dio perché oggi, luterani e cattolici, stiamo camminando sulla via che va dal conflitto alla comunione. Abbiamo percorso insieme già un importante tratto di strada. Lungo il cammino proviamo sentimenti contrastanti: dolore per la divisione che ancora esiste tra noi, ma anche gioia per la fraternità già ritrovata”.

Parte essenziale di questa commemorazione – ha detto il Papa – “sarà il rivolgere i nostri sguardi verso il futuro, in vista di una testimonianza cristiana comune al mondo di oggi, che tanto ha sete di Dio e della sua misericordia”:

“La testimonianza che il mondo si aspetta da noi è soprattutto quella di rendere visibile la misericordia che Dio ha nei nostri confronti attraverso il servizio ai più poveri, agli ammalati, a chi ha abbandonato la propria terra per cercare un futuro migliore per sé e per i propri cari. Nel metterci a servizio dei più bisognosi sperimentiamo di essere già uniti: è la misericordia di Dio che ci unisce”.

La speranza - afferma il Papa - è “che possa continuare a crescere la reciproca comprensione” nella consapevolezza che “in virtù del nostro battesimo”, “al di là di tante questioni aperte che ancora ci separano, siamo già uniti. Quello che ci unisce è molto di più di quello che ci divide!”.

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Francesco: cristiano sia sempre in cammino per fare il bene

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I cristiani sentano sempre il bisogno di essere perdonati e siano in cammino verso l’incontro con Dio. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha tracciato un ritratto del buon cristiano che, ha detto, deve sempre sentire su di sé la benedizione del Signore e andare avanti per fare il bene. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Il cristiano è benedetto dal Padre, da Dio”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal passo della Lettera di Paolo agli Efesini, contenuto nella Prima Lettura di oggi. Quindi, si è soffermato su quali siano i “tratti di questa benedizione” per un cristiano. Innanzitutto, ha osservato, “il cristiano è una persona scelta”.

Il Padre ci ha scelti uno ad uno, ci vuole bene e ci ha dato un nome
Dio ci chiama uno ad uno, “non come una moltitudine oceanica”. Noi, ha ribadito, siamo stati scelti, aspettati dal Padre:

“Pensiamo ad una coppia, quando aspetta un bambino: ‘Come sarà? E come sarà il suo sorriso? E come parlerà?’ Ma io oso dire che anche noi, ognuno di noi, è stato sognato dal Padre come un papà e una mamma sognano il figlio che aspettano. E questo ti dà una sicurezza grande. Il Padre ha voluto te, non la massa di gente, no: te, te, te. Ognuno di noi. E’ il fondamento, è la base del nostro rapporto con Dio. Noi parliamo ad un Padre che ci vuole bene, che ci ha scelti, che ci ha dato un nome”.

Si capisce, ha detto ancora, quando un cristiano “non si sente scelto dal Padre”. Quando invece si sente di appartenere ad una comunità, rileva il Papa, “è come un tifoso di una squadra di calcio”. “Il tifoso – ha commentato – sceglie la squadra e appartiene alla squadra di calcio”.

Il vero cristiano sente sempre di aver bisogno del perdono di Dio
Il cristiano, dunque, “è uno scelto, è un sognato da Dio”. E quando viviamo così, ha soggiunto, “sentiamo nel cuore una grande consolazione”, non ci sentiamo “abbandonati”, non ci viene detto “arrangiati come puoi”. Il secondo tratto della benedizione del cristiano è il sentirsi perdonati. “Un uomo o una donna che non si sente perdonato”, ha ammonito, non è pienamente “cristiano”:

“Tutti noi siamo stati perdonati col prezzo del sangue di Cristo. Ma di che cosa io sono stato perdonato? Ma fa un po’ di memoria e ricorda un po’ le cose brutte che tu hai fatto, non quelle che ha fatto il tuo amico, il tuo vicino, la tua vicina: le tue. ‘Che cosa brutta io ho fatto nella vita?’ Il Signore ha perdonato queste cose. Ecco, sono benedetto, sono cristiano. Cioè, primo tratto: sono scelto, sognato da Dio, con un nome che Dio mi ha dato, amato da Dio. Secondo tratto: perdonato da Dio”.

Il cristiano non è mai fermo, ma sempre in cammino per fare il bene
Terzo tratto, ha proseguito Francesco: il cristiano “è un uomo e una donna in cammino verso la pienezza, verso l’incontro col Cristo che ci ha redento”:

“Non si può capire un cristiano fermo. Il cristiano sempre deve andare avanti, deve camminare. Il cristiano fermo è quell’uomo che aveva ricevuto il talento e per paura della vita, per paura di perderlo, per paura del padrone, per paura o per comodità, ha sotterrato e lascia lì il talento, e lui è tranquillo e passa la vita senza andare. Il cristiano è un uomo in cammino, una donna in cammino, che fa sempre il bene, che cerca di fare il bene, di andare avanti”.

Questa, ha sintetizzato, è l’identità cristiana: “benedetti, perché scelti, perché perdonati e perché in cammino”. Noi, ha concluso, “non siamo anonimi, noi non siamo superbi”, tanto da non avere “bisogno del perdono”. Ancora, noi "non siamo fermi”. “Che il Signore – è stata la sua invocazione – ci accompagni con questa grazia della benedizione che ci ha dato, cioè la benedizione della nostra identità cristiana”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza  il signor Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO; il Card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero; il Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica; Georges El Khoury, Ambasciatore del Libano, in visita di congedo.

Nelle Filippine, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Tagbilaran, presentata da S.E. Mons. Leonardo Y. Medroso. Il Papa ha nominato Vescovo di Tagbilaran il rev.do Sac. Alberto S. Uy, del clero della diocesi di Talibon, finora Vicario per il clero e Parroco della St. Michael the Archangel parish, Jagna.

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Papa: preoccupato con Bartolomeo per globalizzazione indifferenza

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S’intitola "Bartholomew Apostle and Visionary" l’omaggio al Patriarca Ecumenico Bartolomeo contenuto in un volume appena uscito negli Stati Uniti nel venticinquesimo anniversario della sua elezione alla sede di Costantinopoli. Autore del libro è John Chryssavgis, arcidiacono del Trono ecumenico e consulente teologico dell’arcidiocesi greco-ortodossa di America e del Patriarca Ecumenico per le questioni ambientali. Il volume contiene la prefazione di Papa Francesco e la riflessione di Benedetto XVI nonché gli interventi di Joe Biden, vicepresidente degli Stati Uniti, del rabbino David Rosen, dell’arcivescovo anglicano Rowan Williams, di Al Gore, dell’antropologa Jane Goodall e del giornalista George Stephanopoulos.

La prefazione di Papa Francesco
Nella sua prefazione, Papa Francesco afferma che gli incontri con il Patriarca Bartolomeo “hanno non soltanto rafforzato la nostra affinità spirituale, ma soprattutto reso più profonda la nostra consapevolezza condivisa della responsabilità pastorale comune che abbiamo in questo momento della storia, dinanzi alle sfide urgenti che i cristiani e l’intera famiglia umana devono affrontare oggi”.  “Oggi, noi fratelli nella fede e nella speranza che non delude, siamo profondamente uniti nel desiderio che i cristiani d’oriente e d’occidente si possano sentire parte dell’una e unica Chiesa, affinché possano proclamare al mondo intero che «è apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Lettera di San Paolo a Tito)”.

“Nelle due dichiarazioni comuni che abbiamo firmato a Gerusalemme e al Fanar – prosegue la prefazione - abbiamo affermato con fermezza e determinazione il nostro impegno condiviso, che deriva dalla nostra fedeltà al Vangelo, a costruire un mondo più giusto e più rispettoso della dignità e delle libertà fondamentali, la più importante delle quali è la libertà di religione. Siamo anche fondamentalmente uniti nel nostro comune impegno di far crescere ulteriormente la consapevolezza delle persone e della società in generale rispetto alla questione della salvaguardia del creato”.

“Ho trovato una profonda sensibilità spirituale” in Bartolomeo – scrive Francesco – “per la dolorosa condizione dell’umanità attuale, così profondamente ferita da indicibile violenza, ingiustizia e discriminazione. Siamo entrambi grandemente turbati da quel grave peccato contro Dio, che sembra crescere di giorno in giorno, che è la globalizzazione dell’indifferenza dinanzi alla deturpazione dell’immagine di Dio nell’uomo. È nostra convinzione che siamo chiamati a operare per la costruzione di una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà. Entrambi siamo consapevoli che le voci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, ora al punto di estrema angoscia, ci obbligano a procedere più rapidamente sul cammino della riconciliazione e della comunione tra cattolici e ortodossi, in modo che possano proclamare in maniera credibile il Vangelo di pace che viene da Cristo”.

La riflessione di Benedetto XVI
Nella sua riflessione, Benedetto XVI rievoca gli incontri e la sua amicizia col Patriarca radicata nella fede in Gesù. Sottolinea quindi un aspetto importante “per descrivere questo grande uomo della Chiesa di Dio: il suo amore per il creato e il suo impegno perché venga trattato conformemente a questo amore, nelle questioni grandi e piccole. Un pastore del gregge di Gesù Cristo non è mai orientato soltanto alla cerchia dei propri fedeli. La comunità della Chiesa è universale anche nel senso che include tutta la realtà. Ciò appare evidente, per esempio, nella liturgia, che non indica soltanto la commemorazione e il compimento degli atti salvifici di Gesù Cristo. È in cammino verso la redenzione dell’intera creazione. Nell’orientamento della liturgia verso oriente, vediamo che i cristiani, insieme al Signore, desiderano procedere verso la salvezza del creato nella sua interezza. Cristo, il Signore crocifisso e risorto, è al tempo stesso anche il ‘sole’ che illumina il mondo. Anche la fede è sempre diretta verso la totalità del creato. Pertanto, il patriarca Bartolomeo realizza un aspetto essenziale della sua missione sacerdotale proprio con questo suo impegno verso il creato”.

“Considero particolarmente bello – scrive Benedetto - il fatto che, dopo la mia rinuncia, il patriarca mi sia rimasto sempre vicino personalmente e che sia perfino venuto a trovarmi nel mio piccolo convento. In molti angoli del mio appartamento si possono trovare ricordi ricevuti da lui. Questi oggetti non sono soltanto segni affettuosi della nostra amicizia personale, ma anche indicazioni verso l’unità tra Costantinopoli e Roma, segni di speranza che ci stiamo dirigendo verso l’unità. Sua Santità Bartolomeo è un patriarca davvero ecumenico, in tutti i sensi del termine. In solidarietà fraterna con Papa Francesco sta compiendo ulteriori importanti passi sul cammino dell’unità. Caro fratello in Cristo – conclude la riflessione del Papa emerito - possa il Signore garantirle ancora molti anni di ministero benedetto come pastore nella Chiesa di Dio. La saluto en philèmati haghìo [“con il bacio santo”, Romani, 16, 16 e 1 Corinzi, 16, 20]”.

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Parolin a Fatima: costruiamo una Chiesa che annuncia con coraggio

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Maria ci insegna come stare sotto la Croce, accogliamola come Madre. E’ quanto affermato dal cardinale Pietro Parolin nella Messa di stamani presso il Santuario mariano di Fatima, in occasione di un pellegrinaggio internazionale. Maria, ha detto il segretario di Stato, ci consola quando viviamo momenti oscuri perché ci aiuta a stare come Lei dinanzi al Figlio crocifisso. Il suo cuore, ha detto, non si è ristretto ma dilatato. Maria, ha soggiunto il porporato, non si sottomette alle regole dei forti e dei potenti che – in quel tempo – impedivano ai parenti dei condannati di avvicinarsi al luogo della Crocifissione. E’ invece coraggiosa e così ci aiuta ad incontrare Gesù. Al termine dell’omelia, il cardinale Parolin ha esortato i fedeli a diventare costruttori di una Chiesa che, nonostante le contraddizioni, annuncia il Vangelo a tutti, come anche chiesto da Papa Francesco con il Giubileo della Misericordia. 

Ieri, nella prima giornata del pellegrinaggio, in una conferenza sull'identità dell'Europa tenuta all'Università cattolica portoghese di Lisbona, il porporato ha detto che occorre “ritrovare le radici cristiane sulle quali la storia dell'Europa si è sviluppata per poter esercitare fino in fondo la nostra responsabilità pubblica. Noi cristiani, prima di tutto". L'Unione Europea, ha detto, "si trova oggi a dover affrontare simultaneamente un insieme di crisi senza precedenti nella sua storia. Alcune sono globali (come la recessione economica e la crisi dell'Euro o le grandi migrazioni di massa); altre geopolitiche (quella 'terza guerra mondiale a pezzi' di cui parla Papa Francesco, con i conflitti in Siria, Iraq, Libia, Somalia o il conflitto congelato nel sud dell'Ucraina); altre sociali (la crisi dell'occupazione, soprattutto giovanile); altre ancora di tipo culturale (un diffuso orientamento che sminuisce la generatività e la famiglia, un processo di desertificazione della religione); altre, per così dire, trasversali, come la sicurezza e il terrorismo. Infine, la crisi istituzionale e democratica, interna alla stessa Unione e ai paesi aderenti, con l'apertura di un processo di de-europeizzazione avviato dal referendum inglese dello scorso giugno, con il cosiddetto Brexit".

Per il porporato "di fronte alle crisi geopolitiche in corso, l'Unione Europea non riesce a parlare efficacemente con una sola voce". "Manca un'Europa come soggetto forte ed equilibratore nella costruzione e nel mantenimento della pace. Manca un'Europa nel contrasto al traffico d'armi che alimenta le guerre. Manca un'Europa nella realizzazione di un progetto di aiuti e interventi umanitari che mirino a porre fine ai conflitti".

Inoltre, "gli attacchi terroristici di matrice islamica che hanno colpito gravemente paesi come la Spagna, la Gran Bretagna, la Francia soprattutto, e il Belgio, hanno scatenato il corto circuito della paura e hanno dimostrato non solo il bisogno di un miglior coordinamento europeo in materia di sicurezza, ma anche il bisogno di un ritorno alle radici culturali profonde del continente". Secondo il segretario di Stato, "identità deboli, anche sul piano religioso, generano processi sociali di disorientamento e, a volte, risposte generazionali di radicalismo. Identità deboli impediscono il dialogo e processi di integrazione".

"Nella percezione di una crescente opinione pubblica europea - ha concluso il cardinale Parolin - questo fenomeno si collega erroneamente alla sfida più grande che l'Europa deve affrontare oggi: l'emigrazione di massa dal Nord dell'Africa e dal Medio oriente. Un'umanità varia, in fuga dalla povertà, dalla violenza e dalle guerre, che cerca di dare un futuro alla propria vita. Più che le istituzioni dell'Unione, qui sono chiamati in causa i singoli stati che non accettano un sistema europeo comune di accoglienza, lasciando ricadere, anche grazie alla Convenzione di Dublino, il peso dell'accoglienza soprattutto sugli stati del Sud. Non si deve sottovalutare il crescente sentimento di paura e d'insicurezza nelle popolazioni europee".

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Oggi in Primo Piano



Sale tensione Usa-Russia, ad Aleppo si continua a morire

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Cresce la tensione tra Stati Uniti e Russia. Sul tavolo le accuse di hackeraggio nella corsa alla Casa Bianca da parte di Mosca ma soprattutto la politica aggressiva russa in Siria e la militarizzazione in atto, con alleanze che arrivano fino all’Egitto. Sia la Germania che la Gran Bretagna tornano a parlare di sanzioni, ma l’urgenza rimane la tregua a fini umanitari. Aleppo è distrutta e anche nella parte ovest, la Chiesa denuncia decine di vittime nei bombardamenti. Ma come inquadrare le nuove  tensioni Usa-Russia? Gabriella Ceraso lo ha chiesto Jean-Pierre Darnis, direttore del Programma Sicurezza e Difesa dell'Istituto Affari Internazionali: 

R. – Questi toni, purtroppo, sono ormai familiari con la Russia, perché la Russia di Vladimir Putin crea un consenso interno – tra l’altro con un equilibrio tra tendenze moderate e tendenze ancora più nazionaliste – e crea questo consenso interno basandosi su una lettura molto particolare del rapporto con l’esterno. Quindi, un complotto dell’esterno contro la Russia e la necessità anche, percepita e dichiarata, di avere una sfera di influenza che riprenderebbe in qualche modo la vecchia Unione Sovietica, insomma un concetto geopolitico.

D. – Quindi lei come lo definirebbe questo stato di fatto ad oggi?

R. – Non è una guerra fredda. La Russia è in una fase molto calda di affermazione nazionalista. Una guerra, uno scenario di guerra totale sembra da escludere, però i pericoli ci sono; la percezione della minaccia è reale. Quindi crea di fatto uno stato di tensione che è molto preoccupante.

D. – Per quanto riguarda la Siria, sabato è previsto questo nuovo vertice tra Lavrov e Kerry a Losanna. Si dice che si aprirà un nuovo spiraglio per la tregua, però in effetti sul territorio c’è una militarizzazione potente della Russia, che ora si sta riavvicinando anche all’Egitto, alleato americano. E’ questo il motivo del crescere della tensione?

R. – Io credo che Mosca giochi una partita estremamente realista, quindi di potere duro, reale, territoriale e militare. E’ molto difficile ormai la dialettica, perché certamente vanno tenuti aperti il più possibile i canali di discussione e di diplomazia. Questo è fondamentale. Quindi questo incontro va salutato e si può auspicare che produca qualche risultato. Che ci sia l’incontro, però, è già molto importante. Bisogna parlarsi. La Russia sembrava utile in chiave antiterrorista, ma questa utilità ormai sembra superata da una serie di comportamenti militari sul terreno che creano delle sbavature che sono intollerabili. Tutto questo, però, in uno scenario politico estremamente delicato, dove la posizione di richiamo alle diplomazie per calmare i toni è certamente una posizione molto alta, che va ribadita.

D. – Esiste la possibilità che la Russia, messa in difficoltà economica, punti tutto sul rafforzamento appunto militare e territoriale, su questo scontro un po’ più provocatorio con gli Stati Uniti?

R. – Questa è una razionalità che esiste, e che viene difesa da alcuni esperti, che va presa quindi in considerazione. Io non penso che riuscirà. Tutti quanti in Europa avrebbero voglia di vedere nella Russia un partner integrato col quale fare commercio, col quale fare scambi, col quale crescere in modo pacifico, e tantissimo si era fatto in questo senso. Vedere una Russia che torna ad essere un problema e non un atto di cooperazione è una cosa triste. 

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Pakistan: ennesimo rinvio per il caso di Asia Bibi

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L’udienza della Corte Suprema del Pakistan prevista per oggi sul caso di Asia Bibi, la donna cristiana ingiustamente condannata a morte nel 2009 per blasfemia, è stata rinviata. Uno dei tre giudici, membri del collegio giudicante di quella sezione infatti, ha rifiutato di far parte del collegio e di deliberare sullo specifico caso. Caso che non è destinato a risolversi in tempi brevi. Andrea Walton ha intervistato, chiedendogli il perché di questo ennesimo rinvio, Padre Bernardo Cervellera, direttore dell'agenzia AsiaNews: 

R. – A quanto pare…. Le notizie che ci mandano i nostri corrispondenti dicono che uno dei tre giudici che avrebbero dovuto giudicare il caso in questa Corte d’Appello, penso che abbia avuto proprio paura, perché ha rifiutato di sedere sulla tribuna…. Quindi non c’erano i giudici sufficienti per fare il processo. Il motivo che ha dato questo giudice è che lui ha già partecipato al processo contro l’assassinio di Salman Taseer, che era il governatore del Punjab, che aveva difeso Asia Bibi e che per questo è stato ucciso…

D. – Come potrebbe evolversi la situazione?

R. – Diciamo che siamo allo stesso punto: siamo ancora come al punto di partenza! Perché di per sé le accuse contro Asia Bibi sono veramente tenui, ma sono state poi gonfiate come un problema di blasfemia. Di per sé non è mai stato impiccato nessuno per blasfemia: molti sono stati condannati, però nessuno è stato giustiziato per blasfemia. Quindi potrebbe andare in quella direzione; oppure magari lo Stato, che cerca veramente di fare giustizia, trova dei giudici coraggiosi che dicono “No, queste accuse non tengono!”. Questo è quello che chiede la Chiesa, questo è quello che chiedono anche tantissimi musulmani liberali, che sostengono i diritti umani. Però ci sono anche dei gruppi fondamentalisti che, appunto, hanno fatto manifestazioni oggi e hanno già promesso che se Asia Bibi sarà liberata, bloccheranno le città, faranno violenze… E purtroppo io temo che il governo pachistano sia abbastanza ondivago: un po’ segue uno, un po’ segue l’altro…

D. – Quanto è importante che la Comunità internazionale continui a seguire con attenzione il caso?

R. – E’ molto più importante che la Comunità internazionale, stringendo rapporti con il Pakistan, non lo accusi semplicemente per questa legge sulla blasfemia, ma lo aiuti soprattutto ad una educazione e ad un dialogo culturale, su valori umani molto importanti, con questo Pakistan. Invece purtroppo il Pakistan o è accarezzato, perché è una potenza nucleare, oppure è aiutato dal punto di vista militare, ma non è aiutato nell’educazione, non è aiutato nell’accoglienza di tutte le altre minoranze che sono nel Paese.

D. – Si ha un’idea di quante persone si trovano in questo momento in carcere per blasfemia in Pakistan?

R. – Penso ce ne siano diverse centinaia. Tenendo conto che tra quelli accusati di blasfemia ci sono anche molti musulmani, sia sciiti che sunniti. E non soltanto cristiani o indù o sikh. E questo perché? Perché la legge sulla blasfemia viene utilizzata spesso – siccome è appunto molto facile arrestare una persona per blasfemia – per eliminare i propri nemici. Ci sono dei casi in cui un contadino vuole avere la terra del suo vicino: allora accusa il suo vicino di blasfemia, così il vicino viene imprigionato e lui si compra per poco prezzo la terra….

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Nigeria: liberate 21 delle 270 studentesse rapite da Boko Haram

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Nigeria. Ventuno ragazze del gruppo di studentesse della città di Chibok, rapite ad aprile del 2014, dai terroristi di Boko Haram sono state nelle ultime ore liberate e attualmente si ritiene che siano sotto la protezione dei servizi di sicurezza nella città settentrionale di Maiduguri. Sentiamo Giancarlo La Vella

Per le ragazze è finito un incubo durato oltre due anni, che cambierà per sempre la loro vita. Secondo un alto funzionario governativo nigeriano, citato dalla Bbc News, le circostanze della loro liberazione non sono al momento chiare, ma fonti non ufficiali rivelano che le giovani sarebbero state rilasciate in cambio della liberazione di 4 combattenti Boko Haram a conclusione di  lunghi negoziati portati avanti con la mediazione della Svizzera e della Croce Rossa Internazionale. Il dramma delle studentesse cominciò con un raid in grande stile dei terroristi islamici che rapirono oltre 270 ragazze. L’evento suscitò subito accese polemiche: in molti effermarono che l’esercito era a conoscenza dell’operazione, ma non fece nulla per evitarla. Il presidente Buhari ha accolto con favore la notizia del rilascio delle ragazze, ma ricorda ai nigeriani che sono più di 30 mila i cittadini uccisi dal terrorismo.

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R. D. Congo: aumenta la violenza sulla popolazione

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La spirale della violenza mette a rischio estremo la grande nazione Congolese. Lancia l’allarme Maman Sidikou, responsabile della Monusco, la contestata missione di pace delle Nazioni Unite. ”La repubblica democratica della Repubblica Democtaica del Congo è entrata in una fase estremamente rischiosa per la sua stabilità. Il periodo a venire sarà sicuramente molto difficile; le minacce stanno drammaticamente crescendo”, ha affermato Sidikou, davanti al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. In modo particolare, è ancora la regione del Nord Kivu, ricca di risorse minerarie, a subire le maggiori violenze. I missionari sono testimoni di queste continue violenze. Marcello Storgato ha raggiunto telefonicamente padre Loris Cattani, coordinatore del movimento “Pace per il Congo”: 

R. – Nel Kivu sono in corso dei massacri soprattutto attorno alla città di Beni. A partire dal 22 settembre fino ad oggi risultano almeno una ventina di persone uccise e quindi l’insicurezza intorno a Beni è molto alta. Ci sono attacchi ai villaggi, incendi alle case, uccisioni di persone, massacri, e non si conoscono bene gli autori. Questo è il grande problema.

D. – I caschi blu stanno facendo tutto il possibile per proteggere la popolazione civile e mantenere la pace?

R. - Fanno molte pattuglie, controllano la zona, però molti attacchi avvengono in prossimità proprio di campi militari o di basi della Monusco. Quindi non so se queste pattuglie siano veramente efficaci. Anche quando la popolazione dà l’allarme l’esercito, la Monusco, intervengono molto in ritardo, quando gli assalitori si sono già ritirati.

D. – State organizzando un convegno il 22 ottobre a Bologna. Quali obiettivi vi ponete?

R. – L’obiettivo principale è sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione in Congo.

D. – I vescovi, che si erano ritirati dal dialogo, sono adesso rientrati o stanno ancora aspettando?

R. – La commissione episcopale congolese aveva sospeso la sua partecipazione al dialogo nazionale. Ha partecipato al congresso del raggruppamento delle forze politiche e sociali acquisite al cambiamento. Ha tentato una mediazione.

D. – Il dialogo è interrotto?

R. – No, non è interrotto, il presidente Kabila ha convocato i vertici della maggioranza presidenziale. Ha chiesto loro di prepararsi alle elezioni e ha dato l’ordine di creare una commissione elettorale all’interno della maggioranza presidenziale e ha detto loro di affrettare la firma di un accordo politico con l’opposizione che partecipa al dialogo. Probabilmente verso la fine di questa settimana il negoziato potrebbe arrivare a conclusione con una specie di intesa.

D. – Quindi ci sono passi avanti?

R. – Ci sono alcuni passi avanti in questo senso: per esempio, si sono messi finalmente d’accordo che nel periodo posteriore alla fine del mandato del presidente Kabila il primo ministro sarebbe emanazione dell’opposizione presente al dialogo.

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Usa: appello leader religiosi a Obama per libertà religiosa

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Una lettera congiunta firmata dai leader delle principali religioni e confessioni religiose (cattolici, ebrei, musulmani, hindu, baha’i, mormoni, evangelici, ecc.) presenti negli Stati Uniti è stata inviata al Presidente Barack Obama ed al Congresso, per protestare contro il rapporto della Commissione sui diritti civili. Tale documento infatti – spiega l’agenzia Sir - afferma che “le organizzazioni religiose usano il pretesto della dottrina religiosa per discriminare”.

Tutelare libertà religiosa non significa essere intolleranti
La lettera, che porta la data del 7 ottobre ma è stata resa nota ieri dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, contesta alcune affermazioni contenute nel report, in particolare il paragrafo in cui si insinua che le definizioni “religious liberty”  e  “religious freedom” (riferite alla libertà di religione) sono termini “ipocriti” che nascondono “parole in codice” usate a fini di “discriminazione, intolleranza, razzismo, sessismo, omofobia, islamofobia, supremazia cristiana o ogni altra forma di intolleranza”.

Argomenti sensibili che riguardano il bene comune
“Comprendiamo che le persone di buona volontà possano non essere d’accordo a proposito della relazione tra libertà religiosa e leggi nazionali contro le discriminazioni – si legge nella lettera - e che questo tipo di relazione debba essere strutturato meglio. Sono questioni che hanno a che fare con argomenti sensibili che riguardano il bene comune, come il matrimonio, la famiglia, la contraccezione, l’aborto”.

Nessuno sia emarginato dalla società a causa della religione
I leader di tutte le religioni – tra i firmatari ci sono l’arcivescovo William E. Lori, presidente del Comitato per la libertà religiosa della Conferenza episcopale Usa ed il vescovo Gregory J. Mansour, dell’Eparchia di Saint Maron di Brooklyn – chiedono che “nessun cittadino americano o istituzione sia etichettato dal proprio governo come bigotto a causa delle proprie opinioni religiose, ed emarginato dalla vita politica delle nazione per queste opinioni”.

Il dibattito sia rispettoso
“Siamo tutti contro la retorica e le azioni dell’odio. Crediamo all’uguaglianza di tutti gli americani davanti alla legge – sottolineano – a prescindere dal credo religioso o dalla comunità. Ma siamo anche determinati e impavidi nel dire la verità su ciò in cui crediamo da millenni. Un rispettoso dibattito sulle idee non è qualcosa di pericoloso da demonizzare. Piuttosto, il dibattito è una cosa buona per la nostra democrazia e dovrebbe essere incoraggiato”.

No alle calunnie
“Calunniare idee ed argomenti sui quali si è in disaccordo come ‘razzismo’ o ‘fobia’ – sottolineano –  svilisce il significato di quelle parole”. I firmatari della lettera concludono chiedendo di “rinunciare pubblicamente alla pretesa” del rapporto, che definisce i termini relativi alla libertà religiosa come “parole in codice” o “pretesto” per varie forme di discriminazione. (I.P.) 

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Vescovi Australia: appello per immigrati in campi di detenzione

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“Una delle più grandi crisi del nostro tempo è la condizione di persone fuggite dai loro Paesi per guerra, persecuzione o povertà e costrette a vivere senza una casa, senza la sicurezza e spesso separati dalle loro famiglie. In Australia sopportiamo la vergogna dell'espulsione e del duro trattamento riservato a persone che cercavano la nostra protezione e oggi sono rinchiuse nei campi di detenzione nelle isole di Nauru e Manus Island, al largo della Papua Nuova Guinea. E’ ora di portarli qui”: è il forte appello diffuso dall'arcivescovo Denis Hart, presidente della Conferenza episcopale australiana.

I vescovi chiedono al governo di trasferire i detenuti in Australia
In una nota inviata all'agenzia Fides l’arcivescovo, a nome dell’episcopato australiano, afferma: “Le agenzie internazionali sono sconvolte per le condizioni in cui vivono gli immigrati in quelle strutture e per gli effetti di quella detenzione sulla loro salute, sullo spirito, sul rispetto di sé. Alcuni detenuti hanno anche scritto a Papa Francesco, che ha espresso la sua profonda preoccupazione. I vescovi cattolici australiani deplorano la detenzione dei nostri fratelli e sorelle a Nauru e Manus Island. Pur riconoscendo lo sforzo del governo per trovare una soluzione, diciamo che quando è troppo è troppo. Chiediamo al governo di trasferire i detenuti in Australia, in attesa di ulteriori decisioni sul loro futuro”.

La Chiesa si impegna ad accogliere i rifugiati
I vescovi, nota il presidente, “sostengono con forza la campagna per portarli qui, in Australia. Ci impegniamo a garantire l'aiuto delle nostre comunità e istituzioni cattoliche per accogliere e sostenere questi rifugiati quando arriveranno, mettendo a disposizione tutte le ampie risorse dei servizi sociali cattolici”. L’ente “Alleanza cattolica per i richiedenti asilo” è pronto a coordinare, con altre organizzazioni statali e della società civile, un piano di emergenza per l’accoglienza su territori australiani di uomini, donne e bambini attualmente residenti a Nauru e Manus Island. “Mentre il Giubileo della Misericordia si sta per concludere, è il momento di coltivare le opere di misericordia e di raccogliere i frutti”, conclude il messaggio dei vescovi. (P.A.) 

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La morte di Dario Fo: un ateo in cerca di Dio

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Una personalità incontenibile, un artista poliedrico, il “giullare” della cultura italiana. Di Dario Fo, in queste ore, si stanno inseguendo le definizioni, mentre la notizia della sua scomparsa da subito ha fatto il giro del mondo. Aveva 90 anni, ed è morto all’ospedale Sacco di Milano per complicazioni respiratorie. Scrittore, attore, regista, pittore, sculture, autore di canzoni, politico, Dario Fo, Nobel nel 1997 per la Letteratura, ha al suo attivo oltre cento commedie, intrise di satira e comicità. Fino all’ultimo è stato lucido e presente, tanto da apparire in pubblico soltanto pochi giorni fa: “Se mi dovesse capitare qualcosa, dite che ho fatto di tutto per campare”, avrebbe detto fino all’ultimo. Accanto a lui, per tanti anni, Franca Rame, la sua morte, nel 2013, segnò “il più grande dolore” della sua vita; con lei, come ripeteva, aveva “vissuto tre volte più degli altri”. Per ricordarlo, riascoltiamo Dario Fo in un’intervista rilasciata nel 2014 a padre Vito Magno per la Radio Vaticana: 

D. – Dario Fo, è noto come i "Fioretti di San Francesco" siano un pezzo forte del suo teatro. Cosa più l’attrae del Santo di Assisi?

R. – Diciamo che lui fa che la sua vita non può essere quella che portava prima e cioè quella di non fermarsi alle armi e alla lotta soltanto per la giustizia, ma anche un problema della fame, quello della dignità degli uomini, che in gran parte – in quel tempo – sono minori, sono disperati. E istituisce questo gruppo, che a un certo punto non si preoccupa neanche solo di andare incontro ai bisogni; ma soprattutto si preoccupa di scoprire in quello che Dio ha dato, qualcosa di meraviglioso. E prendere il dono di Dio - la natura, l’aria, il sole, le stelle… - e apprezzarle è una rivoluzione straordinaria!

D. – Come quella che in altro modo e in altro campo sta realizzando Papa Francesco: so che lei lo stima. Cosa ha in comune con San Francesco?

R. – Prima di tutto per il coraggio che ha nell’esporre e nel criticare coloro che fanno del proprio agire un problema di caccia, di raggiungere il bene materiale ad ogni costo.

D. – Questo suo accostarsi alla vita dei Santi, la porta anche a credere?

R. – Io non sono un religioso, ma ammiro enormemente la religiosità popolare. Penso che sia una delle grandi conquiste della gente che non ha niente. E’ riuscita ad avere la festa e la felicità davanti alle cose minime, piccole. Scoprire che si può buttare all’aria, rovesciare il mondo e ritrovare nelle cose da poco il massimo. Il massimo è nel minimo, insomma.

D. – Capita anche a lei di essere felice in questo modo?

R. – Senz’altro. Prima di tutto ho avuto una vita straordinariamente fortunata. E poi siccome ho imparato che fare le cose insieme agli altri sia una delle più belle soddisfazioni in questo mondo, ecco che io mi trovo a lavorare con i giovani in moltissime condizioni e questo mi aiuta ad essere vivo, a superare il minimo; e non solo, tutte le volte tentare di dare il meglio di quello che posso.

D. – Dario Fo, ora che la sua Franca non c’è più, com’è la sua vita?

R. – La sua sortita dal mondo mi ha lasciato un grandissimo vuoto… Enorme! Penso sempre a lei ogni volta che devo fare qualche cosa, perché dico: “Cosa farebbe, Franca, se fosse qui con me?”. Abbiamo vissuto una vita insieme ed è difficile – difficilissimo! – imparare a vivere da solo… Sì, con tutti gli amici, ma Franca era l’assoluto dello stare insieme.

D. – Non pensa che un giorno potrà rivederla?

R. – Penso anche a quello… Ogni tanto la sento: sento una sua presenza, sento che mi aiuta, sento che si preoccupa di me.

D. – Crede allora nell’aldilà?

R. – Non so come chiamarlo, perché rimango sempre ateo. E non so se sia un bene o una mancanza…

D. – Potrei almeno chiamarlo un ateo che cerca?

R – Va bene, sì...

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Re del Bahrain dona terreno per costruire una nuova chiesa copta

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Il sacerdote copto ortodosso Royce George, impegnato nella cura pastorale della comunità copta ortodossa in Bahrain, ha confermato l'avvenuta donazione di un terreno messo a disposizione dal Re Hamad bin Isa al Khalifa per la costruzione della seconda chiesa copta nel Regno. Il nuovo edificio di culto cristiano sorgerà nella capitale, Manama, e diventerà un punto di riferimento per le liturgie e le attività pastorali che coinvolgeranno le circa 1.500 famiglie copte residenti in Bahrain e in Arabia Saudita. 

La “tolleranza religiosa” nel Regno del Bahrain
La donazione era stata annunciata dopo l'incontro avvenuto a fine aprile tra il Re del Bahrain e il Patriarca copto ortodosso Tawadros II, in occasione della visita del monarca in Egitto. Allora, nei discorsi di circostanza con il Patriarca, il Sovrano aveva esaltato la “tolleranza religiosa” del suo Regno, oggetto di critiche da parte di organismi internazionali per le discriminazioni verso la maggioranza sciita a esso addebitate.

Nel 2013 il Sovrano ha donato un terreno dove nascerà una cattedrale cattolica
Nel 2013 anche la Chiesa cattolica ha avuto in dono dal Re del Bahrain un terreno di 9mila metri quadri nella municipalità di Awali, dove dalla primavera del 2014 sono iniziati i lavori di quella che diventerà la cattedrale cattolica del Regno, intitolata a Nostra Signora dell’Arabia. (G.V.)

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A Bob Dylan il Nobel per la letteratura 2016

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E’ Bob Dylan il vincitore del premio Nobel per la Letteratura 2016. L’Accademia Reale di Svezia nella motivazione ufficiale del riconoscimento afferma che Dylan ha creato una nuova espressione poetica nell'ambito della tradizione della grande canzone americana". Il servizio di Giancarlo La Vella

La scelta di Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmerman, 75 anni, è sicuramente condivisa da gran parte di quella generazione, che, tra gli anni ’60 e ’70, si trovò sulle spalle il fardello della ricerca di nuovi ideali sui quali basare la società del futuro, ideali che, in parte vennero cantati dal folk singer americano, che a sua volta si era ispirato ai cantautori che già sventolavano la bandiera del pacifismo, della difesa dei diritti umani e dell’ambiente.

Al Congresso eucaristico, il 27 settembre 1997, incontrò insieme con altri artisti San Giovanni Paolo II. E, dopo averlo salutato, fu proprio il Papa, riprendendo il testo di “Blowin’ in the wind”, a dare la risposta all’interrogativo che la canzone pone: “Io sono la via, la verità e la vita”. Questa la conclusione del Pontefice, che Dylan invece nel noto brano aveva lasciato portare lontano dal vento.

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 287

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.