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Sommario del 28/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Chiesa ha bisogno di quanti pregano nel silenzio della clausura

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Nessuna paura della diversità che proviene dallo Spirito: è quanto ha detto Papa Francesco incontrando i partecipanti al Convegno internazionale dei vicari e delegati episcopali per la vita consacrata. La Chiesa - ha quindi affermato - ha bisogno di quanti pregano nel silenzio della clausura. Il servizio di Sergio Centofanti

Lo Spirito soffia dove vuole e quando vuole
“La vita consacrata è un capitale spirituale che contribuisce al bene di tutto il Corpo di Cristo” ha affermato Papa Francesco, che incoraggia i pastori a manifestare “una speciale sollecitudine” nel promuovere “i differenti carismi, sia antichi che nuovi”. Continuano, infatti, a sorgere diversi istituti di vita consacrata, perché “lo Spirito non cessa di soffiare dove vuole e quando vuole”. Nello stesso tempo il Pontefice invita i vescovi a non essere “semplicisti” nel momento di erigere un nuovo istituto nella loro Chiesa particolare, in quanto “si assumono una responsabilità a nome della Chiesa universale”.

Giusta autonomia ma non patrimonio chiuso
Il Papa ricorda che la “giusta autonomia” dei consacrati non va confusa “con l’isolamento e l’indipendenza”. I consacrati – ha sottolineato – non sono “un patrimonio chiuso” ma “una sfaccettatura integrata nel corpo della Chiesa, attratta verso il centro, che è Cristo”.

Non c'è vera relazione dove uno comanda e l'altro si sottomette
Riferendosi poi alle mutue relazioni tra i Pastori e i consacrati ha sottolineato “il valore della reciprocità”:

“Non esistono relazioni mutue lì dove alcuni comandano e altri si sottomettono, per paura o convenienza. Vi sono invece relazioni mutue dove si coltiva il dialogo, il rispettoso ascolto, la reciproca ospitalità, l’incontro e la conoscenza, la ricerca condivisa della verità, il desiderio di fraterna collaborazione per il bene della Chiesa, che è casa di comunione”.

Non avere paura della diversità che proviene dallo Spirito
Tutto questo - ha aggiunto - è responsabilità sia dei Pastori sia dei consacrati:

“Tutti siamo chiamati, in questo senso, ad essere ‘pontefici’, costruttori di ponti. Il nostro tempo richiede comunione nel rispetto delle diversità. Non abbiamo paura della diversità che proviene dallo Spirito”.

Suore di clausura, fiaccole che accompagnano il cammino dell'umanità
Infine, il Papa ha chiesto “una speciale attenzione alle sorelle contemplative”: questa forma di sequela Christi, radicata «nel silenzio della clausura» - ha detto – “rappresenta nella Chiesa e per la Chiesa il cuore orante, custode di gratuità e di ricca fecondità apostolica, che genera frutti preziosi di grazia e di misericordia e di multiforme santità”:

“La Chiesa, anche la Chiesa particolare, ha bisogno di questi fari che indicano la rotta per giungere al porto, di queste fiaccole che accompagnano il cammino degli uomini e delle donne nella notte oscura del tempo, di queste sentinelle del mattino che annunciano il sorgere del sole”.

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Papa: Gesù che prega per noi è il fondamento della nostra vita

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Il fondamento della nostra vita di cristiani è che Gesù prega per noi. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che ogni scelta di Gesù, ogni suo gesto, perfino la fine della sua vita terrena in Croce è contraddistinta dalla preghiera. Quindi, ha esortato i cristiani a confidare nella preghiera del Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti

Gesù, dopo aver pregato a lungo e intensamente, sceglie i discepoli. Papa Francesco si è soffermato sul passo del Vangelo odierno per mettere l’accento sul fondamento della nostra vita cristiana.

La pietra d’angolo della Chiesa è Gesù davanti al Padre che prega per noi
“La pietra d’angolo – sottolinea, riprendendo San Paolo – è lo stesso Gesù”. “Senza Gesù non c’è Chiesa”, ma, ha osservato Francesco, il passo del Vangelo di San Luca aggiunge un particolare che ci deve far riflettere:

“‘Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio’. E poi viene tutto l’altro: la gente, la scelta dei discepoli, le guarigioni, scaccia i demoni … La pietra d’angolo è Gesù, sì: ma Gesù che prega. Gesù prega. Ha pregato e continua a pregare per la Chiesa. La pietra d’angolo della Chiesa è il Signore davanti al Padre, che intercede per noi, che prega per noi. Noi preghiamo Lui, ma il fondamento è Lui che prega per noi”.

La nostra sicurezza è Gesù in preghiera per ognuno di noi
“Gesù – ha ripreso – sempre ha pregato per i suoi”, anche nell’Ultima Cena. Gesù, ha aggiunto, “prima di fare qualche miracolo, prega. Pensiamo alla risurrezione di Lazzaro: prega il Padre”:

“Sul Monte degli Ulivi Gesù prega; sulla Croce, finisce pregando: la sua vita finì in preghiera. E questa è la nostra sicurezza, questo è il nostro fondamento, questa è la nostra pietra d’angolo: Gesù che prega per noi! Gesù che prega per me! E ognuno di noi può dire questo: sono sicuro, sono sicura che Gesù prega per me; è davanti al Padre e mi nomina. Questa è la pietra d’angolo della Chiesa: Gesù in preghiera”.

Riflettiamo sul mistero della Chiesa, fondata su Gesù che prega
“Pensiamo a quel passo, prima della Passione – ha detto Francesco – quando Gesù si rivolge a Pietro, con quell’avvertimento”: “Pietro … Satana ha ottenuto il permesso di passarvi al vaglio, come il grano. Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede”:

“E quello che dice a Pietro lo dice a te, e a te, e a te, e a me, e a tutti: ‘Io ho pregato per te, io prego per te, io adesso sto pregando per te’, e quando viene sull’altare, Lui viene a intercedere, a pregare per noi. Come sulla Croce. E questo ci dà una grande sicurezza. Io appartengo a questa comunità, salda perché ha come pietra d’angolo Gesù, ma Gesù che prega per me, che prega per noi. Oggi ci farà bene pensare sulla Chiesa; riflettere su questo mistero della Chiesa. Siamo tutti come una costruzione, ma il fondamento è Gesù, è Gesù che prega per noi. E’ Gesù che prega per me”.

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Papa sul viaggio in Svezia: non si può essere cattolici e settari

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«Non si può essere cattolici e settari»: così Papa Francesco alla vigilia del viaggio apostolico in Svezia, il 31 ottobre 2016, per partecipare alla commemorazione ecumenica dei 500 anni della Riforma luterana. In una lunga intervista concessa a padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei Gesuiti svedesi Signum, insieme al direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, il Pontefice ha parlato, tra gli altri argomenti, delle sue amicizie con luterani già da ragazzo e poi ai tempi del suo ministero episcopale. Oltre a spiegare le modalità della visita e il suo significato, Francesco parla della sfida spirituale per le Chiese «invecchiate»; dell'importanza dell'inquietudine in società segnate dal benessere. A proposito del dialogo ecumenico sottolinea l'importanza di «camminare insieme» per «non restare chiusi in prospettive rigide, perché in queste non c'è possibilità di riforma».

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Parolin: Papa in Svezia con i luterani, momento storico

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“Dal conflitto alla comunione. Insieme nella speranza” è il motto del 17.mo viaggio internazionale di Papa Francesco, in Svezia dal 31 ottobre al primo novembre. Il Papa, insieme ai luterani, commemorerà il quinto centenario dell’inizio della Riforma e ringrazierà il Signore per cinquant’anni di dialogo ufficiale tra luterani e cattolici. Il primo novembre il Papa celebrerà la Messa per la piccola comunità cattolica svedese. Su questo viaggio ascoltiamo il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin al microfono di Alessandro Di Bussolo, del Centro Televisivo Vaticano: 

R. - Nel 1517 Lutero, il monaco Lutero, nella città di Wittemberg, contestò pubblicamente la vendita delle indulgenze, e anche in un contesto di grandi mutamenti politici, sociali ed economici della società di quel tempo, diede avvio ad un processo di cambiamento che portò purtroppo alla divisione e alla separazione delle Chiese in Occidente, e accompagnato da lotte per il potere, da violenze, da guerre, le famose guerre di religione che poi si susseguirono. E da quell’epoca praticamente i centenari della Riforma furono sempre ricordati, furono sempre commemorati in maniera polemica, in uno spirito di scontro e forse si può parlare anche di ostilità. Questa volta invece non è così… per la prima volta cattolici con la presenza del Papa e luterani, commemorano insieme questo quinto centenario della Riforma. E io penso davvero che si può parlare di un momento storico, si può parlare davvero di una pietra miliare nel cammino di riconciliazione e di ricerca comune dell’unità fra le Chiese e le comunità ecclesiali. E questo momento così importante è il frutto del dialogo che si è sviluppato in questi 50 anni, a partire dalle sollecitazioni del Concilio Vaticano II. Un dialogo che ha cercato di superare le difficoltà, ha cercato di creare fiducia tra le parti e ha cercato di mettere in luce, secondo quel principio enunciato già da San Giovanni XXIII, ciò che unisce più di ciò che divide e separa. Un dialogo in cui uno dei punti vertice è stata proprio la firma, nel 1999, della Dichiarazione comune sulla Dottrina della Giustificazione, uno dei punti che erano stati all’origine e che erano diventati proprio il centro della polemica. Quindi è da ringraziare il Signore per essere arrivati a questo momento che è il frutto di un cammino che si sta portando avanti da tempo e chiedergli di aiutarci, anche attraverso questo momento di commemorazione comune, di proseguire nel cammino del dialogo e della ricerca dell’unità della Chiesa.

D. - Dopo la preghiera ecumenica, ci sarà un momento di festa e testimonianze pensato soprattutto per i giovani…

R. - Sì, mi pare che si svolgerà nello stadio di Malmö, e sarà un momento festivo, un momento di gioia che si rivolge soprattutto ai giovani. Ho saputo che all’interno di questo momento celebrativo ci sarà anche la firma di un accordo tra la sezione del servizio per il mondo della Federazione luterana mondiale e la Caritas internationalis. Come a dire che questa riconciliazione che stiamo cercando deve andare soprattutto a vantaggio della comune testimonianza nei confronti del mondo, deve tradursi in un incontro, deve tradursi in un atteggiamento di amore compassionevole nei confronti delle tante persone che soffrono per le più diverse cause nel mondo. E ovviamente i giovani sono chiamati in prima persona ad assumersi questa sfida, perché i giovani sono il futuro e la speranza, come tante volte si è detto, della Chiesa. Ed allora, a loro si rivolge in maniera particolare, questo momento di celebrazione, che deve anche tradursi in un impegno nei confronti di una testimonianza comune.

D. - I temi della difesa del creato e della solidarietà verso gli ultimi saranno al centro di queste testimonianze…

R. - E’ molto importante trovare degli ambiti comuni nei quali questa testimonianza possa tradursi, e mi pare che la solidarietà nei confronti degli ultimi e la difesa e la tutela della casa comune possano essere veramente ambiti di impegno serio e di impegno efficace.

D. - La Svezia è un paese molto secolarizzato, anche se ultimamente si registra un nuovo interesse verso la religione. La testimonianza comune di cattolici e luterani potrà fare breccia in questo individualismo e materialismo?

R. - Ma certamente, basta ricordare la parola di Gesù: da questo crederanno, nella misura in cui voi date una testimonianza comune. Evidentemente questi sono i pericoli delle nostre società secolarizzate: da una parte questa chiusura in se stessa senza apertura agli altri, e qui possiamo ricordare l’insistenza di Papa Francesco sulla cultura dell’incontro, e mi pare che la stessa commemorazione vuole sottolineare questa dimensione perché parla di passare dai conflitti alla comunione, e poi dice “uniti nella speranza”: E la comunione significa proprio il superamento dell’individualismo, il superamento della chiusura in se stesso, il superamento del ripiegamento in se stessi che poi è all’origine dei tanti conflitti. E questo i cristiani lo devono fare soprattutto con il loro esempio di comunione, è inutile parlare di comunione se poi ognuno va per conto suo. Quindi mi pare che da questo punto di vista sarà importante questa testimonianza comune. E poi contro il materialismo, che è una chiusura del nostro orizzonte soltanto ai valori terreni, alle realtà terrene, senza questa apertura al trascendente, senza questa apertura a Dio. Allora cattolici e luterani sono chiamati a testimoniare insieme, in nome della fede comune in Gesù Salvatore proprio tutta la bellezza, tutto lo splendore e tutta la gioia della fede, che hanno e che testimoniano.

D. - La piccola comunità dei cattolici svedesi sta crescendo anche grazie all’immigrazione. Il gesto ecumenico del Papa li aiuterà crescere anche nella comunione con i luterani?

R. - Io credo che questa presenza del Papa sia un grande stimolo per la comunità cattolica a continuare in questo cammino di ricerca dell’unità, in questo cammino ecumenico. Oggi la scelta ecumenica è una scelta irreversibile, e nonostante abbia conosciuto e conosca anche difficoltà credo che si deve andare avanti coraggiosamente. E in questo senso penso che la comunità cattolica in Svezia, che poi come giustamente lei diceva è composta anche di tante componenti, si sta arricchendo di tante componenti, possa lavorare insieme con la comunità luterana proprio per la testimonianza cristiana. E a questo riguardo vorrei ricordare una dichiarazione che è stata fatta recentemente e che mi pare molto indicativa dello spirito on cui cattolici e luterani vogliono proseguire. Dice così: “Insieme cattolici e luterani si avvicineranno sempre di più al loro comune Signore e Redentore Gesù Cristo. Vale la pena mantenere il dialogo. E’ possibile lasciarsi alle spalle i conflitti. L’odio e la violenza, anche motivati dalla religione, non dovrebbero essere banalizzati, o persino giustificati, bensì respinti con forza. I ricordi cupi possono affievolirsi, una storia dolorosa non esclude la possibilità di un futuro ricco di promesse. E’ possibile arrivare dal conflitto alla comunione, e percorrere questo cammino insieme, pieni di speranza. La riconciliazione reca in sé la forza di renderci liberi, di volgerci gli uni verso gli altri, ma anche di dedicarci agli altri nell’amore e nel servizio”. Sono parole molto belle, soprattutto questo futuro ricco di promesse. Speriamo che questa commemorazione comune apra al futuro di Dio, che è sempre un futuro ricco di promesse.

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Restaurato il Crocifisso ligneo più antico della Basilica Vaticana

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Un’opera di grande valore artistico: il Crocifisso ligneo della Basilica Vaticana è stato presentato restaurato oggi alla stampa, in Vaticano, e sarà restituito alla devozione dei fedeli il prossimo 6 novembre, in occasione del Giubileo dei carcerati. A realizzare la scultura, nel XIV secolo, un abile maestro che la tradizione vuole sia Pietro Cavallini. I lavori di restauro sono stati eseguiti in oltre un anno, con le più moderne tecnologie, e grazie al sostegno dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, per il Giubileo della Misericordia. A seguire la conferenza stampa per noi, c’era Debora Donnini

Le pupille attonite ormai fisse sull’Eterno e la bocca semiaperta con le labbra tese: la figura di Gesù crocifisso è riprodotta dall’artista nell’attimo della morte, mentre sta per esalare l’ultimo respiro. Intagliato su un tronco di noce e dipinto, è alto 2 metri e 15 e pesa 72 chili.

Il volto del Crocifisso: la commozione per l’Amore non amato
Profonda nei secoli la devozione verso questo Crocifisso, dal volto sofferente e meraviglioso al tempo stesso, come ci conferma il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana e presidente della Fabbrica di San Pietro:

R.  - Io parlo per mia esperienza personale. Quando i nostri lavoratori pulivano l’occhio, a me è sembrato che il Crocifisso in qualche modo mi guardasse come per dire: “Cosa aspetti? Vedi l’amore? Ecco, rispondi…”. L’emozione che provò San Francesco nella chiesetta di San Damiano, quando si sentì dire: “Francesco, ripara la mia casa”, va tutta in rovina. E Tommaso da Celano dice che da quel momento provò compassione per il Crocifisso. È impressionante. Cominciò a capire che a quell’Amore non c’era adeguata risposta. L’ho sentito anche io guardando l’occhio del Crocifisso che mi guardava...

D. – Quel sentimento dell’Amore non amato …

R. – Dell’Amore non corrisposto, l’Amore non amato, come diceva San Francesco.

Straordinari particolari anatomici: grande la devozione nei secoli
Questo Crocifisso è il più antico presente nella Basilica di San Pietro e ha vissuto vari spostamenti all’interno della stessa Basilica. Quando i lanzichenecchi la invasero, fu anche oltraggiato: vestito con i loro abiti, come se fosse un manichino. Colpisce la grande fedeltà dei particolari anatomici, come ci conferma mons. Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro:

R. - Guardando questo Crocifisso si notano con stupore tanti particolari del corpo, cose che non si trovano in altri crocefissi lignei: particolari precisi, anatomici, che indicano che lo scultore o la persona che era con lui erano espertissimi nell’anatomia, a partire dalle vene delle braccia, delle gambe, dai tendini tesi della gamba, soprattutto vicino alla caviglia, fino alle costole, alla ferita del costato che ha addirittura due aperture, una sulla carne viva e l’altra della pelle che si ritrae esternamente. Per non parlare poi del viso che ha una prospettiva bellissima. Oltre tutto, il viso è stata una delle parti più illese, perché quando è stato tolto tutta quella vernice di cui era ricoperto e si sono visti gli occhi aperti, mentre prima si pensava fossero chiusi, è stata un’emozione grandissima!

D. - Quasi una fotografia scattata a Gesù morente?

R. - È un Crocifisso che voleva suscitare la pietà del Cristo morente. Infatti il Cristo ha gli occhi e la bocca aperti e nell’ultimo istante del grido della morte e poi del "Tutto è compiuto. E chinato il capo, emise lo spirito". Qui è reso in modo plastico. I fedeli si ispiravano molto a questo Crocifisso perché era molto ricercato – allora era detto miracoloso  per la pietà e per l’umanità che ispirava.

Il Crocifisso sarà esposto il 6 novembre per il Giubileo dei carcerati
Nel corso dei secoli, l’opera è stata spostata più volte all’interno della Basilica Vaticana. Dal 1632 fu esposta nella cappella del Crocifisso fino al 1749 quando fu spostata perché lì fu collocata la Pietà di Michelangelo. Quindi venne portata in un’altra cappella dove finì quasi dimenticata. Il 6 novembre prossimo il Crocifisso ligneo, in occasione del Giubileo dei carcerati, sarà esposto sul lato destro del Baldacchino del Bernini e il 18 novembre, in concomitanza con l’anniversario della Dedicazione della Basilica, durante la Messa, sarà collocato proprio nella Cappella del Santissimo Sacramento dove resterà.

Il restauro ha restituito al 90 per cento la struttura originaria
Nei secoli il Crocifisso era stato ricoperto da 9 strati di vernice scura ed era difficile quindi cogliere lo splendore della sua policromia. Il restauro è riuscito a restituire il 90 per cento della struttura originale e la forza plastica del corpo. I due principali restauratori sono stati Giorgio Capriotti e Lorenza D’Alessandro. A lei abbiamo chiesto quale particolare l’abbia colpita maggiormente durante il restauro:

R. - Senz’altro il fatto di essere arrivati a recuperare la pellicola pittorica originale, perché di solito in interventi di questo tipo su opere così antiche, ci si ferma prima proprio perché non si ha la certezza di ritrovare ancora materia così antica. Parallelamente abbiamo potuto capire che sul capo, originariamente, c’era una corona di spine, proprio perché abbiamo trovato inserti, piccoli cavicchi lignei che la tenevano. È andata ovviamente dispersa ed era stata sostituita nell’800 da una corona di corde, che ora è stata rimossa e sostituita da una corona di spine. Ma anche in questo caso è stata scelta una spina particolare: la Spina Christi, un arbusto dell’area mediterranea.

D. - È stato sicuramente un viaggio a ritroso nel tempo: strato dopo strato dal Terzo Millennio siete riusciti a risalire al Cristo del 1300 a livello di colori e di struttura?

R. - Sì, esattamente questo. Non potevamo arrivare con il laser direttamente a contatto con la pellicola pittorica perché si sarebbe rovinata. Quindi l’unico modo per non perdere le informazioni preziosissime di tutte le manutenzioni era togliere pelle per pelle, anche perché bisognava fare delle puliture selettive: ogni ridipintura aveva bisogno di un determinato solvente o di una determinata attrezzatura, ma in questo modo le informazioni ci sono arrivate!

D. - E l’emozione è stata molto grande …

R. – E l’emozione è stata grandissima, proprio un vero viaggio a ritroso nella storia!

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Movimenti Popolari. Tomasi: respingere migranti è violazione trattati

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Presentato nella Sala Stampa della Santa Sede il terzo incontro mondiale dei Movimenti Popolari, in programma a Roma e in Vaticano dal 2 al 5 novembre prossimi. Presenti l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Juan Grabois, consultore del medesimo dicastero vaticano e cofondatore del Movimento dei lavoratori esclusi e della Confederazione dell’economia popolare, in veste di membro del comitato organizzatore dell’evento. A moderare, Paloma García Ovejero, vicedirettore della Sala Stampa vaticana. Il servizio di Giada Aquilino

Non si rassegnano, si organizzano e si impegnano per una “alternativa umana alla globalizzazione” che scarta ed esclude i più poveri. Sono i membri dei Movimenti Popolari, che dal 2 al 5 novembre prossimi si riuniranno a Roma e in Vaticano. Dopo gli incontri del 2014, sempre a Roma, e del 2015 a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, più di 200 delegati da tutto il mondo parteciperanno presso il Pontificio collegio internazionale Mater Ecclesia a riunioni, analisi, dibattiti sui temi tradizionali di “terra, tetto e lavoro”, con particolare attenzione alla questione di rifugiati e sfollati. In quest’Anno Santo della Misericordia, ormai in via di conclusione, si è voluta coniugare l’esperienza dei Movimenti Popolari che Papa Francesco ben conosce fin dai tempi di quando era arcivescovo di Buenos Aires, non soltanto con le visite alle “villas miserias” argentine, con il dramma dei migranti che in questi mesi interessa particolarmente l’Europa. Lo ha evidenziato l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi:

“L’Europa fa un po’ fatica a trovare una politica comune, efficace, che risponda alle esigenze di queste migliaia di persone che ogni settimana arrivano in Sicilia o in Grecia. Lampedusa o Lesbo non sono il confine di due Paesi, ma sono il confine dell’Europa. Per cui questo richiede una solidarietà europea che fa fatica ad esprimersi in maniera concreta. Da una parte, abbiamo il dovere di accogliere, anche per ragioni legali, perché tutti i Paesi dell’Europa hanno ratificato la Convenzione sui rifugiati: per cui mandare indietro persone che rispondono alla definizione di ‘rifugiato’ è una violazione diretta di un Trattato sottoscritto. Dall’altra, abbiamo un dovere morale ed etico di accogliere queste persone bisognose. Il problema che l’Europa ci pone dei numeri e delle modalità di accettazione di queste persone secondo me manca un po’ di equilibrio. L’aspetto più importante è dire come integriamo queste persone nella società, perché di fatto non c’è un’invasione. I numeri sono molto chiari! Bisogna essere concreti, andare al di là delle emozioni e delle reazioni dei movimenti populisti, che usano la paura dello straniero per altri scopi che non hanno poi niente a che fare con queste persone. Quindi diventa una responsabilità importante per l’Europa, come Unione Europea, di non lasciare sole la Grecia, l’Italia, la Spagna a raccogliere le persone che arrivano, ma di mostrare una solidarietà concreta nell’accogliere queste persone”.

D’altra parte l’obiettivo dei Movimenti Popolari è quello di trovare una via per superare le gravi situazioni di ingiustizia che soffrono gli esclusi in tutto il mondo, dai senza casa ai senza lavoro né diritti, dai contadini senza terra alle persone ferite nella loro dignità. Ne ha parlato Juan Grabois, illustrando le dieci priorità collegate alle “tre T” in spagnolo, “terra, tetto e lavoro”:

“Nuestro programa, entonces, de ‘las tres T’ …
Il nostro programma ‘delle tre T’ combina nuove forme di riforma agraria, integrazione urbana e protezione del lavoro, nel quadro di una nuova economia al servizio dei popoli e rispettosa della madre Terra”.

A guidare i lavori, l’Evangelii Gaudium e la Laudato si’ di Papa Francesco, come le sue esortazioni all’inclusione sociale. Ancora Juan Grabois:

“También de esta perspectiva más amplia…
Anche da questa prospettiva più ampia, alla quale ci invita Francesco, vogliamo interpellare il nostro modo attuale di vivere, le nostre istituzioni democratiche in crisi e la loro incapacità nel limitare il potere arbitrario di quello che il Papa chiama il ‘dio denaro’”.

Sabato prossimo, in Aula Paolo VI, l’udienza dei partecipanti col Pontefice, per esporre a Papa Francesco quanto emerso ai lavori. Mons. Tomasi:

“Questa testimonianza vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica alla necessità di portare veramente le frontiere – come il Papa spesso dice – verso il centro. Le persone che si trovano alla frontiera, alla periferia, devono entrare a far parte del centro della società. Quindi, questo gesto di attenzione verso i Movimenti Popolari che il Papa ha mostrato già nei due incontri precedenti e che adesso fa con questo terzo è semplicemente parte della sua visione, che è poi la visione della Dottrina Sociale della Chiesa: non è una rivoluzione! E’ semplicemente la continuazione di quello che diceva soprattutto Giovanni Paolo II riguardo all’attenzione che dobbiamo avere verso le persone ai margini della società”.

Confermate le presenze di don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione “Libera”, dell’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica, di un rappresentante del governo argentino del presidente Mauricio Macri e della studiosa ed ecologista indiana Vandana Shiva. Non parteciperanno, invece, contrariamente a quanto affermato in questi giorni dalla stampa internazionale, il presidente boliviano Evo Morales, che aveva preso parte ai precedenti incontri, e il senatore americano Bernie Sanders. In tale contesto, Juan Grabois ha chiarito che i movimenti popolari non sono una forza politica:

“No solamente no hacemos ningún esfuerzo…
Non solo non facciamo alcuno sforzo se non facciamo tutti gli sforzi, perché la politica è una delle forme più alte di carità e ha come obiettivo quello di trasformare la realtà. I movimenti popolari non sono partiti politici, non partecipano ad elezioni e al processo istituzionale della democrazia. Però fanno politica – come dice il Papa – con la P maiuscola, la grande politica: una politica architettonica che cerca e trova la giustizia sociale. E’ certo che all’interno delle organizzazioni popolari, come in altri ambienti, ci siano interessi di parte. Ed è certo che facciamo tutto il possibile affinché questi interessi di parte, che sono parziali, non egemonizzino lo spazio. Però sono rischi che dobbiamo prenderci. Noi abbiamo un programma integrale al quale stiamo lavorando in modo forte, che è ‘terra, tetto, lavoro’ e quindi lo offriamo a tutte le ‘parzialità’, affinché lo adottino come proprio”.

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Caritas Internationalis: ad Haiti la situazione è disperata

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Dal terremoto del 2010 che devastò Haiti, sull’isola vivono 62.600 sfollati in 36 Campi provvisori; il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà e 25 mila persone corrono il rischio di contrarre il colera. Questo il drammatico quadro che si presenta ad Haiti, dove la gente continua a vivere priva di acqua potabile e di accesso ai servizi sanitari dopo il passaggio dell'uragano Matthew che ha devastato l'isola causando almeno 1.000 morti. Nel Paese si registra anche un alto tasso di violenza oltre che una corruzione dilagante che impedisce il normale corso degli interventi da parte delle organizzazioni umanitarie. Da Haiti è appena rientrata una missione di Caritas Internationalis guidata dal segretario Michel Roy. Lo ha intervistato Marie Duhamel: 

R. - E’ una situazione disperata. Tre settimane dopo la gente vive ancora senza tetto e piove. La pioggia è forte. Vivere senza un tetto è veramente difficile per loro. Ho visto persone completamente con gli occhi nel vuoto, veramente traumatizzate per ciò che hanno passato. Il venerdì della settimana scorsa le piogge su Les Cayes, che è la città del sud, hanno portato un’inondazione, c’era un metro di acqua nella città. E’ complicato uscire da questa tragedia. Gli haitiani sono poveri, le loro case sono costruite con materiali deboli ma la maggioranza non vuole andare via nella città, vuole rimanere nei propri villaggi e domandano un aiuto per rifare il tetto e sementi per ricominciare a coltivare dopo aver pulito la terra.

D. – Hanno qualcosa da mangiare o per curarsi, se sono stati feriti o se sono malati?

R. -  Tutto è stato distrutto. Hanno bisogno di cibo, sicuramente. E il cibo arriva però non arriva in quantità sufficiente e non è distribuito di una maniera molto professionale. La gente che vive fuori dalla città riceve molto poco, quando riceve. Questa è la priorità per Caritas. Quando c’è una distribuzione la gente corre... c’è molta aggressività per prendere ciò che viene distribuito. Questo manifesta il dolore e la preoccupazione della gente. Il governo non ha preso questa tragedia a livello in cui doveva essere presa. Gran parte delle donazioni sono fatte dai politici e l’aiuto è molto “politicizzato”. Caritas lavora nelle comunità che sono fuori, che dallo Stato non ricevono niente dell’aiuto internazionale ufficiale.

D. – Sono passate tre settimane da quando l’uragano Matthew è passato su Haiti però non parliamo quasi più di Haiti…

R. – Esattamente. Bisogna assolutamente che la comunità internazionale si mobiliti per aiutare la gente ad Haiti. C’è una fatica perché ci sono sempre problemi in questo Paese però la situazione è tale che c’è bisogno di impegnarsi a un livello alto. E’ una tragedia, è una catastrofe più grande, questa. E bisogna che anche noi, la famiglia Caritas, la Chiesa, si mobiliti per portare aiuto di più. C’è bisogno di ricostruire tutto, quasi tutto. E’ molto importante e per questo c’è bisogno di impegno, di soldi.

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Lateranense: scuola di management pastorale sull’immigrazione

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“Una Chiesa senza frontiere, Madre di tutti”. Con questo tema prenderà il via il 21 novembre prossimo alla Pontificia Università Lateranense la Terza edizione della Scuola Internazionale di Management pastorale. Sull’importanza di questa esperienza, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Giulio Carpi, direttore della scuola di Management pastorale, a cui è ancora possibile iscriversi: 

R. – Vuole essere un’esperienza formativa, un corso di alta formazione, che vuole andare alle radici della carità, della povertà e cercare nuove forme e nuove risposte. Una parola cha non dico sia urticante ma in qualche modo possiamo dire altisonante, è abbinare la parola “management”, aldilà della terminologia inglese, al termine “pastorale”. Abbiamo ascoltato cosa ci ha detto il Santo Padre sul rapporto della Caritas italiana sull’esclusione sociale? Credo di sì. Il Santo Padre ci chiede una dinamica missionaria in uscita. Dobbiamo ripensare l’organizzazione che comunque è uno strumento, un elemento che ci serve per potere meglio servire.

D. - Quest’anno la scuola avrà un focus particolare: gestire ed integrare il fenomeno migratorio …

R. - Noi ci immaginiamo che la questione dei migranti intanto sia un problema o un’opportunità. Come cristiani credo che dobbiamo essere convinti che sia un’opportunità: prima di tutto perché non parliamo di numeri ma di esseri umani e poi perché il vero problema non è lo sbarco nelle nostre coste, ma magari anche i tre, quattro anni che hanno impiegato queste persone a raggiungerle. Quindi o lo andiamo a gestire in maniera competente con cura educativa alle persone o in qualche modo diventa una gestione efficientistica, ma nella quale i rimedi della pastorale non vuole mirare all’efficientismo: vuole mirare alla missionarietà e all’innovazione. Anzi, se posso dirlo in anteprima, ho una bella notizia: uno dei profughi siriani che stiamo accogliendo con l’Università Lateranense, attraverso una convenzione con il Ministero degli interni, ci ha chiesto di frequentare il corso di management pastorale. Tra l’altro è anche evangelico, non cattolico, quindi arricchirà lo spettro religioso. Vorrà dire che lui non sarà uno studente semplicemente come gli altri, ma potrà arricchire gli altri studenti di un percepito e di un vissuto che noi neanche leggendo e studiando ci possiamo immaginare.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Le udienze di Papa Francesco di oggi. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede qui

Le nomine di Papa Francesco di oggi. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede qui

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Capitale spirituale: il Papa ricorda che la vita consacrata è un dono per tutta la Chiesa e va accolta con gioia e gratitudine.

Sull'imminente viaggio del Pontefice in Svezia intervista di Alessandro Di Bussolo al cardinale segretario di Stato.

Di fronte al crocifisso: Pietro Zander sul restauro di una scultura proveniente dall'antico San Pietro. 

Un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Un pilastro in soffitta": il Vangelo secondo gli italiani.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Sako visita villaggi liberati dall'Is: i cristiani torneranno

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Prosegue lentamente l’offensiva dell’esercito iracheno e dei peshmerga curdi verso Mosul, in Iraq, mentre l’Alto commissariato dell’Onu per i Diritti Umani denuncia il sequestro, da parte dei jihadisti, di almeno ottomila famiglie utilizzate come scudi umani nella battaglia. Intorno alla città, inoltre, è allarme umanitario: secondo gli ultimi dati, gli sfollati nell’area sono almeno 15mila. Due giorni fa il Patriarca caldeo iracheno, mons. Louis Sako, ha visitato sei villaggi appena liberati dall’occupazione del sedicente Stato islamico. Al microfono di Roberta Barbi ha raccontato la sua visita, tra sentimenti di “tristezza e sofferenza” ma anche di “grande speranza”: 

R. – Io ho visitato, con alcuni preti e anche con alcuni fedeli e con il vescovo ausiliare, questi villaggi della Piana di Ninive che erano totalmente cristiani. Abbiamo incominciato con Bartella, un villaggio cristiano a maggioranza siro-ortodosso; poi Karmles, poi Qaraqosh, un grande villaggio di 40 mila abitanti; poi Teleskof – 14 mila – Baqofa – 1.500 – e Batnaya, 5 mila. La rovina è molto grande: penso che il 30% sia andato distrutto. Le chiese sono bruciate, ma anche profanate: ci sono versetti contro i cristiani, eccetera … Ma le chiese non sono state distrutte, e questo è importante. Anche le strade sono state distrutte: abbiamo impiegato 12 ore per andare e tornare.

D. – Intorno a Mosul aumentano gli sfollati e i jihadisti continuano a massacrare i civili. Che cosa si vede, di tutto questo?

R. – Per la Piana di Ninive, in questi villaggi cristiani c’è tanta attesa da parte della nostra gente, con tanta speranza, ma c’è anche tanta paura. Se Mosul viene attaccata o distrutta, questa gente – che è sunnita – potrebbe andare ad abitare in questi villaggi e questo rappresenterà una grande difficoltà, dopo: come farli uscire. Noi stiamo lavorando perché loro possano andare in campi già allestiti per loro. Ci sono tante paure per Mosul. Può essere una strage …

D. – Tutti ricordiamo la fuga precipitosa dei cristiani da Ninive: la maggioranza dei rifugiati oggi vive a Erbil. Quali sono le loro speranze per quanto riguarda la liberazione finale di Mosul e come hanno accolto la notizia dei successi militari?

R. – Con tanta gioia: hanno festeggiato … Il problema è che bisogna sminare da questi ordigni, pulire le rovine per permettere alla gente di andare e rivedere le loro case, verificare come stanno, quanto è rovinato, cosa rimane, per progettare un ritorno, ma adesso è molto difficile, e anche pericoloso. Anche noi non siamo potuti andare più lontano perché le mine sono un po’ ovunque. [I miliziani dell’Is] hanno anche costruito dei tunnel, chilometri di tunnel: e tutto questo deve essere ripulito.

D. – Sulle chiese sono state ristabilite le croci e le campane sono tornate a suonare: i cristiani fuggiti torneranno nelle loro terre?

R. – Lo speriamo. Sì, lo speriamo molto. Abbiamo già fatto una preghiera, prima di partire per visitare questa Piana di Ninive. La gente vuole tornare, ma ci vuole una garanzia. Adesso la guerra non è finita, e dunque il problema, il nodo è Mosul. Finora ci sono un milione e 250 mila persone in movimento: dove andranno?

D. – Nel corso della visita avete attraversato anche zone molto pericolose: ha avuto paura?

R. – No. Niente paura, perché abbiamo avuto macchine blindate e c’erano anche i soldati con noi. Abbiamo incontrato questi generali – sciiti, sunniti, curdi - sono stati molto, molto bravi, hanno molto apprezzato la visita. Sono loro che hanno ristabilito le croci sulle chiese.

D. – Cosa avete detto ai militari che vi hanno scortato in questa visita?

R. – Che noi siamo molto orgogliosi di questa vittoria; che questa è terra irachena, ma questi villaggi sono cristiani: è la nostra Storia e noi ritorniamo. Hanno detto: “Sì, sì: noi siamo pronti a fare di tutto per il ritorno dei cristiani”. Adesso ci vogliono azioni, non solo discorsi.

D. – Una delle cose che l’ha colpita di più sono i tunnel che i miliziani hanno scavato sotto ogni centro abitato: una vera e propria città sotterranea …

R. – È un grande lavoro! Sono colpito dalla resistenza di questi jihadisti. Avevano piani elaborati, i tunnel costano molto … Non so come abbiano potuto creare questi tunnel senza l’aiuto di una forza più grande di loro, è terribile …

D. – Il 2017 sarà l’Anno della pace, in Iraq. Qual è il messaggio per queste popolazioni?

R. – Noi abbiamo annunciato che per noi il 2017 sarà come il Santo Padre ha fatto per l’Anno della Misericordia: per l’Iraq, tutto l’Iraq – cristiani, musulmani, yazidi – io ho fatto un appello a consacrare questo anno alla pace, alle preghiere ecumeniche, anche a incontri, dialoghi sulla cultura, su come promuovere la pace, la cultura della pace, del perdono, della convivenza eccetera. Rispettare l’altro che è diverso, che è un fratello: non è un nemico. Bisogna rispettare la costituzione, l’ordine; bisogna farla finita con questa mentalità tribale, di farsi giustizia da soli …

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Siria: ancora raid su Aleppo. Unicef: bombe su bambini innocenti

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In Siria i ribelli nelle ultime ore hanno lanciato un’offensiva sulla martoriata città di Aleppo, mentre a margine di un incontro a Mosca il ministro degli Esteri di Damasco, Walid Muallem ha proposto un nuovo cessate il fuoco per ragioni umanitarie. Sullo sfondo rimane il “no” del Cremlino. Intanto il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, chiede un'indagine immediata sull'attacco alle scuole in Siria, nell’ultimo raid ad Idlib sono morti 22 bambini e 6 insegnanti. Su questa drammatica vicenda Clarissa Guerreiri ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce dell'Unicef: 

R. – Aerei, raid, si alzano in cielo e bombardano bambini innocenti che escono da scuola … Il dramma che è accaduto nei pressi di Idlib, 50 km da Aleppo, è veramente senza precedenti perché mentre i bambini cercavano di uscire da scuola, accompagnati dagli insegnanti proprio per sfuggire ai raid, sono stati bombardati, e ne sono morti 22; altri due raid ne hanno uccisi ancora altri … E’ una situazione veramente incresciosa e incredibile di una guerra che sembra non finire mai.

D. – In che modo state intervenendo sul territorio?

R. – Noi siamo presenti in tutto il territorio siriano attraverso tutte le nostre postazioni, il nostro staff; siamo presenti, naturalmente, nella città di Aleppo e in tutte le altre 20 città sotto assedio. Portiamo aiuti di ogni tipo: dall’acqua, che è il bene principale necessario, alle vaccinazioni imponenti che abbiamo realizzato in Siria in queste settimane e in questi anni, passando per i kit igienico-sanitari o tutto quello che riguarda il tentativo di riportare i bambini a scuola. Certo che poi accadono fatti come questo … ci sono due milioni di bambini fuori dall’istruzione, un milione che rischia addirittura l’abbandono scolastico: il quadro è veramente senza precedenti. Ma noi, insieme al nostro team, non ci fermiamo: continuiamo ad assistere la popolazione il più possibile, grazie anche alle ong locali che ci supportano, in questo momento.

D. – Come sarà possibile uscire da questa crisi?

R. – A vedere quello che accade intorno a noi, sembra impossibile. Invece noi dobbiamo credere in uno sforzo da parte della comunità internazionale, di queste classi dirigenti che governano il mondo, che in qualche modo riescano a prendere una decisione … Io credo che il non portare la pace in questo conflitto sia il fallimento di una generazione di politici, di diplomatici, di uomini che dovrebbero invece cercare di fare di tutto per portare la pace. La pace, però, purtroppo ha un problema: implica il fatto di trovare delle soluzioni. E siccome, purtroppo, non ci sono soluzioni da sottoporre ai cittadini, da sottoporre alla popolazione ormai stremata – voglio ricordare che in Siria oltre cinque milioni e mezzo di persone che sono fuggite dal Paese, che ci sono oltre 500 mila morti e il numero dei bambini uccisi da questo conflitto è aumentato drammaticamente – ecco, la situazione è talmente tragica che dovrebbe far pensare che è arrivato il momento – ma quanto tempo è che lo stiamo dicendo? – di migliorare la situazione. Certo è che ci auguriamo – e le nostre speranze sono rivolte agli Stati Uniti, perché questo momento è vacante per quanto riguarda l’America – che con la nuova presidenza si apra anche una nuova stagione che consenta di aprire un dialogo nuovo e diverso. Ma le forze in campo sono tante, forse troppe; gli interessi di nazioni che non sono la Siria sono tanti: questa non è la guerra dei siriani, l’ho detto e ripetuto mille volte. Questi Paesi sono quelli che devono trovare la soluzione.

D. – Qual è il suo appello?

R. – Il mio appello è alle generazioni future; agli italiani, a tutti i cittadini: noi chiediamo naturalmente di finanziare le nostre attività in Siria per non lasciare da sole queste popolazioni, ma non solo. Noi chiediamo di prendere coscienza del fatto che queste guerre ci riguardano da vicino, che tutto ciò che avviene lì ha comunque un risvolto sulla nostra politica interna, che dobbiamo riscoprire il senso di chiedere ai governi di fare pressione per chiedere la pace, perché la pace in questi territori è una pace che riguarda tutti noi. Dall’altra parte, l’appello è alla comunità internazionale affinché trovino davvero gli strumenti giusti del dialogo, perché questa popolazione non può continuare a subire tutto questo. Stiamo cancellando un’intera popolazione: noi l’abbiamo chiamata lost generation. I bambini siriani non possono continuare a subire tutto questo: addirittura si tolgono la vita e tolgono la vita ai propri figli perché vogliono evitare loro il calvario di questi giorni e di questi assedi. Noi dobbiamo evitare che le mamme compiano gesti di questo tipo, e riportarli tutti a casa.

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Sisma, 5 mila sfollati. Presidente Marche: siamo accanto alla gente

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Sono almeno 100 le scosse di assestamento che si sono registrate nella notte nelle zone del Centro Italia colpite dal terremoto di mercoledì sera. Circa 5 mila gli sfollati. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

La più forte della scosse di assestamento è stata di 3,5 gradi Richter vicino Ussita. E questa situazione non fa altro che aumentare la tensione tra i terremotati. Per il capo dei Vigli del Fuoco, Bruno Frattasi, "la situazione è drammatica, abbiamo migliaia di sfollati, circa 5 mila, crolli ovunque e strade bloccate. Un danneggiamento molto diffuso che va a pesare su quello già provocato con il sisma del 24 agosto”. Il premier Renzi rinnova la sua solidarietà alle popolazioni colpite, mentre il ministro Delrio assicura che il governo è pronto ad aumentare le risorse ben oltre i 4,5 miliardi inseriti in manovra. Appena ci saranno delle stime precise sui danni, decideremo gli interventi”. Nel frattempo, è iniziata la fase due: il ricollocamento di chi ha perso la casa e il recupero nelle abitazioni degli effetti personali dei terremotati. il presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli:

R. – C’era una doppia sfida: non solo portare subito soccorso, assistenza, verificare situazioni, ma anche convincere, insieme ai sindaci, i cittadini a fare la scelta della collocazione in una struttura d’accoglienza o un albergo piuttosto che il percorso delle tende che si fa normalmente. Siamo nei primi giorni d’inverno, le temperature sono molto rigide e non è stata una cosa banale riuscire a convincere i cittadini a optare direttamente per quello. Quindi la Protezione civile ha agito bene tecnicamente ma è stata anche capace di accompagnare le comunità alla scelta migliore.

D. – Però ci sono ancora alcuni cittadini che vorrebbero rimanere sul luogo, come state lavorando per convincerli?

R. – Tutti i cittadini nelle aree interne di montagna vogliono restare sul luogo. Noi rispettiamo ovviamente la scelta di ognuno; un cittadino che decide di dormire in macchina e trova una sistemazione di fortuna pur di restare lì ha tutto il rispetto da parte nostra. Noi abbiamo bisogno che le persone coinvolte nel terremoto trovino una collocazione. I percorsi sono abbastanza definiti. Ci sono le risorse che servono per andare negli alberghi, come molti hanno scelto. C’è il percorso della ricostruzione che passa con i moduli abitativi che servono a gestire gli anni che separano dal momento del terremoto alla ricostruzione. Poi c’è tutto un ventaglio di strumenti di servizio al cittadino.

D. – Voi pensate di avviare anche un programma per mettere in sicurezza tutti quegli edifici che però non sono stati colpiti dal terremoto ma che in sostanza sono a rischio?

R. – I decreti e gli strumenti normativi attivati in questi giorni sono a favore delle realtà colpite dal terremoto dove ci sono delle inagibilità. C’è un altro programma del governo nazionale che è quello di Casa Italia che invece dà incentivi per chi vuole mettere in sicurezza anche le case non colpite dal terremoto ma - un po’ come si è fatto dal punto di vista energetico negli scorsi anni - questa volta concentrando le risorse anche sul tema dell’antisismicità per la messa in sicurezza degli edifici da questo punto di vista.

D.  – Lei è soddisfatto della collaborazione tra la regione Marche e il governo di Roma?

R. - Assolutamente sì. Il governo è presente non solo simbolicamente e fisicamente come ha fatto ieri il premier, ed è molto importante, venendo a Camerino e nelle terre terremotate, ma anche proprio nella costruzione degli strumenti fatti insieme. Se si parla con questo livello di attenzione è perché le cose le facciamo insieme.

Tra le città maggiormente colpite c’è Camerino. Fabio Colagrande ha intervistato il direttore della Caritas locale, don Luigi Verolini:

R. – E' spettrale perché girano solo camionette dei vigili del fuoco, della polizia… Non si può entrare nella piazza centrale dove sta la cattedrale, dove sta l’episcopio… Ci sono cumuli di macerie e la gente si è riversata tutta in una località dove c’è un grande palazzetto dello sport ed è lì accampata.

D. – E le scosse continuano ...

R. – Continuano le scosse, fanno paura, ma un po’ di meno perché è uno sciame sismico e speriamo che tra poco sia finito.

D.  – Quali sono le necessità della popolazione oltre a quella di trovare un tetto? Ci sono problemi anche per le attività commerciali, industriali?

R. – Per le attività commerciali c’è qualche problema, ma non molti… Ci sono difficoltà economiche ma non gravi perché speriamo che lo Stato dia il contributo per restaurare gli edifici. Il problema principale è la paura e noi della Caritas abbiamo organizzato dei gruppi di ascolto, chiamiamoli così, che vanno ad incontrare la gente. Il nostro lavoro procede abbastanza bene.

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Libano: Aoun verso elezione a presidente. Rallegramenti del card. Raï

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Le strade di Beirut sono già piene di manifesti e foto con l'immagine dell'ex generale Michel Aoun, il leader del Movimento Patriottico Libero che si prepara a diventare nuovo Presidente della Repubblica libanese. Salvo improbabili sorprese dell'ultima ora, il Parlamento del Paese dei Cedri eleggerà Aoun nuovo Capo dello Stato al prossimo voto per l'elezione del Presidente, in programma nella seduta di lunedì 31 ottobre alle 11, ora locale. 

L'unica incognita è legata alla larghezza del consenso
“I preparativi - riferisce all'agenzia Fides il sacerdote maronita Rouphael Zgheib, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie libanesi – sono in corso anche presso la Baabda, il Palazzo presidenziale che si appresta a ricevere il suo nuovo inquilino e dove si stanno preparando a accogliere anche i media di tutto il mondo per l'inizio del nuovo mandato presidenziale. L'unica incognita, con la coda di residuali polemiche, è legata alla larghezza del consenso raccoltosi attorno a Aoun. Bisognerà vedere se verrà eletto alla prima votazione, quando servono i due terzi dei voti a favore, o al secondo turno, quando basterà raggiungere la maggioranza assoluta”.

Il Libano è senza Presidente da due anni e mezzo
L'elezione annunciata di Aoun porrà fine a più di due anni e mezzo di vacatio presidenziale dovuta ai veti incrociati e ai boicottaggi reciproci degli schieramenti che dominavano la scena politica libanese. La fine della paralisi è dovuta alla convergenza trasversale intorno alla candidatura di Aoun dei Partiti più influenti maroniti, sciiti e sunniti. Il leader del Movimento Patriottico Libero, principale Partito maronita, sarà appoggiato dai maroniti ex rivali delle Forze Libanesi, dagli sciiti di Hezbollah e dai sunniti del Partito “Futuro”, guidati da Saad Hariri.

Il sostegno dell'ex premier Hariri ha spostato l'ago della bilancia su Aoun
Proprio il sostegno accordato da “Futuro” (formazione sunnita in contatto con l'Arabia Saudita) all'ex nemico politico Aoun ha spostato l'ago della bilancia, aprendo la strada alla fine della paralisi istituzionale libanese. A opporsi al “grande compromesso” rimangono partiti minori come la formazione sciita Amal - di cui fa parte il Presidente del Parlamento Nabih Berri – e i maroniti di Marada, la formazione politica a cui appartiene Suleiman Franjieh, candidatosi anche lui alla carica presidenziale. Il delicato sistema politico libanese prevede che la carica di Capo dello Stato sia occupata da un cristiano maronita. A livello geopolitico, l'ormai imminente elezione di Aoun viene letta come un segnale della diminuita influenza dell'Arabia Saudita nel quadrante mediorientale.

I “rallegramenti” del Patriarca maronita Raï
​Nella serata di ieri, in occasione di un ricevimento organizzato al Casinò du Liban dal Centro cattolico d'Informazione, il Patriarca maronita Bechara Raï ha espresso i suoi rallegramenti per la prossima elezione di un “Presidente forte”. Il Primate della Chiesa maronita ha avuto parole di elogio per l'ex premier Saad Hariri, sottolineando che la scelta operata dal leader del Partito "Futuro" ha salvato il Libano dal rischio di cadere in un baratro. "Il Patriarca” spiega all'agenzia Fides padre Rouphael Zgheib “ha sempre insistito sull'urgenza di porre fine al vacuum presidenziale, chiunque fosse il candidato in grado di raccogliere il consenso necessario, perchè solo così tutte le istituzioni potranno uscire dalla paralisi e ricominciare a funzionare secondo quanto prevede la Costituzione”. (G.V.)

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Cina. Plenum del partito: Xi Jinping, cuore della leadership

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Il Presidente cinese, Xi Jinping, al termine del sesto Plenum del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, conclusosi a Pechino, è diventato ufficialmente il 'nucleo' della leadership del Partito. La nomina, ampiamente prevista alla vigilia del meeting a porte chiuse dei leader del Comitato Centrale, rafforza il potere di Xi Jinping, come più importante leader della sua generazione, ma non solo. Nel comunicato finale del Plenum viene sottolineato che  tutti i membri del partito devono "riunirsi attorno al Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese con Xi Jinping come nucleo", e si da il via alla preparazione del prossimo congresso nazionale del partito che si terrà nella seconda metà del 2017 a Pechino. La nuova definizione di Xi, gli permetterà di avere potere assoluto su dimissioni e promozioni del Comitato centrale. Dalla sua salita al potere, avvenuta nel 2012, Xi Jinping, ha accumulato sempre più cariche nel Partito, essendo stato nominato sia Presidente di Stato, che presidente della Commissione Militare. Inoltre è a capo delle riforme economiche del Paese. Ascoltiamo il commento di Francesco Sisci, editorialista di Asia Times al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Questo Plenum del partito innanzitutto forse era importante perché metteva i paletti e le regole per poi arrivare al Congresso dell’anno prossimo che dovrebbe portare cambiamenti e dovrebbe avere una grande infornata di nuovi dirigenti del Paese e, alla luce anche della campagna anticorruzione che è in corso ormai da 4, 5 anni, un rimescolamento completo del Comitato centrale e dell’ufficio centrale del Politburo. Questo si poteva ottenere in due modi, a spanne: o introducendo regole - ci sono regole molto rigide per promozioni e rimozioni - oppure accentrando il potere in una persona che ha maggiori poteri discrezionali nella scelta del nuovo gruppo dirigente. Si è scelta la seconda cosa, quindi Xi Jinping avrà per l’anno prossimo maggiori poteri discrezionali nella scelta del nuovo gruppo dirigente. Infatti l’altro elemento importante che è emerso è che la storia cinese è stata divisa in tre periodi: il periodo guidato da Mao, il periodo guidato da Deng Xiaoping e il periodo oggi guidato da Xi Jinping.

D. – Come è  stata favorita questa ascesa?

R. – E’ stata favorita nella maniera tipica del partito comunista, cioè con una campagna politica massiccia e anche favorita dalla campagna anticorruzione. La campagna anticorruzione da una parte ha introdotto nuove regole per l’amministrazione del Paese e dall’altra parte ha eliminato i rivali potenziali al potere di Xi Jinping e Xi Jinping stesso ha accentrato i poteri.

D. – Uno dei temi caldi è stato anche il tema della corruzione nei processi di promozione interna al partito. Che cosa succederà adesso?

R. – Questo ultimo anno, che porterà poi al Congresso del partito dell’anno prossimo, potrebbe vedere una intensificazione dei processi contro la corruzione. Primo, per identificare lo spirito giusto con cui si affronterà il Congresso dell’anno prossimo; secondo, oggettivamente, per eliminare potenziali rivali sia in termini personali ma soprattutto in termini di idee. E qui però c’è la grande domanda, perché noi non sappiamo, per il Congresso dell’anno prossimo, cosa voglia fare davvero Xi Jinping. Noi sappiamo che vuole una riforma delle imprese di Stato. C’è chi chiede una forma di privatizzazione, quindi un ritiro della forza corruttiva dello Stato dalle imprese di Stato, però questo significa attaccare gruppi di potere molto, molto consolidati.

D. – Questi fatti quali conseguenze porteranno sui mercati mondiali? La Cina è una delle potenze più forti in questo momento…

R. – Diciamo che adesso questo consolidamento di potere mi sembra rassicuri i mercati e il mondo per il prossimo anno. Altro elemento di rassicurazione molto forte è questa collaborazione che si è avuta proprio nelle ultime settimane con l’America sulla questione nordcoreana. Dopo averla trascurata per un po’ la questione nordcoreana è tornata al centro degli scambi con gli Stati Uniti e  questo credo sia un elemento molto positivo. Terzo elemento molto positivo è questo intensificarsi dei rapporti con Papa Bergoglio e che ha conseguenze positive per tutti, per la Chiesa, etc., ma io direi anche rassicura i mercati perché getta un po’ un ponte di stabilità, di lungo termine tra la Cina e il mondo.

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Premio Sakharov a due yazide sfuggite all'Is dopo ripetuti abusi

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Il Parlamento europeo ha assegnato il premio Sakharov 2016 a due donne yazidi, sfuggite alla schiavitù sessuale imposta loro dai jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) in Iraq. La massima onorificenza dell’Unione europea (Ue) in tema di diritti umani - riferisce l'agenzia AsiaNews - va a Nadia Murad Basee e Lamiya Aji Bashar, in rappresentanza delle migliaia di giovani (anche minorenni) e di donne yazide, vittime di abusi sessuali e ridotte in condizioni di schiavitù dall’estate del 2014.

Le due donne si battono a livello internazionale per i diritti della comunità yazida
Il popolo yazidi, una minoranza etnico-religiosa nel Paese arabo, è fra quelli che hanno subito in maggior misura i crimini delle milizie estremiste sunnite di Daesh, equiparabili secondo alcuni attivisti a un vero e proprio “genocidio”. Nadia Murad Basee e Lamiya Aji Bashar sono entrambe riuscite a sopravvivere e ora si battono a livello internazionale per i diritti della comunità. Guy Verhofstadt, parlamentare Ue, definisce le vincitrici “donne fonte di ispirazione” perché hanno mostrato “un coraggio e una umanità incredibili” a fronte di “brutalità inenarrabili”. “Sono orgoglioso - ha aggiunto - che il premio Sakharov 2016 sia assegnato a loro”. 

Le due donne hanno subito stupri e torture dall'Is
Murad è stata sequestrata dal suo villaggio natale di Kocho, vicino a Sinjar, e trasferita a Mosul. Nella capitale del “Califfato” ha subito ripetuti stupri e torture. La donna è riuscita a fuggire, ma ha perso sei fratelli e la madre durante le concitate fasi dell’assalto jihadista al monte Sinjar. Bashar, anche lei originaria di Kocho, ha tentato a più riprese di fuggire dalle mani dei suoi aguzzini durante i 20 mesi di prigionia. Aveva solo 16 anni quando è finita nelle mani dell'Is. 

Il premio è il più importante riconoscimento europeo per i diritti umani
Il premio Sakharov - del valore di 50mila euro - è considerato il più importante riconoscimento europeo per i diritti umani, l’equivalente europeo del Nobel per la pace. Creato in onore dello scienziato e dissidente sovietico Andrei Sakharov, in passato è stato conferito a personalità come Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi e, nel 2013, all’attivista pakistana Malala Yousafzai.

Lo scorso anno il premio al blogger saudita Raif Badawi ancora in carcere
Lo scorso anno il riconoscimento è andato al blogger saudita Raif Badawi, in carcere per aver “insultato l’islam” in rete. Egli deve scontare una condanna a 10 anni di carcere e 1000 frustate, oltre a una multa di 193mila euro. In occasione dell’annuncio del premio, Martin Schulz, presidente dell’Assemblea, aveva lanciato - invano - un appello per la liberazione dell’uomo. (R.P.)

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Vescovi Brasile: ingiusta la legge che limita a 20 anni le spese sociali

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Una legge “ingiusta e selettiva”, che “gonfia il ruolo del mercato a danno dello Stato”. Sono durissimi i vescovi del Brasile verso la “Pec 241”, il provvedimento legislativo promosso dal Governo del nuovo Presidente Michel Temer, già approvato dalla Camera ed ora al vaglio del Senato, che per diminuire il debito pubblico - riporta l'agenzia Sir - mette un tetto di spesa per i prossimi 20 anni su capitoli fondamentali, come l’educazione, la salute, le infrastrutture, la sicurezza. 

La legge fa pagare il conto del debito fuori controllo a lavoratori e poveri
La presa di posizione è giunta attraverso una conferenza stampa tenuta a conclusione del Consiglio permanente della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb). Vi hanno preso parte il presidente della Cnbb, dom Sergio da Rocha, arcivescovo di Brasilia, il vicepresidente dom Murilo Krieger, arcivescovo di Salvador di Bahia, il segretario generale dom Leonardo Ulrich Steiner, vescovo ausiliare di Brasilia. La nota presentata durante la Conferenza stampa fa notare che la legge, se approvata, impedirà “qualsiasi aumento di investimenti in settori primari per vent’anni”. Mentre, allo stesso tempo, il provvedimento non prevede alcun tetto per altri settori, come le rendite finanziarie. Per questo la Pec 241 viene considerata “ingiusta e selettiva. Fa pagare il conto del debito fuori controllo ai lavoratori e ai poveri”, mentre non tocca i privilegi di chi detiene il potere finanziario e non tassa i grandi capitali. 

Il limite di spesa su educazione e salute compromette l’ordine costituzionale
Nel lamentare l’eccessivo ruolo dato al mercato, la nota fa riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa, che considera il rischio dell’idolatria del mercato mettendo in evidenza la sua incapacità, da solo, di dare risposte alle necessità delle persone. Secondo i vescovi il limite di spesa su educazione e salute compromette l’ordine costituzionale. Da qui la richiesta di rovesciare in Parlamento il cammino del progetto di legge e di poter dare vita nel Paese ad un dibattito ampio e democratico. “Pesa sul Senato la responsabilità di dialogare con la società sulle conseguenze della legge”. La nota della Cnbb si conclude confermando la disponibilità ad accompagnare il processo, mettendosi a disposizione “per cercare una soluzione che garantisca il diritto di tutti e soprattutto dei più poveri”. (R.P.)

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Zimbabwe: lettera pastorale dei vescovi alle famiglie

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Promuovere, proteggere, sostenere e rafforzare la famiglia in ogni modo, soprattutto in un momento in cui essa patisce molte difficoltà: questo lo scopo della Lettera pastorali diffusa dalla Conferenza episcopale dello Zimbabwe (Zcbc) a tutte le famiglie del Paese.

Compassione e vicinanza
“Desideriamo allietare, incoraggiare e riempire di speranza tutte le coppie di coniugi e tutte le famiglie, manifestando loro apprezzamento, comprensione e sostegno”, si legge nel documento episcopale. Riprendendo, poi, numerosi passi dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia” di Papa Francesco, i presuli ricordano l’importanza di mostrare “compassione e vicinanza alle fragilità di ogni persona”.

Curare le famiglie, non giudicarle
E ciò significa, per gli stessi vescovi, accompagnare le coppie sposate, “camminare con loro, condividendone la gioia, ma anche le ansie e le preoccupazioni e portandone i fardelli". “È drammatico – continuano i vescovi – che parroci e vescovi pensino che sposare le persone sia solo un atto amministrativo”, perché ciò che occorre è “la cura delle persone, piuttosto che il giudizio”.

Sessualità è parte integrante di ogni persona
Poi, i presuli si soffermano sulla sessualità: ribadendo che essa non è “puro istinto”, bensì “parte integrante di ogni persona umana”, i vescovi affermano che ogni persona “o è maschio o è femmine”. “L'uomo e la donna sono uguali nella loro dignità umana”, anche se diversi dal punto di vista “fisico, psicologico, mentale e spirituale”. Nella cultura occidentale, invece, “c’è la tendenza a sminuire le differenze ed a negare l’unità nella diversità tra i sessi”, mentre “i giovani non vengono più aiutati ad accettare la loro identità come uomini e donne”.

No alle unioni omosessuali
​Per questo, i presuli sottolineano che “Dio ha creato l’uomo per la donna e la donna per l’uomo”; pertanto, “le unioni tra persone dello stesso sesso non fanno parte del disegno del Creatore”. Al contrario, gli uomini e le donne devono essere “complementari e devono aiutarsi a vicenda”, “accettando la responsabilità l’uno per l’altro”. Questo, infatti, scrivono i presuli, rende “il vero amore reciproco”; questa è “la gioia dell’amore”. In quest’ottica, i vescovi dello Zimbabwe auspicano una maggiore educazione affettiva per i giovani, affinché sappiano vivere “la sessualità all’interno del matrimonio come una relazione duratura e fruttuosa” ed “espressione di amore reciproco e di fedeltà”. (I.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 302

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.