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Sommario del 24/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Gesuiti: andate tra scartati e crocifissi con la gioia del Vangelo

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Cercare la gioia non come “effetto speciale” ma come elemento costitutivo “del messaggio evangelico”. Così stamani Papa Francesco nel discorso pronunciato alla riunione della 36.ma Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, presso la Curia Generalizia dei Gesuiti a Roma. Il Papa, accolto con un indirizzo di saluto dal nuovo preposito generale, il padre venezuelano Arturo Sosa Abascal, si è poi trattenuto in forma privata con i Gesuiti. Il servizio di Giada Aquilino

Il “modo di procedere” dei Gesuiti sia “ecclesiale, inculturato, povero, servizievole, libero da ogni ambizione mondana”. Questo l’auspicio, affidato alla Madonna della Strada, di Papa Francesco per i confratelli. È infatti il Papa gesuita a parlare in spagnolo, partendo da Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia. Riflettendo sul “camminare insieme”, andando alle periferie “dove gli altri non arrivano”, Francesco ricorda che è “compito” della Compagnia “consolare il popolo fedele” e aiutare “con il discernimento” affinché - spiega - “il nemico della natura umana non ci sottragga la gioia” di evangelizzare, della famiglia, della Chiesa, del creato, né di fronte ai “mali del mondo” o ai “malintesi tra coloro che si propongono di fare il bene”, né rimpiazzandola “con le gioie fatue che sono sempre a portata di mano in qualsiasi negozio”. Quindi “pregare” e insegnare la preghiera di “chiedere e supplicare” la consolazione è “il principale servizio alla gioia”. D’altra parte, prosegue Francesco, “la gioia è costitutiva del messaggio evangelico”:

“Una buena noticia no se puede dar con cara triste...
Una buona notizia non si può dare con il volto triste. La gioia non è un “di più” decorativo, è chiaro indice della grazia: indica che l’amore è attivo, operante, presente. Perciò il cercarla non va confuso con il cercare “un effetto speciale”, che la nostra epoca sa produrre per esigenze di consumo, bensì la si cerca nel suo indice esistenziale che è la ‘permanenza’”.

Come insegnato dagli Esercizi di Sant’Ignazio, è la gioia dell’annuncio “esplicito” del Vangelo, attraverso la predicazione della fede e la pratica della giustizia e della misericordia, a portare la Compagnia ad “uscire verso tutte le periferie”:

“El jesuita es un servidor de la alegría...
Il gesuita è un servitore della gioia del Vangelo, sia quando lavora ‘artigianalmente’ conversando e dando gli esercizi spirituali a una sola persona, aiutandola a incontrare quel ‘luogo interiore da dove gli viene la forza dello Spirito che lo guida, lo libera e lo rinnova’, sia quando lavora in maniera strutturata organizzando opere di formazione, di misericordia, di riflessione, che sono prolungamento istituzionale di quel punto di inflessione in cui si dà il superamento della propria volontà ed entra in azione lo Spirito”.

L’esortazione, soprattutto nel Giubileo della Misericordia ormai in via di conclusione, è a lasciarsi commuovere dal “Signore posto in croce”, presente “in tanti nostri fratelli che soffrono”, “la grande maggioranza dell’umanità”.

“La misericordia no es una palabra abstracta...
La misericordia non è una parola astratta ma uno stile di vita, che antepone alla parola i gesti concreti che toccano la carne del prossimo e si istituzionalizzano in opere di misericordia. Per noi che facciamo gli Esercizi, questa grazia mediante la quale Gesù ci comanda di assomigliare al Padre inizia con quel colloquio di misericordia che è il prolungamento del colloquio con il Signore crocifisso a causa dei miei peccati”.

Il Signore, osserva Francesco con i confratelli, ci invia per far giungere la stessa misericordia ai più poveri, ai peccatori, agli scartati e ai crocifissi del mondo attuale che – ricorda – “soffrono l’ingiustizia e la violenza”:

“Sólo si experimentamos esta fuerza...
Solo se sperimentiamo questa forza risanatrice nel vivo delle nostre stesse piaghe, come persone e come corpo [comunità], perderemo la paura di lasciarci commuovere dall’immensità della sofferenza dei nostri fratelli e ci lanceremo a camminare pazientemente con la nostra gente, imparando da essa il modo migliore di aiutarla e servirla”.

Ignazio invita a compiere il bene “sentendo con la Chiesa”. Il Papa spiega che è proprio della Compagnia “il servizio del discernimento del modo in cui facciamo le cose”:

“Esta gracia de discernir...
Questa grazia di discernere che non basta pensare, fare o organizzare il bene, ma bisogna compierlo con buon spirito, è quello che ci radica nella Chiesa, nella quale lo Spirito agisce e distribuisce la diversità dei suoi carismi per il bene comune”.

Fare questo “senza perdere la pace e con gioia”, considerati i peccati che – evidenzia Francesco - vediamo “sia in noi come persone sia nelle strutture che abbiamo creato”, implica portare la Croce, “sperimentare la povertà e le umiliazioni”:

“El servicio del buen espíritu y del discernimiento...
Il servizio del buon animo e del discernimento ci fa essere uomini di Chiesa – non clericali, ma ecclesiali – uomini ‘per gli altri’, senza alcuna cosa propria che isoli ma mettendo in comunione e al servizio tutto ciò che abbiamo”.

I Gesuiti, aggiunge, non camminano “né da soli né comodi”, in un percorso che si realizza “insieme a tutto il popolo fedele di Dio”, cercando “di aiutare qualcuno”. Solo così la Compagnia può avere “il volto, l’accento e il modo di essere” di tutti i popoli, di ogni cultura, affinché il giovamento non sia “individualistico”, ma “comune” e “in ogni cosa”.

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Papa: i rigidi sembrano buoni ma non conoscono la libertà dei figli di Dio

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Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, una doppia vita, i rigidi non sono liberi, sono schiavi della legge, Dio invece dona la libertà, la mitezza, la bontà: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Nel Vangelo del giorno, Gesù guarisce una donna di sabato provocando lo sdegno del capo della Sinagoga perché - dice - è stata violata la Legge del Signore. “Non è facile – commenta il Papa - camminare nella Legge del Signore”, è “una grazia che dobbiamo chiedere”. Gesù lo accusa di essere ipocrita, una parola che “ripete tante volte ai rigidi, a quelli che hanno un atteggiamento di rigidità nel compiere la legge”, che non hanno la libertà dei figli, “sono schiavi della Legge”. Invece, "la Legge - osserva - non è stata fatta per farci schiavi, ma per farci liberi, per farci figli”. “Dietro la rigidità c’è un’altra cosa, sempre! E per questo Gesù dice: ipocriti!”:

“Dietro la rigidità c’è qualcosa di nascosto nella vita di una persona. La rigidità non è un dono di Dio. La mitezza, sì; la bontà, sì; la benevolenza, sì; il perdono, sì. Ma la rigidità no! Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, in tanti casi una doppia vita; ma c’è anche qualcosa di malattia. Quanto soffrono i rigidi: quando sono sinceri e si accorgono di questo, soffrono! Perché non riescono ad avere la libertà dei figli di Dio; non sanno come si cammina nella Legge del Signore e non sono beati. E soffrono tanto! Sembrano buoni, perché seguono la Legge; ma dietro c’è qualcosa che non li fa buoni: o sono cattivi, ipocriti o sono malati. Soffrono!”.

Papa Francesco ricorda la parabola del figlio prodigo, in cui il figlio maggiore, che si era comportato sempre bene, s’indigna col padre perché riaccoglie con gioia il figlio minore dissoluto, ma tornato a casa pentito.  Questo atteggiamento – spiega il Papa - fa vedere cosa c’è dietro una certa bontà: “la superbia di credersi giusto”:

“Dietro questo far bene, c’è superbia. Quello sapeva che aveva un padre e nel momento più buio della sua vita è andato dal padre; questo soltanto del padre capiva che era il padrone, ma mai lo aveva sentito come padre. Era un rigido: camminava nella Legge con rigidità. L’altro ha lasciato la Legge da parte, se ne è andato senza la Legge, contro la Legge, ma ad un certo punto ha pensato al padre ed è tornato. E ha avuto il perdono. Non è facile camminare nella Legge del Signore senza cadere nella rigidità”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera:

“Preghiamo il Signore, preghiamo per i nostri fratelli e le nostre sorelle che credono che camminare nella Legge del Signore è diventare rigidi. Che il Signore faccia sentire loro che Lui è Padre e che a Lui piace la misericordia, la tenerezza, la bontà, la mitezza, l’umiltà. E a tutti ci insegni a camminare nella Legge del Signore con questi atteggiamenti”.
 

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Il card. Müller a Radio Vaticana: vi racconto Francesco e Benedetto XVI

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“Benedetto e Francesco. Successori di Pietro al servizio della Chiesa”. E’ il titolo del libro del cardinale Gerhard Ludwig Müller, edito dalle edizioni Ares, in questi giorni nelle librerie. Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si sofferma in particolare sulle figure dei due Pontefici, sulla riforma della Curia Romana e ancora sull’opera teologica di Joseph Ratzinger e sulla “Chiesa povera e per i poveri” di Papa Francesco. Sui temi del libro, il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha rilasciato un’intervista esclusiva alla Radio Vaticana, realizzata da Alessandro Gisotti

R. – Tutti e due sono Successori di San Pietro! E questo è molto importante vederlo proprio secondo la nostra teologia: il Papa non è direttamente il successore del Papa precedente, ma ogni Papa è il Successore di San Pietro e rappresenta quindi questo grande compito che Gesù Cristo ha dato. Per questo ogni Papa, nella sua persona, è istruito da Gesù Cristo stesso.

D. – Secondo lei, quale impulso ha dato Benedetto XVI alla nostra fede in Cristo? Per cosa si è caratterizzato soprattutto il suo Pontificato?

R. – Papa Benedetto ha scritto questo libro su Gesù di Nazareth e – come noi sappiamo – questa era la confessione, era la professione della fede di San Pietro. Tanta gente diceva che Gesù era un profeta. Pietro, nella persona della Chiesa, grazie a una rivelazione del Padre Celeste, ha detto: “Tu sei il Cristo, il Messia”. E questo è il nucleo della missione petrina! Questo libro non è soltanto un lavoro privato: ogni professore ha scritto su diversi temi della teologia, della filosofia... Questo è quasi il nucleo del Primato, poiché abbiamo bisogno di un Primato solo per questo, per unire tutti i fedeli nella stessa fede. La fede non è una somma di convinzioni, di idee, ma è il centro della fede: è la persona di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.

D. – Uno dei capitoli del libro è dedicato alla "Chiesa povera e per i poveri", all’opzione preferenziale per i poveri. Perché questo tema, che Papa Francesco ha introdotto nel suo Pontificato, da subito ha colpito e continua a colpire tanto, anche i non cattolici?

R. – Questa espressione “opzione preferenziale per i poveri” non è unica, ma preferenziale per i poveri e per i giovani, come si dice originalmente: questa espressione ha le sue radici nel Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes e anche nella Dottrina Sociale della Chiesa. Non è certo caduta come una stella dal cielo, ma viene dal nucleo, dal centro della missione della Chiesa. Certo, i vescovi, i sacerdoti, i laici dell’America Latina hanno questa preferenza, perché questi temi sono urgenti, più urgenti che nei nostri Paesi europei o in America. Papa Francesco sempre dice: “Ciò che noi – la Chiesa – possiamo dare ai poveri è soprattutto il Vangelo”, questa notizia nuova, che Gesù è morto e risuscitato per tutti gli uomini. Di conseguenza noi dobbiamo anche occuparci della promozione integrale e dello sviluppo di tutti gli uomini: tutti hanno il diritto fondamentale di partecipare ai i beni materiali, culturali, sociali dell’umanità. Papa Francesco ci ha aperto nuovamente a questo, facendocelo vedere direttamente e concretamente. Questa è la grande sfida che esiste nel mondo intero. Per questo penso che Papa Francesco abbia una grande reputazione e dà un grande slancio, un grande impulso non solo alla Chiesa, ma anche all’umanità. Questa è la sua importanza e il suo ruolo nel mondo di oggi.

D. – L’ultimo capitolo del libro offre un intervento sui criteri teologici per la riforma della Chiesa e della Curia Romana. Come si colloca, in tale contesto di questo suo intervento, il processo di riforma impresso da Papa Francesco, fin dall’inizio del suo Pontificato?

R. – Tutti parlano da tanto tempo di una riforma della Curia Romana o della Chiesa, ma è necessario distinguere una riforma di un ente umano: qui si tratta della Chiesa e la Chiesa è fondata da Gesù Cristo e quindi un’opera, un opus di Dio. E noi non siamo in grado di riformare la Chiesa, come fosse quasi un oggetto nelle nostre mani. Quando si parla della Curia Romana si deve vedere prima di tutto cosa sia. La Curia Romana non è un apparato burocratico che amministra la Chiesa; questo è un pensiero troppo mondano! Si tratta prima di tutto di una riforma spirituale dove la spiritualità spinge e motiva tutti i partecipanti al lavoro della Curia Romana. La riforma della Curia: tanta gente, i giornalisti parlano soprattutto sulla riforma nel senso di una nuova organizzazione esteriore ma questo è di importanza secondaria. La riforma più importante è quella dello spirito in quanto spirito di servizio, spirito di accoglienza. In questo senso abbiamo bisogno di una riforma della Curia. Il Papa stesso ha parlato non solo della riforma della Curia ma anche della riforma di tutta la Chiesa, di tutti gli ordinariati, vicariati, delle diverse diocesi… È importante che ci sia un nuovo spirito non solo nella burocrazia e nell’amministrazione. I partecipanti alla Curia come si ritengono? Si ritengono impiegati di un’organizzazione o sono i rappresentanti della Chiesa che è il Corpo di Cristo, il tempio dello Spirito Santo, il Popolo di Dio? Il Santo Padre ha sottolineato l’importanza dell’esercizio per tutta la Curia Romana, per una singola Congregazione. La preghiera, l’unione con Dio con Gesù Cristo è la fonte della quale proviene il nostro spirito.

D. - Quali sono i doni più grandi che le hanno dato e che in realtà continuano a dare Papa Francesco e Papa Benedetto XVI?

R. - Tutti noi sappiamo che Papa Benedetto è un teologo di livello straordinario, eccezionale, ma non è solo un teologo, non possiamo cadere in questo cliché. Non è stato solo "un professore tedesco"! Ha tanta esperienza nella pastorale, ha scritto tanti libri sulla spiritualità, sulle grandi sfide della vita moderna, ha scritto, ha predicato e dato spiegazioni di altissimo livello anche intellettuale e questo vuol dire che il cristianesimo ha una propria intellettualità. Noi siamo capaci di dare risposte a tutte le domande che esistono a livello del Logos, non siamo una religione di sentimenti, di superficialità, ma la fede entra direttamente in tutte le questioni esistenziali dell’uomo. Papa Francesco viene dal proprio contesto, l’America Latina, una grande regione di fede cattolica da 500 anni con una grande maggioranza di fedeli cattolici. È bene far entrare questa dimensione culturale nel cattolicesimo universale, per superare un po’ l’eurocentrismo... In questo mondo della globalizzazione, dell’universalità, è un buon segno e noi possiamo interpretarlo come un segno dello Spirito Santo il fatto che i Papi non provengano solo dall’Europa o da alcuni Paesi europei. La nazionalità non è un ostacolo a diventare un candidato per il Papato... Lo Spirito Santo è libero di scegliere attraverso i cardinali!

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Oggi in Primo Piano



Iraq: prosegue l’offensiva su Mosul, oltre 700 jihadisti uccisi

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Ad una settimana dall’inizio delle operazioni, prosegue l’offensiva dell’esercito iracheno e dei peshmerga curdi per  strappare Mosul al controllo dello Stato Islamico. Secondo un primo bilancio del governo di Baghdad, sono 772 i miliziani dell'Is uccisi finora, mentre si è conclusa dopo tre giorni la battaglia di Kirkuk, cominciata venerdì scorso dopo un attacco a sorpresa dei jihadisti. Il servizio di Marco Guerra: 

La battaglia infuria alla periferia di Mosul ma si hanno notizie di combattimenti anche nei pressi di Bashiqa, Sinjar e Kirkuk. In queste ultime due località la situazione sembra tornata sotto il controllo dell’esercito di Baghdad e dei peshmerga curdi. A Sinjar i miliziani dell’Is sono stati respinti dopo un attacco a sorpresa, 15 i jihadisti uccisi. Altri 74 guerriglieri del califfato hanno perso la vita dopo tre giorni di scontri a Kirkuk, parecchi altri sono stati catturati, tra i quali l’emiro dell'Is  Abu Islam al-Ansarai, considerato la ‘mente’ del sanguinoso assalto. Al bilancio delle ostilità vanno aggiunti ulteriori 46 morti tra le  forze di sicurezza. L'obiettivo di questi attacchi è quello di  distogliere le forze curde irachene dall'offensiva verso Mosul e assicurare le vie di rifornimento verso la Siria. Grande è la preoccupazione per la situazione umanitaria. Per una testimonianza sentiamo, da Erbil, Mustafa Jabar rappresentate Focsiv nel Kurdistan iracheno:

R. – L’offensiva dell’esercito iracheno e dei Peshmerga è  ancora intorno a Mosul e stanno avanzando anche velocemente. Tuttavia, le zone riconquistate erano già vuote - quasi vuote -, quindi ancora la situazione non è molto grave. Da quando è cominciata l’offensiva, il 17 ottobre scorso, sono arrivati circa 5mila sfollati. Però, sicuramente, si teme quando arriveranno proprio al centro della città, cioè del capoluogo Mosul. E lì sarà una cosa molto drammatica, perché si prevedono dai 700 a un milione di sfollati.

D. – Lo Stato Islamico però non si arrenderà così facilmente. Abbiamo visto che oggi i Peshmerga hanno respinto un attacco a Sinjar…

R. – È prevedibile che all’interno della città di Mosul ci sarà una battaglia feroce e molto difficile, sia per l’esercito iracheno. Secondo gli accordi tra il governo locale regionale curdo con Baghdad, i Peshmerga non entreranno nella città di Mosul; ci deve entrare solo l’esercito iracheno e la polizia nazionale irachena. Si prevede una battaglia difficilissima; e purtroppo, come ho detto, l’esodo di centinaia di migliaia di persone: tra i 700 e un milione di sfollati che sicuramente arriveranno nella zona del Kurdistan, e una parte anche verso il centro dell’Iraq, nella provincia di Salahuddin. Però la maggior parte arriverà sicuramente nella provincia di Erbil e di Durok.

D. – Sul terreno si vedono anche truppe straniere oltre all’esercito di Baghdad e i Peshmerga?

R. – C’è l’aviazione delle forze alleate, la maggior parte delle quali è composta da americani, che vengono a bombardare. Poi, c’è anche la polemica turco-irachena perché una base turca è vicino a Bashik, proprio dove ieri ci sono stati dei combattimenti tra i Peshmerga e l’Is. Però ancora non si sono mossi: sono lì, all’interno della base militare vicino a Bashika. Il resto è formato dai consiglieri militari, sicuramente italiani, americani, canadesi e tedeschi, però questi ultimi non si trovano sul terreno dei combattimenti: sono lì per addestrare i Peshmerga e l’esercito iracheno.

D. – Le associazioni umanitarie si stanno muovendo?

R. – Sì, noi ci stiamo già preparando per affrontare quest’emergenza umanitaria. Sicuramente la parte grossa la dovranno fare le agenzie dell’Onu, il governo iracheno, il governo locale regionale curdo; e poi le Ong, come noi della Focsiv, che ci stiamo preparando soprattutto per fornire i beni di prima necessità – acqua, cibo… - visto che andiamo anche verso l’inverno: quindi generi che servono soprattutto per l’inverno, come coperte, combustibili o cose del genere.

D. – Lei ha parlato di una veloce avanzata e di combattimenti, però si prevede che sarà ancora lunga la battaglia per Mosul…

R. – Sì, io non sono un militare, ma un ex combattente Peshmerga. Sicuramente sarà lunga, difficile e catastrofica. Questo purtroppo lo dico perché la situazione non prevede una soluzione di breve termine, ma andrà avanti almeno per mesi.

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Calais, al via sgombero migranti. Il vescovo: non calpestare dignità

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E’ iniziato stamane all’alba lo sgombero definitivo della “Giungla” di Calais, nel Nord della Francia, così tristemente appellata per le disastrose condizioni di vita in cui versano da 18 mesi almeno 6.500 migranti, raccolti nella più grande bidonville d’Europa, a cinque chilometri dalla nota città sulle coste della Manica, coltivando il sogno di raggiungere la Gran Bretagna, che non li vuole. Situazione finora calma, dopo gli scontri ieri tra Polizia e alcuni manifestanti, contrari all’evacuazione forzata. Il servizio di Roberta Gisotti

Alle 6.15, i primi pulman parcheggiati accanto all’hangar, allestito dalle autorità francesi nei pressi della ‘Giungla’ di miserie umane, per accogliere i migranti in partenza verso 450 centri di accoglienza sparsi su tutto il territorio nazionale, escluse solo Ile-de-France e Corsica. Ad avviare l’esodo, stamane, 700 migranti in gran parte sudanesi, cui è stato proposto di scegliere fra due destinazioni. Indietro lasciano un ammasso di tende, baracche e container ed il sogno svanito di raggiungere la Gran Bretagna. Avanti non è dato saperlo, così come la reazione dei Comuni che dovranno ospitarli, dove non sono mancate le proteste dei residenti. 1250 gli agenti in più schierati accanto ai 2100 colleghi già presenti a Calais per evitare incidenti. Per i migranti in partenza sono state previste diverse corsie: maggiorenni soli, minorenni soli - sarebbero 1300 - donne incinte, malati, famiglie. Lo sgombero dovrebbe durare una settimana. Oggi è prevista la partenza di 60 pulman, 45 domani e 40 mercoledì. A bordo di ogni vettura due accompagnatori.

Sulle sgombero forzato dei migranti a Calais, il dibattitto è aperto. L’obiettivo – ha commentato il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve – è quello di procedere "alla messa sotto tutela” di quanti rientrano nello status di rifugiati in Francia e che "non vogliono vivere nella precarietà, nella vulnerabilità a Calais, in mano a trafficanti che sono i veri protagonisti della tratta di esseri umani”. Ma smantellare la “Giungla” di Calais basta a risolvere il problema? Hélène Destombes lo ha chiesto a mons. Jean-Paul Jaeger, vescovo della diocesi di Arras, da cui dipende Calais: 

R. - Et donc un changement de mentalité qui me semble absolument indispensable … 
Penso che sia assolutamente necessario un cambiamento di mentalità. Bisogna costruire il futuro di queste persone. È giunto il momento che i responsabili politici riflettano sulla questione della mobilità della popolazione e soprattutto della migrazione. Penso che bisogna portare gli uomini e le donne della politica di tutto il Pianeta, dell’Europa e del nostro Paese, ad una responsabilità fondamentale in questo ambito. Bisogna attaccare i problemi alla radice: il problema dello sviluppo, quello della guerra e della pace, quello delle relazioni internazionali e anche quello delle relazioni religiose. Questi sono i problemi fondamentali.

D. - Cosa può risolvere la chiusura della “Giungla”?

R. - On peut penser ce qu’on veut …
Si può pensare quel che si vuole circa le realtà migratorie…. Ma quando un essere umano è là, alla nostra porta, si potrebbe anche pensare che non dovrebbe essere lì, ma visto che c’è, deve essere trattato come un essere umano e dunque non possiamo restare insensibili davanti alle difficoltà di queste persone. Bisogna farsene carico nel modo più umano e dignitoso che sia possibile.

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Consiglio d'Europa: migranti, è emergenza minori non accompagnati

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Si allarga e in qualche caso si aggrava il fronte delle emergenza emigrazione: nel Canale di Sicilia, nella ‘giungla’ di Calais in Francia, ma anche sulla rotta balcanica. Fausta Speranza ne ha parlato con il rappresentante speciale del segretario generale del Consiglio d'Europa per le migrazioni e i rifugiati, Tomáš Boček, appena tornato da una missione in queste zone:  

R. – Well, in the hotspot I went yesterday - I was in Pozzallo hotspot, where I think there are around 200 …
Nell’hotspot nel quale sono stato a Pozzallo, dove ci sono circa 200 posti, quello che mi ha colpito maggiormente è la stragrande maggioranza di minori non accompagnati. Gli hotspot sono concepiti per ospitare le persone al massimo per 24/48 ore, mentre lì le persone rimangono per molto più tempo: settimane se non addirittura mesi. E i luoghi non sono adatti a permanenze così lunghe, e in particolare non lo sono per i minori.

D. – Quali raccomandazioni presenterà alla fine della sua missione?

R. – My recommendations …
Le mie raccomandazioni dovrò scriverle con calma, ovviamente, e poi presentarle al Consiglio dei Ministri. Ma ciò che posso esprimere nell’immediato è che questi minori non dovrebbero essere ‘detenuti’, non dovrebbero trovarsi in questo luogo; dovrebbero esistere molte istituzioni in più, dedicate ai minori non accompagnati e ai minori come tali. So che il governo italiano ci sta lavorando, io ho verificato un approccio molto positivo alla ricerca di soluzioni: c’è una vera volontà di affrontare la situazione. Ma i numeri sono molto alti, e quindi l’unico modo che intravedo per poter veramente affrontare la situazione è la cooperazione con altri Stati: questo non è un problema solo italiano o greco; questo è un problema europeo.

D. – In realtà, di fatto, una questione internazionale…

R. – Yes … I am speaking now only from the European perspective; but in the whole … yes, yes. …
Sì, ora parlavo dalla prospettiva europea, ma nell’insieme, certo: questo è un problema della comunità internazionale, perché dovrebbe esserci solidarietà tra tutti i membri della comunità internazionale; e io aspetto la messa in opera e l’implementazione delle dichiarazioni a conclusione del Summit sui migranti che si è svolto a settembre a New York.

D. – Ci dice qualcosa di Calais, il campo di accoglienza nel nord della Francia, definito “la giungla”: un nome tristissimo…

R. – Yes, again: this is very much linked to the non-accompanied minors, because …
Anche qui, il problema è fortemente legato ai minori non accompagnati; quasi tutti vorrebbero essere ricollocati presso le famiglie che si trovano già in Gran Bretagna. Qualche passo avanti è stato fatto, anche se molto rimane ancora da fare.

D. – L’emergenza resta anche nel Mediterraneo centrale, nel Canale di Sicilia. Dopo l’Accordo tra Unione Europea e Turchia, parliamo di chiusura della rotta balcanica, ma in realtà i problemi non sono affatto risolti: non è così?

R. – You’re are talking about the horrific – I call it like this – and of course dramatic decrees …
Lei sta parlando di accordi orribili: in sé sarebbe positivo aver ridotto i flussi, ma sono accordi orribili - così come io li definisco - e drammatici, che riguardano un gran numero di persone. Ora che tante, tante frontiere sono chiuse, queste persone sono rimaste incastrate in quei Paesi, e quei Paesi non sono pronti a fare i conti con un numero così grande di profughi: e mi riferisco in particolare alla Grecia, che ospita ormai oltre 60 mila profughi, soprattutto sulle isole.

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Spagna: sì al governo Rajoy con l'astensione dei socialisti

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In Spagna la soluzione della crisi politica, grazie all’astensione dei socialisti darà modo al leader dei Popolari, Mariano Rajoy, di formare un governo di minoranza. Dopo 10 mesi di stallo rimangono comunque in piedi, i dubbi sulla reale stabilità di un esecutivo, che rischia di essere ostaggio delle opposizioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’ispanista Alfonso Botti, docente all’Università di Modena e Reggio Emilia, condirettore del sito “Spagna contemporanea”: 

R. – Non è la prima volta che la Spagna ha un governo che non ha la maggioranza assoluta per governare. Quindi direi che questo non è il problema fondamentale. Il problema fondamentale è questo secondo me: il Partito Popolare ha dimostrato poca capacità di mediazione politica e questo può indebolire l’esecutivo nei prossimi mesi.

D. - Una situazione che non risolve i conflitti con i catalani e con i baschi, comunque … Potrebbero ritornare in evidenza queste questioni?

R. - Certamente la tensione catalana sì, perché è quella che è attualmente sul tappeto. Il problema basco per adesso è abbastanza defilato. Sono mesi, anni che non si creano tensioni. Recentemente sono stato a Bilbao; ho avuto degli incontri e la situazione è molto diversa dal passato, è molto tranquilla. Invece la situazione catalana costituisce oggi un problema.

D. - In chiave europea la svolta politica in Spagna che significato può avere anche guardando alla situazione economica?

R. - La situazione economica della Spagna, come noto, non è stata pregiudicata dalla situazione politica e dalla mancanza di pieni poteri per il governo. L’Europa ha già fatto pressioni perché la crisi si risolvesse e adesso credo che ci sia soddisfazione da parte delle istituzioni europee. Resta il problema che nessuno dei grandi problemi, che la Spagna si trova ad affrontare, è stato risolto nel corso di questi mesi. Non credo neanche ci sia la possibilità che essi si risolvano in prospettiva.

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Brexit: banche inglesi pronte a lasciare Londra?

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Le grandi banche inglesi sarebbero pronte a lasciare Londra per il continente europeo a partire dal 2017, a causa dell’incertezza delle trattative tra Regno Unito e Unione Europea sulla Brexit. Questo è quanto afferma Anthony Browne, presidente e amministratore delegato della British Bankers Association. Andrea Walton ha intervistato il Professor Giuseppe Di Taranto, docente di storia dell’economia e dell’impresa presso la Luiss Guido Carli di Roma, chiedendogli cosa potrebbe succedere se questi timori si dovessero realizzare: 

R. – Credo nulla, perché tutte queste previsioni sono fatte in base allo stato giuridico attuale del Regno Unito; è evidente che quando invece cominceranno in modo adeguato le trattative per l’uscita, a causa dell’art. 50 del Trattato di Lisbona, evidentemente questo status giuridico cambierà. Non dimentichiamo che si era detto, qualche mese fa, che i circa tre milioni di stranieri che abitano a Londra avrebbero dovuto lasciare la città, mentre poi il sindaco ha smentito questa affermazione, e infatti sono ancora lì.

D. – Quali conseguenze potranno esserci sul valore della sterlina, nell’immediato e nel prossimo futuro?

R. – Io sono convinto che le conseguenze immediate e per il futuro non siano per il Regno Unito negative. E mi spiego meglio: molte nazioni europee, per esempio la Germania, hanno un flusso molto elevato di esportazioni verso il Regno Unito: per la Germania parliamo di circa 80 miliardi. Ed è evidente che la svalutazione della sterlina permetterà anzitutto maggiori esportazioni allo stesso Regno Unito, ma anche una maggiore apertura verso i Paesi del Commonwealth - 53 Paesi - con cui il Regno Unito ha da secoli, possiamo dire, ormai dei trattati commerciali molto stabili. D’altronde, a tutt’oggi, nulla è accaduto all’economia britannica, tranne la svalutazione della sterlina, tra l’altro guidata dalla Banca Centrale d’Inghilterra.

D. – Cosa potremmo aspettarci dall’evoluzione del Pil del Regno Unito?

R. – Io credo che l’evoluzione continuerà ad essere positiva. Mi lasci ricordare un dato: nella crisi che ha cominciato a far sentire le sue conseguenze dal 2007 fino ad oggi, il Regno Unito si è classificato secondo come incremento del Pil dopo gli Stati Uniti. La verità è che l’economia del Regno Unito è un’economia di servizi, e soprattutto di servizi finanziari, ed è un’economia molto forte e molto stabile.

D. – Come pensa che si potranno evolvere i negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europa, che avranno inizio nel 2017?

R. – Penso che si evolveranno certamente a favore del Regno Unito. E nonostante se ne dica, dovrà essere l’Unione Europea ad adeguarsi alle condizioni del Regno Unito, perché – sono certo – anche per i flussi commerciali di cui parlavo, noi potremmo avere conseguenze certamente negative rispetto a quelle che Brexit porterà per il Regno Unito. Anzi, sarà molto opportuno essere prudenti nelle trattative perché rischieremmo una recessione a livello di commercio internazionale.

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Camerun, incidente ferroviario: 200 morti, p. Girola tra le vittime

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Sul treno che è deragliato venerdì scorso a metà strada tra Yaoundé e Douala, con oltre 1.300 passeggeri a bordo, viaggiava anche il missionario saveriano padre Carlo Girola, originario di Oltrona di San Mamette, in provincia di Como. Per il sovraffollamento, erano state aggiunte altre carrozze, ma i freni non hanno retto. Oltre 200 le vittime e varie centinaia i feriti. Il confratello padre Eugenio Pulcini, raggiunto telefonicamente in Camerun da Marcello Storgato, parla dell’incidente e del missionario: 

R. - Mi trovo qui all’ospedale centrale di Yaoundé dove si trova il corpo di padre Carlo. La situazione è un po’ caotica, c’è una marea di gente e le pratiche amministrative sono lunghe. Il corpo di Carlo è stato identificato: è il numero 121. Hanno iniziato a chiamare; siamo arrivati al numero 102. Il nostro turno arriverà quando chiameranno il numero 121. Allora potremo entrare e decidere quando organizzare i funerali una volta che ci daranno il corpo.

D. - Quindi le vittime sono molte di più delle 50 circa annunciate …

R. – Parlavano di una cinquantina, ma Carlo è il numero 121 … Per me sono più di 200!

D. - Può essere ricostruita un po’ la dinamica dell’incidente?

R. - La strada che unisce Yaoundé a Douala è stata bloccata venerdì mattina per la caduta di un ponticello che ha sbarrato la strada. C’era questo fiume di gente che si precipitava a Douala e tutti si sono riversati sul treno. Le carrozze non bastavano. Hanno quindi cercato di aggiungere più carrozze possibili, ma non hanno calcolato bene la dinamica: la locomotiva non aveva la forza di trascinare e di gestire tutto questo numero esagerato di carrozze. A un certo punto i convogli posteriori hanno cominciato a sbandare, si sono staccate addirittura dalla locomotiva e hanno iniziato a prendere il volo in un precipizio. Si tratta di sette, otto carrozze. In una di queste c’era anche padre Carlo.

D. - Non è stato possibile nessun soccorso, immagino …

R. - Non immediatamente. Le carrozze sono ancora sul posto perché non hanno i mezzi per sollevarle. C’è gente che sta aspettando i corpi che si troverebbero ancora sotto i vagoni, impossibili da sollevare. Quindi ci sono ancora dei morti sotto i vagoni.

D. - Quando pensate di fare i funerali? Dove sarà sepolto padre Carlo?

R. - Pensiamo di portarlo in parrocchia giovedì mattina e di fare una veglia di preghiera con la celebrazione delle Messe per tutta la giornata insieme alla comunità ecclesiale fino alla mezzanotte. Venerdì mattina alle 4 partiremo da Yaoundé con le corriere e andremo a Douala, a casa nostra, dove lui stesso nel mese di agosto era sceso per preparare la tomba di padre Giovanni Montesi (altro saveriano morto per infarto). Lì, avrebbe detto: “Il prossimo sarei io”. Douala diventa il cimitero dei saveriani della regione del Camerun.

D. - Come ricordi padre Carlo?

R. - Direi due avverbi che definiscono la sua persona: rapidamente e intensamente. Un uomo rapido e intenso in tutti i sensi; un missionario di alta qualità. Abbiamo perso un confratello che ha vissuto la vita veramente in modo rapido e intenso.

D - Sentiamo la sorella Maria Rosa Girola: Come ricordi padre Carlo?

R. - Carlo era un fratello eccezionale; ha sempre cercato di fare del bene a tutti, di aiutare le persone sia dal punto di vista umano che spirituale. Abbiamo tre fratelli e siamo cresciuti insieme; ci siamo sempre voluti bene.

D. - State partendo per il Camerun?

R. - Sì. Lui mi dà la forza di andare a vedere e non saprò come ringraziare tutti perché sicuramente avremo un’accoglienza speciale.

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Congo: ucciso sacerdote a Lubumbashi. Vescovi denunciano attacchi

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Un sacerdote è stato ucciso nel sud della Repubblica Democratica del Congo. Si tratta di don Joseph Mulimbi Nguli, 52 anni, vicario della parrocchia di San Martino nel comune di Katuba, a Lubumbashi, capoluogo della Provincia dell’Alto Katanga. Nella notte tra il 21e il 22 ottobre sconosciuti gli hanno teso un agguato mentre rientrava a casa. Il sacerdote è stato raggiunto al ventre da un colpo di Kalashnikov.

Vescovi preoccupati per i massacri nel Nord-Kivu e attacchi a parrocchie e conventi
Il deterioramento delle condizioni di sicurezza in vaste aree del Paese è stato denunciato dai vescovi congolesi nel messaggio pubblicato al termine della riunione del Comitato della Conferenza episcopale incaricato di seguire il processo elettorale. “Siamo preoccupati per i massacri a ripetizione nel Nord-Kivu, in particolare nella città e nel Territorio di Beni; dalle uccisioni nel Kasai Centrale per gli scontri tra le forze dell’ordine e i miliziani del capo tradizionale Kamuina-Nsapu, dai conflitti intercomunitari che stanno provocando molte vittime in diverse province, in particolare nel Katanga; dai tristi avvenimenti del 19 e 20 settembre a Kinshasa e dalla recrudescenza del banditismo”. I vescovi denunciano inoltre “attacchi a parrocchie e ad alcune comunità religiose, in particolare a Kinshasa, a Kananga e a Bukavu”. (L.M.)

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Due mesi fa il terremoto. Vescovo di Ascoli: serve vicinanza

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Due mesi fa, il 24 agosto, durante la notte, precisamente alle 3 e 36, la prima scossa del terremoto di magnitudo 6 colpiva il Centro Italia, specialmente la zona di Amatrice, nel Lazio, e di Arquata e Pescara del Tronto, nelle Marche. Drammatico il bilancio delle vittime: 298 morti e 388 feriti. Oltre 4800 le persone soccorse dalla Protezione civile e 238 le persone estratte vive dalla macerie grazie anche allo strenuo lavoro di Vigli del Fuoco e volontari. Oggi il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, ha annunciato una duplice visita nei luoghi del sisma: mercoledì prossimo nel versante laziale e marchigiano e il 9 novembre in quello umbro. "Rinnoverò l'abbraccio di tutti i Vescovi d'Italia alle popolazioni più colpite dal terremoto e ai Pastori delle loro diocesi”, ha sottolineato il porporato. Centrale per le popolazioni la ricostruzione ma anche sentire di non essere soli, come conferma nell’intervista di Debora Donnini, mons. Giovanni d’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno: 

R. – La gente sente il grande bisogno di non sentirsi abbandonata. E questo mi pare che noi cerchiamo di farlo. Lo facciamo tutti: sia il Commissario, la Protezione civile ma soprattutto noi che abbiamo il compito di stare con loro e forse, conoscendoli di più, siamo quelli che riescono a percepire quali siano le vere necessità che sono in parte la ricostruzione della casa e la ricostruzione delle chiese, che loro sentono molto, ma un’esigenza fortissima è proprio il non sentirsi abbandonati, sapere che qualcuno pensa a loro. Ora, senza case, non più nelle tende, alloggiati in strutture comunitarie, alberghi o qualcosa di questo tipo, dalla mattina alla sera senza aver nulla di preciso da compiere, la testa va molto lontano... E quindi hanno bisogno veramente di essere occupati da una parte, e dall’altra di essere anche costantemente incoraggiati. Io direi che il lavoro più importante di questa fase è proprio l’ascolto.

D. – Ieri c’è stata una Messa in una tenda allestita a Pescara del Tronto. E’ venuta la presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha parlato dei tempi del decreto legge per la ricostruzione, che è ora al Senato, passerà alla Camera e si parla di 60 giorni per l’approvazione. D’altra parte si è anche detto che le circa 160 casette che sorgeranno vicino alle aree colpite saranno pronte in primavera. La gente si sente rassicurata su questo fronte?

R. – La gente spera che le parole che vengono dette e i tempi che vengono indicati possano corrispondere alla realtà, perché c’è un’attivazione di buona volontà, che io vedo, e non vorrei che la burocrazia rovinasse questo. La burocrazia snellita al massimo aiuta a risolvere. Noi abbiamo voluto dare un segno anche di attivazione rapida e abbiamo potuto farlo perché abbiamo preso un terreno di nostra competenza annesso al cimitero di Pescara del Tronto, e lì abbiamo voluto costruire la prima chiesetta di legno con uno scopo particolare: la gente che va lì può visitare i propri cari e magari avere lì una Celebrazione Eucaristica e, allo stesso tempo, da lì può ripartire una ricostruzione che, a piccoli passi ma rapidamente, possa abbracciare l’intero territorio.

D. – Il 4 ottobre c’è stata la visita di Papa Francesco alle popolazioni colpite dal terremoto, sia sul versante laziale sia su quello marchigiano e umbro. Il Papa ha detto di voler portare vicinanza e preghiera. Quest’anno, poi, il ricavato dell’iniziativa di solidarietà della Lotteria di Beneficienza del Santo Padre proprio per volere del Papa andrà ai terremotati del Centro Italia e ai senzatetto. La popolazione sente il Papa vicino?

R. – Il Papa ha lasciato una grande impronta, perché è arrivato in maniera molto semplice. La gente lo ha percepito in questo modo, come una visita di casa, hanno sentito come un padre che veniva … La visita del Papa resta un grande segno di speranza e di ripresa per la gente. Ovviamente, loro sperano quanto prima – appena possibile – di potere andare a ringraziarlo della visita che ha fatto loro.

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Vescovi Albania: lettera per i 38 martiri Beati vittime del comunismo

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“Siamo molto riconoscenti al Signore che quest’anno ci ha colmato di grande gioia quando, attraverso Papa Francesco, ha elevato il nome della Beata Teresa di Calcutta tra i nomi dei santi della Chiesa. E come se ciò non bastasse, fra alcuni giorni la Chiesa scriverà nell’albo dei beati i nomi dei 38 cattolici che hanno subito il martirio nel periodo tenebroso del comunismo ateista”. Lo si legge in una lettera ripresa dall'agenzia Sir, della Conferenza episcopale dell’Albania “indirizzata ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli”. “La parola martire – vi si spiega – vuol dire testimone. Quindi il martire è colui che dà testimonianza del suo credo. Gesù disse: ‘Amore più grande non c’è, se non quello di un uomo che dà la vita per i suoi amici’. Così il martirio è la manifestazione suprema dell’amore di Cristo”.  La beatificazione avverrà il prossimo 5 novembre a Scutari e vedrà la presenza del rappresentante del Papa il card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.

Il comunismo manifestò un odio particolare verso i cattolici
“Il comunismo che per quasi mezzo secolo ha oppresso l’Albania - prosegue la lettera - manifestò un odio particolare verso i cattolici. Enver Hoxha (dittatore dell’Albania dalla seconda Guerra mondiale al 1985, ndr.), in un discorso che tenne nella Conferenza di Peza, nell’anno 1984, disse che la gerarchia cattolica era composta da ‘uomini senza patria che dipendevano totalmente dal Vaticano… Tutti i capi della chiesa cattolica erano colti, istruiti con gli studi teologici, addestrati con disciplina di ferro, con metodi e stratagemmi di oppressione della volontà degli uomini attraverso la paura del Signore’”.

La beatificazione dei 38 martiri avverrà il 5 novembre
“Sono parole – spiegano i vescovi – che mostrano il pregiudizio contro la Chiesa cattolica”. E ancora: “La terra albanese è stata bagnata dal sangue dei martiri, ma oggi ci rallegriamo! Il 5 novembre la Chiesa eleverà agli altari i nostri 38 martiri uccisi in quel terribile periodo. Tutti i 38 martiri erano sacerdoti (o chierici), tranne 4 laici: una ragazza, Maria Tuci, barbaramente uccisa perché era candidata delle suore Stimmatine e catechista; e tre uomini: Qerim Sadiku, Gjelosh Lulash e Fran Mirakaj”.

Tra i nuovi beati anche l'arcivescovo di Durazzo
Tra i 38 martiri albanesi che saranno proclamati beati, figura anche mons. Vinçenc Prendushi, l’ultimo arcivescovo di Durazzo. “Egli – si legge nella lettera diffusa dai vescovi dell’Albania – fu accusato di essere ‘nemico del popolo’, ‘reazionario’, ‘spia del Vaticano’, e condannato a vent’anni di carcere dove fu torturato, insultato e umiliato in molti modi diversi, fino alla morte”.

La Chiesa ha bisogno di consacrati alla vita sacerdotale e relilgiosa
​“Cari fratelli e sorelle, la Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza. La Chiesa – affermano i prelati – ha bisogno che alcuni ragazzi e ragazze si consacrino al Signore nella vita sacerdotale e religiosa. La società, particolarmente oggi, ha bisogno della vostra testimonianza. Abbiate davanti agli occhi l’esempio dei nostri martiri”. Le loro ultime parole furono: ‘Viva Cristo re! Viva l’Albania!’”: “l’amore fedele verso il Signore ci insegna come amare la patria, come amare gli altri e, così anche, come amare se stessi”. Quindi, aggiungono i vescovi, “impegniamoci ad essere buoni cittadini e retti in famiglia, a scuola, in ogni settore della vita e anche in politica. Mostratevi forti nella vostra fede, affinchè attraverso di noi il mondo impari a rispettare la vita umana dal concepimento fino alla morte e si adoperi per quella giustizia che è il fondamento di una pace vera e stabile”. “Attendiamo la vostra partecipazione alla celebrazione della beatificazione dei nostri martiri sabato 5 novembre, a Scutari, alle ore 10”. (R.P.)

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Usa-Messico: Messa alla frontiera per i migranti

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"Il migrante economico non è un criminale. Il migrante economico è qualcuno alla ricerca di un modo dignitoso di vita per se stesso, per la sua famiglia" ha detto mons. Gerald Frederick Kicanas, vescovo della diocesi di Tucson, in Arizona, durante l'omelia della Messa celebrata ieri alla frontiera con il Messico, che è stata presieduta dal nunzio apostolico negli Stati Uniti, l'arcivescovo Christophe Pierre.

Un evento per riflettere sul dramma delle famiglie divide tra i due Paesi
​La celebrazione - riporta l'agenzia Fides - è stata promossa per far riflettere ancora una volta la comunità internazionale sulla drammatica situazione che vivono le famiglie divise dalla frontiera: dalla parte statunitense, Nogales Arizona, erano presenti circa 250 persone, mentre che dalla parte di Nogales Messico non si sa di preciso quanti fossero i presenti, che comunque erano numerosi.

Presente il nunzio perchè il dramma dei migranti sta a cuore al Papa
Mons. Kicanas ha ricordato la visita di Papa Francesco in Messico, che ha parlato per la riforma dell'immigrazione e di un trattamento umano per i migranti. Durante la celebrazione si è pregato anche per gli agenti della polizia di frontiera e degli altri che lavorano al confine. Presentando il nunzio apostolico, mons. Kicanas ha detto: "La sua decisione di unirsi a noi ci ricorda che si tratta di una questione molto importante per il nostro Santo Padre". La Messa è la prima di alcune iniziative per mettere in evidenza il lavoro comune svolto in stretta collaborazione tra la diocesi statunitense di Tucson e quella messicana di Nogales, riferisce la Fides. L'obiettivo principale è quello di attirare l'attenzione su migranti e rifugiati.

Aumentati notevolmente i migranti a Nogales, soprattutto haitiani
Secondo dati delle agenzie, sono circa 64.000 i migranti (inclusi 8.000 minorenni) fermati dalla polizia di frontiera in Arizona nel 2015, mentre 63 sono morti nel tentativo di attraversare la frontiera nel deserto. Secondo il Padre gesuita Sean Carroll, direttore esecutivo della Kino Border Initiative (Kbi), organizzazione caritativa che accoglie migranti e rifugiati, sono aumentati notevolmente i migranti a Nogales, e non bastano le risorse locali per dare da mangiare a queste persone. Gli ultimi dati dei Centri di accoglienza a Nogales riferiscono dell'arrivo di 80 haitiani alla città di frontiera per provare ad entrare agli Usa da questa parte. (C.E.)

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Giornata informazione Onu: binomio sviluppo-comunicazioni

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La diffusione dell’informazione è un fattore chiave dello sviluppo economico e quindi centrale per promuovere il benessere sociale, sottolineano le Nazioni Unite nella Giornata internazionale dell’informazione sullo sviluppo, che ricorre oggi. Con questa giornata si vuole infatti evidenziare la centralità del binomio sviluppo – informazione. La comunità internazionale concorda soprattutto sulla necessità di incrementare gli sforzi per garantire l’accesso alla digitalizzazione dei Paesi più svantaggiati. Questo per sradicare povertà, dare accesso all’istruzione, garantire maggiori diritti sociali. Ma come raggiungere meglio a livello di comunicazione i Paesi meno avanzati? Dove si può puntare visto che sempre di più il web è il cuore delle notizie? Nell'intervista di Debora Donnini, ci risponde Paolo Peverini, docente di Linguaggi dei Nuovi Media presso l’Università Luiss di Roma: 

R. - Sicuramente il binomio tra informazione e sviluppo è una questione molto importante. Questa giornata fa riflettere ovviamente anche su un altro binomio, quello tra informazione e processi di democratizzazione, anche perché quotidianamente veniamo a conoscenza del rischio che corrono i professionisti dell’informazione in molte zone del mondo e delle forme di censura che vengono applicate e che molto spesso colpiscono i social network che molti di noi utilizzano in modo quasi ovvio e scontato, quando scontato non è in molte parti del mondo. La questione è di ordine tecnologico ma evidentemente non solo: ha proprio a che fare con il tema dello sviluppo. Ci sono senz’altro molti esperimenti in corso per riuscire a far arrivare i contenuti e l’informazione in zone del mondo che non hanno le infrastrutture di cui noi beneficiamo. Sicuramente la grande sfida è quella di riuscire a portare in mobilità, cioè sul mobile, sui device portatili, le informazioni in zone del mondo che non possono accedere a contenuti ricchi in termini di foto, video audio. La Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede in alcune interviste recenti ha parlato anche della possibilità di utilizzare Facebook per far  arrivare contenuti in zone del mondo che in questo momento non hanno accesso a questi ultimi e quindi ripensando proprio le modalità di distribuzione dei contenuti con forme che siano alternative al broadcast.

D. - Per parlare di informazione ormai non si può prescindere da un web sempre più interattivo e dalla confluenza dei vari media. Quanto hanno impattato sul mondo dell’informazione, social network come Facebook, Twitter e altri?

R. – Sicuramente l’impatto c’è stato ed è tuttora fortemente in corso. Il social web costringe a ripensare il tipo di interazione che si viene a stabilire tra una fonte, l’informazione, da una parte, ed il suo pubblico, l’audience, dall’altra. Questo significa pensare all’uso sinergico del testo scritto, delle immagini, del video, che può essere fatto dai vari social network. Quindi i social network possono essere uno strumento di grande efficacia nella prospettiva di chi produce contenuti, ma a patto di farne un uso consapevole  che non sia volto banalmente ad ottenere quella che si chiama l'engagement dell'audience cioè il maggior numero di like, di condivisioni, ma utilizzarli per far arrivare le notizie nel modo più rapido possibile. L’elemento fondamentale rimane sempre quello dell’attendibilità. In altri termini quello che voglio dire è che oggi, in un contesto dominato dalla possibilità di commentare, far circolare molti contenuti in tempi molto brevi su molte piattaforme, diventa sempre più fondamentale la veridicità di quello che viene affermato.

D. – Oggi nell’usufruire della notizia, si parla sempre più di “protagonismo” dell’utente che costruisce il proprio palinsesto e in un certo senso “collabora” alla costruzione della notizia perché non c’è più un modello verticale ma orizzontale …

R. - Sicuramente i social network hanno consentito di far emergere forme del cosiddetto citizen journalism, cioè giornalismo fatto anche dagli utenti, un vero e proprio ripensamento della costruzione anche collettiva dell’informazione. Certamente i social network consentono anche agli utenti, ai cittadini di contribuire. Si pensi alle situazioni di emergenza, di calamità naturali: i social network possono davvero svolgere un ruolo molto forte e sempre di più vediamo come i media tradizionali spesso inseguono quello che accade sui social network, perché ovviamente non possono godere della capacità di intervenire in modo tempestivo su quello che sta accadendo. Quindi ci sono ovviamente anche delle ricadute molto interessanti sul lato del ripensamento del rapporto tra chi produce informazione e chi ne fruisce. Tra l’altro stiamo assistendo anche da alcuni anni ad esperimenti interessanti del cosiddetto giornalismo immersivo, cioè un giornalismo che utilizza le potenzialità di foto, video, audio, di un’interazione infografica avanzata per consentire all’utente un approfondimento. Quindi non solo informazione in tempo reale o quasi reale, ma nuove forme di reportage, nuove forme di approfondimento in un contesto che spesso è dominato da una fortissima sintesi delle informazioni. In questo contesto i social network possono avere senz’altro un ruolo molto importante, perché possono favorire il dialogo, il commento e l’approfondimento dei contenuti.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 298

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.