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Sommario del 14/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: per sconfiggere la fame, affrontare cambiamenti climatici

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Gli Accordi di Parigi sul clima “non rimangano belle parole”. E’ quanto scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione che ricorre domenica 16 ottobre ma viene già da oggi celebrata alla Fao con diverse iniziative. Il Pontefice lancio un nuovo appello per la lotta alla fame e mette l’accento sull’emergenza causata in molte aree del pianeta a causa dei cambiamenti climatici. Il servizio di Alessandro Gisotti

Agire politicamente, cambiare stili di vita, promuovere la solidarietà. Sono alcuni punti che Papa Francesco delinea per un’azione efficace di contrasto alla fame. Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, il Pontefice si sofferma sul tema dei cambiamenti climatici e su come questi incidano drasticamente sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione di milioni di persone. Francesco auspica che gli Accordi di Parigi “non rimangano belle parole, ma si trasformino in decisioni coraggiose capaci di fare della solidarietà non soltanto una virtù, ma anche un modello operativo in economia, e della fraternità non più un’aspirazione, ma un criterio della governance interna e internazionale”.

No alla logica della produzione agricola ad ogni costo
Francesco sottolinea che bisogna andare alla radice e “risalire alle cause dei cambiamenti”, osservando che quando il clima cambia anche la vita delle persone cambia, a volte anche in modo drammatico. Il Papa denuncia in particolare la logica del consumo e della produzione “ad ogni costo”, una logica che modifica o mette a rischio “le diverse specie animali e vegetali”. Produrre qualità che “in laboratorio danno ottimi risultati – osserva – può essere vantaggioso per alcuni, ma avere effetti rovinosi per altri”. Il principio di precauzione, ammonisce, “non basta” e chiede “di agire con equilibro e onesta”. Anche nella selezione genetica delle piante, ribadisce, bisogna tener conto “dei terreni che perderanno la loro capacità di produrre, degli allevatori che non avranno pascolo per il loro bestiame”. Dunque, saggezza e non solo precauzione.

I migranti climatici sono sempre più numerosi
Sempre sugli effetti del cambiamento del clima, il Papa ricorda che “i migranti climatici sono sempre più numerosi” e ammonisce che non basta più “impressionarsi o commuoversi” davanti a chi non ha più il pane quotidiano. Il messaggio torna a chiedere dei livelli di produzione che permettano “di assicurare alimenti per tutti” ed “un’equa distribuzione”. Ma, si domanda, “possiamo ancora continuare su questa linea, se poi le logiche di mercato” seguono solo la strada del profitto? Né manca di rammentare la necessità di eliminare gli sprechi alimentari e di ridurre le perdite di cibo.

Serve mutamento di rotta, collaborazione di politici e produttori
La persona umana, scrive il Papa, non può mai essere “uno strumento anche di sperimentazione” né la produzione di alimenti “un mero affare economico, a cui sacrificare addirittura il cibo disponibile”. Di qui l’appello di Francesco a tutti, dai responsabili politici ai produttori e lavoratori agricoli a cooperare per un “mutamento di rotta” che porti ad uno sviluppo che non sia più “appannaggio di pochi” né che “i beni del creato” siano solo “patrimonio dei potenti”.

Tante le iniziative in Italia e a livello internazionale in vista della Giornata Mondiale dell'Alimentazione di domenica prossima. Dal Cesvi un quadro globale della questione, in vista dell’Obiettivo “Fame Zero” nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Antonella Palermo ne ha parlato con Daniela Bernacchi, amministratore delegato Cesvi: 

R. – Lo sviluppo sostenibile ha come obiettivo numero due, quindi in termini di importanza, proprio la lotta alla fame, relativamente alla sicurezza alimentare, al nutrimento per tutti e all’agricoltura sostenibile.

D. – Qualche dato, quest’anno …

R. – Quest’anno abbiamo dei valori di positività: dal 2000 al 2016 c’è un miglioramento rispetto all’indice globale della fame del 29 per cento e questo è un segnale di speranza. In alcuni Paesi come il Myanmar, il Rwanda e la Cambogia che hanno migliorato il loro PIl di oltre il 50 per cento, sono Paesi tutti e tre lontani a livello geografico ma vicini per storia politica, dove c’è stata instabilità, guerra civile, assenza di democrazia … Quindi, laddove questi Paesi hanno intrapreso un percorso di pace e di stabilità economica, lì c'è stato un netto miglioramento. Al contempo, ci sono 50 Paesi che continuano a soffrire al fame con livelli allarmanti, concentrati nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Con finanziamenti a singhiozzo, discontinui sicuramente l’obiettivo non verrà raggiunto.

D. – L’agricoltura può essere il volano dell’economia mondiale?

R. – Sicuramente può esserlo e lo può essere sicuramente in Africa. Al contempo, l’empowerment femminile è una grande parte di questo successo; quindi, lavorare al rafforzamento delle capacità, dei diritti delle donne in Africa e anche nel resto del mondo è importante.

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Francesco: dirsi sempre la verità per non cadere nell'ipocrisia

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Per seguire il Signore è fondamentale non ingannarci, non dirci bugie e così non cadere nell'ipocrisia, quella schizofrenia spirituale che ci fa dire tante cose ma senza praticarle: così il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Lievito buono e lievito cattivo: le frappe della nonna
Nel Vangelo del giorno Gesù invita a guardarsi dal “lievito dei farisei”, cioè l'ipocrisia. Papa Francesco osserva che “c’è un lievito buono e il lievito cattivo. Il lievito che fa crescere il Regno di Dio e il lievito che fa soltanto l’apparenza nel Regno di Dio. Il lievito - afferma - fa crescere sempre; e fa crescere, quando è buono, in modo consistente, sostanzioso e diventa un buon pane, una buona pasta: cresce bene. Ma il lievito cattivo non fa crescere bene”. Per spiegarlo, Francesco racconta un aneddoto dell’infanzia:

“Io ricordo che per Carnevale, quando eravamo bambini, la nonna ci faceva dei biscotti, ed era una pasta molto sottile, sottile, sottile quella che faceva. Poi la buttava nell’olio e quella pasta si gonfiava, si gonfiava … e quando noi incominciavamo a mangiarla, era vuota. E la nonna ci diceva – nel dialetto le chiamavano bugie – ‘queste sono come le bugie: sembrano grandi, ma non hanno niente dentro, non c’è niente di verità, lì; non c’è niente di sostanza’. E Gesù ci dice: ‘State attenti dal cattivo lievito, quello dei farisei’. E quale è? E’ l’ipocrisia. Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia”.

Ipocrisia, schizofrenia spirituale o nominalismo esistenziale
L’ipocrisia – ha proseguito il Papa – è quando si invoca il Signore con le labbra ma il cuore è lontano da Lui:

“E’ una divisione interna, l’ipocrisia. Si dice una cosa e si fa un’altra. E’ una sorta di schizofrenia spirituale. Poi, l’ipocrita è un simulatore: sembra buono, cortese ma dietro di sé ha il pugnale, eh? Pensiamo a Erode: con quanta cortesia – spaventato di dentro – aveva ricevuto i Magi! E poi, al momento del congedo, dice: ‘Ma, andate, e poi tornate, e ditemi dove è questo bambino perché anche io vada ad adorarlo!’. Per ucciderlo! L’ipocrita che ha doppia faccia. E’ un simulatore. Gesù, parlando di questi dottori della legge, dice: ‘Questi dicono e non fanno’: è un’altra forma di ipocrisia. E’ un nominalismo esistenziale: quelli che credono che, dicendo le cose, sta tutto fatto. No. Le cose vanno fatte, non solo dette. E l’ipocrita è un nominalista, crede che con il dire si faccia tutto. Poi, l’ipocrita è incapace di accusare se stesso: mai trova in se stesso una macchia; accusa gli altri. Pensiamo alla pagliuzza e alla trave, no? E così possiamo descrivere questo lievito che è l’ipocrisia”.

Dirsi la verità, non le bugie
Il Papa invita a fare un esame di coscienza per capire se cresciamo con il lievito buono o il lievito cattivo, domandandoci: “Con quale spirito io faccio le cose? Con quale spirito io prego? Con quale spirito mi rivolgo agli altri? Con lo spirito che costruisce? O con lo spirito che diviene aria?”. Importante – conclude il Papa – è non ingannarci, non dirci le bugie ma la verità:

“Con quanta verità si confessano i bambini! I bambini mai, mai, mai dicono una bugia, nella confessione; mai dicono cose astratte. ‘Ho fatto questo, ho fatto quell’altro, ho fatto …’: concreti. I bambini, quando sono davanti a Dio e davanti agli altri, dicono cose concrete. Perché? Perché hanno il lievito buono, il lievito che li fa crescere come cresce il Regno dei Cieli. Che il Signore ci dia, a tutti noi, lo Spirito Santo e la grazia della lucidità di dirci qual è il lievito con il quale io cresco; qual è il lievito con il quale io agisco. Sono una persona leale, trasparente o sono un ipocrita?”.

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Padre Sosa, nuovo Superiore dei Gesuiti: inizia una grande sfida

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E’ stato eletto il nuovo Superiore generale della Compagnia di Gesù. Si tratta di padre Arturo Sosa Abascal, della Provincia del Venezuela. Padre Sosa, 68 anni, venezuelano, è stato consultore del padre generale, delegato generale per le case e le opere interprovinciali della Compagnia di Gesù a Roma. Ha conseguito un dottorato in scienze politiche presso l’Universidad Central de Venezuela. Padre Arturo Sosa, nato nel 1948 a Caracas, è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1966 ed è stato ordinato sacerdote nel 1977. Padre Sosa è il 31.mo Superiore generale della Compagnia di Gesù. Ma con quali sentimenti padre Arturo Sosa Abascal ha ricevuto questo incarico? Ascoltiamolo al microfono di padre Bernd Hagenkord: 

"Ho il sentimento di avere bisogno di tanto aiuto: adesso incomincia una grande sfida. Questa è la Compagnia di Gesù e allora Gesù deve darsi da fare anche qua, con noi. Dopo, io mi fido dei compagni che sono così bravi. Spero anche che la Congregazione ci porti avanti con un bel gruppo di lavoro e anche con orientamenti molto precisi per potere andare avanti: questo non è il lavoro di una persona, è il lavoro del corpo della Compagnia. Io farò del mio meglio possibile. Sono molto sorpreso, molto grato al Signore. Prego per tutti".

Sulla figura di padre Arturo Sosa si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, uno dei delegati che hanno partecipato alla votazione, padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica: 

R. – Padre Sosa è un padre di grande esperienza nella Compagnia di Gesù. Ha vissuto quattro Congregazioni generali e nella prima di queste ha anche incontrato l’attuale Papa Francesco. Quindi è una persona che ha grande esperienza di governo. È stato provinciale della provincia del Venezuela, quindi in una terra piena di tensioni che ha vissuto ed affrontato personalmente. Ed è anche una figura profondamente spirituale, di una spiritualità che è capace di incarnarsi in un territorio. Lui ha studiato ed ha insegnato teorie delle politiche ed è stato anche rettore di un’università cattolica in Venezuela. Quindi è una figura complessa, a tutto tondo. Una figura che tocca l’aspetto spirituale, quello intellettuale e quello di governo.

D. - Ancora una volta la storia della Chiesa, presente e futura, porta l’impronta dell’America Latina. Dopo Papa Francesco, salito al soglio di Pietro, adesso è un venezuelano il nuovo Superiore dei Gesuiti …

R. – Sì. Indubbiamente l’America Latina si conferma in questo modo una Chiesa "fonte". Lo è per la Chiesa universale con Papa Francesco e lo è anche per la Compagnia di Gesù. Chiaramente, qui vediamo un legame molto forte: le due persone non solo si conoscono - Papa Francesco, diremo il “Papa bianco” come si suol dire e il “Papa nero” - ma si apprezzano. E quindi possiamo immaginare una Compagnia di Gesù ancora più al servizio della Chiesa sotto il Romano Pontefice come è sua natura.

D. - Anche in questo caso è una periferia, il Venezuela, proprio al centro della Chiesa...

R. - Ancora una volta una periferia, ma non solo una periferia, un luogo di tensioni! Questo è molto importante. Padre Sosa ha vissuto queste tensioni in una terra molto difficile e tuttora complessa. Quindi è una persona di grande esperienza capace anche di affrontare le tensioni che possono sorgere nel mondo, nelle varie periferie più calde. Quindi una persona di periferia certamente, nel senso in cui la intende Papa Francesco.

D. - È la prima volta nella storia della Chiesa cattolica che un Superiore generale della Compagnia di Gesù viene eletto durante il Pontificato di un Papa gesuita...

R . - Questa è una responsabilità in più, se vogliamo, perchè il Pontefice vive la spiritualità della Compagnia. D’altra parte, il Papa è il Papa di tutta la Chiesa e la Compagnia è al servizio del Papa chiunque egli sia. Quindi, in questo senso, una piena continuità della Compagnia di Gesù a servizio della Chiesa e del Papa.

D. - Padre Sosa succede a padre Adolfo Nicolas. Quali sono le sfide nell’immediato?

R. - Le sfide della Compagnia di Gesù le affronteremo nei prossimi giorni delle Congregazione generale. In fondo noi siamo riuniti - è un grande corpo di Gesuiti provenienti da tutte la parti del mondo - e stiamo proprio affrontando questo, ovvero cosa la Chiesa e il mondo ci chiedono in questo momento.

Come si è arrivati all'elezione
Hanno partecipato alla votazione 212 elettori, ovvero i delegati di quasi 17 mila Gesuiti del mondo. Padre Arturo Sosa succede a padre Adolfo Nicolas, dimessosi ad 80 anni come il suo predecessore Peter Hans Kolvenbach nel 2008. Il Pontefice è la prima persona - come avviene per tradizione - a cui viene comunicato il nome del nuovo Superiore dei Gesuiti. E’ la prima volta nella storia della Chiesa cattolica che un Padre generale della Compagnia di Gesù viene eletto durante il Pontificato di un Papa gesuita.

La 36.ma Congregazione
La prima Congregazione generale si è tenuta nel 1558, due anni dopo la morte fondatore della Compagnia di Gesù, Sant’Ignazio di Loyola. L’ultima, la 36.ma, è iniziata a Roma lo scorso 2 ottobre ed è stata incentrata sul tema “Verso il largo, dove è più profondo”. La maggior parte delle votazioni riguardano proposte su testi che, se adottati, diventano norme per l’orientamento della Compagnia. Per la prima volta, molte votazioni si sono svolte tramite sistemi digitali grazie a tablet forniti agli elettori. Per l’elezione del Padre generale, la procedura adottata, invece, è stata esattamente quella prescritta da Sant’Ignazio nelle Costituzioni della Compagnia attraverso il metodo tradizionale delle schede cartacee.

L’elezione del Padre generale
L’elezione si è tenuta dopo quattro giorni di “murmuratio”, ovvero un tempo di preghiera e di discernimento. Oggi dopo la celebrazione della Messa - nella quale gli elettori invocano nuovamente lo Spirito Santo perché li ispiri al momento del del voto - si sono incontrati nell’aula per la votazione. Ogni elettore ha ricevuto una scheda cartacea. Su un lato è apposta la seguente frase: il sottoscritto “giura che sta votando per chi pensa, nel Signore, che sia maggiormente in grado di esercitare questo incarico”. L’elettore, dopo aver firmato il giuramento, sul lato opposto del foglio ha poi scritto il nome della persona per cui ha votato.

Il profilo del Generale nelle Costituzioni
Il profilo delineato nelle Costituzioni è innegabilmente molto ambizioso: il Superiore generale - si legge - “dev’essere uno dei più eminenti in ogni virtù e dei più meritevoli dentro la Compagnia, dove da molto tempo dev’essere conosciuto come tale”. La guida che Sant’Ignazio auspica per la Compagnia di Gesù – si sottolinea inoltre sul sito istituzionale dei Gesuiti italiani – “è qualcuno che possa guidare prima di tutto con il suo esempio”, soprattutto “una persona di profonda spiritualità”. “Un amico di Dio nel pregare, nell’agire e nelle relazioni umane”, con “una libertà di cuore che gli permetta di guidare la Compagnia con amore umile, giusto e coraggioso”.

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Papa in soccorso delle popolazioni di Haiti colpite dall'uragano

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Papa Francesco, invierà tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum, un primo contributo di 100.000 dollari per il soccorso alle popolazioni del territorio di Haiti colpite dal dell’uragano “Matthew”. Questa offerta, che sarà impiegata a sostegno delle opere di assistenza a favore degli alluvionati,  si  va ad inserire all’interno della rete di aiuti che si è subito attivata in tutta la Chiesa cattolica e che ha coinvolto diverse Conferenze episcopali e numerosi organismi di carità, e vuole essere una prima e immediata espressione concreta dei sentimenti di spirituale vicinanza e paterno incoraggiamento del papa nei confronti delle persone e dei territori colpiti così duramente. Infatti, Caritas Haiti, in collegamento con Caritas Internationalis, dopo il passaggio dell’uragano, ha subito lanciato un primo appello di emergenza per aiuti a 2.700 famiglie per l’acquisto e la distribuzione di 2.700 kit alimentari, la fornitura di 2.700 kit d’igiene e l’attivazione di programmi per consigliare e sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione di malattie infettive. Ascoltiamo il segretario di Cor Unum mons. Giovanni Pietro Dal Toso al microfono di Marina Tomarro

R. – Il Santo Padre subito è intervenuto per chiedere un’attenzione generale alla comunità internazionale per venire incontro alle necessità di Haiti in questo momento. Noi sappiamo che Haiti è un Paese molto debole, sia dal punto di vista strutturale sia dal punto di vista economico, e ha bisogno di essere aiutato in questo senso forse più di altri Paesi, per l’estrema povertà della popolazione che vi abita. Quindi, il Papa ha fatto un appello speciale per chiedere alla comunità internazionale di aiutare Haiti in questo momento e ha dato un segno concreto della sua partecipazione attraverso questo dono che viene trasmesso alla Chiesa di Haiti. E’ evidente che si tratta di un primo iniziale dono: le necessità sono immense. In questo momento, però, è anche difficile censirle veramente. Ci sono aiuti da diverse parti, però in questo momento si tratta soprattutto di venire incontro alle primissime necessità, che sono quelle di dare da mangiare e da bene e un minimo di sicurezza a queste persone. Noi contiamo poi più avanti di avere, come in passato del resto, di poter dare un aiuto più sostanzioso che probabilmente si concretizzerà in un’opera più importante nella fase della ricostruzione.

D. – Vi sono arrivate notizie da Haiti? Quali sono le emergenze in questo momento, quelle più urgenti?

R. – Evidentemente le notizie ci sono arrivate e l’emergenza è il fatto che ci siano persone che da un momento all’altro si sono trovate senza niente: senza una casa dove stare, senza un’attività da svolgere, senza acqua da bere … Questo ciclone che si è abbattuto nella parte Sud del Paese ha fatto danni enormi soprattutto in alcune zone, lasciando la popolazione priva di tutto. In queste fasi è chiaro che la priorità va data all’aiuto immediato. La nostra attenzione per Haiti è un’attenzione abbastanza continuata nel tempo.

D. – Insieme a Haiti, quali sono le altre emergenze su cui Cor Unum sta dando il suo sostegno?

R. – L’emergenza più importante nella quale siamo attualmente impegnati è l’Ucraina, da un punto di vista pratico, perché – come sappiamo – il Santo Padre ha voluto, alla fine di aprile, una grande colletta per richiamare l’attenzione di tutta l’Europa e di tutto il mondo su questa situazione specifica. I frutti di questa colletta adesso devono essere spesi a favore della popolazione e quindi è stato costituito un comitato tecnico e Cor Unum sta seguendo l’attività di questo comitato tecnico che adesso incomincia, dopo essersi costituito, dopo essersi dato uno statuto, a erogare i primi finanziamenti per venire incontro a questa necessità dei profughi. E poi, come sappiamo, per noi ha una grande importanza, da diversi anni stiamo seguendo più da vicino il conflitto in Siria e in Iraq con le conseguenze umanitarie gravissime che questo ha. Basti pensare semplicemente all’enorme numero di profughi e all’enorme numero anche di sfollati interni. In questo contesto, appunto, il 29 settembre scorso abbiamo avuto un incontro importante qui, con numerosi organismi di carità cattolici, rappresentanti dell’episcopato di Iraq e di Siria, per cercare di trasmettere una visione comune per cercare anche di darci delle priorità in questo lavoro. Inoltre, devo anche dire che ci sono molte altre piccole e grandi emergenze, nel pianeta, che purtroppo non sono sufficientemente considerate. Vorrei spendere una piccola parola sul fatto che in Etiopia da diversi mesi si sta protraendo una situazione grave di mancanza di alimenti, e anche in quel caso abbiamo sostenuto l’azione di queste diocesi per garantire progetti umanitari a favore della popolazione. La questione umanitaria è una questione sempre più emergente nel mondo attuale, dovuta sia a catastrofi naturali sia però anche a cause umane come, appunto, nel Medio Oriente e in tutte queste situazioni noi cerchiamo, per quanto possibile, di rendere presente il Papa. Cioè, è importante che si veda che il Papa non solo fa importantissimi appelli alla comunità internazionale, ma anche – per quanto possibile – cerca di intervenire direttamente a favore delle persone.

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Il cordoglio del Papa per la morte del Re della Thailandia Bhumibol

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Il Papa ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa del Re della Thailandia Bhumibol Adulyadej, morto ieri all’età di 88 anni. In un messaggio inviato al premier thailandese, Francesco si è detto “profondamente addolorato”, manifestando la sua vicinanza ai membri della famiglia reale e a tutto il popolo thailandese. Quindi, prega affinché, “come un giusto tributo al patrimonio di saggezza, forza e fedeltà del defunto Re, tutti i thailandesi possano lavorare insieme per promuovere la via della pace”. In Thailandia è lutto nazionale: migliaia di persone  partecipano ai riti funebri del sovrano che rappresentava un’importante elemento di unità e stabilità a fronte di una situazione politica spesso turbolenta. Andrea Walton ne ha parlato con Francesco Sisci, editorialista di Asia Times: 

R. – E’ un momento di enorme importanza, perché il Re ha governato il Paese dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e lo ha portato avanti, attraverso momenti molto difficili come la guerra fredda, la guerra calda, il conflitto in Vietnam, l’espansione degli anni ’80 e infine la crisi finanziaria asiatica del ’97-’98, che poi ha dato origine all’attuale momento critico della Thailandia. E’ la fine dell’ultimo sovrano quasi assoluto, nel senso che tutti gli altri sovrani nel resto del mondo hanno funzioni e poteri cerimoniali, mentre lui ha avuto sempre un ruolo molto attivo e molto diretto nella politica thailandese.

D. – Come si può ricordare la figura di Re Bhumibol?

R. – Il Re, certamente, è stato una presenza topica nella vita della Thailandia. Ha dato, in qualche modo, un ruolo alla nuova Thailandia, che era un Paese che usciva male dalla Seconda Guerra Mondiale, e, dopo la guerra, ha mantenuto il Paese unito – cosa non facile – e lo ha tenuto lontano dal vicinissimo contagio comunista, durante la guerra di Indocina, prima, contro i francesi e, dopo, quella del Vietnam - anche questa cosa assolutamente non facile. La terza cosa, è che sotto il suo regno è iniziato il processo di pace in Cambogia che ha dato poi inizio allo sviluppo economico del Sud-Est asiatico. La crisi del suo regno, ma anche la crisi del Paese, è arrivata con la crisi finanziaria asiatica nel ’97-’98, che ha poi aperto le porte a quello che è stato il governo di Thaksin Shinawatra, con il quale non si è trovata una soluzione politica vera. Tant’è che ancora adesso la Thailandia, in qualche modo, è in una crisi dovuta alla incapacità di digerire il fenomeno Thaksin.

D. – Quali sono i possibili sviluppi per il Paese a partire dalla successione al trono?

R. – Certamente la successione al trono è già determinata, nel senso che il figlio è il successore designato. Penso, però, che il problema principale sia come risolvere la questione con Thaksin, che oggi vive in esilio e che ha vinto tutte le elezioni democratiche che si sono tenute in Thailandia.

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Parolin ricorda il contributo di Paolo VI alla pace nel mondo

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, dopo la sua visita in Portogallo, si è recato in Spagna. Oggi a Madrid, ha incontrato il Re Filippo VI nel Palazzo della Zarzuela e poi il premier Mariano Rajoy nel Palazzo della Moncloa. Quindi, presso la sede della Conferenza episcopale locale, ha inaugurato con una relazione il Simposio in omaggio al Beato Paolo VI, organizzato dai vescovi spagnoli in occasione del 50.mo anniversario della costituzione della stessa Conferenza episcopale, i cui Statuti sono stati approvati da Papa Montini nel 1966.

Il porporato ha parlato del contributo di Paolo VI alla pace nel mondo, ricordando innanzitutto le tante definizioni di Montini: il Papa del dialogo, il Papa del Vaticano II, Papa dell'ecumenismo, il Papa pellegrino, il Papa della civiltà dell'amore, il Papa difensore della vita, il Papa della pace … Il cardinale Parolin è partito dal celebre appello di Paolo VI alle Nazioni Unite il 4 ottobre del 1965, "Jamais la guerre", “Mai più la guerra”. Un visita coraggiosa, senza precedenti nella storia dei Papi, ha sottolineato, preceduta dal viaggio in India nel 1964 con la proposta di un Fondo mondiale per le nazioni povere.  Nel 1967 istituisce la pontificia Commissione Justitia et Pax, trasformato poi in Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.  Sempre nel 1967 pubblica la celebre Enciclica “Populorum Progressio” in cui afferma che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.

E’ stato Montini – ha proseguito il segretario di Stato – a istituire la Giornata Mondiale della Pace, celebrata per la prima volta il primo Gennaio 1968, dinanzi ai pericoli di un conflitto nucleare nell’epoca della guerra fredda. Lancia l’Ostpolitik vaticana per riallacciare un dialogo con i Paesi del blocco sovietico e ridare voce alla Chiesa del silenzio. Molti gli appelli per la fine della guerra in Vietnam. Deciso l’impegno per la costruzione di un’Europa unita e pacificata, aperta al Terzo Mondo. Nel 1975 promuove la partecipazione della Santa Sede alla Conferenza sulla sicurezza in Europa ad Helsinki.

Negli anni settanta - ricorda il cardinale Parolin - Paolo VI ha ampliato la sua riflessione sulla pace legandola alle questioni relative all'acqua, al cibo e alle risorse petrolifere. La battaglia contro la fame nel mondo diventa sempre di più una delle principali preoccupazioni del Pontificato. Ma Papa Montini collega alla pace anche il tema dei diritti umani, la tutela delle minoranze etniche e religiose, opponendosi tra l’altro alle politiche demografiche antinataliste.

Infine, il porporato ricorda che Paolo VI, negli ultimi anni del suo Pontificato, connette sempre di più la questione della pace all’evangelizzazione. “Per il cristiano – affermava Montini – proclamare la pace è annunziare Gesù Cristo”.

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Card. Sandri in Giordania per la riapertura del Memoriale di Mosè

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Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, inizia oggi in Giordania una visita come inviato speciale del Papa in occasione della riapertura del Santuario Memoriale di Mosè sul Monte Nebo. Questo il calendario degli appuntamenti:

Sabato 15 ottobre, in mattinata, il card. Sandri visiterà il Giardino della Misericordia – incontrando i lavoratori - presso l’Our Lady of Peace center, progetto realizzato per volontà di Papa Francesco con i fondi raccolti nel Padiglione della Santa Sede ad Expo 2015. La seconda tappa sarà al Centro “Papa Francesco” in Jabal Al Webdeh, centro culturale per i giovani offerto dai Francescani del Sacro Convento di Assisi.

Nel pomeriggio, avrà luogo l’inaugurazione ufficiale, con la riapertura del Santuario e la possibilità di visitare lo scavo archeologico e i mosaici. È prevista la partecipazione di un Alto Rappresentante della Casa Reale Hashemita.

Domenica 16 ottobre, in mattinata, il card. Sandri si recherà all’Ospedale Italiano, dove incontrerà alcune famiglie siriane, e a Misdar, intrattenendosi con alcune famiglie giordane anch’esse assistite da Caritas Jordan. Poi, il card. Sandri presiederà il Solenne Pontificale, impartendo a nome del Santo Padre ai presenti la Benedizione Apostolica.

Nel pomeriggio, sulla strada per il Monte Nebo, il porporato farà sosta a Madaba, ove ha sede un altro Giardino della Misericordia, che include tra le altre una scuola di mosaico in cui hanno trovato impiego alcuni rifugiati.

Nel corso del soggiorno in Giordania, il porporato avrà alcuni incontri: con il Patriarca della Chiesa di Babilonia dei Caldei, Sako, che si trova in Giordania per la celebrazione di inizio anno scolastico per i profughi iracheni, e mons. Galantino, segretario generale della Cei, presente  nel Paese per l’inaugurazione di alcune opere realizzate con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana.

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Il Papa riceve i cardinali Filoni e Müller

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il Card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il  Card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; Mons. André Joseph Léonard, Arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel (Belgio); Mons. Pier Giorgio Micchiardi, Vescovo di Acqui (Italia).

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Convenzione tra Santa Sede e Italia in materia fiscale

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La Sala Stampa vaticana ha reso noto che oggi “è stata completata la procedura necessaria all’entrata in vigore della Convenzione tra la Santa Sede  e il Governo della Repubblica Italiana in materia fiscale, firmata nella Città del Vaticano il 1° aprile 2015, che promuove lo scambio di informazioni ai fini fiscali tra la Santa Sede e l’Italia e agevola l’adempimento degli obblighi fiscali dei soggetti fiscalmente residenti in Italia”.

“La Convenzione entra quindi in vigore il 15 ottobre 2016 e coloro che intendono aderire al regime fiscale da essa stabilito devono formulare le relative domande tramite l’Istituto per le Opere di Religione, entro il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore”.

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Oggi in Primo Piano



Siria, vertice a Losanna: speranze di tregua per Aleppo

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C’è attesa per il vertice sulla Siria convocato domani a Losanna, cui parteciperanno i capi delle diplomazie di Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia, Arabia Saudita e forse Qatar. È stato detto che l’obiettivo sarà ripristinare il cessate il fuoco raggiunto negli accordi di Ginevra del 9 settembre tra Stati Uniti e Russia e più volte violato. Intanto anche la Nato ha confermato di non prevedere alcuna presenza nel Paese martoriato dalla guerra. Da Aleppo arriva il grido di dolore delle Carmelitane che chiedono la fine dei combattimenti in ogni parte della città. Ma cosa c’è da aspettarsi da questo vertice? Roberta Barbi lo ha chiesto al prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali presso l’università di Torino: 

R. – Quello che c’è da aspettarsi è un ulteriore peggioramento di questa situazione e spero peraltro di essere smentito al più presto. Ci siamo trovati ad assistere ai tentativi disperati e disperanti di Staffan de Mistura, che andava da una parte e dall’altra dicendo: “La trattativa è in corso”. Sì, ma in quel “corso” migliaia e migliaia di persone morivano ammazzate! Per cui, abbiamo questo doppio binario: la guerra continua, ma noi trattiamo. Mi sembra veramente la fine della serietà e della professionalità della diplomazia mondiale.

D. – Le ultime dichiarazioni del ministro degli Esteri britannico Johnson – che domenica incontrerà a Londra il segretario di Stato Usa Kerry, mentre lunedì a Bruxelles ci sarà una riunione dei ministri europei sul tema Siria – hanno fatto pensare a un possibile intervento militare britannico, poi smentite dal premier May. L’Europa si conferma totalmente assente in questo conflitto…

R. – Ma questa non è una novità. È più grave – secondo me – il silenzio statunitense che non quello dell’Unione Europea. Ancora una volta, certo, va aggiunto che la natura dell’Unione Europea è tale per cui una sua presa di posizione “morale” riceverebbe molta più attenzione rispetto a quella di qualsiasi Stato, e questo perché rappresenta appunto una grande comunità, plurima e pluralistica, quindi senza quelle aspirazioni di “grande potenza” che possono avere gli altri Stati. L’Unione Europa, come al solito, ha sprecato ancora una volta un’occasione.

D. – Dopo l’8 novembre, con il cambio alla presidenza americana, si potrà ancora parlare di tregua?

R. – In campagna elettorale è chiaro che nessuno, di destra o di sinistra che sia, può dire: “Io li lascio lì a scannarsi, non me ne occuperò!”. Non ho però nessuna forte speranza che le cose possano cambiare.

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Unicef: in Iraq, il 47% degli sfollati sono bambini

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In Iraq, è imminente l’offensiva dell’esercito per liberare la città di Mosul dal sedicente Stato Islamico. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Unicef lanciano l’allarme umanitario per migliaia di persone costrette a fuggire dalle violenze. Massimiliano Menichetti ha intervistato Andrea Iacomini portavoce Unicef Italia che denuncia: "in Iraq 47 per cento degli sfollati sono bambini": 

R. – Con l’intensificarsi delle operazioni militari per la ripresa di Mosul, in Iraq abbiamo oltre un milione e mezzo di persone che rischiano di rimanere sfollate. Sono più di 213 mila gli sfollati dallo scorso maggio nell’area della città. Inoltre, i dati a nostra disposizione parlano di oltre tre milioni e mezzo di persone che risultano sfollate lungo i 106 distretti di tutto il Paese. Il dato che più emerge di tutti questi numeri è che il 47 per cento degli sfollati in Iraq sono bambini! Abbiamo più volte fatto appello alla Comunità internazionale affinché si cerchi di intervenire proprio rispetto a questa situazione perchè i bambini rispetto a quello che sta per accadere o comunque rispetto alla situazione presente sono i più vulnerabili.

D. - C’è la notizia allarmate di bambini che muoiono di fame e di sete mentre scappano da Mosul, oppure finiscono sulle mine …

R. – Sì è così. Ci sono bambini che purtroppo hanno dovuto subire mutilazioni a causa di questo, c’è una situazione molto grave! Poi c'è l’arruolamento di bambini come soldati o costretti a lavorare. Il dato più eclatante è proprio quello umanitario: oramai ci sono casi di malnutrizione acuta, malattie, mancanza di acqua, di beni di prima necessità. Noi laddove possiamo stiamo intervenendo, ma naturalmente questo non è sufficiente rispetto a quello che potrebbe accadere con la presa di Mosul. Speriamo che non si ripeta quello che sta accadendo in Siria o in Yemen, cioè la difficoltà di raggiungere chi ha bisogno nelle zone dove si combatte la battaglia.

D. - Come si può evitare questo rischio?

R. - Innanzitutto parlando con le parti in conflitto che devono prevedere dei corridoi umanitari. Mi riferisco ovviamente a chi aprirà spazi all’interno delle file dell’Is. Dietro questi spazi sarà possibile intervenire. È chiaro che con l’Is il dialogo come tutti sappiamo è complesso, se non impossibile, però in alcune zone specialmente con alcune parti non affiliate direttamente con i terroristi speriamo di riuscire perlomeno ad avere la possibilità di far passare donne e bambini.

D. - Secondo fonti locali il sedicente Stato islamico sta piazzando mine per blindare la città, questo avrebbe effetti devastanti anche sulla popolazione in fuga. È così in base alle vostre informazioni?

R. - Confermo purtroppo la nostra preoccupazione rispetto alla presenza di ordigni, di mine disposte sulla gran parte del territorio. Questo si aggiunge alle problematiche relative alla situazione umanitaria.

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Unesco: risoluzione su Spianata delle moschee. Israele sospende rapporti

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La Commissione esecutiva dell'Unesco ha approvato una risoluzione che chiede a Israele di ripristinare lo Status Quo riguardo all'accesso alla Spianata delle Moschee (Al Ahram al sharif) dove sorge la Moschea di al Aqsa. La risoluzione su Gerusalemme - riferisce l'agenzia Fides - è stata presa ieri, durante la 200esima sessione della Commissione Esecutiva Unesco, tenutasi a Parigi. 

Nel testo si chiede ad Israele di consentire il ripristino dello status quo
Il testo della risoluzione, intitolato “Palestina Occupata”, presentato dalla delegazione palestinese in coordinamento con quella giordana, chiede di considerare i termini “Al Aqsa” e “Al Haram Al Sharif” (che in arabo significa “il nobile Santuario”) come sinonimi, e la “Porta Mughrabi" (Bab Al Magharbeh) come parte integrante e inscindibile di Al Aqsa. Si chiede inoltre che Israele consenta il ripristino dello status quo in vigore fino a settembre 2000, ossia la situazione nella quale il Dipartimento giordano per le dotazioni religiose (Awqaf) esercitava l'autorità su Al Aqsa/Al Haram Al Sharif, regolandone anche l'accesso e la manutenzione. Nel testo predisposto dall'Unesco si respingono "le crescenti aggressioni israeliane e le misure illegali contro il Dipartimento Awqaf e il suo personale, e contro la libertà di culto e di accesso dei musulmani a Al Aqsa/Al Haram Al Sharif”". Inoltre, si deplora "l'assalto continuo di Al Aqsa da parte di estremisti israeliani e di forze in uniforme".

La risoluzione dovrà essere votata anche dal Consiglio generale dell'Unesco
La risoluzione appare in linea con i recenti interventi di parte giordana volti a riaffermare il patrocinio della Monarchia hascemita sui Luoghi Santi – musulmani e cristiani – di Gerusalemme. Il testo è stato approvato nella Commissione esecutiva Unesco (dove sono rappresentati 58 Paesi) con 24 voti a favore, 6 contrari, 26 astensioni (i rappresentanti di due Paesi erano assenti). Tra i voti contrari figurano quelli di Stati Uniti e Gran Bretagna, mentre i rappresentanti di Francia e Spagna si sono astenuti. La risoluzione dovrà essere votata anche dal Consiglio generale dell'Unesco. Ma ha già suscitato reazioni negative da parte israeliana, che ha presentato la risoluzione come un tentativo di negare i legami storici tra il popolo ebraico e il Monte del Tempio, su cui sorge la Spianata delle Moschee.

Israele ha deciso di sospendere la cooperazione con l'Unesco 
I
l ministro israeliano dell'Educazione Naftali Bennett ha inviato una lettera alla direttrice Irina Bokova, accusando l'organizzazione di "fornire supporto al terrorismo". Nella lettera, pubblicata su twitter, il ministro annuncia la sospensione, da subito, di "tutte le relazioni con l'Unesco. "Non ci saranno incontri con i suoi rappresentanti" e "non parteciperemo alle conferenze internazionali", si legge. Dal canto suo il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha definito la risoluzione adottata dall'Unesco come un testo dal “teatro dell'assurdo”. "Negare i legami ebraici con il Monte del Tempio - ha detto - è come negare quelli della Cina con la Grande Muraglia o quegli degli egiziani con le Piramidi". (G.V.)

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Pakistan. Istanza alla Corte Suprema: nuovo giudice per Asia Bibi

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Nominare in tempi stretti un nuovo giudice o un nuovo collegio per esaminare il caso di Asia Bibi: come riferisce l'agenzia Fides, è questa la richiesta inoltrata al giudice capo della Corte Suprema dalla difesa legale di Asia Bibi, all'indomani del rinvio per l'udienza nel caso di blasfemia che la riguarda. La donna cristiana, condannata in primo grado e in appello, attende il giudizio della Corte Suprema. I legali di Asia confidano che la Corte possa compiere questa nomina e fissare una nuova udienza entro poche settimane.

Nonostante il rinvio, resta la fiducia nella giustizia
"Anche dopo il rinvio restiamo fiduciosi che la Corte potrà cancellare le accuse verso Asia" dice a Fides Nasir Saeed , direttore dell'Ong "Claas" (Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement) , che segue il caso e fornisce assistenza legale gratuita a molti altri cristiani accusati ingiustamente e, da indigenti, bisognosi di una difesa legale.

In caso di verdetto favorevole, rischio di violenze contro i cristiani
​"Tuttavia - aggiunge - temo anche che, con un verdetto a lei favorevole, possano esserci ripercussioni negative o violenze gratuite contro i cristiani in Pakistan. Se invece la condanna fosse confermata , allora ci si potrà ancora appellare al Presidente del Pakistan, che ha il potere di concedere una grazia".
Nasir Saeed rileva "le pressioni degli estremisti" e ricorda che "finora nessuno è stato giustiziato per blasfemia in Pakistan". "E 'molto importante che il governo prenda la questione sul serio e adotti adeguate misure di sicurezza prima del processo" , invitando le istituzioni a "garantire protezione e aiuto alle vittime di false accuse di blasfemia e allo loro famiglie" . (P.A.)

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Eutanasia in Olanda. Gigli: la società ridia valore alla vita

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“In Olanda si vuol introdurre un principio che contrasta con i fondamenti delle democrazie occidentali che fanno leva sulla solidarietà”. Ad affermarlo è Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, in merito alla notizia secondo cui l’Olanda potrebbe legalizzare il suicidio assistito per le persone che sentono di aver 'completato la propria vita', anche se non sono malate terminali. "Una cultura nazionale in cui il valore della vita è andato perso e che fotografa un paese ormai perduto”, scrive in una nota l’on. Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita italiano. Ascoltiamo il suo commento al microfono di Adriana Masotti

R. – Diciamo che di fronte a quella notizia si rimane stupefatti, cioè il pendio scivoloso su cui l’Olanda da tempo si è avviata e il Belgio con essa, sembra non avere termine. Quando si arriva al punto che un governo nazionale, nella persona del ministro della Salute, addirittura, oltre che di quello della Giustizia, finalizza il Servizio sanitario nazionale a un’opera di suicidio assistito dalle strutture sanitarie di tutti coloro che ne facciano richiesta, perché semplicemente sono stanchi di vivere, vuol dire che c’è una perversione del sistema politico e del sistema sanitario stesso, che ormai è evidente.

D. – Sono le motivazioni di questa eventuale richiesta di suicidio assistito che spaventano, possiamo dire: perché i ministri olandesi parlano in generale di persone che non riescono più a dare un senso alla propria vita, che vivono male la loro perdita di indipendenza, che hanno un sentimento di solitudine …

R. – Fa impressione, certamente sì! A me lascia intravvedere i contorni pericolosi di un’operazione nella quale l’uomo, ridotto esclusivamente alla sua fase di produzione, di efficienza, non ha più valore alcuno e rischia quindi di essere poi accompagnato fuori dalla porta o indotto a pensare di sentirsi di troppo, in questa società.

D. – Come si sente un medico, come lei, ad esempio, quando sente dire che di fronte al dolore o alla depressione viene proposta l’eutanasia? Ecco, la scienza non si sente umiliata anche nella sua ricerca?

R. – Eh … ma vede, il dramma è proprio questo, cioè che purtroppo la medicina contemporanea è entrata nella dimensione non più del giuramento ippocratico – non far male al paziente – e stabilire con il paziente un’alleanza terapeutica. La nostra medicina contemporanea sta entrando sempre più nella dimensione della medicina dei desideri, dove tu sei un tecnico esecutore di ordini, in qualche maniera. E io, perché non debbo aiutarti, se vivo in una dimensione contrattualistica? A me, come medico, la prima tentazione che viene è quella di dire: “Ho studiato invano e butto via il camice”. Poi subentra la reazione e penso che questa nostra società e questa nostra medicina abbiano bisogno di una forte testimonianza alternativa.

D. – C’è però anche tutta una ricerca e anche delle acquisizioni ormai, per quanto riguarda le cure palliative il contrasto al dolore …

R. – Certo! Ma infatti, il dramma maggiore è proprio che stiamo rinunciando a fare i medici. Ma un depresso è un malato, sì o no? A me avevano insegnato di sì. Di fronte a una malattia, che cosa faccio? La curo. E ho anche gli strumenti per curarla. Abbiamo a disposizione oggi farmaci molto efficaci. Allora, noi rinunciamo a curare, rinunciamo ad accompagnare, stiamo rinunciando all’essenza della nostra professione medica.

D. – Poi, dal punto di vista sociale ci si sente male vedendo ipotizzare tra noi non uno spirito di sostegno alla vita, ma un’assistenza alla morte. Si dice che sia crescente il desiderio, nella società, di poter porre fine alla propria vita: c’è chi invece si impegna a dare senso, a dare anche ai giovani motivi per vivere …

R. – E’ quello che cerchiamo di fare come Movimento per la Vita. Credo che sia più in generale il compito di ogni cristiano: ridare speranza, ridare significato a una società intera che lo sta smarrendo. Di fronte a tutto questo, noi dobbiamo ridare cittadinanza a tutti i più deboli, dobbiamo dare significato a quelle forme di vita umana che apparentemente non sembrano né belle né produttive. Dobbiamo – per dirla con il Papa – riprendere in mano una società che è avviata verso la cultura dello scarto e trasformarla invece in una società nella quale ogni vita ha la sua pienezza di significato.

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Vescovi francesi: politica non sia ostaggio di ambizioni smisurate

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“Se prendiamo la parola oggi, è perché amiamo il nostro Paese e siamo preoccupati della sua situazione”. Si apre così la Lettera che il Consiglio permanente dei vescovi francesi rivolge “agli abitanti del Paese” con il titolo “In un mondo che cambia, ritrovare il senso della politica”. Un testo impegnativo - riferisce l'agenzia Sir - suddiviso in 10 paragrafi in cui l’episcopato di Francia passa in rassegna punto per punto gli aspetti problematici che stanno mettendo a dura prova la vita della nazione: crisi economica e recessione, tensioni sociali, disoccupazione e sentimento di ingiustizia, differenza culturale e integrazione, giovani e derive jihadiste, educazione e questione sicurezza.

Non restare sordi o indifferenti alle situazioni difficili che vive il Paese
“Bisogna essere sordi o ciechi – scrivono i presuli - per non rendersi conto della stanchezza, delle frustrazioni, delle paure e anche della rabbia che abitano una parte importante degli abitanti del nostro Paese e che esprimono un profondo desiderio di cambiamento. Bisogna essere indifferenti e insensibili per non essere toccati dalle situazioni di precarietà ed esclusione che vivono molti sul nostro territorio nazionale”.

Politica ricerchi il bene comune
Per sua natura e vocazione – ribadisce la Cef – la politica è chiamata a ricercare “il bene comune”, a “prediligere l’interesse generale su quello di parte”. Ma la realtà è diversa: i vescovi d’Oltralpe descrivono una politica ostaggio di “ambizioni personali smisurate, manovre e calcoli elettorali, promesse non mantenute, visioni totalmente sganciate dalla realtà, assenza di progetto e visione a lungo termine, comportamenti di parte e demagogici”.

Superare i paradossi sociali e rispondere alle attese della popolazione
Il documento episcopale – spiega all’agenzia Sir mons. Pascal Delannoy, membro del Consiglio permanente e vescovo di Saint-Denis “prepara certamente alle prossime elezioni presidenziali, ma la sua pertinenza resta assolutamente valida al di là delle elezioni. È l’invito a riscoprire il senso del politico che deve avere un progetto. Solo chi ha una visione di società può rispondere alle attese della gente e superare i tanti paradossi che sta vivendo la società francese”. I vescovi – aggiunge– hanno voluto provocare “una riflessione di fondo sul posto della politica oggi nella nostra società”, che oggi sembra “sempre più concentrata a gestire i problemi economici e finanziari ed incapace a rispondere alle attese più profonde della gente”.

No agli estremismi, puntare su dialogo e confronto pacifico
I presuli di Parigi evidenziano, quindi, che la crisi della politica è anzitutto crisi della parola che troppo spesso si trasforma in “menzogna, corruzione”: “Si fa sempre più sottile – si legge nel documento - il margine tra chi non crede più nella politica e si disinteressa della vita pubblica e chi, pieno di rabbia, si orienta verso gli estremi”. Questo “è il paradosso – aggiunge mons. Delannoy – di vivere in una società che dispone di molti mezzi comunicativi, ma in cui le persone hanno sempre più difficoltà a dialogare tra loro. Non c’è più capacità di confronto, dialogo, parola e le divergenze di opinione e pensiero, invece di essere accolte e ascoltate, terminano in maniera conflittuale”.

Necessario l’impegno di tutti
​Di qui, l’invito conclusivo della Cef: “Ciascuno, per quello che gli compete, è responsabile della vita e dell’avvenire della nostra società. Ciò richiede coraggio e audacia, qualità che non sono mai mancate dal cuore del nostro Paese”. Quindi i vescovi concludono: “Le vere soluzioni ai problemi profondi della nostra epoca non arriveranno né dalla ripresa economica e finanziaria, benché importante, né dai gesti e dagli atteggiamenti di qualcuno. Verranno dall’ascolto personale e collettivo dei bisogni più profondi dell’uomo, e dall’impegno di tutti”. (Maria Chiara Biagioni)

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Vescovi Singapore: appello contro il gioco d’azzardo online

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È un forte appello contro il gioco d’azzardo online quello lanciato da mons. William Goh, arcivescovo di Singapore, in una Lettera pastorale diffusa in questi giorni. La missiva arriva dopo che il governo locale ha rivisto la legge che impedisce di giocare d’azzardo su web, rendendo possibile il gioco, pur se con alcune limitazioni.

Gioco d’azzardo rischia di diventare una schiavitù
“Condividiamo le preoccupazioni di tanti cittadini di Singapore – scrive il presule – sulle implicazioni morali e sociali del gioco d’azzardo sulla società, in particolare sulla famiglia e sull’invasione di questo vizio nelle nostre case”. Di qui, l’esortazione di mons. Goh a non dimenticare gli insegnamenti della Chiesa in materia: come si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica, infatti, “i giochi d'azzardo o le scommesse diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù”.

Allarme per bambini ed anziani, vittime innocenti di questa piaga sociale
“In ogni forma di Stato – continua l’arcivescovo di Singapore – la Chiesa si distingue non solo per la tutela dei diritti individuali di ogni persona, ma anche  per la promozione del bene di tutti nella società”. Per questo, il presule sottolinea i rischi rappresentati dal gioco d’azzardo, soprattutto in caso di perdita di grosse somme di denaro: distruzione della famiglia, tendenza al suicidio, furti e prostituzione per pagare i debiti, mentre “bambini e anziani diventano presto vittime innocenti di questa piaga” sociale.

I pericoli del gioco d’azzardo online
In particolare, aggiunge mons. Goh, la Chiesa cattolica si dice “preoccupata per i possibili effetti negativi della diffusione di una ‘cultura del gioco’  a Singapore”, dal momento che “non tutti i giocatori sono in grado di agire con prudenza o secondo coscienza”. E ciò è vero soprattutto per quanto riguarda il gioco d’azzardo online, praticato “nel comfort, nella comodità e nella privacy di casa, in cui la tentazione è maggiore e l’opportunità di giocare può divenire un’abitudine compulsiva”. 

Mantenere alta la sicurezza e tutelare le famiglie
Inoltre, pur apprezzando il fatto che il governo abbia messo in atto “misure restrittive” per ridurre al minimo gli effetti negativi del gioco d’azzardo su web, l’arcivescovo di Singapore chiede, tuttavia, allo Stato un monitoraggio costante per mantenere alti i livello di sicurezza in un contesto informatico in costante sviluppo e per “preservare la pace e la sicurezza delle famiglie da eccessi dovuti al gioco sfrenato”.

Trovare soluzioni durature
​“La Chiesa cattolica – è l’appello di mons. Goh - chiede alle autorità di prendere tutte le misure necessarie per aiutare coloro che possono cadere vittima del gioco d'azzardo online”. Infine, il presule lancia un appello a tutti i componenti della società  affinché collaborino nel combattere il gioco d’azzardo e “trovino soluzioni durature ai problemi della società”. (I.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 288

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.