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Sommario del 22/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: dialogo essenziale per la Chiesa, ascoltare è abbattere muri

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Il dialogo è un’esigenza “ineludibile” per la Chiesa. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza giubilare in una Piazza San Pietro gremita da centomila fedeli. Il Pontefice ha quindi ribadito che in famiglia come sul posto di lavoro bisogna sempre saper ascoltare l’altro. Il servizio di Alessandro Gisotti

Gesù incontra la Samaritana e, anche se è una peccatrice, l’ascolta ed inizia un dialogo con lei. Papa Francesco ha preso spunto dal brano del Vangelo di Giovanni per sottolineare l’importanza del dialogo nella vita dei cristiani. Una catechesi svolta davanti ad una moltitudine di fedeli, almeno centomila persone secondo la Sala Stampa vaticana, che hanno gremito Piazza San Pietro in occasione della penultima udienza giubilare.

Se vogliamo dialogare davvero, non interrompiamo gli altri
Il dialogo, ha detto il Papa, è anzitutto un “segno di grande rispetto”, ma è pure "espressione di carità” perché, “pur non ignorando le differenze, può aiutare a ricercare e condividere il bene comune”. Quindi, ha constatato che spesso non “ascoltiamo abbastanza” oppure interrompiamo l’altro “per dimostrare di avere ragione”:

“Ma quante volte, quante volte stiamo ascoltando una persona, la fermiamo [e diciamo]: ‘No! No! Non è così!’ e non lasciamo che la persona finisca di spiegare quello che vuole dire. E questo impedisce il dialogo: questa è aggressione. Il vero dialogo, invece, necessita di momenti di silenzio, in cui cogliere il dono straordinario della presenza di Dio nel fratello”.

La Chiesa vive dialogando con gli uomini di ogni tempo
Dialogare, ha ripreso, “aiuta le persone a umanizzare i rapporti e a superare le incomprensioni”. Ed ha evidenziato che anche nelle nostre famiglie “si risolverebbero più facilmente le questioni se si imparasse ad ascoltarsi vicendevolmente”. È, questo, ha ripreso vale anche “nel rapporto tra marito e moglie, e tra genitori e figli”:

“Quanto aiuto può venire anche dal dialogo tra gli insegnanti e i loro alunni; oppure tra dirigenti e operai, per scoprire le esigenze migliori del lavoro. Di dialogo vive anche la Chiesa con gli uomini e le donne di ogni tempo, per comprendere le necessità che sono nel cuore di ogni persona e per contribuire alla realizzazione del bene comune. Pensiamo al grande dono del creato e alla responsabilità che tutti abbiamo di salvaguardare la nostra casa comune: il dialogo su un tema così centrale è un’esigenza ineludibile”.

Il dialogo abbatte i muri delle divisioni e delle incomprensioni
Pensiamo al dialogo tra le religioni, ha soggiunto, e a quanto questo possa contribuire “alla costruzione della pace e di una rete di rispetto e di fraternità”. Tutte le forme di dialogo, ha affermato, “sono espressione della grande esigenza di amore di Dio, che a tutti va incontro e in ognuno pone un seme della sua bontà, perché possa collaborare alla sua opera creatrice”:

“Il dialogo abbatte i muri delle divisioni e delle incomprensioni; crea ponti di comunicazione e non consente che alcuno si isoli, rinchiudendosi nel proprio piccolo mondo. Non dimenticatevi: dialogare è ascoltare quello che mi dice l’altro e dire con mitezza quello che penso io. Se le cose vanno così, la famiglia, il quartiere, il posto di lavoro, saranno migliori”.

Il dialogo è un segno della misericordia di Dio
Oggi si urla troppo, ha ripreso Francesco, e si urla senza lasciar parlare l’altro. Il Papa raccomanda invece di “ascoltare, spiegare”, “non abbaiare all’altro, non urlare: cuore aperto”. “Gesù ben conosceva quello che c’era nel cuore della samaritana, una grande peccatrice – ha concluso – ciononostante non le ha negato di potersi esprimere, l’ha lasciata parlare fino alla fine, ed è entrato poco alla volta nel mistero della sua vita”:

“Questo insegnamento vale anche per noi. Attraverso il dialogo, possiamo far crescere i segni della misericordia di Dio e renderli strumento di accoglienza e rispetto”.

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Francesco ricorda il "Non abbiate paura" di Giovanni Paolo II

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Un pensiero particolare, durante i saluti al termine dell'udienza giubilare, il Papa lo ha rivolto ai pellegrini polacchi nel giorno della Memoria liturgica di San Giovanni Paolo II. Francesco ne ha rilanciato l’eredità spirituale con l’invito ad essere, come Lui, perseveranti nella fede, ed è tornato col pensiero anche ai momenti salienti della Giornata mondiale della Gioventù dell’estate scorsa a Cracovia. Le parole del Papa nel servizio di Gabriella Ceraso

Giovanni Paolo II: fede plasmata nella storia
“Esattamente trentotto anni fa, quasi a quest’ora, in questa Piazza risuonavano le parole rivolte agli uomini di tutto il mondo: Non abbiate paura! (…) Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”.

Era il 22 ottobre del 1978 inizio del Pontificato di San Giovanni Paolo II che aveva plasmato, ricorda Francesco, la sua “profonda spiritualità” nella millenaria eredità storico culturale polacca e che era per Lui “fonte di speranza, potenza e coraggio”, con cui esortava il mondo ad accogliere Cristo:

“Quest’invito si è trasformato in un’incessante proclamazione del Vangelo della misericordia per il mondo e per l’uomo, la cui continuazione è quest’Anno Giubilare”.

Siate testimoni dell'amore di Dio
Ai pellegrini polacchi di oggi il Papa augura dunque la stessa "perseveranza nella fede, nella speranza e nell’amore" ricevuti in eredità e che, grazie all'appello del "grande Connazionale" si risvegli in ciascuno la "fantasia della misericordia", per continuare ad essere testimoni dell’amore di Dio a chi ne ha bisogno.

Quindi la memoria di Francesco va alla Gmg di Cracovia del luglio scorso, a 1050 anni dal Battesimo ricevuto dal popolo polacco e il suo grazie “immenso a Dio” è  innanzitutto per aver conosciuto la patria del suo amato predecessore:

“Rendo grazie anche per il silenzio concessomi nel luogo del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. In questo silenzio il messaggio della misericordia assume un’inaudita importanza!".

Un grande applauso ha accolto le parole di Papa Francesco quando ha parlato di Giovanni Paolo II. Ma ascoltiamo dai fedeli presenti in Piazza San Pietro cosa ricordano di Papa Wojtyła: 

R. – Tanta bontà ho visto nei suoi occhi, ho sentito nella sua voce. E poi anche una apertura ai giovani, una disponibilità ad ascoltare le problematiche di questa era. E’ un po’ un messaggio di speranza, senza discriminazioni e senza barriere.

R. – La sua visione globale del mondo, viste le sue origini sofferenti in quei Paesi sotto l’Unione Sovietica. Quindi ha avuto una visione, è riuscito ad attuare una svolta, riuscendo ad avvicinare l’Est riportandolo sulla via della democrazia e della fede.

D. – Un ricordo particolare, anche lui, lo ha lasciato per come ha vissuto la malattia…

R. – Dobbiamo far riferimento a lui, perché lui ci ha dimostrato di essere un Papa-uomo: ha sofferto come tutti noi e ha dimostrato di saper soffrire. A volte anche con degli scatti quasi di rabbia, quando non poteva parlare… E’ quello che ce lo ha fatto essere tanto caro!

R. – E’ stato mitico, specialmente nelle Giornate mondiali per i giovani, nei suoi viaggi di evangelizzazione, di preghiera. E’ stato un santo in vita e un santo è adesso.

D. – Papa Francesco oggi lo ricorda come un testimone di fede…

R. – Ha dato molto! Ha aperto le porte per entrare nella fede: ha evangelizzato tanto, tanto! In tutto il mondo… Speriamo che ci aiuti dall’aldilà. Anche mia mamma è morta per la stessa malattia e diceva, guardandolo in televisione: “Il Papa è ammalato come me”… Mi viene solo da piangere e da pregare.

D. – Da dove viene?

R. – Provengo dalla Polonia.

D. – Oggi memoria liturgica di Giovanni Paolo II. E un saluto particolare Papa Francesco lo rivolge proprio al popolo polacco. Cosa è stato per la Polonia, per i giovani polacchi in particolare, Giovanni Paolo II, ora santo?

R. – Bisogna anzitutto ricordare le sue parole “Non abbiate paura”. Per noi, per noi giovani polacchi, la sua lezione era proprio un segno a non aver paura di niente, ad andare controcorrente. E i valori cristiani, i valori della vita, i valori della famiglia sono un po’ controcorrente e il suo messaggio per i giovani è questo: non abbiate paura anche di essere cristiani e di testimoniarlo. I giovani che hanno potuto incontrare Giovanni Paolo II ricordano anche una cosa particolare: il suo sguardo. Quando vedevano Giovanni Paolo II e lui li guardava, pensavano: “Il Papa guarda proprio a me! Non gli altri, ma proprio me!”. Questo valore di incontro personale: incontro personale con il Papa, ma poi anche un incontro personale con Dio.

R. – In tanti di noi abbiamo scoperto la vocazione grazie a lui: lui parlava di quanto fosse bello dare la vita a Dio e che vale la pena sempre dare la vita a Dio. A Madrid - per esempio - ha detto a noi giovani che erano 56 anni che aveva dato la vita a Cristo e che valeva la pena dedicare la propria esistenza per la causa di Cristo. E ha incoraggiato, tutti quelli che sentivano la chiamata, a seguirlo e a dare tutto per Cristo. Io sono entrata in quel momento e so anche di tanti miei amici che hanno scelto la vocazione grazie alle sue parole e al suo esempio. Ed era già grande e malato: è morto l’anno dopo… Grazie al suo esempio noi abbiamo seguito Cristo.

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Papa: sostenere con preghiera e aiuti annuncio del Vangelo nel mondo

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All’udienza giubilare il Papa ha ricordato la 90.esima Giornata Missionaria mondiale che si celebra questa domenica: un momento importante di condivisione concreta delle necessità della Chiesa universale e di riflessione sulla sua chiamata ad annunciare ovunque il Vangelo. Il servizio di Adriana Masotti

“Alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale, tutti esorto ad accompagnare con la preghiera e con l’aiuto concreto l’azione evangelizzatrice della Chiesa nei territori di missione”.

Così Papa Francesco ai tanti pellegrini in Piazza San Pietro. Già nell’udienza generale di mercoledì scorso aveva definito la Giornata “occasione preziosa per riflettere sull’urgenza dell’impegno missionario della Chiesa e di ciascun cristiano". "Anche noi, aveva detto Francesco, siamo chiamati ad evangelizzare nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo”. Nel suo messaggio, pubblicato il 15 maggio, sul tema: "Chiesa missionaria, testimone di misericordia", il Papa scrive: “La Chiesa si prende cura di quanti non conoscono il Vangelo perché desidera che tutti siano salvi e giungano a fare esperienza dell’amore del Signore". La Chiesa, prosegue, "ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, e di proclamarla in ogni angolo della Terra”.

Il mandato di Gesù, "Andate e fate discepoli", “non si è esaurito, scrive ancora Francesco, anzi ci impegna tutti, nei presenti scenari e nelle attuali sfide, a sentirci chiamati a una rinnovata ‘uscita’ missionaria. E il Papa sottolinea la crescente presenza delle donne e delle famiglie nel mondo missionario, tramite l’annuncio del Vangelo o il servizio caritativo. “Ogni popolo e cultura, ribadisce il Papa, ha il diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti”. Il Vangelo del perdono e della misericordia, infatti, porta “gioia e riconciliazione, giustizia e pace”.

Questa domenica in tutta la Chiesa cattolica, si tiene una colletta su scala universale per i bisogni della missione: le offerte dei fedeli serviranno alla formazione dei sacerdoti e dei catechisti, alla costruzione di nuove chiese, ad aiutare le comunità cristiane bisognose, anche mediante l’assistenza socio-sanitaria e l’istruzione scolastica per l’infanzia.

“Non ci sottraiamo a questo gesto di comunione ecclesiale missionaria”, è l’appello con cui si conclude il messaggio del Papa. “Non chiudiamo il cuore nelle nostre preoccupazioni particolari, ma allarghiamolo agli orizzonti di tutta l’umanità”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine clicca il link al Bollettino della Sala Stampa.

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Santa Sede-Vietnam: dal 24 al 26 ottobre incontro in Vaticano

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Si terrà in Vaticano dal 24 al 26 ottobre, come concordato, il sesto incontro del Gruppo di Lavoro tra la Santa Sede e la Repubblica Socialista del Vietnam, al fine di sviluppare e approfondire le relazioni bilaterali tra le due Parti. Lo riferisce un comunicato della  Sala Stampa della Santa Sede. La Delegazione della Santa Sede sarà guidata da mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati; la Delegazione vietnamita sarà guidata dal vice-ministro degli Affari Esteri, Bui Thanh Son.

L’ultimo incontro bilaterale, il quinto, si era svolto ad Hanoi nel settembre 2014. In un comunicato congiunto la Delegazione della Santa Sede aveva apprezzato l’appoggio fornito a tutti i livelli dalle competenti autorità alla Chiesa cattolica in Vietnam per lo svolgimento della propria missione, prendendo inoltre nota degli sviluppi nelle politiche religiose del Vietnam, recepite nella Costituzione emendata del 2013. La Delegazione della Santa Sede aveva confermato di attribuire grande importanza allo sviluppo delle relazioni con il Vietnam in particolare e con l’Asia in generale.

Il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, si era recato nel gennaio 2015 in visita pastorale in Vietnam in occasione del 400° anniversario dell’evangelizzazione del Paese, incontrando tutte le realtà della Chiesa locale che rappresenta quasi il 10% della popolazione. “Una chiesa vivissima” aveva detto. Il porporato aveva potuto incontrare anche le autorità vietnamite. In una intervista alla Radio Vaticana aveva detto: “Ho ribadito che il dialogo è l’elemento fondamentale per la comprensione reciproca, ma che alla base del dialogo ci deve essere stima. E la stima che la Santa Sede ha per il popolo del Vietnam si traduce anche in amore, quindi non è solo un aspetto puramente formale di stima, ma che scende nel profondo e diventa affetto, amore. La Chiesa ha un profondo affetto, un profondo amore per il popolo vietnamita, in particolare per la sua comunità cristiana. Dunque mi è sembrato di cogliere elementi positivi che rafforzano quel dialogo che già c’è e che speriamo, naturalmente, possa ancora progredire”. 

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Accordo Santa Sede-Benin su Statuto giuridico della Chiesa

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Venerdì 21 ottobre, presso la sede del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione a Cotonou, è stato firmato l’Accordo Quadro tra la Santa Sede e il Benin relativo allo Statuto giuridico della Chiesa cattolica nel Paese africano. Per la Santa Sede ha firmato mons. Brian Udaigwe, arcivescovo titolare di Suelli e nunzio apostolico in Benin, e per la Repubblica del Benin il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Aurélien Agbenonci.

L’Accordo Quadro, costituito da un preambolo e 19 articoli, garantisce alla Chiesa la possibilità di svolgere la propria missione nel Benin. In particolare, viene riconosciuta la personalità giuridica della Chiesa e delle sue Istituzioni. Le due Parti, pur salvaguardando l’indipendenza e l’autonomia che sono loro proprie, si impegnano a collaborare per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la promozione del bene comune. L’Accordo Quadro entrerà in vigore con lo scambio degli Strumenti di Ratifica.

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33 anni fa nasceva il Centro Televisivo Vaticano

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Trentatré anni fa nasceva il Centro Televisivo Vaticano voluto da San Giovanni Paolo II nel 1983. Scopo principale del CTV è quello di “contribuire all’annuncio universale del Vangelo, documentando con le immagini il ministero pastorale del Papa e le attività della Sede apostolica”, celebrazioni, udienze, Angelus, Messe, viaggi papali e altre manifestazioni, in collaborazione con organi di informazione nazionali e internazionali. Di particolare qualità la produzione di documentari in diverse lingue oltre alla presenza di un prezioso archivio di immagini televisive. Oggi il CTV è impegnato nell’utilizzo di nuove tecnologie per la diffusione del messaggio del Papa. Luca Collodi ne ha parlato con Stefano D’Agostini, direttore del Centro Televisivo Vaticano: 

R. – Già nel 1983, quando San Giovanni Paolo II ebbe questa forte volontà, questa intuizione e istituì il “Centrum Televisificum Vaticanum”, mettendo alla prova i latinisti vaticani per trovare la parola “televisivo”, che naturalmente in latino non era contemplata, aveva  già questa visione del futuro. Negli anni, anche attraverso la guida di grandi esponenti del mondo televisivo come Emilio Rossi, che in un’udienza con Giovanni Paolo II parlò del Centro televisivo come di un bambino che stava crescendo, ecco, oggi, questo bambino è arrivato a 33 anni guardando sempre al futuro e alla tecnologia con un’ottica particolare: non vogliamo cavalcare la tecnologia ma vogliamo domarla, se mi passate il termine, proprio per metterla al servizio della potenza del messaggio.

D. – Per questo, direttore D’Agostini, vale la pena ricordare la digitalizzazione dell’archivio del CTV…

R. – E’ stata una forte volontà, nel 2013, dell’attuale Prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò: appena arrivato al CTV ebbe, appunto, questa forte volontà di far fare un passo in avanti all’archivio perché, secondo la sua visione – assolutamente condivisibile – “gli storici d’ora in poi leggeranno la Storia attraverso le immagini che noi proporremo. E tanto più saranno di qualità, tanto più il materiale avrà una lunga vita”.

D. – I contenuti, le immagini e quindi una piattaforma per la gestione dei contenuti …

R. – Sì. Qui facciamo un piccolo accenno anche alla grande riforma che ci vede coinvolti. Ormai siamo vicini al punto di unione tra Radio Vaticana e Centro Televisivo. E’ la riforma dei media vaticani voluta da Papa Francesco che è affidata proprio alla Segreteria per la Comunicazione. Ormai il mondo si muove verso il multimediale, quindi l’audio, il video, la rete diventano una fonte inesauribile di immagini, di suoni, di testo. Tutto questo ci porta a essere propositivi per il futuro: nuove tecnologie, nuovi contenuti, nuovi linguaggi adattati, sempre, con l’occhio alla diffusione del Magistero.

D. – D’Agostini, la sfida ora è quella dell’Ultra Hd, il 4K: tv che sono già in commercio…

R. – Certo. Noi abbiamo già sperimentato la tecnica dell’Ultra Hd e, se non proprio in anteprima, tengo però a dare questa notizia attraverso la Radio Vaticana: la chiusura dell’Anno Santo, il prossimo 20 novembre, sarà ripresa e registrata, naturalmente, in tecnica 4K Ultra Hd con l’aggiunta di un’ulteriore sigla, l’Hdr, High Dynamic Range, cioè un’immagine che si avvicina sempre di più alla percezione dell’occhio umano. La trasmissione verrà diffusa via satellite e chi avrà già a casa il televisore in 4K, potrà apprezzare ed essere ancora più immerso in queste immagini spettacolari.

D. – Molte tv nazionali e internazionali richiedono le immagini di Papa Francesco. Che tipo di servizio offre il CTV ai grandi network ma anche alla gente che, ad esempio, nell’area italiana vi può seguire direttamente in chiaro sui canali del Digitale Terrestre?

R. – Ecco, ho forse un po’ tralasciato, parlando di queste grandi tecnologie, il discorso fondamentale per noi, di essere indirizzati anche verso chi non ha tutta questa tecnologia. Noi partiamo dall’alta qualità per declinarla fino alla videocassetta o al dvd da consegnare, da spedire, alle suore in Africa che provvedono poi in piccole comunità a mostrare le cerimonie del Santo Padre. E’ chiaro che il Pontificato di Papa Francesco è seguitissimo, c’è una fame di immagini del Santo Padre veramente incredibile, e naturalmente tutti i grandi network mondiali fanno riferimento alla nostra – come la chiamiamo usando un gergo internazionale – news agency, cioè la distribuzione delle immagini dell’attività quotidiana del Papa. Ma c’è anche la ri-diffusione delle grandi cerimonie: in Italia, Tv2000, la televisione dei vescovi, e Telepace sono i due network che ripetono sul territorio tutto quello che noi produciamo.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: si combatte intorno a Mosul, in Siria vittime a Idlib

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Prosegue per il sesto giorno consecutivo l’offensiva dei governativi a Mosul: le truppe avanzano verso Sud-Est, nella cittadina di Hamdaniyah, mentre si combatte anche a Nord-Est, nel villaggio di Tal Kayf. A Kirkuk, intanto, riprendono le violenze. Sul fronte siriano, sono almeno 24 i morti - tra cui 4 bambini - e 70 i feriti nell’ultimo raid sulla provincia di Idlib. Il servizio di Roberta Barbi

È praticamente circondata, Mosul, la città irachena considerata roccaforte del sedicente Stato islamico in cui da sei giorni è in corso l’offensiva della coalizione. Violenti combattimenti si registrano a Nord-Est, nel villaggio di Tal Kayf, dove i peshmerga curdi hanno sfondato le linee del Califfato, mentre a Sud-Est, a Hamdaniyah, città abbandonata dai jihadisti, oggi sventola la bandiera dei governativi. Riprendono per il secondo giorno consecutivo gli scontri anche a Kirkuk, dove finora sono almeno 48 i miliziani dell’Is uccisi, mentre è di almeno 15 donne il bilancio delle vittime di un raid effettuato probabilmente dall’aviazione irachena per errore su una moschea sciita nel distretto di Daquq. Nella notte riprese anche le violenze tra i curdi peshmerga e i jihadisti nei pressi di Laylan, mentre è venuta alla luce l’esecuzione di almeno 284 tra uomini e ragazzi da parte dell’Is tra giovedì e ieri, seppelliti poi in fosse comuni. È atteso oggi a Baghdad il segretario della Difesa Usa, Carter, per valutare i progressi delle operazioni; ieri in Turchia ha raggiunto un “accordo di principio” con Ankara per il suo ruolo nell’offensiva. Carter incontrerà il premier iracheno al Abadi che nel frattempo ha chiesto ad Arabia saudita e Turchia di fermare le loro interferenze in Iraq. Sulla Siria, intanto, i ribelli filo-turchi fanno sapere di aver liberato dal Califfato oltre 1200 chilometri quadrati nel Nord, mentre si registrano diverse vittime nelle ultime 24 ore nella provincia di Idlib. Un rapporto dell’Onu, infine, certifica come chimico l’attacco delle forze di Assad nella stessa regione di Idlib del 16 marzo 2015: si tratta del terzo di questo genere da quando nel 2013 il Paese concordò di distruggere il proprio arsenale chimico dopo l’intesa tra Mosca e Washington.

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Attacco informatico agli Usa: Washington a caccia degli hacker

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Il Dipartimento americano per la sicurezza nazionale ha aperto un’inchiesta sull’attacco informatico senza precedenti sferrato ieri sulla costa orientale degli Stati Uniti. Numerosi siti sono rimasti bloccati per almeno due ore. Altri attacchi di pirati informatici erano stati collegati dall’Amministrazione Obama ai servizi segreti russi, accusati di voler sabotare la campagna di Hillary Clinton. Il vicepresidente Joe Biden aveva ventilato cyber-rappresaglie. Ma si può dire che la guerra si stia spostando sul web? Debora Donnini lo ha chiesto al prof. Virgilio Ilari, presidente della Società italiana di Storia militare e curatore del volume “Future Wars”, “Guerre future”: 

R. – Certamente! Sono vent’anni che vengono combattute anche sul web e riguardano una grande quantità di aspetti: da quello delle informazioni, quindi come vengono date le informazioni attraverso la rete, all’attacco ai siti, alla rivelazione – per esempio – di segreti sia di privati sia di Stati sia di organizzazioni, e questo evidentemente è un mondo immenso, praticamente infinito, su cui si svolgono tutta una serie di attività, tendenzialmente illecite. Ci sono, naturalmente, dei sistemi di sicurezza, di protezione e c’è quindi una lotta continua tra l’attacco e la difesa. Gli hacker sono in tutti i Paesi: non c’è bisogno di essere una grande potenza per disporre di capacità di questo tipo. Ricordiamo che nel 2007 ci fu un attacco hacker russo all’Estonia e l’Estonia è diventato il primo Paese che si è dotato di un sistema di sicurezza elettronica enorme; nel 2008, la Russia ha paralizzato le operazioni dell’esercito georgiano durante la guerra in Georgia attraverso l’uso degli hacker; poi, ricordiamo Wikileaks, Assange …. Quindi, sono una serie di problemi e di circostanze che sono parte di quella che oggi viene considerata “la guerra ibrida” e comprende una gamma amplissima di mezzi che vanno da quelli strettamente militari a quelli economico-finanziari.

D. – Un altro tema che emerge è la fragilità del cosiddetto “internet delle cose”. Parliamo degli smartphone, del moltiplicarsi di device. Questo anche aumenta la possibilità di una cyber-guerra?

R. – Certamente! I nostri sistemi sociali sono enormemente più vulnerabili adesso di quanto fossero 10 anni fa o 20 anni fa, per non parlare di 100 anni fa. Un tempo la vulnerabilità era legata all’hardware, cioè a strutture, per esempio, le ferrovie, i trasporti... Adesso tutte queste cose possono essere bloccate a distanza con attacchi di tipo informatico. Pensiamo a tutti gli incidenti che purtroppo si sono verificati tra i treni, anche recentemente, in Italia, in Puglia: le mancate comunicazioni, le interruzioni e via dicendo possono provocare catastrofi. Quello a cui noi assistiamo adesso sono cose minime rispetto a quello che potrebbe accadere e questo in un certo senso cambia completamente la percezione della potenza e dei grandi equilibri, perché organizzazioni molto piccole o con pochi finanziamenti sono in grado di arrecare danni a volte incalcolabili. Si può dire anche questo, sempre in collegamento alla questione degli attacchi hacker: possono esserci ripercussioni gravissime sui mercati. Per esempio, intervenire con sistemi hacker sulla speculazione borsistica può determinare situazioni almeno momentaneamente catastrofiche. Quindi, ci sono possibilità estreme che riguardano anche proprio gli equilibri finanziari mondiali.

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Ue-Canada: fallito l'accordo di libero scambio

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L’accordo di libero scambio tra Canada e Unione Europea pare destinato a non entrare in vigore. È fallito il tentativo di mediazione tra Canada e Vallonia, una regione del Belgio, che avrebbe dovuto dare anch’essa il via libera a questo accordo. Per il Canada la situazione è ormai definitivamente compromessa. Andrea Walton ha intervistato Matteo Villa, ricercatore presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale, chiedendogli se una piccola regione come la Vallonia può far fallire un’intesa transcontinentale: 

R. – Evidentemente sì, perché è successo almeno al momento…. Questo è interessante da tanti punti di vista, perché il governo vallone si è trincerato dietro alla democrazia, ha fatto appello alla democrazia dicendo: “Noi non possiamo approvare questo accordo. Quindi al momento va sospeso e non bisogna continuare le trattative”. Però si tratta di una democrazia un po’ "strana", nel senso che lo 0.5 per cento della popolazione europea decide per tutti che un accordo è fallito. E’ anche un problema per la Commissione europea, perché è da sempre che pensiamo che queste siano le prerogative più importanti della Commissione europea - quelle cioè di trattare accordi commerciali con tutti - ma nel momento in cui si tratta di farle approvare da 28 Paesi membri e poi da alcuni parlamenti sub-regionali, quello che succede è che magari qualcosa fallisce nonostante la Commissione europea abbia trattato per cinque anni.

D. – Quali sono le caratteristiche del Ceta? Cosa avrebbe comportato per Canada ed Unione Europea?

R. – Dal punto di vista economico, in realtà, almeno per l’Unione Europea sarebbe cambiato molto poco: l’Unione Europea e il Canada sono entrambe economie molto aperte e tra loro commerciano già in maniera molto alta e quindi sapevamo che le conseguenze sarebbero state piccole, almeno dal punto di vista di modelli economici che avevamo utilizzato. Però il problema è soprattutto simbolico: Unione Europea e Canada sono Paesi simili e se neanche loro riescono a trovare veramente un accordo commerciale, questo significa che è cambiato qualcosa nell’Unione Europea, un’Unione Europea che negli ultimi anni aveva sempre difeso le trattative commerciali, che aveva sempre lavorato per evitare che i movimenti un po’ populisti e antiglobalizzazione si affermassero. Invece, in questo momento, evidentemente qualcosa è cambiato.

D. – Si va verso un mondo sempre meno globalizzato e più regionalizzato? Anche l’Unione Europea si sta richiudendo su se stessa?

R. – E’ possibile. Questo non lascia grandi spiragli di trattativa e manovra per le nuove e ultime trattative economiche ancora più grandi, ancora più importanti per l’Unione Europea. Ricorderete che sono ormai anni che parliamo del TTIP e cioè del possibile Trattato commerciale tra Ue e Stati Uniti, anche quello molto avversato - in questo caso dalla Francia, che invece era un forte propositore e proponente dell’Accordo col Canada - è possibile che fallisca… Quindi sì, è possibile che si vada verso un mondo un po’ più regionalizzato. Non è detto che il commercio mondiale ritorni indietro, però i segnali ci sono: nell’ultimo anno sono state aumentate molte tariffe e l’Organizzazione mondiale del Commercio ci dice che quest’anno sono state imposte più tariffe di quante misure liberalizzatrici siano state fatte.

D. – Potrebbe cambiare in futuro il processo di ratifica di questi accordi economici transcontinentali anche all’interno dell’Unione Europea?

R. – Ma in realtà è già cambiato! Fino a luglio di quest’anno il processo sarebbe dovuto essere deciso soltanto in sede di Consiglio e quindi tutti i governi degli Stati membri si sarebbero dovuti trovare e decidere se ratificarlo o no. Essendoci state, però, molte proteste, la Commissione europea ha deciso che si sarebbe dovuto passare anche attraverso i parlamenti nazionali. Quindi il processo di ratifica è cambiato in senso – se vogliamo – peggiorativo, perché richiede che tutti i parlamenti siano d’accordo. Adesso si dovrà ridiscutere perché l’Unione Europea è stata da sempre – ripeto – un simbolo del libero scambio. Ma dubito che si possa tornare indietro perché i parlamenti nazionali vogliono recuperare le loro prerogative e saranno molto gelosi e tenderanno a non lasciarsele scappare.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XXX T.O.

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La 30.ma domenica del Tempo ordinario ci propone il Vangelo in cui Gesù racconta la parabola sul fariseo e il pubblicano che vanno a pregare al tempio. Il primo si vantava della sua condotta davanti a Dio, il secondo - riconoscendosi peccatore - non osava, invece, neppure alzare gli occhi al cielo. E il Signore conclude:

“Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Autoproclamarsi giusti non è gradito al Signore, si rischia di rimanere col peso della colpa, perché ci si crede superiori agli altri. Chi ammette sinceramente le proprie mancanze, invece, sarà giustificato, afferma Gesù. Quante volte poi ciò che dovrebbe essere una confessione diventa un’autocertificazione di buona condotta: “Io non rubo, non faccio male a nessuno” si sente dire, ma poi si uccide sparlando e quando è il momento di pagare le tasse o il biglietto dell’autobus capita di dichiarare mezze verità o dimenticarsi l’obliterazione, derubando così il prossimo. Si sente pure dire “Mi confesso a Pasqua e a Natale”, quasi fosse un favore che facciamo a Dio, per placare le sue “strane” esigenze: “Non si sa mai si arrabbi…”, ma senza percepirne la necessità, quando non si finisce per confessare i peccati…altrui. La difficoltà ad annunciare il kerigma, la scarsa catechizzazione e l’ignoranza della Scritture, infatti, fanno sì che non pochi cristiani misconoscano la propria anima e i propri peccati, cosicché non si coglie la bellezza del sacramento della riconciliazione e la sua particolare efficacia, con grande soddisfazione del diavolo. Ma “un cuore contrito e umiliato tu o Dio non disprezzi”, chi gli consegna spesso le proprie miserie non sarà mai deluso, tornerà a casa rigenerato dalla Sua Pace, nella comunione con Lui e con i fratelli.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 296

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.