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Sommario del 07/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: no a fede “fai da te”, beati gli artigiani di misericordia

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Esiste il rischio di una fede “fai da te”: alcuni usano il nome di Dio per giustificare la violenza, per altri Dio è solo un “rifugio psicologico”, oppure la fede diventa impermeabile all’amore che spinge verso i fratelli o si annulla la spinta missionaria. Così il Papa nella catechesi all’Udienza generale, stamani in Piazza San Pietro, alla quale hanno partecipato oltre 25 mila fedeli. Francesco ricorda che Gesù è "lo strumento concreto della misericordia del Padre". Il servizio di Debora Donnini: 

Al centro della predicazione di Gesù c'è in primo luogo la misericordia, non la giustizia. All’udienza generale, il Papa invita tutti a convertirsi e diventare “artigiani di misericordia” come Santa Teresa di Calcutta. Gesù stesso, infatti, mostra di essere “lo strumento concreto della misericordia del Padre”. La catechesi parte dal Vangelo proclamato: Giovanni Battista manda i suoi discepoli da Gesù per chiedergli se fosse proprio Lui il Messia. E Gesù risponde con i segni compiuti: i ciechi recuperano la vista, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la Buona Novella. Giovanni non capisce lo stile di Gesù: si trovava in carcere, soffriva nel buio della cella. E la risposta che Gesù dà ai discepoli del Battista sembra, a prima vista, non corrispondere alla richiesta di Giovanni che aspettava il Messia come un giudice che avrebbe finalmente instaurato il Regno di Dio:

“Egli risponde di essere lo strumento concreto della misericordia del Padre, che a tutti va incontro portando la consolazione e la salvezza e in questo modo manifesta il giudizio di Dio”.

Dio invita i peccatori a ritrovare la strada del ritorno
Questo dunque il messaggio che la Chiesa riceve da questo racconto della vita di Cristo:

“Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per punire i peccatori né per annientare i malvagi. A loro è invece rivolto l’invito alla conversione affinché, vedendo i segni della bontà divina, possano ritrovare la strada del ritorno”.

Giovanni Battista metteva al centro della sua predicazione la giustizia mentre Gesù si manifesta come misericordia. I dubbi del suo Precursore anticipano lo sconcerto che Cristo susciterà in seguito con le sue azioni. Per questo Gesù conclude la sua risposta dicendo che è beato chi non trova in Lui motivo di scandalo, che significa “ostacolo”.

Il rischio per alcuni di una fede “fai da te”
Ma, nota il Papa, se l’ostacolo a credere sono soprattutto le “azioni di misericordia” di Gesù , questo significa che si ha una “falsa immagine” del Messia. “Beati, invece – dice Francesco – coloro che di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, rendono gloria al Padre”. Esiste, infatti, il rischio per alcuni di ritagliarsi una fede “fai da te”, che riduce Dio nello spazio dei propri desideri. Ma questa non è vera conversione, sottolinea Francesco, anzi impedisce al Signore di provocare la nostra vita:

“Altri riducono Dio a un falso idolo, usano il suo santo nome per giustificare i propri interessi o addirittura l’odio e la violenza. Per altri ancora Dio è solo un rifugio psicologico in cui essere rassicurati nei momenti difficili: si tratta di una fede ripiegata su sé stessa, impermeabile alla forza dell’amore misericordioso di Gesù che spinge verso i fratelli. Altri ancora considerano Cristo solo un buon maestro di insegnamenti etici, uno fra i tanti della storia. Infine, c’è chi soffoca la fede in un rapporto puramente intimistico con Gesù, annullando la sua spinta missionaria capace di trasformare il mondo e la storia”. 

“Noi cristiani – sottolinea invece Francesco – crediamo nel Dio di Gesù” e il nostro desiderio è quello di crescere nell’esperienza viva del suo mistero di amore.

Essere “artigiani di misericordia” come Santa Teresa di Calcutta
Prima dell’udienza, come di consueto, nel percorrere con l’auto scoperta Piazza San Pietro, Francesco si ferma per baciare e abbracciare alcuni bambini. Al termine della catechesi, rivolge i saluti ai fedeli di diverse lingue e nazioni. E ribadisce l’invito a diventare “strumenti di misericordia”:

“Domenica scorsa abbiamo celebrato la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta. Cari giovani, diventate come lei degli artigiani di misericordia; cari ammalati, sentite la sua vicinanza compassionevole specialmente nell’ora della croce; e voi, cari sposi novelli, siate generosi: invocatela perché non manchi mai nelle famiglie la cura e l’attenzione per i più deboli”.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Juazeiro, presentata da mons. José Geraldo da Cruz, degli Assunzionisti. Al suo posto, ha nominato mons. Carlos Alberto Breis Pereira, dei Francescani minori, finora coadiutore della medesima diocesi.

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Papa, tweet: Dio si impietosisce sempre quando siamo pentiti

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Dio si impietosisce sempre quando siamo pentiti”.

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Al via il Giubileo dei docenti universitari e dei centri di ricerca

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Sono oltre 1.500 i docenti universitari giunti da tutto il mondo per partecipare al Giubileo delle Università e dei Centri di Ricerca, promosso Congregazione per l’Educazione Cattolica in collaborazione con Ufficio per la Pastorale Universitaria della diocesi di Roma, che si apre oggi alla Pontificia Università Lateranense e che si concluderà domenica. Tra i punti centrali dell’evento, che ha come filo conduttore il tema “Conoscenza e Misericordia. La terza missione dell’Università”, il XIII Simposio internazionale dei docenti universitari e l’udienza giubilare con Papa Francesco, sabato prossimo. Marina Tomarro ha intervistato Cesare Mirabelli, presidente del Comitato organizzatore: 

R. – Il Simposio vede come vi è un intreccio tra conoscenza e misericordia, a iniziare dalle lezioni magistrale iniziali, scienze e uomo, ragione e fede, argomenti generali ma che toccano aspetti che riguardano la misericordia che poi si inserisce nelle 22 sessioni parallele nelle quali poi si svilupperanno in molti convegni che si inseriscono nel simposio. L’idea di fondo nell’Anno giubilare è fare un percorso che sia proprio delle università, ma inserirlo nell’ambito giubilare sia come atteggiamento e percorsi individuali sia dal punto di vista dell’istituzione universitaria.

D. – Per questa edizione si dà grande importanza anche alla ricerca. Perché?

R. – La ricerca è uno degli elementi essenziali che caratterizza le università. Ricerca e insegnamento, didattica, perciò l’accumulo del saper dire e diffusione del sapere, ricerca e conoscenza... Ma vediamo alcune espressioni che possono far riferimento alla misericordia. Non possiamo leggere in maniera ampia l’opera di misericordia, perchè non racchiude solamente un aspetto didattico, ma ad esempio consigliare i dubbiosi ha un riferimento anche alla conoscenza. Anche se abbiamo attenzione alle opere di misericordia corporale, dar da mangiare non è solo un’attenzione a quello che la terra può dare ma anche al contributo dell’economia allo sviluppo. Ci sono perciò non direi tracce, ma riferimenti alla misericordia in ogni elemento di riflessione. Richiamare questo in maniera sistematica mi pare sia uno degli obiettivi del simposio.

D. – Quanto è importante anche questo lavoro di rete internazionale tra le differenti università?

R. – Il punto di partenza è un rapporto che si è consolidato nel tempo – ed è molto fruttuoso – tra le differenti Università romane, per impulso della pastorale universitaria del Vicariato. Roma ha un bacino di ricerca, di docenti, di attività didattiche anche internazionale. Esiste un collegamento ed esiste un servizio che vuole essere dato. Infatti, vi è una straordinaria presenza di docenti stranieri in questo Simposio come nei precedenti, ma in questo la partecipazione è davvero molto ampia. L’università per sua natura non ha confini, è aperta non solo al dialogo ma alla contaminazione di culture di idee, perciò è una vocazione universale in qualche misura. Roma ha le caratteristiche per contribuire a sviluppare questo rapporto. Il Simposio è una traccia di questo. Nell’ambito di questi incontri, tra l’altro, ci saranno anche delle altre iniziative. Una particolarmente importante è l’incontro mondiale dei rettori che tocca dei temi di grande attualità come quello delle diseguaglianze, delle migrazioni, dello sviluppo sostenibile, della dimensione umana e della crisi ecologia. Come si vede sono temi non solo legati all’attualità, ma nei quali un atteggiamento che sia ispirato alla misericordia si innerva nelle riflessioni culturali e nelle linee di azione che possono essero proposte.

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Accordo tra Santa Sede e Repubblica Centroafricana

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Si è tenuta ieri presso il Palais de la Renaissance di Bangui, sede della Presidenza della Repubblica, alla presenza del prof. Faustin Archange Touadéra, capo dello Stato, la firma dell’Accordo Quadro tra la Santa Sede e la Repubblica Centroafricana su materie di interesse comune. Per la Santa Sede ha firmato mons. Franco Coppola, Nunzio Apostolico, e per la Repubblica Centroafricana, Charles Armel Doubane, Ministro degli Affari Esteri, dell’Integrazione africana e dei Centrafricani all’estero.

Collaborazione per il bene comune e il benessere della società
L’Accordo Quadro, costituito da un preambolo e 21 articoli, fissa il quadro giuridico delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato, disciplinando materie di interesse comune. Le due Parti, pur salvaguardando l’indipendenza e l’autonomia che sono loro proprie, si impegnano a collaborare per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la promozione del bene comune. L’Accordo Quadro entrerà in vigore con lo scambio degli Strumenti di Ratifica.

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Greg Burke: Francesco spinge media vaticani a raggiungere tutti

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Il lavoro di portavoce vaticano, la presenza del Papa sui Social Network, l’importanza del Giubileo anche per la comunicazione. Sono alcuni dei temi affrontati da Greg Burke, in un incontro – alla Sala Stampa della Santa Sede – con i giornalisti che partecipano al Seminario “Church Up Close”, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce. A seguire l’evento, c’era per noi Alessandro Gisotti

Un confronto a tutto campo, in un clima informale sui grandi temi di attualità sulla comunicazione nella Chiesa. Greg Burke ha risposto per un’ora alle domande dei giornalisti, 40 di 18 Paesi, che in questi giorni sono impegnati nel seminario “Church Up Close” dell’ateneo Santa Croce. Innanzitutto, il direttore della Sala Stampa vaticana ha sottolineato i grandi cambiamenti specialmente tecnologici che si sono avuti negli ultimi 20 anni, da quando - come corrispondente di Time - ha iniziato a seguire a Roma l’attività del Papa e della Santa Sede. Nell’era dei Social Network, contraddistinta dalla velocità, ha affermato, è importante non solo che la Sala Stampa fornisca le notizie in modo chiaro e preciso ma pure nel minor tempo possibile.

Il Papa sui social network segno che la Chiesa vuole raggiungere tutti
Proprio sul tema della rivoluzione digitale, Burke ha sottolineato che la presenza del Papa sui Social Network è un segno importante della volontà della Chiesa di raggiungere tutti e ovunque. Un segno, ha soggiunto, che è anche da esempio per i media vaticani. In questo ambito, ha osservato che il Giubileo della Misericordia – con i gesti di tenerezza di Papa Francesco – offre anche un contributo al modo di lavorare dei mezzi di comunicazione.

Riforma media per dare più forza alla voce della Chiesa
A proposito della riforma dei media vaticani, Burke ha affermato che questa ha l’obiettivo di dare più forza alla voce del Papa e della Chiesa nel mondo. Il direttore della Sala Stampa ha poi osservato che nei media vaticani ci sono molti talenti e che un processo così significativo avrà bisogno di tempo. Del resto, ha rilevato - citando un passo della Evangelii Gaudium - che anche nel mondo della comunicazione bisogna vincere la tentazione del “si è fatto sempre così”.

Emozionante seguire il Papa da vicino, la fede aiuta nel lavoro
Greg Burke non ha mancato di rispondere anche a domande più personali sul suo lavoro. La fede, ha detto, è un elemento fondamentale per svolgere bene il suo ruolo ed ha citato, con ammirazione, l’esempio del suo predecessore, padre Federico Lombardi, che, ha detto, trova proprio nella fede la serenità per affrontare anche le sfide più difficili. Infine, ha confidato l’emozione – dopo tanti anni come reporter – di trovarsi pochi passi dietro il Papa negli avvenimenti che, prima del suo nuovo incarico, poteva vedere solo a distanza di telecamera.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nessun ostacolo alla misericordia: all’udienza generale il Papa ricorda che Gesù non è venuto per punire i peccatori ma per portare la salvezza

In prima pagina un editoriale di Manuel Nin sulla Natività della Madre di Dio nella tradizione bizantina

A Bose il convegno internazionale di spiritualità ortodossa su martirio e comunione: interventi di Giovanni X Yazigi e di Athanasios N. Papathanassiou

Doppia cittadinanza: il cardinale Parolin per la festa del Brasile e l’anniversario delle relazioni diplomatiche.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Opposizione: attacco governativo con gas cloro ad Aleppo

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A parlare sono le immagini delle vittime più piccole della guerra in Siria. Bambini che tossiscono, che faticano a respirare, che piangono. L’opposizione siriana e alcuni soccorritori della parte orientale di Aleppo, controllata dai ribelli e assediata dalle forze lealiste, hanno denunciato un nuovo attacco con gas cloro da parte delle forze governative nella zona. Al Jazeera parla di un morto e decine di intossicati, forse un'ottantina nel quartiere di Al Sukkari. Giada Aquilino ha intervistato Ferruccio Trifirò, professore emerito all'Università di Bologna e membro del comitato scientifico dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw): 

R. – I vertici dell’Opcw (Organization for the Prohibition of Chemical Weapons) e dell’Onu avevano mandato una lettera ad Assad perché firmasse l’accordo per le armi chimiche di Damasco. Dopo aver firmato l’intesa con l’organizzazione, Assad avrebbe dovuto distruggere subito tutte le armi chimiche. E infatti le armi chimiche nel giugno del 2014 sono state distrutte. Ora il problema è: in questo accordo sulle armi chimiche sono contemplati vari tipi di armi chimiche. Ci sono sostanze chimiche che vengono utilizzate solo per produrre armi chimiche: si tratta di quelle che erano in Siria e sono passate per Gioia Tauro nella fase di distruzione. Questa è la prima classe di sostanze e sono sicuro che siano state distrutte: sono state distrutte su una nave americana che aveva strumenti particolari per farlo, trasformandole in sostanze tossiche ma che non fossero armi chimiche. La seconda classe delle armi chimiche è data da sostanze che hanno un piccolo utilizzo anche per attività non chimiche. Di queste ce n’erano in Siria, ma poi sono state mandate direttamente in Germania e in Norvegia per essere distrutte. Poi c’è la terza classe, di cui si fa un grande uso nell’industria chimica, come il cloro. Serve per fare disinfettanti, serve per fare il pvc (polivinilcloruro), si ottiene per elettrolisi del sale e serve per produrre ad esempio anche detergenti. Quindi il cloro è una sostanza che non è un’arma chimica, ma che può diventarlo. Ed è probabile che in Siria possano averla. Non è di fatto proibito avere tali sostanze: avrebbero sicuramente dovuto denunciarlo, ma non è proibito avere del cloro.

D. – Le testimonianze parlano di immagini di bambini che tossiscono, che faticano a respirare, che piangono. Cosa provoca il gas cloro?

R. – Crea corrosione, crea questi effetti sulle persone; è altamente tossico. E’ stato utilizzato durante la Prima Guerra Mondiale e ha fatto molti morti. Nell’accordo con l’Opcw sono state mandate fuori dalla Siria le armi chimiche vere e proprie, ma non queste perché ad esempio servono per disinfettare l’acqua…

D. – Proprio perché hanno un largo utilizzo, è facile quindi reperirle?

R. – E’ facile reperirle. Infatti, l’organizzazione controlla dove siano le relative produzioni.

D. – Che rischi ci sono in realtà come quella della Siria?

R. – Il rischio è che si possa utilizzarlo tranquillamente. L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche dovrebbe andare adesso a controllare queste altre sostanze. Il problema è quando ci sono sostanze tossiche in Paesi come la Siria, è difficile tenerle sotto controllo.

D. – Ma c’è da parte dell’Organizzazione per la proibizione di armi chimiche un impegno in tal senso?

R. – Adesso si stanno impegnando anche su questo punto. Di fronte a tali avvenimenti, è necessario inviare persone a controllare l’utilizzo anche di sostanze tossiche.

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Conferenza su tratta. Card. Tagle: "Rispettare la dignità umana"

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Si conclude oggi ad Abuja, in Nigeria, la Conferenza sulla tratta degli esseri umani in Africa, promossa dalla Caritas Internationalis e dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Dai lavori è emerso che la piaga delle nuove schiavitù è sempre più grave e deve essere debellata attraverso l’impegno di tutta la comunità internazionale. Il servizio di Giancarlo La Vella

L’80 % delle ragazze nigeriane che arrivano in Italia è vittime del traffico sessuale. Lo ha affermato, nel suo intervento ad Abuja, mons. Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale della Nigeria. Un’immagine sconcertante che si aggiunge a tante altre forme di schiavitù e che disegna un quadro preoccupante di un fenomeno al quale è necessario oggi opporsi con decisione. Sulle cause di questo dramma, Susy Hodges, della nostra redazione in lingua inglese, ha intervistato il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente della Caritas Internationalis:

R. - Purtroppo, dopo due Guerre Mondiali, dopo tante sofferenze, l’umanità non ha appreso la lezione sul rispetto della dignità umana. Ma la domanda è: i trafficanti vedono un fratello o una sorella in una persona vulnerabile? Perché esiste il fenomeno della tratta degli esseri umani? Perché i trafficanti hanno perso la loro umanità? Questa è una domanda della fede e anche della speranza, perché senza la fede e la speranza, il problema sarebbe peggiore.

Ed ora la drammatica testimonianza di una donna nigeriana avviata suo malgrado alla prostituzione, dietro la promessa di un lavoro, riuscita a fuggire dai suoi aguzzini. La donna, intervistata da Gabriella Ceraso, ha partecipato ai lavori della Conferenza di Abuja e oggi si adopera per salvare altre ragazze vittime della tratta:

R. – Riparavo i computer. Non che non avessi tante cose da fare o che avessi una vita difficile: no, per me era un lavoro veramente interessante. Conobbi una donna: anche per lei riparavo computer. E un giorno, questa donna mi propose di andare in Europa per lavorare con il fratello che si occupava anche lui di informatica. Mi disse che lì avrei avuto uno stipendio molto buono. Io accettai la proposta, anche perché per me era una persona di fiducia. Lei fu veramente molto contenta.

D. – Quando ha capito, a Napoli, che in realtà non era questo il lavoro che le avevano promesso?

R. – Quando arrivai a Napoli, vennero a prendermi marito e moglie. Quando mi dissero che avevano già trovato il posto dove avrei dovuto lavorare la mattina e che avrebbero dovuto trovarne un altro per la sera, dissi loro che per me andava bene, ma chiesi anche quale sarebbe stata la mia paga. A quel punto, loro mi risposero che ero io a dover pagare loro 65mila euro. È allora che mi accorsi che ero finita nelle mani dei trafficanti. Non sono un’ignorante: so dell’esistenza dei trafficanti, leggo i giornali, sono laureata, ho letto tante storie di ragazze come me e di come uccidono le persone che rifiutano di accettare la situazione. Quindi, dissi che per me andava bene.

D. – Non ha potuto mai ribellarsi e dire “no”?

R. – No, non potevo! Come le ho detto, ero già informata sul fenomeno dei trafficanti. Nel mio Paese leggevo i giornali; ci sono tante manifestazioni e campagna di sensibilizzazione sul fenomeno della tratta. Sapevo che se avessi voluto ribellarmi, non avrei avuto con me né mio padre né mia madre e né mio fratello: nessuno che mi avrebbe potuto difendere.

D. – E com’è riuscita ad uscirne?

R. – Sono andata dove mi hanno mandato queste persone: sono finita a prostituirmi. Ho parlato con le altre ragazze, facendo anche finta che era tutto a posto. Però, dopo tre giorni, sono riuscita da sola a trovare la stazione di polizia, perché avevo paura di chiedere alle ragazze del mio Paese dove si trovasse. Ho cercato da sola la stazione di polizia; e alla fine, dopo tre giorni, sono riuscita a trovarla.

D. – Ha capito come e chi può aiutare le donne a salvarsi? Chi deve fare qualcosa?

R. – Le donne vittime della tratta hanno paura perché non riescono proprio ad uscire da questa situazione. Se non vedono altre donne come loro che però sono riuscite a salvarsi, che vivono e offrono la loro testimonianza, non riescono a scappare, perché ci vuole veramente coraggio! Quindi è importante che una persona, che è riuscita a fuggire da questa prigionia e vive ora una vita normale, parli con loro. Per esempio, quando vado per strada a parlare con queste ragazze, loro mi chiedono se ho avuto conseguenze e se hanno fatto del male alla mia famiglia; e io rispondo loro di no. E questa cosa dà coraggio a queste ragazze, che provano ad uscire da questa situazione.

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Tunisia: timori per il rientro dei jihadisti dell'Is da Sirte

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Sarebbero circa un migliaio i tunisini combattenti inseriti, attualmente, nel cosiddetto Stato Islamico e sono loro, in fuga dalla loro roccaforte libica Sirte, a costituire la principale minaccia per la stessa Tunisia, dove potrebbero rientrare in massa. L’allarme è arrivato dal ministro della difesa tunisino Farhat Horchani, che ha anche stigmatizzato l’assenza di una politica di sicurezza regionale.  Francesca Sabatinelli ha intervistato Luciano Ardesi, scrittore esperto di questioni nordafricane: 

R. – La Tunisia ha appena cambiato il governo (il nuovo esecutivo di unità nazionale guidato da Youssef Chahed ha ottenuto la fiducia lo scorso 27 marzo ndr) e la lotta al terrorismo rimane una priorità. Ricordo che la Tunisia è il Paese che più di tutti ha contribuito alle fila dei foreign fighters, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, con circa settemila tunisini arruolati nell’Is. Una parte sono usciti direttamente dalla Tunisia per unirsi ai combattenti in Libia, ma ormai tutta l’area è a rischio di destabilizzazione. Sappiamo che a Sirte i jihadisti sono stati sconfitti, ma rimangono ancora diverse unità attive e combattenti, e ora il  rischio è che ripieghino sia in Tunisia, che in Algeria e, soprattutto, nel Sud, nel Sahara, dove ci sono già i primi sintomi di una ripresa dell’Is. E’ in questa zona c’è stato un attacco alla frontiera tra il Niger e il Bukina. Quindi, è un rischio reale che si sta concretizzando via via che l’Is sta perdendo terreno in Libia.

D. - Il ministro della difesa tunisino ha deplorato - se così vogliamo dire - quella che ha definito “l’assenza di una politica regionale di sicurezza” …

R. - Sicuramente manca una politica generale anche perché, probabilmente, mancano le condizioni. Si dovrebbero poter riunire i governi dei Paesi della regione per discutere misure efficaci e concordate, ma sappiamo che in Libia il governo fa ancora fatica ad esercitare un effettivo potere sul suo Paese, mentre gli altri Paesi sono tutti preoccupati, in primo luogo, a gestire la propria sicurezza interna perché, oltre al fenomeno dei combattenti stranieri, c’è ancora radicato, nella stessa Tunisia del resto, un terrorismo che è meramente del Paese, quindi radicato esclusivamente nel Paese. Quindi, i governi di quella regione fanno fatica ad avere uno sguardo più ampio e si accontentano di misure di emergenza, come, ad esempio, cercare di rafforzare la sorveglianza. Ci vorrebbe invece una strategia sul lungo periodo per sconfiggere il terrorismo che non può contemplare solo l’opzione armata, anche se in questo momento rimane imprescindibile.

D. – E anche su questo è intervenuto sempre Horchani, che ha definito “una guerra totale” quella contro il terrorismo, spiegando che non va trattato solo sotto il profilo militare ma anche sotto il profilo culturale, dell’educazione dei giovani, per far capire che l’islam ovviamente non è quello che uccide. Quanto, questo discorso potrebbe agire, potrebbe penetrare, nella società tunisina oggi?

R. - La Tunisia già da tempo, e anche prima della cosiddetta “Rivolta dei gelsomini”, aveva tentato di orientare la propria cultura - soprattutto l’educazione delle nuove generazioni - in un senso più laico, più attento ai valori fondamentali dell’islam. Ora tutto questo è contrastato dal fatto che ci sono correnti politiche, partiti politici che fanno parte delle coalizioni di governo, che invece spingono verso un pensiero fondamentalista che penetra sì attraverso l’educazione, ma anche attraverso i mass media e le moschee. Da questo punto di vista il nuovo governo, quello eletto nelle prime elezioni democratiche del Paese, ha tentato di mettere sotto controllo le moschee e di impedire agli imam di sostenere discorsi eversivi. Sarà ovviamente un’azione, quella che bisognerà compiere, temo sul lungo periodo,  perché è un’azione molto delicata che coinvolge equilibri di tipo sociale, culturale, ma anche politico. E nella nuova coalizione di governo i fondamentalisti sono più forti e più presenti.

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Nato: Stoltenberg in Georgia, incontra premier e presidente

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Riunione della Commissione Nato-Georgia oggi e domani a Tbilisi con una serie di incontri istituzionali in programma per il segretario dell’Alleanza Stoltenberg. Si tratta della quarta visita della delegazione atlantica, dallo scoppio della guerra con la Russia nel 2008, e si svolge in contemporanea alle esercitazioni militari che la Nato già svolge vicino Tbilisi. In primo piano il processo di integrazione ma anche il nuovo ruolo che la Georgia potrebbe svolgere in relazione al conflitto siriano, come spiega al microfono di Gabriella Ceraso, Marilisa Lorusso esperta dell’area per l’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – E’ una visita abbastanza importante, una tappa di un percorso, cioè l’ingresso potenziale della Georgia nella Nato, dato per scontato, per certo già nel 2008 però di fatto a tutt’oggi i termini di questo processo politico rimangono molto vaghi. La Nato sa che l’ingresso della Georgia pone delle problematiche rispetto alla Russia, e anche dal punto di vista tecnico perché la Georgia si è dimostrato un Paese molto volenteroso però con una necessità di svecchiamento dell’apparato tecnico e del proprio personale che, insomma … procedono. La Georgia, dalla sua parte, ha attivato negli ultimi due-tre anni una riforma molto consistente del sistema di sicurezza: possiamo immaginarci una conferma più che altro di quanto è già in corso.

D. – Rimane una priorità-chiave della politica estera, l’incorporazione della Georgia nella Nato, visto che ci sono stati dei progressi?

R. – Certamente! Questa idea della Georgia come Paese euro-atlantico è un’idea molto condivisa all’interno della popolazione georgiana ed è una tendenza che viene confermata poi a livello di democrazia rappresentativa quindi anche da parte della classe politica. Dal 1991, dal momento dell’indipendenza, ha trovato nuovo impulso dopo la Rivoluzione delle Rose, e pur cambiando i governi la tendenza rimane piuttosto stabile.

D. – E quanto si concretizza, anche in termini di protezione nei confronti della Russia?

R. – Effettivamente, la visita cade a otto anni di distanza dalla prima visita del Consiglio Nordatlantico nel settembre 2008: era stato il 15 settembre quando il Consiglio si era recato, subito dopo la guerra. All’epoca era stato un gesto anche molto simbolico, e da allora poi ci sono state visite nel 2011, nel 2013 e poi nel 2016. Quindi c’è una volontà di confermare che questa collaborazione debba in qualche modo rassicurare la Georgia. La Georgia non è, comunque, uno Stato membro … Insomma, dal punto di vista operativo, non ci sono garanzie precise, se si dovesse creare un altro scenario come quello del 2008; chiaramente, però, il fatto di aver spostato maggiormente presenze Nato nel Paese, avere aperto una certa cooperazione, avendo intensificato il rapporto anche di esercitazioni condivise, insomma si stanno mettendo tanti piccoli mattoncini che stanno dando dei segnali alla Georgia che questo processo di integrazione la sta in qualche modo tutelando anche dal punto di vista del “know-how”, perché comunque questa cooperazione sta dando effettivamente ai georgiani delle capacità militari superiori: ricordiamo che la Georgia è numericamente, dal punto di vista di missioni Nato importanti come quella dell’Afghanistan, il primo Paese donatore di soldati schierati.

D. – Non è solo questo, però; perché se la delegazione Nato si sposta direttamente in Turchia, forse c’è qualcosa di più, sul tavolo, di questi incontri?

R. – Certo: c’è un quadro regionale che è molto importante, chiaramente. Dopo il 15 luglio, tutta la fascia caucasico-anatolica ha risentito del tentato colpo di Stato. Ad Ankara si parlerà probabilmente anche dei foreign fighters e in generale della lotta al terrorismo. La Georgia è uno dei Paesi interessati, e chiaramente sul campo ci sono i rapporti e la sicurezza delle truppe Nato negli spostamenti, nella logistica intorno alla Siria, e la Georgia è stata un Paese che ha giocato un ruolo nella logistica Nato, soprattutto per quanto riguarda l’Afghanistan; potrebbe giocare un ruolo maggiore per quanto riguarda la logistica della Siria, ma questo è tutto da dimostrare e dipende anche dal ruolo che la Turchia intende giocare nel prossimo futuro.

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Migranti: 15 mila bambini raggiungono l'Italia da soli

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Sono circa 400 mila i bambini che hanno raggiunto l’Europa via mare nel 2015, il 30% del totale dei flussi migratori. Molti di loro sono arrivati da soli e vivono in condizioni di emergenza in Centri di accoglienza ed hotspot. Per questo l’ong Save The Children ha organizzato a Roma una tavola rotonda tra le maggiori istituzioni e organizzazione che operano nel settore per chiedere all’Ue maggior tutela per i diritti dei minori. Il servizio di Michele Raviart

In Italia sono circa 18 mila i bambini che nel 2016 hanno attraversato il Mediterraneo, 16 mila da soli, senza nessun adulto di riferimento. Una traversata che da gennaio a giugno è costata la vita a 137 minori, a fronte di oltre tremila vittime totali. Al loro arrivo, gli incerti criteri di valutazione rischiano di identificarli erroneamente come maggiorenni e quindi a rischio espulsione qualora non venisse concesso loro il diritto d’asilo. Raffaella Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save the Children:

“La situazione in Italia è abbastanza complessa, perché quest’anno è notevolmente aumentato il numero dei minori arrivati nel Paese da soli. In alcuni casi, riescono ad entrare in strutture di accoglienza di qualità, con standard buoni e quindi sono poi reinseriti in un percorso di integrazione di lunga durata. In altri casi, questo purtroppo ancora non avviene. E cosa ancora più grave: molti di loro, per raggiungere familiari o conoscenti che si trovano in altri Paesi europei, in mancanza di un canale sicuro di viaggio in Europa sono costretti a rimettersi nelle mani di nuovi trafficanti”.

In Grecia, invece, dopo gli accordi tra Ue e Turchia, gli hotspot nelle isole dell’Egeo sono ormai assimilabili a centri detenzione, spesso in ampi luoghi pubblici senza ombra e con scarsi livelli di igiene e di servizi. Kostanitos Kazanas, avvocato internazionale:

 “The main priority is these children to be out of detention…
La priorità è che questi bambini siano tenuti fuori dai luoghi di detenzione. Infatti, in base all’accordo Ue-Turchia i minori rifugiati dei nuovi flussi migratori vengono rinchiusi in centri di detenzione: nelle stazioni di polizia o in luoghi gestiti dalla polizia. Questi bambini non devono essere rinchiusi in questi centri, ma devono invece trovare ospitalità in sistemazioni sicure, aperte e consone".

In queste condizioni i minori sono particolarmente esposti ad abusi e violenze. I loro dirittI sono tuttavia giuridicamente diversi, come spiega Valerio Neri, direttore generale di Save The Children Italia:

 “Noi riteniamo che i diritti dei minori, sanciti da tutte le convenzioni internazionali, dalla politica internazionale e dalla Carta dei diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite, non siano rispettati. All’Europa chiediamo una normativa, una modalità e una procedura di accoglienza e di protezione dei minori migranti in Europa specifica per loro. Per esempio, chiediamo una normativa che non preveda la detenzione, ma il loro inserimento, l’accoglienza nei Paesi dove vogliono andare. Stiamo parlando di numeri ridicoli...”.

Si chiedono anche maggiori programmi di responsabilità condivisa tra i Paesi. In base all’accordo Ue-Turchia sono infatti 22 mila le persone che avrebbero diritto alla protezione internazionale, ma ad oggi solo 8 mila sono state reinsediate in Europa e solo 802 rifugiati siriani sono stati accolti in Turchia. Il piano Juncker invece, sostanzialmente “non sta funzionando”, ha detto il sottosegretario all’interno Domenico Manzione, e delle 160 mila persone previste ne sono state ricollocate, da Italia e Grecia agli altri Stati membri, solo tremila.

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Il sostegno degli psicologi tra i terremotati

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Non si ferma lo sciame sismico nelle zone colpite dal terremoto del 24 agosto tra Lazio e Marche. Una scossa con epicentro Accumoli di 3.3 gradi della scala Richter è stata avvertita alle 2.04 di questa notte. Intanto il governo Renzi è al lavoro per organizzare la ricostruzione. Ad Accumoli sono iniziati i primi trasferimenti negli alberghi sulla costa marchigiana ma le persone terremotate non vogliono lasciare le tendopoli perchè desiderano restare accanto alle proprie case. Per la popolazione colpita dal sisma del 24 agosto scorso si tratta di un altro trauma. Per questo, nelle varie tendopoli nel Lazio e nelle Marche viene garantita la presenza di uno psicologo. Al Campo di Pretare d'Arquata, nelle Marche, Roberto Piermarini ha raccolto la testimonianza del dottor Lamberto Lambertucci, referente delle squadre di soccorso psico-sociale della Croce Rossa Italiana: 

D. – Dr. Lambertucci, qual è stato l’impatto a livello psicologico del post-terremoto, per queste persone?

R. – E’ stato una sorta di un lutto che non appartiene solamente al singolo, ma a tutta la comunità, con tutte le fasi che sono il lutto, lo shock, il rifiuto, la rabbia, il venire a patti, la depressione e poi l’accettazione. Sull’accettazione chiaramente poi bisogna buttarsi nella ricostruzione, nella ridefinizione anche di nuovi rapporti sociali, le amicalità: questo è l’impatto che si avrà per tutto questo periodo. Indubbiamente è un lutto particolare, perché oltre al decesso, alla morte delle persone, il territorio non è quello di prima: anche quello è deceduto, c’è da rifarlo. I legami sono interrotti e si stanno creando altri legami. Una cosa che stiamo facendo, insieme ai nostri operatori, è creare un’alleanza diretta tra le persone, tra gli abitanti, contro il terremoto, contro tutto quello che è accaduto.

D.- In che fase siamo, in questo momento?

R. – Le fasi si accavallano, l’una sull’altra, chiaramente. Nel momento stesso in cui accadrà qualcosa, che si muoverà qualcosa – intendo dire proprio a livello di rapporti istituzionali – è possibile che possano esserci anche situazioni difficili da gestire, perché verrà fuori la rabbia …

D. – Qui ci sono tre categorie di persone: i bambini, le persone di mezza età e gli anziani. Qual è la differenza di reazioni di fronte a un terremoto, di fronte a un’emergenza come questa?

R. – I bambini solitamente, se i genitori sono abbastanza solidi, giocano. Giocano: trovano il modo di giocare. Si divertono. Anche perché ci sono le tende, ed è divertente anche a passarci con le biciclette. Si divertono. Gli anziani hanno vissuto tantissime situazioni, anche di terremoto, magari, per cui hanno un bagaglio di esperienze tali da poter governare le proprie emozioni, anche se d’altro canto si sentono un po’ menomati rispetto ai più giovani però, hanno una storia alle spalle, in questo senso. Quelli che soffrono di più, ma non lo ammetteranno mai, sono le persone tra i 30 e i 50 anni, perché sono quelle che effettivamente si sentono quelli che debbono dare una mano a tutti i costi, che devono fare, che devono ricostruire. Invece qui bisogna farlo con calma, pian piano e così via. Per cui il tempo diventa un tempo senza tempo …

D. – Le persone che da fuori vanno a vedere le proprie case distrutte, tutte lesionate, quando poi vengono da lei che cosa le dicono?

R. – Se sono persone di qui non mi dicono niente: devo essere io, a dire qualcosa. Anche perché io sono un estraneo. Non ci si pensa: ma anche adesso che siamo qui, noi siamo estranei. E c’è un’intrusione – a buon fine, per carità di Dio – però, comunque sia, entriamo nel loro territorio.

D. – Per quanto riguarda invece le persone che avevano già problemi a livello psicologico, che cosa succede quando c’è un terremoto?

R. – Distinguiamo la psicologia dalla psichiatria, cioè la malattia mentale rispetto al disagio, che non significa malattia mentale. Se qui qualcuno non piange, vuol dire che sta male; se qualcuno piange, urla e si dispera, è normale e deve farlo, e dobbiamo anche aiutarli! Per quel che riguarda le persone psicotiche, quando c’è una situazione di questo genere è come se essa richiamasse la vita, e quindi si comportano perfettamente. Per esperienza, quando ci fu il terremoto in Abruzzo e nelle Marche, ero in un Centro per disabili; ci fu una scossa abbastanza lunga, una mattina, e andai subito a vedere come andava nelle stanze. Ricordo due persone con psicosi grave con crisi pantoclastica, cioè che quando si arrabbiavano buttavano all’aria tutto, che aiutarono gli altri a uscire, tranquillamente; poi, uno lasciò la porta mezza aperta. Gli chiesi: “Scusa, ma perché la lasci mezza aperta?” – “Eh, dotto’, e se dopo casca giù, qua non si può più aprire!”. E’ chiaro, no? Questa sorta di sforzo di aderenza al reale, poi lo si paga dopo un po’ di tempo: dopo un anno riemerge in maniera potente l’accaduto.

D. – E’ soddisfatto del lavoro che sta facendo qui?

R. – Avrei non dovuto farlo, prima di tutto, perché sono stato a L’Aquila … come si fa a essere soddisfatti? Perché qua, in effetti, è doloroso per tutti. Noi della Croce Rossa ci dedichiamo prevalentemente al personale, meno alla popolazione, perché il personale lo aiutiamo – lo addestriamo – ad avere buoni rapporti. Se l’operatore che sta lì a terra, aiuta e così via, lavora e lavora bene, sta sereno, è più bravo di me a contattare le persone: ci sanno fare meglio, meglio di me, sinceramente. Per cui, come si fa a dire siamo soddisfatti? Sì, siamo soddisfatti, però si vorrebbe fare sempre di più …

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Jubileum Exhibition: convegni, mostre, concerti a Palazzo Ferrajoli

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A corredare il Giubileo dell’Università è Jubileum Exhibition, una serie di eventi culturali ospitati nel Palazzo Ferrajoli, a piazza Colonna, nel cuore di Roma, inaugurati stamani con il Convegno “Misericordia e riconciliazione. Il dialogo interreligioso per la pace”. Della settimana, ricca di appuntamenti, ci parla il coordinatore Giovanni Cipriani, al microfono di Roberta Gisotti

R. – Questa Settimana si sviluppa con una serie di eventi convegnistici, di cui il primo è quello menzionato, sul dialogo interreligioso, che vede riuniti ben 16 rappresentanti di confessioni religiose. Quindi, abbiamo le Chiese ortodosse rumena, greco-ortodossa, copto-ortodossa e anche la Chiesa del Patriarcato di Mosca e poi luterani, valdesi, la comunità ebraica, i rappresentanti della comunità religiosa islamica italiana, poi maestri di zen, induismo, taoisti e anche dei sikh. Questo significativo evento è il momento iniziale di questa Settimana di incontri. Sabato poi abbiamo la presentazione di ben cinque libri, sempre a tematica religiosa e giubilare. Nel programma anche dei concerti ed una bellissima mostra fotografica - oltre 100 immagini - che rappresenta il Grande Giubileo del 1950 e l’abbiamo definito "Il Giubileo in bianco e nero", dove si vede anche come vestivano i nostri padri, i nostri nonni, le nostre nonne che venivano a Roma per il Giubileo del 1950, che è il grande Giubileo della ricostruzione nell’immediato Dopoguerra. Abbiamo poi una Mostra d’arte contemporanea intitolata "Imago Misericordiae", ed ancora uno spazio per i libri religiosi e di spiritualità ed anche una piccola Mostra di filatelia, sempre dedicata al Giubileo.

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Paralimpiadi: Casa Italia tra sport e solidarietà nelle favelas

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La 15.ma edizione delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro è ormai le porte, questa sera, infatti, ci sarà la cerimonia di apertura. Ieri è stata inaugurata Casa Italia. E' stata scelta la Paroquia Imaculada Conceição per ospitare la sede della delegazione azzurra. La decisione è nata dalla collaborazione tra il Comitato italiano paralimpico (Cip), la Santa Sede e la diocesi di Rio de Janeiro. Obiettivo, realizzare un progetto di solidarietà per il territorio che rimanga a disposizione di ogni sportivo e di ogni fedele, una volta conclusi i Giochi paralimpici. Il taglio del nastro è stato affidato al presidente del Cip, Luca Pancalli. Presenti anche l'ambasciatore italiano in Brasile, Antonio Bernardini, il console generale Riccardo Battisti e il cardinale Orani Joao Tempesta. Ha partecipato all’inaugurazione anche Phil Craven, presidente dell'International Paralympic Committee. Maria Carnevali ha intervistato Luca Pancalli

R. – L’atmosfera è quella che precede ogni grandissimo appuntamento sportivo, nella consapevolezza di tutto il gruppo a partire dal primo all’ultimo dei ragazzi e delle ragazze che sono qui perché si sono conquistati questo posto sul campo, si sono sacrificati e sono qui per coronare un loro sogno, coscienti di quello che potrebbero magari rappresentare per tanti ragazzi e ragazze disabili in Italia che ancora non hanno scoperto lo sport, quella che io definisco “la medaglia invisibile”.

D. – Per la sede di Casa Italia è stata scelta una parrocchia dedicata all’Immacolata Concezione proprio a Rio de Janeiro. Qual è la ragione di questa scelta?

R. – Io sono convinto di una cosa: il nostro Paese è uno straordinario portatore sano di una dimensione di solidarietà e lo hanno dimostrato i nostri cittadini con i fatti drammatici del terremoto. Per cui, ho scelto di donare quelle somme che avrei speso per affittare un club privato piuttosto che una hall di un albergo all’arcidiocesi di Rio. Noi saremo ospitati ovviamente nella Parrocchia dell’Immacolata Concezione e finanzieremo dei programmi e progetti sociali che si realizzeranno in favore di ragazzi e ragazze disabili che vivono qui nelle favelas di Rio de Janeiro.

D. – Come è nata anche la collaborazione tra il Comitato italiano paralimpico e la Santa Sede?

R. – È stata una cosa nata un po’ per caso. Ci trovavamo presso la Santa Sede per riunioni preparatorie alla grande conferenza sullo sport che si terrà l’ottobre prossimo. In una delle riunioni, illustrai al cardinale Ravasi e a mons. Sanchez quell’idea che mi era venuta proprio in mente in quei giorni che frequentavamo la Santa Sede per altri motivi. La mia idea è stata subito è stata accolta dal cardinale Ravasi e da mons. Sanchez: hanno messo in moto l’arcidiocesi di Rio e il cardinale Tempesta e siamo riusciti a realizzarla. È una cosa molto bella, ne andiamo orgogliosi, anche perché poi avremo modo di vedere realizzazione di questi progetti sociali e in particolar modo la realizzazione di campi sportivi presso un’altra parrocchia situata nella favela di San Gerardo, che sta tentando di avviare allo sport tanti bambini, compresi tanti bambini disabili. Noi spesso abbiamo la consapevolezza che chiusi i riflettori delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi ci sia il rischio, anzi la consapevolezza, che le forti contraddizioni sociali che si vivono riemergano in tutta la loro drammaticità. Per cui, è un piccolo segnale. Come diceva Santa Madre Teresa di Calcutta, sarà una goccia nell’oceano ma senza quella goccia ci sarebbe una goccia in meno.

D. – Si è denunciata la mancanza di fondi per le Paralimpiadi, contrariamente alle Olimpiadi. In cosa si sta manifestando questa mancanza e come viene vissuta?

R. – Per ora, c’è una percezione di difficoltà legate ai trasporti, ai servizi, ma la cosa più importante è che questa non viene percepita dagli atleti all’interno del Villaggio olimpico. Forse si riscontrano difficoltà nei servizi di ristoro, alla mensa, ma le difficoltà segnalate sono le stesse delle Olimpiadi. Però, la cosa importante è che loro non percepiscano le difficoltà organizzative che stiamo vivendo noi fuori dal villaggio.

D. – Lo scandalo del doping ha raggiunto anche il mondo paralimpico. La competizione ha raggiunto una visibilità tale che gli interessi economici iniziano a intaccarla?

R. – Ora il compito del movimento paralimpico a livello internazionale, come stanno facendo tanti Pasi membri noi per primi, è quello di contrastare queste pericolose devianze. Pensate anche dal punto di vista della simbologia: noi non abbiamo i cerchi olimpici noi abbiamo tre agitos che mostrano l’energia dell’uomo che riesce a rimettersi in gioco dopo una difficoltà. Sotto questo profilo siamo preoccupati, ma allo stesso tempo siamo consapevoli che saranno attivate tutte le iniziative più opportune per evitare che possa dilagare.

D. – Una battuta veloce sulla possibilità di Olimpiadi e Paralimpiadi a Roma nel 2024…

R. – È un’occasione straordinaria. Tutte le città che hanno avuto modo di ospitare una paralimpiade hanno avuto modo di ripensarsi sotto il profilo della mobilità, delle infrastrutture legate ai trasporti piuttosto che qualsiasi altra dimensione di mobilità, ma allo stesso modo di mettere in moto una percezione della disabilità completamente diversa.

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Nella Chiesa e nel mondo



Convegno di Bose. Patriarca Youhanna: basta terrorismo e menzogne

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“Salvate i nostri Paesi dalle grinfie del terrorismo, fermate il commercio sfrenato delle armi e richiamate nei porti le vostre navi da guerra! Non ci sentiremo al sicuro né con navi da guerra né con navi da emigrazione! Ci sentiremo protetti soltanto se nelle nostre terre verrà seminata la pace. Noi siamo piantati qui da duemila anni, qui siamo nati, qui viviamo, qui anche moriremo”. È l’accorato appello di Sua Beatitudine Youhanna X (Yazigi), Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, lanciato questa mattina in apertura del XXIV convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa su “Martirio e Comunione”, promosso dal Monastero di Bose dal 7 al 10 settembre, in collaborazione con le Chiese ortodosse. 

Il Patriarca ai potenti: basta terrorismo, basta menzogne! Smettetela di esportare la barbarie
Il Patriarca Youhanna X - riporta l'agenzia Sir - che è fratello di uno dei due metropoliti rapiti in Siria nel 2013, Bulus Yaziji, ha affidato la sua relazione al decano della facoltà teologica dell’Università di Balamand, Porphyrois Georgi. “I nostri cristiani d’Oriente – ha scritto il Patriarca ai partecipanti del convegno di Bose – cercano oggi qualcuno che porga attenzione al loro grido ma non lo trovano”. “Non andiamo in cerca della pietà dei forti di questo mondo ma, a voce alta, urliamo loro in faccia: ‘Smettetela di affibbiarci l’etichetta di miscredenti, basta terrorismo, basta menzogne! Smettetela di esportare la barbarie, di adottare slogan insensati!”. 

Embargo a un popolo siriano affamato ma non al commercio delle armi
“Non è giunta l’ora che il mondo si svegli? – ha quindi chiesto il Patriarca siriano -. Non è giunta ancora l’ora in cui l’umanità si renda conto che terrorismo e intolleranza religiosa (takfir), che ora prendono di mira i nostri popoli e le nostre chiese, raggiungeranno ogni angolo di questo pianeta? Non è giunta ancora l’ora in cui la politica internazionale si interessi al caso dei due metropoliti, Yuhanna Ibrahim e Bulus Yaziji, e dei presbiteri rapiti da più di tre anni? Non è giunta ancora l’ora per la società internazionale di domandarsi, per una volta, perché impone un embargo a un popolo affamato chiudendogli le porte dei suoi mercati mentre gli spalanca quelle del mercato delle armi?”. Ed ha concluso: “Non riesco a capire come facciano i politici della terra a stare con le mani in mano, a guardare come spettatori il teatro di violenza che è il nostro Paese dando priorità soltanto agli interessi economici e strategici che servono le loro politiche disumane”.

Le divisioni tra i cristiani rendono sterile la nostra testimonianza
È “giunto il tempo che i nostri dialoghi teologici superino le barriere e i complessi della Storia” e comprendano che “le nostre divisioni rendono sterile la nostra testimonianza” ha detto il Patriarca Youhanna. “Il mondo oggi, fratelli – afferma – è in uno stato di smarrimento. Attende da noi cristiani volti oranti, una comunione autentica e una vera unità che superi le barriere della Storia, i suoi peccati e le sue ferite. Il mondo oggi ha un impellente bisogno di una testimonianza cristiana fondata sull’incontro e la comprensione, di una voce cristiana unificata e franca che risponda agli interrogativi che lanciano una sfida all’uomo d’oggi in tutte le crisi sociali che è chiamato ad affrontare”.  “Come possiamo essere fautori di pace e far ascoltare la nostra voce in un mondo che in noi non vede che tensioni, divisioni, parcellizzazioni?”, ha chiesto il Patriarca. 

Le attuali sofferenze dei cristiani, il miglior incentivo a pensare attentamente alla nostra unità 
Nella sua relazione dal titolo, “Il sangue dei martiri, seme di comunione”, il Patriarca ha nominato, uno ad uno, tutte le vittime della violenza ripercorrendo la lunga scia di sangue fino a giungere a padre Jacques Hamel morto in Francia, “ucciso tra l’altare e il santuario” (Mt 35,23). “Senza dubbio – ha quindi detto il Patriarca – le sofferenze dei cristiani in questa nostra ultima crisi rappresentano per noi il miglior incentivo a pensare attentamente alla nostra unità come cristiani e a dare priorità a un’azione seria tesa a realizzarla”. Ma ciò richiede un ecumenismo della conversione. “I martiri della Chiesa dei giorni nostri ci ricordano che ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide. Ma come possiamo rispondere in maniera pratica al loro appello? Ognuno di noi è disposto ad ammettere la propria responsabilità nell’allargare il fossato che divide le nostre Chiese? Ognuno di noi è disposto ad ammettere i propri errori commessi lungo il corso della Storia e in particolare quegli errori che hanno contribuito a dividere il Corpo di Cristo? Siamo pronti a curare, con onestà, le ferite del passato e a liberarci della memoria dell’inimicizia?” si chiede il Patriarca. (R.P.)

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Summit Chiese Medio Oriente: cristiani, strumenti di misericordia

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La lotta che coinvolge i cristiani del Medio Oriente, in questo tragica fase della loro storia, “non è contro forze umane, non è contro carne e sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i signori delle tenebre di questo tempo, contro le schiere del male in luoghi che sono legati al cielo”. Con queste parole il Patriarca greco ortodosso Theophilos III di Gerusalemme ha delineato lo scenario dai tratti escatologici in cui si collocano anche le emergenze e i drammi vissuti dalle comunità cristiane nella regione stravolta da guerre e fanatismi feroci. Lo ha fatto ieri, aprendo ad Amman l'XI Assemblea generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente (Middle East Council of Churches), a cui prendono parte ben 22 Capi e rappresentanti ufficiali di Chiese e comunità cristiane diffuse nell'area. 

Cristiani come strumento di misericordia
Il titolo del summit, tratto dal salmo 118 (“Celebrate il Signore perchè è buono, la sua misericordia dura in eterno”) ripropone la vocazione dei cristiani ad essere strumenti di misericordia in quella parte del mondo devastata da violenze, ingiustizie, cospirazioni e scontri di potere.

Proteggere la presenza cristiana
“Data la situazione attuale e le dure condizioni della regione” ha aggiunto il Patriarca Theophilos nel suo discorso d'apertura, “è d'obbligo che la nostra attenzione si concentri sulla necessità di ridurre le sofferenze umane” e su quella di “proteggere la presenza cristiana. Questa - ha sottolineato il Capo della Chiesa greco ortodossa di Gerusalemme - è la nostra responsabilità, e noi non possiamo e non dobbiamo aspettare che altri se ne facciano carico al posto nostro”.

Vivere la comunione tra i battezzati e dialogo con i musulmani
​Molti interventi dei capi e dei rappresentanti delle Chiese – dal Patriarca copto ortodosso Tawadros al Patriarca siro ortodosso Ignatius Aphrem II, dal Catholicos armeno Aram I al Patriarca greco ortodosso di Antiochia Yohanna X – hanno affrontato nel dettaglio le tante emergenze delle comunità cristiane mediorientali in questo momento storico. Molti hanno sottolineato la necessità di trovare nuovi cammini efficaci per vivere la comunione tra i battezzati e l'urgenza di alimentare la tradizione di convivenza e dialogo tra cristiani e musulmani, per affrontare insieme la malattia dei settarismi fanatici e trovare le vie per affermare anche nei Paesi mediorientali i principi di cittadinanza e di piena uguaglianza tra i cittadini davanti alla legge. (G.V.)

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Vescovi Congo: sì al dialogo nazionale, nel rispetto costituzionale

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I vescovi congolesi partecipano al dialogo nazionale per far uscire la Repubblica Democratica del Congo dallo stallo politico, a condizione che venga rispettata la Costituzione. Lo afferma un comunicato, ripreso dall’agenzia Fides, firmato da mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale del Congo (Cenco).

Vescovi auspicano un dialogo includente le grandi famiglie politiche
Nel messaggio si da atto al governo di aver compiuto “gesti incoraggianti” con la liberazione di “alcuni prigionieri politici e la riapertura di alcuni media”. “La Cenco auspica ardentemente di vedere che questi provvedimenti si estendano ad altre persone che si trovano nelle stesse condizioni di quelle che sono state liberate” prosegue il messaggio, che sottolinea: “il dialogo includente le grandi famiglie politiche dell’opposizione darebbe più possibilità al Paese di arrivare alla soluzione della crisi in maniera consensuale e duratura”.

Appoggio dei vescovi al gruppo di facilitazione del dialogo politico nazionale
Il 10 agosto, i vescovi si erano incontrati con il facilitatore del dialogo, il togolese Edem Kodjo, proponendo il loro appoggio al gruppo di facilitazione del dialogo politico nazionale, per sbloccare l’impasse constatata all’avvio di tale dialogo. Il dialogo era bloccato su due punti chiave: la personalità del facilitatore, ricusato dal Raggruppamento dell’opposizione, ma accettato dalla maggioranza, e le misure circa il rasserenamento del clima politico (liberazione dei prigionieri politici, cessazione delle procedure giudiziarie intraprese contro certi membri dell’opposizione come Moïse Katumbi e riapertura dei media chiusi su ordine del governo).

Kodjo aveva iniziato il dialogo senza aspettare l’esito delle trattative
I vescovi cattolici si erano impegnati a cercare di portare al tavolo negoziale i maggiori esponenti dell’opposizione, da Etienne Tshisekedi ai gruppi riuniti sotto la sigla “Le Rassemblement”, ma Kodjo aveva iniziato il dialogo senza aspettare l’esito delle trattative, suscitando così le reazioni negative da parte della Chiesa. (L.M.)

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Cile: 600mila firme da Confessioni cristiane al governo contro aborto

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600mila firme per dire “Sì alla vita” consegnate al ministro dell’Interno del Cile, Mario Fernández. È accaduto a Santiago del Cile, due giorni dopo la grande manifestazione che ha radunato nella capitale cilena oltre 100mila persone. A portare le firme, a nome delle Chiese e Comunità cristiane, sono stati l’arcivescovo, card. Ricardo Ezzati, e Alfred Cooper, vescovo ausiliare della Chiesa anglicana del Cile. L’incontro - riferisce l'agenzia Sir - che si è svolto nel palazzo della Moneda, si è protratto per quasi un’ora. 

Il tema della vita è un tema di diritti umani 
Al termine, il card. Ezzati ha commentato: “La vita è un regalo di Dio non solo per ogni persona, ma anche per il Paese. Siamo allora venuti a consegnare al ministro più di mezzo milione di firme di cittadini che hanno firmato per la vita e contro l’aborto”. Ha proseguito l’arcivescovo: “Desideravamo chiedere, con molta umiltà, che il potere legislativo ascolti la voce di tanti cittadini che promuovono davvero la vita in tutte le sue fasi; non solo nel momento del concepimento”, ma anche “nella promozione di un lavoro adeguato, di un salario degno, di un servizio sanitario di qualità, nella donazione di organi… In poche parole nella promozione integrale di tutta la vita”. Ed ha concluso, in seguito alle domande dei giornalisti che gli chiedevano se qualche forma di accordo fosse stata presa con il ministro: “La cosa fondamentale, e su questo siamo totalmente d’accordo, è che il tema della vita è un tema di diritti umani e il Governo – e con esso il ministro – è molto impegnato in tema di diritti umani”.

La voce della Chiesa anglicana
Il vescovo anglicano Alfred Cooper ha aggiunto: “Siamo contenti che si sia aperto il dibattito tra tutta la popolazione. Una grande quantità di persone sta guardando a cosa succede qui, e vedrà dove orientare il suo voto in futuro”. (R.P.)

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Vescovi Brasile: messaggio di speranza per la festa d'indipendenza

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Oggi il Brasile celebra la festa dell’indipendenza dal Portogallo, sancita il 7 settembre 1822, e nella circostanza i vescovi brasiliani hanno pubblicato un breve messaggio, intitolato con il versetto biblico “La speranza non delude” (Rm 5,5).

Un Paese libero, sovrano e religioso
“La Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile - Cnbb, in occasione delle celebrazioni del 7 settembre, festa dell'Indipendenza, ribadisce che il Brasile è un Paese libero, sovrano e religioso. E’ una delle dieci maggiori economie del mondo, territorio vasto e variegato, con più di 200 milioni di brasiliani e brasiliane. Testimonia una storia costruita nella diversità, nella tolleranza e nella convivenza pacifica”. Così inizia il testo ripreso dall’agenzia Fides.

L’assenza di valori etici e morali provoca una profonda crisi politica
I vescovi sono consapevoli di “vivere un momento triste della nostra storia” in quanto “l’assenza di valori etici e morali provoca una profonda crisi politica, economica e sociale”. La ormai storica disuguaglianza sociale corre il rischio di essere ancor più aggravata dallo smantellamento delle politiche pubbliche.
“Prendiamo atto delle difficoltà del momento – proseguono i vescovi -, ma crediamo nella capacità del popolo brasiliano di superare le avversità, sempre attraverso manifestazioni pacifiche. Ogni istituzione è chiamata a svolgere i propri doveri, in uno stato democratico di diritto, a favore del popolo brasiliano, mai per interessi privati o corporativi. La Costituzione del 1988, frutto di un processo di partecipazione popolare, salvaguardia della democrazia brasiliana, deve essere difesa arduamente”.

Impegno per la democrazia attraverso il dialogo e la ricerca della pace
Nella parte finale del loro messaggio i vescovi ricordano che manca meno di un mese alle elezioni municipali, che si terranno il 2 ottobre, una occasione per il popolo brasiliano di “parlare attraverso le urne”, per cui invitano ad una “partecipazione attiva e consapevole”. Infine ribadiscono che “la festa dell’indipendenza è un'occasione per ribadire l'impegno del popolo brasiliano per la democrazia attraverso il dialogo e la ricerca instancabile della pace, per costruire insieme un Brasile fraterno e nella giustizia”. (S.L.)

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Africa: conclusa conferenza Unione mondiale donne cattoliche

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“Donne dell’Africa annunciatrici della misericordia di Dio. ‘Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?’: su questo tema,  con il sottotitolo tratto dal Vangelo di Giovanni, si è svolta dal 29 agosto al 5 settembre a Lilongwe, in Malawi,  la 9ª Conferenza della Regione Africa dell’Unione mondiale delle donne  cattoliche (Umofc- Wucwo). All’evento – riporta il blogspot dell’Amecea -  hanno preso parte 150 delegati internazionali e 350 delegati locali. I lavori sono stati preceduti da una concelebrazione eucaristica presieduta nello stadio della capitale dall’arcivescovo di Blantyre, Thomas Luke Msusa, presidente della Conferenza episcopale del Malawi.

Vecchie e nuove sfide per l’Africa
Ad aprire i lavori è stata la presidente della Regione Africa della Wucwo, Rosaline Nganku Menga che ha sottolineato l’importanza della conferenza “non solo per la Chiesa, ma per tutta la società”, considerata la portata dei problemi all’esame delle partecipanti. Nonostante gli sforzi compiuti da alcuni governi, dalla Chiesa e da alcune ong – ha detto - le sfide del continente sono infatti ancora molte. Alla povertà, all’analfabetismo, alla disuguaglianza di genere, all’Aids, alla corruzione e al malgoverno si sono aggiunti negli ultimi anni anche il terrorismo, l’ebola, la tratta di esseri umani, la migrazione dei giovani e il cambiamento climatico”. Obiettivo della conferenza  era di indicare proposte concrete di azione per la famiglia, la Chiesa e la società.

Donne africane agenti di sviluppo, dialogo e pace
Tra i temi affrontati durante i lavori:  la condizione delle donne e dei giovani in Africa e il loro ruolo quali agenti di sviluppo, dialogo, pace e giustizia  che sono la chiave per un continente prospero; i cambiamenti climatici; l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici come diritto umano; le donne africane dell’Umofc alla luce dell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco  e come annunciatrici delle misericordia di Dio; la misericordia e la speranza in azione al servizio della famiglia, dei giovani e dei sofferenti nel continente.

L’Umofc, una storia lunga più di un secolo
Fondata nel 1910 con il nome di Unione internazionale delle leghe femminili cattoliche per iniziativa un gruppo di donne europee e latinoamericane, l’’Umofc si prefigge di promuovere la partecipazione e la corresponsabilità delle donne nella società e nella vita della Chiesa, favorendone così la missione evangelizzatrice e l’impegno per lo sviluppo umano. “L’Unione – si legge nel sito del Pontificio Consiglio per i Laici - persegue tale obiettivo incentivando una formazione che renda le donne capaci di affrontare le sfide del mondo contemporaneo; sensibilizzando al  rispetto delle diversità culturali; stimolando le proprie organizzazioni membro ad aprirsi alla dimensione internazionale; collaborando con altre organizzazioni internazionali che si adoperano per il rispetto dei diritti della persona umana e soprattutto delle donne; incoraggiando il dialogo nell’ambito ecumenico e interreligioso”. Oggi l’Umofc conta 100 organizzazioni membro ed è presente in 62 Paesi dei cinque continenti. (A cura di Lisa Zengarini)

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Caritas Colombia celebra 60 anni di attività

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Il prossimo 21 settembre, la Caritas della Colombia festeggerà il suo 60.mo anniversario. Una celebrazione molto sentita da tutti i vescovi del Paese che hanno già manifestato la loro gioia e la loro gratitudine all’organismo caritativo, per il suo operato in favore dei poveri e dei bisognosi.

I tanti obiettivi raggiunti negli anni
“In questi anni – si legge sul sito della Conferenza episcopale della Colombia – la Caritas nazionale ha portato avanti azioni umanitarie, cure d’emergenza, aiuti per le vittime del conflitto” tra il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) che per decenni ha devastato il Paese. E ancora: i vescovi ricordano l’impegno della Caritas “nell’accompagnamento di progetti per la costruzione della pace e della riconciliazione nazionale; nell’educazione alla pace per i giovani vulnerabili di fronte alla violenza urbana; nel rafforzamento dei processi democratici e dei progetti di sviluppo integrale ed umano; nel miglioramento della situazione alimentare delle minoranze, nel rafforzamento delle comunità e nella resistenza ai cambiamenti climatici”.

Caritas, la carezza di Dio all’umanità
In occasione dell’anniversario dell’organismo, si terrà a Bogotà, dal 21 al 23 settembre, l’incontro nazionale dei direttori della Caritas, sul tema “La carezza dell’amore di Dio all’umanità”. “Si tratta di un evento che vuole rinnovare il nostro impegno di rendere più vicino l’amore di Dio a tutti gli uomini”, spiega mons. Héctor Fabio, direttore dell’organismo caritativo. “Durante la celebrazione di questo anniversario – continua – potremo condividere esperienze e conoscere le opere di aiuto e sostegno portate avanti in tutto il Paese”.

Mettere in pratica la misericordia
​In programma anche una Messa di ringraziamento per tutte le persone e le istituzioni che, in questi sei decenni, hanno incarnato i principi della Caritas, “mettendo in pratica la misericordia e promuovendo lo sviluppo integrale dei popoli”. (I.P.)

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 251

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.