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Sommario del 25/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Regno di Dio cresce con la docilità, non con gli organigrammi

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Perché il Regno di Dio cresca, il Signore richiede a tutti la docilità. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai fedeli nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi messo in guardia dal concentrarsi troppo sulle strutture e gli organigrammi. Il Regno di Dio, ha ammonito, non è fisso ma in cammino. Il servizio di Alessandro Gisotti

Beati coloro che “camminano nella Legge del Signore”. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia sottolineando che la Legge non è solo per studiarla, ma per “camminarla”.

Il Regno di Dio non è una struttura fissa, è sempre in cammino
La Legge, ha aggiunto, “è per la vita, è per aiutare a fare il Regno, a fare la vita”. Oggi, ha soggiunto il Papa, il Signore “ci dice che anche il Regno è in cammino”:

“Cosa è il Regno di Dio? Eh, forse il Regno di Dio è una struttura tutta ben fatta, tutto in ordine, organigrammi ben fatti, tutto … e quello che non entra lì, non è nel Regno di Dio. No. Con il Regno di Dio accade lo stesso che può accadere con la Legge: il ‘fissismo’, la rigidità … La legge è per camminarla, il Regno di Dio è in cammino. Non è fermo. Di più: il Regno di Dio ‘si fa’ tutti i giorni’”.

Gesù, ha ripreso il Papa, parla nelle sue parabole di “cose della vita quotidiana”: il lievito che “non rimane lievito”, perché alla fine “si mescola con la farina”, è quindi “in cammino e fa il pane”. E poi il seme che “non rimane seme” perché “muore e dà vita all’albero”. “Lievito e seme – ha osservato Francesco – sono in cammino per fare qualcosa”, ma per fare questo “muoiono”. “Non è un problema di piccolezza, è piccolo, è poca cosa, o cosa grande. E’ un problema – ha rilevato il Pontefice – di cammino, e nel cammino succede la trasformazione”.

Perché il Regno di Dio cresca, dobbiamo essere docili allo Spirito Santo
Uno che vede la Legge e non cammina, ha avvertito, ha un atteggiamento fisso, “un atteggiamento di rigidità”:

“Qual è l’atteggiamento che il Signore chiede da noi, perché il Regno di Dio cresca e sia pane per tutti e abitazione, anche, per tutti? La docilità. Il Regno di Dio cresce con la docilità alla forza dello Spirito Santo. La farina lascia di essere farina e diventa pane, perché è docile alla forza del lievito, e il lievito si lascia impastare con la farina … non so, la farina non ha sentimenti, ma lasciarsi impastare si può pensare che c’è qualche sofferenza lì, no? E poi, si lascia cucinare, no? Ma, anche il Regno … ma il Regno cresce così, e poi alla fine è pasto per tutti”.

“La farina è docile al lievito”, cresce e il Regno di Dio “è così”. “L’uomo e la donna docili allo Spirito Santo – ha affermato il Papa – crescono e sono dono per tutti. Anche il seme è docile per essere fecondo, e perde la sua entità di seme e diventa un’altra cosa, molto più grande: si trasforma”. Così è il Regno di Dio: “in cammino”. In cammino “verso la speranza”, “in cammino verso la pienezza”.

Il rigido ha solo padroni, ma non ha un padre
Il Regno di Dio, ha detto ancora, “si fa tutti i giorni, con la docilità allo Spirito Santo, che è quello che unisce il nostro piccolo lievito o il piccolo seme alla forza, e li trasforma per far crescere”. Se invece non camminiamo, diventiamo rigidi e “la rigidità ci fa orfani, senza Padre”:

“Il rigido soltanto ha padroni, non un padre. Il Regno di Dio è come una madre che cresce e feconda, si dona se stessa perché i figli abbiano pasto e abitazione, secondo l’esempio del Signore. Oggi è un giorno per chiedere la grazia della docilità allo Spirito Santo. Tante volte noi siamo docili ai nostri capricci, ai nostri giudizi. ‘Ma, io faccio quello che voglio …’ … Così non cresce il Regno, non cresciamo noi. Sarà la docilità allo Spirito Santo che ci farà crescere e trasformare come il lievito e il seme. Che il Signore ci dia a tutti la grazia di questa docilità”.

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Il Papa riceve il presidente venezuelano Maduro

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Nella serata di ieri, 24 ottobre, il Santo Padre Francesco ha ricevuto, in forma privata, Nicolás Maduro Moros, presidente della Repubblica Bolivariana di Venezuela. L’incontro è avvenuto nel quadro della preoccupante situazione di crisi politica, sociale ed economica che il Paese sta attraversando e che si ripercuote pesantemente sulla vita quotidiana dell’intera popolazione.

In questo modo, informa un comunicato della Sala Stampa vaticana, il Papa, che ha a cuore il bene di tutti i venezuelani, ha desiderato continuare ad offrire il suo contributo a favore dell’istituzionalità del Paese e di ogni passo che contribuisca a risolvere le questioni aperte e creare maggiore fiducia tra le Parti. Francesco ha invitato poi a intraprendere con coraggio la via del dialogo sincero e costruttivo, per alleviare le sofferenze della gente, dei poveri in primo luogo, e promuovere un clima di rinnovata coesione sociale, che permetta di guardare con speranza al futuro della nazione.

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Dottrina della Fede: nuova Istruzione su sepoltura e cremazione

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Un nuovo documento della Congregazione per la Dottrina della fede è stato presentato oggi in Sala Stampa vaticana. Si tratta dell’istruzione Ad resurgendum cum Christo, circa la sepoltura dei defunti in luoghi sacri, che la Chiesa raccomanda per ragioni dottrinali e pastorali e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione, non vietata ma regolamentata dal testo. Il Documento è rivolto ai vescovi ma riguarda la vita di tutti i fedeli. Il servizio di Gabriella Ceraso

La cremazione sta diventando una pratica crescente, forse a breve diventerà ordinaria, spiega il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e ad essa si accompagna sempre più la conservazione delle ceneri in ambienti domestici, o in ricordi commemorativi o la loro dispersione in natura, senza una specifica normativa canonica che la regoli. E’ questo il contesto della nuova Istruzione che rispecchia la sollecitudine della Chiesa affinchè il trattamento dei cadaveri sia ispirato a rispetto e carità, esprima il senso cristiano della morte e la speranza nella risurrezione. E’ la nuova “sfida per l’evangelizzazione della morte” di cui parla il cardinale Müller:

“L’accettazione dell’essere creatura da parte della persona umana, non destinata all’evanescente scomparsa, domanda di riconoscere Dio come origine e destino dell'esistenza umana: dalla terra proveniamo e alla terra torniamo, in attesa della risurrezione. Occorre pertanto evangelizzare il senso della morte, alla luce della fede in Cristo Risorto”

Il corpo, secondo la fede in Cristo morto e Risorto, "verità culminante della fede", è per il cristiano parte integrante della persona, sottolinea padre Serge Thomas Bonino, segretario della Commissione Teologica Internazionale è Sacramento dell’anima non è idolatrabile, né è una proprietà privata e "la morte non lo annienta", "arrivando alla fusione con la natura, come se tale fosse il destino finale dell'essere umano":

“Ecco perché seppellire i defunti è, già nel Antico Testamento, una delle opere di misericordia rispetto al prossimo. L'ecologia integrale che brama il mondo contemporaneo dovrebbe dunque cominciare col rispettare il corpo, il quale non è un oggetto manipolabile a seconda della nostra volontà di potenza, ma il nostro umile compagno per l’eternità. È anche questo che vuole ribadire l'Istruzione”.

L’indicazione più importante dell’Istruzione è dunque che “le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un'area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica". Ne consegue che non possano essere disperse nella natura o trasformate in oggetti ricordo o conservate in casa se non in casi del tutto eccezionali. E, all’obiezione che la scelta della propria abitazione sia ispirata ad un desiderio di vicinanza e pietà, mons. Angel Rodríguez Luño, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, risponde così:

“Non è la motivazione più frequente, ma in qualche caso può essere così. C’è tuttavia il rischio che si producano dimenticanze e mancanze di rispetto, soprattutto una volta passata la prima generazione, così come si può dar luogo a elaborazioni del lutto poco sane. Ma soprattutto si deve osservare che i fedeli defunti fanno parte della Chiesa, sono oggetto della preghiera e del ricordo dei vivi, ed è bene che i loro resti vengano ricevuti dalla Chiesa e custoditi con rispetto lungo i secoli nei luoghi che la Chiesa benedice a tale scopo, senza venir sottratti al ricordo e alla preghiera degli altri parenti e della comunità”.

Il documento precisa inoltre che si debbano negare le esequie, se, per ragioni contrarie alla fede il defunto abbia “notoriamente” disposto la cremazione e la dispersione in natura della proprie ceneri.

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Dittatura Argentina: Vaticano e vescovi aprono archivi a familiari vittime

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Sabato 15 ottobre, in Vaticano, la Commissione Esecutiva della Conferenza Episcopale Argentina, si è riunita con il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, mons. Richard Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, ed alcuni officiali della Segreteria di Stato, per una valutazione sui lavori di catalogazione e di digitalizzazione del materiale d’archivio del periodo della Dittatura Militare (1976-1983), conservato negli Archivi della Conferenza Episcopale Argentina, della Segreteria di Stato e della nunziatura apostolica a Buenos Aires. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un comunicato congiunto della Conferenza episcopale argentina e della Segreteria di Stato vaticano informa che “si è preso atto" che "è terminato" il "processo di organizzazione e digitalizzazione" del "materiale d’archivio del periodo della Dittatura Militare". Un processo che è stato "eseguito in conformità con le decisioni e le indicazioni del Santo Padre e rappresenta il prosieguo di un lavoro già iniziato anni addietro dalla Conferenza Episcopale Argentina”. In base a un protocollo da stabilirsi prossimamente, prosegue la nota, “potranno accedere alla consultazione dei relativi documenti le vittime e i familiari diretti dei desaparecidos e detenuti e, nei casi di religiosi o ecclesiastici, anche i loro Superiori maggiori”. Il comunicato sottolinea che “questo lavoro è stato svolto avendo a cuore il servizio alla verità, alla giustizia e alla pace, continuando il dialogo aperto alla cultura dell’incontro”. Papa Francesco e l’episcopato argentino, conclude il comunicato congiunto, "affidano la Patria alla misericordiosa protezione di Nostra Signora di Luján, fiduciosi nell’intercessione dell’amatissimo San José Gabriel del Rosario Brochero".

La Commissione esecutiva della Conferenza Episcopale Argentina è composta dal presidente mons. José María Arancedo, arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, dal primo vicepresidente Card. Mario Aurelio Poli, Arcivescovo di Buenos Aires e Primate d’Argentina, dal secondo vicepresidente Mons. Mario Antonio Cargnello, Arcivescovo di Salta, e dal segretario Generale, mons. Carlos Humberto Malfa, Vescovo di Chascomus.

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Nomine episcopali di Papa Francesco in Venezuela, Perù e Canada

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Nomine episcopali di Papa Francesco in Venezuela, Perù e Canada. Qui il link al Bollettino odierno della Sala Stampa vaticana.

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Deepavali, Tauran: Cristiani e Indù sostengano il matrimonio

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La famiglia è la “prima scuola di umanità” e  i genitori sono i “primi e principali” educatori dei loro figli, "come Cristiani e Indù, uniamoci a tutte le persone di buona volontà nel sostenere il matrimonio". Lo afferma il messaggio del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso per il Deepavali, del 30 ottobre, tradizionale festa indù. Alessandro Guarasci: 

“E’ nella famiglia che i figli, guidati dal nobile esempio dei genitori e degli anziani, vengono formati ai valori che li aiuteranno a svilupparsi some esseri umani buoni e responsabili. Troppo spesso, però, le circostanze familiari limitano l’ottimismo e l’idealismo della nostra gioventù”, dice il messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, presieduto dal cardinale Jean Luois Tauran. Il testo afferma come sia “particolarmente importante, perciò, che i genitori, insieme con la più ampia comunità, inculchino nei figli il senso della speranza, orientandoli verso un futuro migliore e nel perseguimento del bene, anche di fronte alle avversità”.

Il messaggio ricorda anche come nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia il Papa scriva che “formare ed educare alla speranza è, dunque, un compito di fondamentale importanza per le famiglie, perché ciò riflette la natura divina della misericordia che accoglie gli scorati, offrendo loro uno scopo. Una siffatta educazione alla speranza incoraggia gli stessi giovani a mettersi a disposizione degli altri che sono nel bisogno, in carità e servizio, e divenire una luce per quelli che sono nell’oscurità”.

Ed ancora, nel saluto per la Festa delle Famiglie di Filadelfia del 2015, Francesco diceva che “le famiglie devono essere un ‘laboratorio di speranza', dove i figli imparano dall’esempio dei loro genitori e familiari, e fanno esperienza della potenza della speranza nel consolidare le relazioni umane, servendo i più dimenticati della società e superando le ingiustizie di oggi. San Giovanni Paolo II amava dire che ‘il futuro dell’umanità passa per la via della famiglia’. Se l’umanità deve prosperare e vivere in pace, allora le famiglie devono assumere quest’opera di coltivare la speranza e incoraggiare i loro figli ad essere annunciatori della speranza al mondo”.

Dunque, continua il messaggio “come Cristiani e Indù, uniamoci a tutte le persone di buona volontà nel sostenere il matrimonio e la vita familiare, guidando le famiglie ad essere scuole di speranza. Portiamo la luce della speranza in ogni angolo del nostro mondo, offrendo consolazione e forza a tutti i bisognosi”.

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Segreteria Comunicazione: un libro e un docufilm su Carlo Acutis

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Un docufilm e un volume sul giovane Servo di Dio Carlo Acutis saranno presentati in Vaticano, domani  26  ottobre, dalla Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, il Centro Televisivo Vaticano, la Liberia Editrice Vaticana e Officina della Comunicazione.

La presentazione delle due opere avverrà nel corso di una conferenza stampa convocata alle 12.30  presso  la  Filmoteca  Vaticana  (Palazzo  San  Carlo)  alla quale interverranno mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede; don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana; Nicola Gori, giornalista presso l’Osservatore Romano, autore del libro “Un genio dell’informatica in cielo. Biografia di Carlo Acutis”; Matteo Ceccarelli, regista del documentario “La mia autostrada per il cielo - Carlo Acutis e l’Eucarestia”.

L’incontro sarà introdotto da Nicola Salvi ed  Elisabetta Sola, produttori del documentario e amministratori di Officina della Comunicazione. Il progetto nasce con l’intenzione di raccontare la normalità della vita del ragazzo Carlo Acutis, morto a soli 15 anni il 12 ottobre di dieci anni fa, per una leucemia fulminante, che fin in tenera età ha costruito un rapporto speciale con la fede e con l’Eucarestia. Già Servo di Dio, la  storia della sua vita sta intraprendendo un cammino coraggioso verso la Beatificazione.

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Oggi in Primo Piano



Sud Sudan: Amnesty denuncia violenze sui civili e inerzia Onu

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“Non credevamo che saremmo sopravvissuti: uccisioni, stupri e saccheggi a Juba”. È titolo del rapporto diffuso oggi da Amnesty International e relativo alle violenze perpetrate in Sud-Sudan, lo scorso luglio, dalle forze governative del Presidente Salva Kiir contro i civili dell’etnia nuer del vice Presidente Riek Machar. Il testo contiene anche pensati accuse contro i Caschi blu dell’Onu, che sarebbero colpevoli di aver abbandonato diversi siti protetti. L’Organizzazione umanitaria chiede ora un embargo sulle armi dirette nel Paese africano e l’istituzione di un tribunale ibrido indipendente che abbia giurisdizione su questi crimini. Ma per sapere quali episodi e quali brutalità  sono riportate nel documento prodotto dall’Ong, Marco Guerra ha intervistato Riccardo Noury portavoce di Amnesty international Italia: 

R. – C’è un rigurgito di quella violenza che ha caratterizzato la vita del Paese negli ultimi anni quando un movimento di liberazione che ha conquistato l’indipendenza si è spaccato lungo linee politiche e soprattutto etniche con il risultato che in quella violenza di luglio, l’ultima che abbiamo denunciato, l’etnia del vice Presidente Riek Machar, che è l’etnia nuer, si è vista di nuovo bersaglio delle forze governative del Presidente Salva Kiir che sono in maggioranza dell’etnia dinka.

D. - Cosa riferisce in particolare il rapporto di Amnesty “Non credevamo che saremmo sopravvissuti”?

R. – Parla delle conseguenze di uno scoppio di violenza iniziato con una scaramuccia l’8 luglio. Addirittura, il Presidente e il vice Presidente stavano facendo una conferenza stampa, come se fosse l’ufficializzazione di una pace, di un ritorno alla normalità, quando i militanti dei due gruppi - da un lato l’esercito governativo e dall’altro l’Esercito per la liberazione del Sudan all’opposizione, così si chiamano - hanno ricominciato a spararsi. Il risultato è che ci sono stati nella capitale Juba giorni di razzie, di uccisioni, di stupri, il tutto sotto gli occhi delle forze della missione di peacekeeping dell’Unione Africana che è rimasta fondamentalmente a guardare.

D. – Infatti ci sono durissime accuse nei confronti del contingente Onu presente nel Paese: avrebbero assistito a violenze di ogni tipo senza intervenire…

R.  – Sì, sulla base delle ricerche fatte da Amnesty international la mancanza di azione da parte delle forze di peacekeeping è veramente sconvolgente. La loro base è al centro della capitale ma è proprio lì nei pressi della loro base che sono avvenuti stupri di massa. L’Hotel Terrain dove ci sono stati stupri di gruppo e uccisioni, dista meno di un km dalla base dei peacekeeper. Hanno acconsentito che zone abitate dai civili e dichiarate protette venissero attaccate, hanno lasciato gli abitanti privi di difesa, hanno acconsentito che ci fossero irruzioni in abitazioni private, sequestri di persone, stupri, uccisioni… Insomma sono venuti meno alla missione di proteggere i civili.

D. – Lo stupro di gruppo sembra diventata di nuovo un’arma di guerra e abbiamo visto soprattutto a danno dell’etnia nuer in questo caso…

R. - Sì questo è un conflitto molto feroce, anche combattuto con metodi antichi, cioè lo stupro come arma di guerra e lo stupro per punire l’etnia rivale intanto per fare del male alle donne e poi per umiliare i loro mariti. Questo è quello che ci hanno raccontato le sopravvissute agli stupri.

D. – Attualmente qual è la situazione politica e i rapporti tra le forze leali al Presidente Salva Kiir e gli alleati del vice Presidente Riek Machar?

R. – Quello che risulta in queste settimane è una relativa calma ma la situazione è sempre molto fragile perché gli accordi o i tentativi di accordi di pace si sono visti in questi ultimi anni più volte e si sono visti anche più volte fallire per magari una scaramuccia o qualcosa di poco conto. Quindi non c’è ancora in vista una pace duratura e sostenibile, e l’assenza di violenza e di combattimenti non è necessariamente prodromo di qualcosa di positivo che accadrà prossimamente.

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Calais, prosegue lo sgombero. Padre Ripamonti: ascoltare migranti

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Sono oltre tremila i migranti trasferiti finora dal campo di Calais, la cui evacuazione è iniziata ieri. Quasi diecimila le persone, tra rifugiati e richiedenti asilo, presenti in quella che viene comunemente chiamata "la giungla". In Italia intanto resta alta la polemica dopo le barricate anti-immigrati alzate nel ferrarese. Francesca Sabatinelli: 

Secondo giorno di sgombero della cosiddetta "giungla", quello che viene indicato come il campo della vergogna, per la Francia e per tutta l’Europa. Le operazioni di evacuazione proseguono senza che finora si siano registrati gravi scontri. Le persone vengono trasferite in centri di accoglienza e orientamento di tutta Francia, non tenendo conto di quelle che erano le loro aspirazioni e i loro desideri, di ciò che le ha spinte a rischiare la vita pur di arrivare in Europa. Questo denunciano le associazioni impegnate nella difesa dei migranti che al centro delle loro preoccupazioni hanno soprattutto la sorte dei minori non accompagnati che rischiano di non essere tutelati come la legge prevede. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, il Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia:

R. – Sgomberare questa “giungla” in realtà non è una vera e propria soluzione, perché ancora una volta non si tengono in considerazione le esigenze di queste persone che – non dimentichiamolo – scappano da guerre e da persecuzioni, arrivano in Europa cercando delle condizioni di vita migliori e cercando di riacquistare la loro dignità e noi non li ascoltiamo! E soprattutto in questa situazione di Calais ci sono tantissimi minori non accompagnati e la nostra preoccupazione più grande, in questo momento, è proprio riguardo a questi minori, che non si sa bene che fine faranno. L’Inghilterra si è dimostrata disponibile ad accogliere quelli che dimostreranno di avere dei parenti già presenti sul territorio, ma gli altri non si sa bene che fine faranno.

D. – Un altissimo numero delle persone presenti nella cosiddetta “giungla” di Calais ha documenti italiani, rilasciati in Italia in quanto primo porto di approdo. Il regolamento di Dublino è ancora vigente, questo significa che queste persone verranno riportate in Italia?

R. – Che presumibilmente queste persone verranno rimandate in Italia e quindi – ripeto – non si terrà conto del progetto migratorio di queste persone, ma si applicheranno norme che ormai tutti riconoscono come inadeguate a gestire il fenomeno migratorio in Europa in questo momento, ma che nessuno fa nulla per modificare, e questo perché stiamo assistendo ai nazionalismi dei vari Stati, che pensano soltanto a se stessi e non all’Europa nel suo insieme.

D. – Purtroppo arrivano conferme di insofferenza e intolleranza anche da piccoli nuclei italiani che, però, forse danno la dimensione del problema. Ne è un chiaro esempio quello che è successo nelle ultime ore in un comune del Ferrarese, i cui abitanti hanno costruito barricate per impedire il passaggio di un gruppo di donne e bambini migranti…  

R. – Sì, si arriva a questi estremi quando i territori non vengono preparati e soprattutto quando non si tiene conto - non si tiene in debito conto - anche la paura, che non va mai sottovalutata, e la mancanza di conoscenza, che non va mai sottovalutata. Quindi, se non si tiene conto di queste cose, il rischio poi è che i piccoli territorio o i grandi territori, reagiscono di pancia al fenomeno, costruendo quindi delle barricate e facendo ostruzionismo all’arrivo anche di donne e bambini, dicendo indirettamente a queste persone “Non siete gradite! Non vi vogliamo!”. E questo è un fatto inaccettabile, ma che io temo possa verificarsi in molte altre località in Italia e in Europa. E quindi non va sottovalutato, ma va invece governato con saggezza.

D. – Quella che si ritenne, a suo tempo, una soluzione da parte dell’Europa fu di chiudere la rotta balcanica stipulando un accordo particolare con la Turchia, che ha visto - tra l’altro - voi molto critici… Ora, questo modello probabilmente verrà riproposto anche per altri Paesi di provenienza, di partenza, ad esempio l’Egitto…

R. – Quello che noi abbiamo detto a proposito dell’accordo con la Turchia, che fosse cioè un “accordo vergognoso”, lo ribadiamo anche per questo atteggiamento, che considera l’accordo con la Turchia un successo da potersi estendere anche con altri Paesi. Questo non fa altro che indebolire la possibilità al diritto di asilo delle persone che scappano da guerra e persecuzioni. Non facciamo altro che esternalizzare le frontiere, dicendo che gli investimenti nei Paesi di provenienza di queste persone, per lo sviluppo di questi Paesi, in realtà sono semplicemente il prezzo che noi paghiamo per non farli arrivare. Quindi io credo che sia vergognoso tutto questo, non accettabile e per un insieme di Paesi civili come l’Europa non è un modello da sostenere.

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Attaccata in Pakistan una scuola di polizia, 60 le vittime

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Assalto nella notte ad una scuola di polizia in Pakistan: 60 morti e 123 feriti il bilancio, al momento, delle vittime. Ad attaccare militanti di un gruppo legato ad Al Qaida, ma non mancano altre ipotesi. Il servizio di Adriana Masotti: 

L'attacco è avvenuto ieri sera dopo le 23 ora locale. Obiettivo un centro di addestramento della polizia alla periferia di Quetta, capoluogo della provincia pachistana sudoccidentale del Balucistan, In azione un commando di tre kamikaze che hanno fatto irruzione nel compound della polizia quando circa 700 cadetti, agenti ed ufficiali stavano dormendo. La maggior parte delle vittime sono state causate dall'attivazione dei giubbetti esplosivi di due degli attaccanti, mentre il terzo è stato ucciso dalle forze di sicurezza che hanno circondato l’Accademia. Lo scontro a fuoco con i militanti armati di kalashnikov sarebbe durato 5 ore. Gli attaccanti avevano preso alcuni ostaggi. Sia i talebani pakistani che il gruppo jihadista sunnita Lashker-e-Jhangvi, affiliato con al Qaida, hanno rivendicato l’attacco. Secondo il capo delle forze paramilitari locali, gli attentatori erano in contatto telefonico con l’Afghanistan. L’organizzazione che ha le sue radici nella provincia del  Punjab, aveva già effettuato diversi attacchi in passato in particolare contro la minoranza sciita degli hazara che vive in Pakistan. Il centro di addestramento di Quetta era già stato attaccato nel 2006 e nel 2008.

Ad attaccare a Queta, dunque, sarebbero stati militanti del gruppo Lashker-i-Jhangvi legato ad Al Qaida, ma rivendicazioni sono arrivate anche dai talebani pakistani e perfino dall’Is. Adriana Masotti ne ha parlato con Francesca Marino, direttore del periodico Stringer Asia: 

R. – Daesh a questo punto non è credibile, ormai rivendica di tutto. La Lashkar-i Jhangvi è una cellula di  Sipah-e-Sahaba, cioè sono tutti gruppi, i cosiddetti “terroristi cattivi”, che il governo pakistano non sponsorizza ma che però attaccano di prevalenza sciiti.  Il Ttp è possibile … poi, ognuno ha la sua agenda e in questo momento il Belucistan è più che mai al centro dell’attenzione.

D. – In quale contesto è avvenuto l’attacco di questa notte?

R. – Ci sono in ballo un po’ di cose. Primo, i separatisti beluci che combattono contro Islamabad: è un po’ di tempo che il Pakistan accusa l’India di finanziare il Ttp (Tehrik-i Taliban), cioè i talebani pakistani, i talebani afghani e i guerriglieri baluchi. L’altro motivo è che è agli sgoccioli la conclusione – e quindi l’avvio – del cosiddetto corridoio economico tra Cina e Pakistan, di cui il Belucistan è la parte focale. I beluci non vogliono, metà del Pakistan non vuole questo accordo: la Cina ha in mano tre quarti del Paese. L’altra cosa è che sono ripresi i colloqui a Doha tra talebani, governo afghani e gli Stati Uniti. I pakistani non sono stati invitati percui è in corso un braccio di ferro.

D.- Ecco: ma perché colpire una scuola di polizia?

R. – Perché è un simbolo, ed è un soft-target. E’ quello che succede da anni: si colpiscono scuole, ospedali, obiettivi civili, i cosiddetti soft-target.

D. – Tanti i gruppi separatisti, gruppi terroristici, ma chi comanda, alla fine, in Pakistan?

R. – Chi comanda è chi ha sempre comandato: l’esercito.

D. – Il Pakistan rappresenta un rischio per la comunità internazionale, per la pace?

R. – Se calcoliamo che negli ultimi anni in qualche modo tutti gli attacchi terroristici sono riconducibili a gente addestrata in Pakistan, a gruppi nati in Pakistan; che i talebani stessi li ha pensati il Pakistan … due conti sono semplici. Anche negli attentati ultimi negli Stati Uniti c’è una connessione con il Pakistan: sempre.

D. – E l’obiettivo, di tutto questo?

R. – Innanzitutto, da quando è nato il Pakistan è stato in mano all’esercito. Nel momento in cui non c’è più il nemico – vedi l’India – i militari non hanno più motivo di esistere, non hanno più potere. L’altra cosa: la famosa, quella che chiamano profondità strategica, cioè: il Pakistan è uno Stato affogato in mezzo a potenze, in mezzo all’India, la Cina, la Russia e l’agenda dei servizi pakistani e anche di alcuni dei più grossi gruppi terroristici locali, è la stessa: la creazione di un califfato islamico che arrivi fino al Mediterraneo. Se lei legge il manifesto di un gruppo che si chiama Lashkar-i Taiba, quello che ha portato a termine l’attacco a Bombay nel 2008 e che combatte dappertutto, nel manifesto c’è scritto chiaramente fin dagli anni Novanta: “la creazione di uno Stato islamico che vada dal Pakistan fino alla Sicilia e alla Spagna”.

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Vescovi Congo: appello per le prossime elezioni presidenziali

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I vescovi della Repubblica Democratica del Congo lanciano un nuovo pressante appello a tutti i partiti congolesi a guardare oltre al proprio tornaconto per superare la perdurante crisi politica nel Paese, originata dal mancato rispetto della scadenza costituzionale per le elezioni presidenziali entro il dicembre 2016 , “tenendo conto delle aspirazioni della popolazione”.

I vescovi prendono atto delle risoluzioni delle riunioni del 4 e 18 ottobre
In un messaggio pubblicato al termine della riunione del comitato della Conferenza episcopale (Cenco) che segue il processo elettorale, i presuli, che il mese scorso avevano lasciato i lavori del dialogo nazionale allo scopo di favorire un “consenso più ampio”, ribadiscono le loro preoccupazioni per l’attuale impasse. Essi prendono atto delle risoluzioni prese dalla riunione tenuta il 4 ottobre da “Le Rassemblement”, il cartello delle opposizioni unito dietro al candidato Étienne Tshisekedi, che chiede il rispetto del termine previsto dalla Costituzione, e da quella del 18 ottobre, tra la maggioranza presidenziale e la parte dell’opposizione che ha partecipato al dialogo nazionale, nella quale è stato deciso di tenere le elezioni entro l’aprile del 2017.  Nel frattempo verrà creato un governo di unione nazionale guidato da un premier dell’opposizione, mentre il Presidente uscente, Joseph Kabila, resterà in carica anche dopo la scadenza del suo mandato, il 19 dicembre prossimo, fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato.

I punti di convergenza e quelli di divergenza
Secondo i vescovi, nonostante tutto, ci sono “punti di convergenza” tra le due parti “che devono essere presi in considerazione per trovare una via di uscita pacifica dalla crisi”. Tra i punti in comune ci sono: la consapevolezza del deterioramento della situazione socio-economica e di sicurezza del Paese; l’impegno a rispettare la Costituzione; il riconoscimento della necessità di un periodo di transizione per arrivare alle elezioni. Il messaggio ricorda però quali siano i punti di divergenza: durata del periodo di transizione; gestione del potere durante una transizione non prevista dalla Costituzione; separazione delle elezioni presidenziali da quelle legislative e locali.

Le raccomandazioni dei vescovi
La Cenco formula alcune raccomandazioni, chiedendo che la fase di transizione non superi il 2017 e che siano definiti in termini precisi e vincolanti i poteri del Governo, del Parlamento e della commissione che sarà incaricata di preparare le future elezioni. In particolare, sottolineano la necessità che sia chiaramente indicato che, nel rispetto della Costituzione, l’attuale Presidente non potrà concorrere per un terzo mandato. Quattro le priorità indicate dai vescovi per il futuro governo di transizione: l’organizzazione delle elezioni; il rispetto delle libertà fondamentali; il ripristino dell’autorità dello stato su tutto il territorio; il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.

Preghiera per la pace e la riconciliazione nazionale
Il 20 novembre, a conclusione dell’Anno giubilare della Misericordia, si terrà in tutta la Repubblica Democratica del Congo una solenne preghiera per la pace e la riconciliazione nazionale. (A cura di Lisa Zengarini)

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In aumento la CO2 nell'aria. Gravi conseguenze per il clima

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Preoccupazione per l’andamento del clima globale. I livelli di concentrazione di anidride carbonica nell’anno 2015 hanno raggiunto un picco di 400 parti per milione e lo stesso sta avvenendo nell’anno in corso. L’allarme è dell’organizzazione dell’Onu che si occupa dell’andamento climatico globale (Wmo). L’aumento di CO2 nell’atmosfera, secondo gli studiosi, avrà effetti evidenti sull’aumento della temperatura globale e sulla salute umana. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Antonio Ballarin Denti, docente di Fisica dell’Ambiente all’Università Cattolica del Sacro Cuore: 

R. – Il dato è preoccupante, perché anzitutto questo è un valore che non si era mai raggiunto da molte migliaia anni; e, in secondo luogo, perché è un valore raggiunto molto rapidamente nell’ultimo secolo. Quindi il riscaldamento del Pianeta che si è registrato negli ultimi decenni - di circa un grado – è sicuramente attribuibile a questo aumento di CO2 e prevedibilmente continuerà anche qualora riuscissimo ad arrestare i livelli di CO2. La situazione che dobbiamo affrontare è allarmante, anche per la velocità con cui si manifesta questo fenomeno e di conseguenza per gli impatti che ci attendono.

D. – Quindi effetti importanti sul clima, ma – secondo alcuni studiosi – anche sulla salute umana…

R. – A catena è prevedibile una reazione del regime delle precipitazioni: le piogge diminuiranno purtroppo molto nelle zone più siccitose e aumenteranno in zone in cui ci sono già monsoni o precipitazioni anche sotto forma di uragani. Avremo un aumento dei fenomeni meteorologici estremi e anche un aumento dei rischi connessi a questi fenomeni, molti dei quali riguardano proprio la salute umana. Oltre che all’inquinamento atmosferico, da ultimo ci saranno molti insetti, molti microrganismi e popolazioni di animali che tenderanno a trasferirsi e a emigrare in funzione del cambiamento del clima: quindi noi dovremo attenderci in Italia, ad esempio, un incremento di vettori di malattie che solitamente risiedono in Nord Africa.

D. – Ammesso che si riesca a mettere in pratica tutta quella serie di accordi internazionali per la salvaguardia del clima – ultimo dei quali quello di Parigi – quanto tempo ci vorrebbe per tornare a una situazione di normalità o comunque di regresso?

R. – Il fenomeno durerà sicuramente – posto che riusciamo a renderlo stazionario – per molti decenni; è anzi prevedibile che l’impatto maggiore avverrà proprio nei decenni di questo secolo. Ecco, perché è molto importante – come Parigi ha sottolineato – che accanto ad una strategia di contenimento, si avvii una politica di “adattamento”: una politica cioè che consenta, attraverso delle misure strutturali specifiche, settore per settore, di minimizzare gli impatti e quindi i danni attesi da questa deriva climatica. Quindi dovremmo investire molto nella prevenzione e nella mitigazione dei rischi connessi al clima.

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Fatima. Chiese orientali: messaggio sui migranti cattolici

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“Noi, vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa, riuniti a Fatima (Portogallo) dal 20 al 23 ottobre per il nostro incontro annuale, abbiamo riflettuto sulle sfide della cura pastorale dei fedeli cattolici orientali che migrano verso Paesi occidentali e, spesso, verso luoghi dove sono sprovvisti di pastori propri”. Lo si legge nel Messaggio - ripreso dall'agenzia Sir - a conclusione dell’incontro dei vescovi orientali cattolici d’Europa, tenutosi in Portogallo e promosso dal Ccee. 

La Ccee rappresentata dal card. Bagnasco
Il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa era rappresentato a Fatima dal suo presidente, il card. Angelo Bagnasco; vi hanno preso parte anche il card. Leonardo Sandri (Congregazione per le Chiese orientali), il patriarca Gregorios III Laham (greco melchiti), il nunzio in Portogallo, mons. Rino Passigato, e l’arcivescovo di Braga, mons. Jorge Ortiga. L’incontro 2017 si svolgerà nell’autunno a Londra (Regno Unito). 

Il fenomeno migratorio apre la Chiesa al dono dell’accoglienza
“Nei nostri lavori  - si legge nel Messaggio - ci siamo lasciati ispirare e guidare dalla Parola di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che ha conosciuto personalmente l’esperienza straziante di chi è costretto a lasciare la propria terra in cerca di nuovi orizzonti”. L’odierno fenomeno migratorio “rappresenta un’opportunità per la Chiesa, perché apre al dono dell’accoglienza”. I vescovi esprimono poi la gratitudine ai pastori locali e alle comunità parrocchiali della Chiesa latina in questi Paesi “per la loro premura paterna e l’accoglienza dei nostri fedeli, appartenenti alle Chiese orientali cattoliche”.

Attenzione alle famiglie che sono divise a causa delle migrazioni 
“Noi, vescovi orientali cattolici d’Europa - prosegue il Messaggio - siamo consapevoli della nostra responsabilità nei confronti dei fedeli che si trovano fuori dai confini della loro Chiesa madre. Vogliamo sostenere e confermare ognuno di loro e le loro famiglie. Siamo particolarmente attenti alle famiglie che sono divise a causa delle migrazioni per ribadire la bellezza della famiglia e quanto essa sia fondamentale per l´umanità”. 

Il desiderio di cooperare con i pastori latini
“Con questo messaggio - affermano i vescovi delle Chiese orientali cattoliche europee - vogliamo dichiarare la nostra disponibilità e il desiderio di cooperare più strettamente con i pastori latini per provvedere una cura pastorale sempre più adeguata ai nostri fedeli che si trovano nella loro giurisdizione, come pure per sostenere la formazione e la sensibilizzazione del clero latino nei confronti delle tradizioni orientali”. 

Cura pastorale sul principio dell'integrazione e non dell'assimilazione
​“Vogliamo affermare che il nostro impegno e la cura pastorale dei fedeli si basa sul principio dell’integrazione, non dell’assimilazione. Abbiamo a cuore che i nostri fedeli, organizzati nei loro Centri pastorali, siano ben integrati nella Chiesa locale del Paese d’accoglienza, certi che le tradizioni orientali cristiane sono un dono anche per le comunità latine”. Tuttavia, “anche le tradizioni orientali incontrano la grande sfida del secolarismo, che vuole snaturare la vita cristiana. Perciò, lo sforzo per incarnare il Vangelo nella cultura dei nostri popoli, spesso prigionieri del presente, ci aiuterà a rendere più viva la percezione di far parte di una storia che ci precede e che ci segue”. (R.P.)

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Vescovi svizzeri: al referendum sì all'uscita dal nucleare

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Uscire dal nucleare “è fattibile ed auspicabile sotto un profilo sia pratico, sia etico”. È quanto afferma in una nota la Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale svizzera (Ces) che invita a votare “sì” al prossimo referendum del 27 novembre in cui i cittadini elvetici saranno chiamati a decidere se chiudere o meno entro 45 anni le centrali nucleari nel Paese.

L’’Europa produce energia più che sufficiente al suo fabbisogno
“Un approvvigionamento affidabile di energia costituisce senz’altro un bene – sottolinea la nota -. Un’uscita dal nucleare ci pone dinanzi a grandi sfide, perché le decisioni che prendiamo oggi coinvolgono la nostra generazione e le future”. Secondo la Commissione, “il pericolo di penuria di energia elettrica è debole”, perché attualmente l’’Europa produce energia più che sufficiente al suo fabbisogno e questo “nonostante alcune centrali nucleari siano state messe fuori uso per motivi tecnici già da un po’ di tempo. Del resto – si osserva - la diffusione dell’energia eolica e solare ha radicalmente modificato il mercato dell’energia e la sua offerta”. 

Essere consapevoli delle nostre responsabilità verso le generazioni future
Richiamandosi all’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco sulla cura della casa comune, la nota sottolinea che “la salvaguardia del Creato costituisce  un compito essenziale di ogni cristiano e ogni cristiana”. Tanto più - aggiunge - che “il principio di solidarietà ci richiama a un modo di agire consapevole delle nostre responsabilità verso le generazioni future. Un abbandono del nucleare politicamente avallato – conclude quindi la Commissione - offre le premesse d’una buona pianificazione energetica e ci sfida a ripensare da oggi il nostro stile di vita e le nostre esigenze”. (L.Z.)

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Israele: capi religiosi in Polonia per commemorare l’Olocausto

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Capi religiosi cristiani, musulmani, drusi, ebrei, bahá’í e ahmadi di Israele si recheranno in Polonia dal 30 ottobre al 2 novembre dove visiteranno, tra le altre cose, i campi di concentramento nazisti e commemoreranno l’Olocausto esortando “la comunità internazionale a restare vigile contro ogni forma di xenofobia per riconoscere i primi segni di odio religioso ed etnico che nel recente passato hanno prodotto il genocidio”.

L'elenco dei partecipanti
L’iniziativa - riferisce l'agenzia Sir - promossa dal ministero degli Affari Esteri e dal ministero degli Interni di Israele, vede tra i partecipanti l’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, quello armeno Nouran Manougian e il leader anglicano Suheil Dawani. Presenti anche leader maroniti e greco-cattolici, quello druso, Mowafaq Tarif e della comunità ahmadi, Muhamad Sharif Uda. Tra i musulmani l’imam della moschea di Majd Al-Krum, lo sceicco Muhamad Keiwan, l’imam della moschea di Jadeidi, Omar Kial e l’imam dei beduini del Negev, Akel Al-Atrash. Per gli ebrei saranno del viaggio, tra gli altri, David Lau, rabbino capo askenazita, il rabbino David Rosen e l’ex direttore generale del Gran Rabbinato, Oded Winer.

Il programma della visita
Il programma è ricco di visite come alla Fabbrica di Oskar Schindler, a Cracovia, il campo di sterminio di Auschwitz, alle miniere di sale, al monastero benedettino di Tyniec, a Varsavia città. Al termine del viaggio verrà diffuso un comunicato congiunto. (R.P.)

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Festival della Dottrina Sociale: rimettere al centro la persona

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La Chiesa e la politica devono essere vicine alle persone nella concretezza dei loro problemi, di questo si parlerà al VI Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, "In mezzo alla gente", presentato ieri alla Camera dei Deputati e in programma a Verona dal 24 al 27 novembre. Il servizio di Eugenio Murrali

Passare dall’isolamento egoistico a un’amicizia sociale, dare luce al tessuto silenzioso di persone che animano la società nel quotidiano con il loro lavoro. Questo il cuore del prossimo Festival della Dottrina Sociale della Chiesa. Il presidente della Fondazione Toniolo, mons. Adriano Vincenzi spiega:

"Mi sembra che la Chiesa possa avere questo grande ruolo di dire che dobbiamo ascoltare la gente, essere in mezzo alla gente, servire la gente. Perché il rischio è che se non stiamo attenti si pensi che le cose vengano gestite dall'alto e che la gente non conti niente".

L’onorevole Ernesto Preziosi, dell’Associazione Argomenti 2000, si sofferma sul ruolo della politica:

"Nell'aula parlamentare abbiamo spesso la sensazione di non raggiungere la gente, di non riuscire a porci in sintonia, in ascolto di tante istanze di coloro che vivono ogni giorno condizioni di difficoltà. Ed è così importante che i credenti, che si dedicano all'impegno politico, siano capaci di riconnettere la politica con la gente".  

Un Festival con la gente e per la gente, come precisa mons. Vincenzi:

"Parliamo di fisco con i commercialisti, di giustizia con gli avvocati, di impresa e lavoro con gli imprenditori, di scuola con gli studenti, di ospedale e sanità dentro l'ospedale: 'In mezzo alla gente' è il titolo che abbiamo interpretato in questa maniera".

Alla presentazione è intervenuto anche il direttore della Caritas di Roma, mons. Enrico Feroci, che ha posto l’attenzione su tre allarmi sociali:

"Parlo del gioco d'azzardo, uno sciacallaggio sulla pelle dei poveri spaventoso. A Roma, poi, abbiamo 638 mila anziani che sono over 65. Quindi la solitudine degli anziani, ma anche quella dei giovani. Il dolore e la sofferenza di tanti giovani che stanno arrivando alla soglia dei 40 anni, non hanno lavoro e non possono costruire una famiglia".

Padre Paolo Benanti, dell’Università Gregoriana, ha poi messo l’accento sull’allontanamento dei giovani dalle relazioni reali e si è interrogato sulle conseguenze di una permanenza così imponente nel mondo virtuale:

"Partendo dalla stessa prospettiva che ha il Papa, cioè guardando alla realtà e cercando di capire cosa significhI questa realtà, partirei dall'idea che sostanzialmente i giovani passano il 95% del loro tempo suil web e il 5% in quelle che potremmo definire relazioni tradizionali. La domanda di fondo che pongo a chi ci ascolta è: questo è un  tempo che semplicemente non cambia nulla. è solo speso in maniera diversa o è una quantità che dice anche una qualità delle relazioni? Allora la comprensione di come la qualità delle relazion cambia, può cambiare e di come cambia il modo di capire o di come può cambiare anche il modo di vivere la cittadinanza è oggi una domanda chiave, che interpella soprattuto anche la dottrina sociale della chiesa, alla luce di quella chiamata dei cristiani a fare della città un'immagine della città di Dio".

Durante il Festival si parlerà anche dell’incontro rispettoso con la diversità culturale e religiosa come momento importante per la definizione della propria identità.

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Parroco di Arquata: temiamo tempi biblici per la ricostruzione

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A due mesi dal terremoto che ha colpito il Centro Italia, la gente spera di non essere abbandonata dalle istituzioni e dai media. Ad Arquata del Tronto sono state individuate sei aree idonee a ospitare circa 160 casette di legno temporanee: dovrebbero arrivare nella primavera del prossimo anno. I terremotati hanno ricevuto i soccorsi richiesti nell'emergenza ma ora temono che la ricostruzione proceda a rilento. Ascoltiamo don Francesco Armandi, parroco ad Arquata del Tronto, al microfono di Clarissa Guerrieri: 

R. – Attualmente di ricostruzione ancora non se ne parla… Hanno sistemato le persone, che sono state spostate negli appartamenti o negli alberghi; i paesi sono stati vuotati, ma ancora la ricostruzione non sembra essere tra le priorità.

D. – Cosa si aspetta la gente? Sono stati soddisfatti bisogni ed aspettative?

R. – Finora abbastanza... Ma adesso la gente si aspetta la ricostruzione, che comincino a rimuovere le macerie, a mettere in sicurezza le case, così che si possa di nuovo accedere ai paesi. Al momento non si può entrare neanche nelle case che sono agibili, perché il paese è inagibile. La gente ora si aspetta questo e si aspetta che la ricostruzione non sia una cosa da tempi biblici…

D. – Come è andata e come è cambiata la sua vita da parroco?

R. – La mia vita da parroco è cambiata tantissimo! Io avevo cinque paesi e ogni giorno mi recavo in uno; la domenica e il sabato cercavo di andare in tutti i paesi per il mio servizio religioso… Adesso le mie pecore sono veramente smarrite. Ogni tanto cerco di organizzare un incontro, qua è là, nei vari centri in cui sono stati - diciamo - “esiliati” e quindi ad Ascoli, a San Benedetto… Ma sono cose molto difficili da fare, perché è difficile far arrivare i messaggi e gli orari a tutti. E’ quello che possiamo fare…

D. – La Chiesa sta svolgendo un ruolo umanitario con questa ricostruzione. Ce ne può parlare?

R. – Certamente! La Chiesa svolge questo lavoro, che è un lavoro spirituale ma anche umano, anche perché le due cose non possono essere disgiunte. 

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I medici di "Emergenza Sorrisi" in Burkina Faso

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Sono quasi 400 i medici volontari di Emergenza Sorrisi che dal 2007 curano i piccoli pazienti affetti da malformazioni facciali. Fino al 30 ottobre è attiva la raccolta fondi per finanziare le prossime missioni. Ora si trovano in Burkina Faso dove offrono cure, interventi chirurgici e assistenza sanitaria non solo ai bambini. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, Luigi Lapalorcia, medico volontario, racconta qual è l’accoglienza delle popolazioni locali: 

R. – Troviamo da parte della popolazione locale un’accoglienza incredibile. Le famiglie portano coloro che potrebbero essere i nostri potenziali candidati ad interventi chirurgici, che vengono sottoposti a screening intenso all’inizio della missione, creando un programma chirurgico per l’intera durata della missione.

D. – Quali sono i traumi più comuni che ci trovate ad operare?

R. – Essenzialmente traumi bellici, esiti di ustioni, esiti di incidenti domestici; oltre ovviamente – essendo Emergenza Sorrisi una onlus che si occupa di riparazioni labiopalatoschisi – a trattare sempre un grande flusso di pazienti che vengono per problemi di labiopalatoschisi. Questi bambini non possono parlare, non possono mangiare e non possono neanche avere una vita di relazioni, perché sono malnutriti, perché non riescono a comunicare, ma soprattutto perché sono stigmatizzati perché portatori di handicap e di malformazione.

D. – Quanti bambini riuscite ad operare nelle vostre missioni?

R. – Normalmente se si organizza questo tipo di lavoro non lo si fa per poche unità: si cerca di portare a termine almeno un centinaio di interventi.

D. – Avete una missione chirurgica in questo momento in Burkina Faso: qual è la situazione sanitaria locale?

R. – Drammatica! E’ un Paese del Terzo Mondo e come in tutti i Paesi del Terzo Mondo mancano figure altamente specializzate. E’ per questo che Emergenza Sorrisi cerca di creare dei presidi sanitari locali che possano poi mantenere l’operato che viene fatto nel corso delle missioni.

D. – Perché è importante la formazione dei medici locali?

R. – E’ importante dare continuità ai propri progetti, perché altrimenti la missione assumerebbe il carattere di un episodio. Mentre quello su cui insistiamo - e quello che è secondo noi molto importante - è avere proprio delle persone in loco che preparano e mantengono il nostro lavoro.

D. – “Accoglienza e sorrisi” è una campagna attiva fino al 30 ottobre. Di cosa si tratta?

R. – Di fare una donazione attraverso un sms al numero 45520. Con questa raccolta fondi noi cerchiamo di acquisire materiali e logistica per l’organizzazione di missioni chirurgiche e per restituire il sorriso ai bambini.

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Al via Tertio Millennio Film Fest: cinema per il dialogo interreligioso

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Si inaugura questa sera alla Casa del Cinema di Roma con la proiezione del film “La ragazza senza nome” dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, presenti in sala, la 20.ma edizione del Tertio Millennio Film Fest, in programma fino al 29 ottobre: un luogo nel quale il cinema contribuisce al dialogo tra le diverse confessioni religiose. Il servizio di Luca Pellegrini: 

Il Tertio Millennio Film Fest è nato 20 anni fa. L'intuizione di dedicare una rassegna al cinema spirituale emerse nel corso di un incontro a Collevalenza dei vescovi italiani. All'Ente dello Spettacolo - Andrea Piersanti ne era il presidente - venne affidato il compito di organizzarlo. I Pontifici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni Sociali assicurarono il loro Patrocinio; indimenticabili le udienze nelle quali san Giovanni Paolo II, appassionato di cinema, invitava attori, registi e produttori al termine del Festival. Mons. Dario E. Viganò e mons. Ivan Maffeis si sono succeduti alla presidenza della Fondazione, il primo facendo diventare la rassegna una realtà internazionale di alto livello qualitativo, il secondo accogliendo la proposta del card. Ravasi di ispirarsi al modello del "Cortile dei Gentili"». Così ora è don Davide Milani a proseguire questo compito, facendo del Festival il luogo del dialogo tra la comunità cattolica, protestante, ebraica e islamica. Che cosa significa per il pubblico?

R. – Il Festival del Terzo Millennio, che giunge quest’anno alla sua 20.ma edizione e che ha ricavato nella stagione dei Festival nazionali il suo spazio, si è aperto lo scorso anno su input dell’esperimento internazionale, riuscito, felice, del Cortile dei Gentili, al confronto anche con le altre tradizioni religiose. Quello che vogliamo dire al pubblico è che il confronto tra le religioni non è qualcosa da specialisti, qualcosa che riguarda solo gli studiosi, ma riguarda la vita di ciascuno, perché ciascuno di noi svolgendo le normali azioni quotidiane, si confronta con gli altri che portano nativamente una loro religione, una loro cultura. La religione non è qualcosa che sta sopra i capelli delle persone, ma è dentro la vita delle persone e dovrebbe formare ogni azione dell’uomo.

D. – Don Davide, il corpo tematico che ha animato quest'anno il programma è la questione femminile.

R. – E’ stata una scelta coraggiosa, non tanto della Fondazione Ente dello Spettacolo, ma delle altre comunità religiose dove la tradizione fa più fatica nell’accettazione della donna per quello che è. Non che i problemi manchino anche in Occidente: sono stati loro a volere questo tema, perché sentono il bisogno di raccontarsi, il bisogno di confrontarsi. La figura della donna è ancora problematica in Occidente, in Oriente, un po’ in tutto il mondo, e i film che abbiamo scelto quest’anno la mostrano dentro i dinamismi della società: non la donna come un’eccezione in una società che si pensa secondo modelli maschili, ma la donna come protagonista di dibattiti culturali, delle svolte, di cambiamenti, della famiglia, di tutte le realtà in cui l’umanità si gioca veramente.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 299

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.