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Sommario del 08/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: grandi incontri non fanno la pace se i cuori sono in guerra

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Chiedere a Dio la “saggezza” di fare la pace nelle cose di ogni giorno perché è dai piccoli gesti quotidiani che nasce la possibilità della pace su scala mondiale. Attorno a questo pensiero di fondo Papa Francesco ha sviluppato l’omelia della Messa celebrata in Casa Santa Marta nella Festa della Natività di Maria, la prima dopo la pausa estiva. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La pace non si costruisce tanto nei grandi consessi internazionali. La pace è un dono di Dio che nasce in posti piccoli. In un cuore per esempio. O in un sogno, come accade a Giuseppe, quando un angelo gli dice di non temere di prendere Maria in sposa, perché lei donerà al mondo l’Emmanuele, il “Dio con noi”. E il Dio con noi, dice il Papa, “è la pace”.

Un dono da lavorare ogni giorno
Da qui parte la riflessione, da una liturgia che pronuncia il nome “pace” fin dalla prima orazione. Ciò che attira in particolare Francesco è il verbo che spicca nella preghiera della colletta, “che tutti noi possiamo crescere nell’unità e nella pace”. “Crescere” perché, sottolinea, la pace è un dono “che ha il suo cammino di vita” e dunque ognuno deve “lavorare” per farlo sviluppare:

“E questa strada di santi e peccatori ci dice che anche noi dobbiamo prendere questo dono della pace e farlo strada nella nostra vita, farlo entrare in noi, farlo entrare nel mondo. La pace non si fa da un giorno all’altro; la pace è un dono, ma un dono che deve essere preso e lavorato ogni giorno. Per questo, possiamo dire che la pace è un dono che diviene artigianale nelle mani degli uomini. Siamo noi uomini, ogni giorno, a fare un passo per la pace: è il nostro lavoro. È il nostro lavoro con il dono ricevuto: fare la pace”.

Guerra nei cuori, guerra nel mondo
Ma come ci può riuscire in questo obiettivo, si chiede il Papa. Nella liturgia del giorno, indica, c’è un’altra parola-spia che parla di “piccolezza”. Quella della Vergine, di cui si festeggia la Natività, e anche quella di Betlemme, così “piccola che neppure sei nelle carte geografiche”, parafrasa Francesco:

"La pace è un dono, è un dono artigianale che dobbiamo lavorare, tutti i giorni, ma lavorarlo nelle piccole cose: nelle piccolezze quotidiane. Non bastano i grandi manifesti per la pace, i grandi incontri internazionali se poi non si fa, questa pace, nel piccolo. Anzi, tu puoi parlare della pace con parole splendide, fare una conferenza grande… Ma se nel tuo piccolo, nel tuo cuore non c’è pace, nella tua famiglia non c’è pace, nel tuo quartiere non c’è pace, nel tuo posto di lavoro non c’è pace, non ci sarà neppure nel mondo”.

La domanda da porsi
Bisogna chiedere a Dio, suggerisce il Papa, la grazia della “saggezza di fare la pace, nelle piccole cose di ogni giorno ma puntando all’orizzonte di tutta l’umanità”, proprio oggi – ripete ancora – in cui “stiamo vivendo una guerra e tutti chiedono la pace”. E intanto, conclude Francesco, sarà bene partire da questa domanda:

“Come è il tuo cuore, oggi? E’ in pace? Se non è in pace, prima di parlare di pace, sistema il tuo cuore in pace. Come è la tua famiglia oggi? E’ in pace? Se tu non sei capace di portare avanti la tua famiglia, il tuo presbiterio, la tua congregazione, portarla avanti in pace, non bastano parole di pace per il mondo… Questa è la domanda che oggi io vorrei fare: come è il cuore di ognuno di noi? E’ in pace? Come è la famiglia di ognuno di noi? E’ in pace? E così, no? Per arrivare al mondo in pace”.

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Francesco: religioni non restino mute dinanzi a diritti annientati

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Il credente difende la vita e la creazione e non può rimanere “a braccia conserte davanti a tanti diritti annientati impunemente”. E’ la forte richiesta che stamani il Papa ha fatto ai partecipanti al Primo Incontro “America in dialogo. La nostra casa comune”. Francesco auspica in questo senso una profonda collaborazione fra le religioni. Il Simposio, iniziato ieri presso l’Auditorium Agostinianum, è promosso dalla Organizzazione degli Stati Americani e dall'Istituto del Dialogo Interreligioso di Buenos Aires, con la collaborazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Circa 200 persone hanno preso parte all’udienza nella Sala del Concistoro, in Vaticano. Il servizio di Debora Donnini

E’ la cura della casa comune, a partire dall’Enciclica  Laudato si’, al centro di questo evento. Un tema caro a Francesco che non solo gli ha dedicato l’Enciclica, ma ha istituito la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, di carattere ecumenico, celebrata quest’anno per la seconda volta, la scorsa settimana, e coronata da un suo Messaggio. Francesco apprezza questo Primo Incontro "America in dialogo": un'iniziativa importante non solo per il Continente americano, ma per tutto il mondo. E torna a sottolineare che bisogna scommettere su “un’ecologia integrale” che rispetti il creato e consideri l’essere umano come “culmine della creazione”. Per il Papa, le religioni sono, quindi, fondamentali perché riconoscono Dio nella bellezza della creazione e sono chiamate a diffondere un’attitudine responsabile. Devono, quindi, promuovere una “educazione integrale”. 

Le religioni devono cooperare per difendere la vita e i diritti umani
Centrale è soprattutto la “cooperazione interreligiosa”, basata su un dialogo rispettoso e fondato sulla propria identità, così ogni incontro potrà essere un seme da cui crescerà un albero ricco di frutti. "Se non esiste rispetto reciproco, non esisterà dialogo interreligioso", dice il Papa ribadendo che “il credente è un difensore della creazione e della vita” :

“No puede permanecer mudo…
Non può rimanere muto o a braccia conserte di fronte a tanti diritti annientati impunemente”.

L’uomo e la donna di fede devono, infatti, “difendere la vita in tutte le sue tappe”: dall’integrità fisica alle libertà fondamentali, come quella di coscienza, di religione, di pensiero, afferma Francesco. Dio è l’artefice della creazione e noi “strumenti nelle sue mani” per far sì che tutti siano rispettati nella loro dignità e possano realizzarsi come persone. 

Collaborare anche con i non credenti
Il mondo ci osserva come credenti per vedere quale è la nostra attitudine e “ci chiede che collaboriamo fra noi” e con gli uomini di buona volontà che non professano alcuna religione. Questo per dare risposte effettive alle tante piaghe del nostro mondo: la fame, la miseria, la guerra, la crisi ambientale, quella della famiglia e soprattutto “la mancanza di speranza”:

“El mundo de hoy sufre y necesita nuestra ayuda…
Il mondo di oggi soffre e ha bisogno del nostro aiuto congiunto, lo sta chiedendo".

E questo è lontano da qualsiasi concezione proselitistica. Purtroppo, però, “constatiamo con dolore che a volte il nome della religione viene usato per commettere atrocità, come il terrorismo”:

“Es necesario condenar de forma conjunta …
E’ necessario condannare in forma congiunta e netta queste azioni abominevoli e prendere le distanze da tutti coloro che cercano di avvelenare gli animi”.

Incontri come il presente sono, quindi, importanti proprio per mostrare i valori positivi delle religioni e dare speranza. E’ necessario, infatti, condividere dolori e speranze per camminare assieme, “prendendoci cura uno dell’altro”:

“Qué bueno sería dejar el mundo mejor…
Sarebbe una cosa buona lasciare il mondo migliore rispetto a come lo troviamo".

E Francesco ricorda un dialogo di un paio di anni fa quando un entusiasta della cura della casa comune disse: "Dobbiamo lasciare ai nostri figli un mondo migliore!". "Ma ci saranno figli per questo?', rispose l’altro…”.

L’incontro "America in dialogo" si realizza nell’anno dedicato al Giubileo della Misericordia: ciò ha un valore universale che abbraccia anche i non credenti perché “l’amore di Dio misericordioso – spiega il Papa – non ha limiti”: “né di cultura, né di razza, né di lingua, né di religione”, abbraccia “tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito”. L’amore di Dio avvolge tutta la sua creazione. Il Papa ricorda che in questo senso i credenti hanno una responsabilità e auspica che l’Anno giubilare sia un’occasione proprio per andare incontro al fratello che soffre, così come difendere la casa comune:

“Cada ser humano es el regalo…
Ogni essere umano è il regalo più grande che Dio ci può dare”.

L’invito ai partecipanti è dunque quello di promuovere iniziative insieme, costruendo un mondo “più umano” dove “tutti siamo necessari”.

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Papa a Benedettini: monasteri, oasi dove attingere misericordia di Dio

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Ultimo incontro della mattinata per il Papa è stato quello con i partecipanti al Congresso internazionale degli Abati Benedettini, in corso a Roma. Francesco ha ricordato che i monasteri sono oasi di spiritualità dove il mondo continua ad attingere la misericordia di Dio. Il servizio di Sergio Centofanti

Il mondo di oggi – afferma il Papa – “dimostra sempre più chiaramente di avere bisogno di misericordia”: non di “uno slogan o una ricetta” ma del cuore stesso della vita cristiana che “rende attenti ai più bisognosi e solidali con loro”. E’ questa concretezza dell’amore che “manifesta l’autenticità e la credibilità del messaggio” che la Chiesa annuncia:

“In questo tempo e in questa Chiesa chiamata a puntare sempre più sull’essenziale, i monaci e le monache custodiscono per vocazione un peculiare dono e una speciale responsabilità: quella di tenere vive le oasi dello spirito, dove pastori e fedeli possono attingere alle sorgenti della divina misericordia”.

Il motto sempre valido della tradizione benedettina “ora et labora” – sottolinea Francesco – “educa a trovare un rapporto equilibrato tra la tensione verso l’Assoluto e l’impegno nelle responsabilità quotidiane”. La contemplazione del volto misericordioso di Gesù si fa servizio per gli altri:

“Cercando, con la grazia di Dio, di vivere da misericordiosi nelle vostre comunità, voi annunciate la fraternità evangelica da tutti i vostri monasteri sparsi in ogni angolo del pianeta; e lo fate mediante quel silenzio operoso ed eloquente che lascia parlare Dio nella vita assordante e distratta del mondo”.

Pur se vivete separati dal mondo – spiega il Papa – “la vostra clausura non è sterile, anzi, è una ricchezza” per l’umanità assetata di Dio:

“Con la vostra tipica ospitalità, voi potete incontrare i cuori dei più smarriti e lontani, di quanti si trovano in una condizione di grave povertà umana e spirituale”.

Il Papa invita a non lasciarsi scoraggiare “se i membri delle comunità monastiche diminuiscono di numero o invecchiano”. E’ necessario, invece, testimoniare la fedeltà al carisma e avere il coraggio di fondare nuove comunità anche nei Paesi più difficili:

“Il vostro servizio alla Chiesa è molto prezioso. Anche nel nostro tempo c’è bisogno di uomini e donne che non antepongono nulla all’amore di Cristo (cfr Regola di San Benedetto, 4,21; 72,11), che si nutrono quotidianamente della Parola di Dio, che celebrano degnamente la santa liturgia, che lavorano lieti e operosi in armonia con il creato”.  

Nel suo saluto, l’Abate Primate Dom Notker Wolf, giunto a conclusione del suo mandato dopo 16 anni, ha ricordato che i monaci benedettini nel mondo sono circa 7mila. Le monache sono più del doppio: si vede –ha detto – che sono più devote. In quanto a vocazioni – ha precisato – non si è in un tempo forte, ma “non siamo pessimisti”. Ha quindi descritto brevemente tre attività svolte dai Benedettini: la formazione, che vede coinvolti circa 160mila studenti, l’accoglienza degli immigrati nei monasteri e il dialogo interreligioso, in particolare con i buddisti zen e i musulmani. Infine, ha espresso la propria gratitudine per la sfida della misericordia lanciata dal Papa a tutta la Chiesa.

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Papa a Convegno di Bose: ecumenismo del sangue rafforza l'unità

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È “l'ecumenismo del sangue che precede ogni contrasto e rafforza il cammino verso l'unità”. È questa la “via privilegiata” del dialogo tra le Chiese cristiane, afferma Papa Francesco nel telegramma inviato al Monastero di Bose, che da ieri e fino a sabato prossimo ospita il 24.mo Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa dal titolo “Martirio e comunione”.

Nel testo a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Papa benedice i partecipanti all’incontro con l’augurio che le “giornate di studio e riflessione siano – dice – occasione propizia di incontro fraterno, di scambio e di sincera condivisione nel comune ascolto della Parola di Dio e nell'approfondimento della tradizione spirituale delle chiese Ortodosse”.

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Il Papa al card. Scola: grazie per quanto fai per la Chiesa

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Lettera di Papa Francesco al cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, in occasione del suo 25.mo anniversario di ordinazione episcopale. Il Papa si rallegra per il sostegno del cardinale Scola nel compito di provvedere alle necessità della Chiesa e ricorda i momenti più importanti del suo servizio ecclesiale: dalla diocesi di Grosseto all'Università Lateranense, dalla guida della diocesi di Venezia a quella di Milano. Il Papa ricorda anche l'impegno del cardinale Scola in molte istituzioni della Sede Apostolica. “Veramente grandi - scrive il Papa - sono in te i segni di Dio”

Papa Francesco sottolinea poi di saperlo “impegnato in modo particolare nel supremo compito di annunciare alle genti il Vangelo e di diffondere la presenza della Chiesa assumendosi tutte le responsabilità che fanno capo al collegio dei Pastori della Chiesa". "Preghiamo Dio - scrive il Papa - che renda gioioso il giorno del tuo anniversario e ti conceda di rinsaldare la tua Chiesa con l’esempio di una vita santa, di ammaestrala con la parola della predicazione, di proteggerla con preghiere e suppliche, e di essere guida del popolo con la sapienza della tua parola (cfr. Sir 9,24) e difesa della tua gente". Il Papa conclude la lettera impartendo la Benedizione Apostolica, estesa a tutti i fedeli della diocesi di Milano.

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Papa riceve la nuova ambasciatrice australiana in Vaticano

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’Ambasciatore di Australia, Melissa Louise Hitchman, per la presentazione delle Lettere credenziali, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, il Prof. Vincenzo Buonomo, docente presso la Pontificia Università Lateranse. Ieri pomeriggio, il Papa ha ricevuto in udienza il cardinale Telesphore Placidus Toppo, Arcivescovo di Ranchi.

In Spagna, Papa Francesco ha nominato amministratore apostolico sede vacante della diocesi di Mallorca mons. Sebastià Taltavull Anglada, ausiliare di Barcellona.

Sempre in Spagna, il Pontefice ha trasferito all’incarico di ausiliare di Valencia mons. Javier Salinas Viñals, finora vescovo di Mallorca. Il presule è nato a Valencia il 23 gennaio 1948. Ordinato sacerdote a Valencia il 23 giugno 1974, egli ottenne il Dottorato in Catechetica presso la Pontificia Università Salesiana di Roma nel 1982. Nell’arcidiocesi di Valencia è stato Coadiutore nella Parrocchia di San Jaime, di Moncada (1974-1976); formatore nel seminario Minore (1976-1977); Assistente diocesano del Movimento Junior di Azione Cattolica (1977-1978); Delegato Episcopale di Catechesi (1982-1992); Cappellano nel Collegio Seminario Corpus Christi di Valencia (1987-1992); Vicario Episcopale (1990-1992). Nominato Vescovo di Ibiza il 26 maggio 1992, ricevette la consacrazione episcopale il 6 settembre successivo. Fu trasferito alla diocesi di Tortosa il 5 settembre 1997. E’ stato anche Amministratore Apostolico della diocesi di Lleida dall’8 marzo 2007 al 16 luglio 2008. Il 16 novembre 2012 fu trasferito alla diocesi di Mallorca.

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Papa, tweet: offrire al mondo testimonianza di misericordia

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi”.

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Card. Parolin: festa del Brasile, Chiesa pensa a bene del Paese

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Rimettere al primo posto il servizio per l’uomo, la giustizia, la pace. Questo l’obiettivo per i cristiani brasiliani in modo da “capovolgere la scala dei valori” attraverso le Beatitudini. Lo ha sottolineato ieri a Roma, al Collegio Pio Brasiliano, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in occasione della festa nazionale del Brasile e del 190° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la nazione latinoamericana e la Santa Sede. Cristiane Murray ha intervistato il porporato: 

R.. – C’è un riconoscimento reciproco e la presenza di un nunzio apostolico, di un rappresentante del Papa, serve appunto per promuovere, favorire e tutelare anche il bene della Chiesa e dei cattolici nel Paese. Ma io credo che bisogna sottolineare anche il fatto che le relazioni diplomatiche abbiano una dimensione più ampia: la Chiesa non si interessa dei “suoi”, delle sue pecorelle, ma del bene di tutto il Paese. Quindi le relazioni diplomatiche hanno anche questo senso, questo significato del prendersi cura del benessere spirituale, materiale del Paese e di tutte le fasce dei suoi abitanti, soprattutto dei più deboli e dei più poveri e di collaborare – un altro aspetto che mi pare importante sottolineare – per la pace e la prosperità del mondo. Quindi è una visione anche più ampia, che esce dall’ambito del Paese e guarda alla comunità internazionale, perché quella della Santa Sede è sempre stata una presenza in favore della pace. Questi sono i significati fondamentali delle relazioni.

D. - Lei nella sua omelia ha parlato della doppia cittadinanza, un’appartenenza ad entrambe le comunità, quella ecclesiale e quella statale. Quale il significato di questa espressione, che è stata molto ben accolta…

R. – E’ molto bella e risale ai primi tempi del cristianesimo. Già nella Lettera a Diogneto si parla di questa doppia cittadinanza: i cristiani che sono cittadini di una patria terrena verso la quale nutrono lealtà e che nello stesso tempo sono cittadini della patria celeste. C’è una relazione - l’ho detto anche nell’omelia - che bisogna sottolineare: essere cittadini della patria celeste, quindi guardare in alto, al Cielo, dove ci aspetta il Signore insieme a tutti i Santi, a Madre Teresa canonizzata questa domenica, non significa diminuire il nostro impegno per la patria terrena, non indebolisce la nostra appartenenza, anzi la rafforza, perché i cristiani hanno motivazioni molto forti che provengono dallo stesso Vangelo per lavorare a favore di tutti i loro connazionali per il bene del loro Paese. Quindi c’è questa doppia appartenenza, ma anche la relazione strettissima tra l’essere cittadini del cielo e l’essere cittadini di una patria in terra.

D. - Che augurio può fare a queste relazioni e in modo particolare oggi al popolo brasiliano?

R. - L’augurio è che sotto la protezione della Madonna di Aparecida – quando ero in America Latina, ho imparato ad apprezzare la devozione verso la Madonna che fa parte del dna della fede dei popoli latinoamericani e del popolo brasiliano in particolare - il popolo possa crescere davvero nella pace che significa, come ben ci dice il Concilio, tutto l’insieme dei beni e dei valori che permettono ad ogni singolo uomo e alla comunità civile come tale di godere di prosperità, di benessere, di libertà, di democrazia e di tutti quei valori che rendono bella la vita.

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Giubileo: 15 milioni a Roma. Sylva: è la forza della misericordia

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Sono oltre 15 milioni i pellegrini che hanno attraversato la Porta Santa di San Pietro dall’inizio del Giubileo. E’ il dato reso noto dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Su questo e su un primo bilancio del Giubileo, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Geson Sylva, officiale del dicastero che stamani è intervenuto alla Pontificia Università Santa Croce, nell’ambito del Seminario “Church Up Close”: 

R. – E’ incredibile, perché anche durante il mese di agosto c’erano tanti, tanti, tanti pellegrini qui a Roma. Secondo me, questo è un "miracolo"! Le persone che vengono rappresentano un segno di grazia e insegnano anche come sia importante la misericordia in tutto il mondo. In questi mesi finali, ci saranno anche più pellegrini.

D. – Chiaramente, questo è un Giubileo speciale anche perché è un Giubileo "diffuso", celebrato in tutte le diocesi, in tutto il mondo.

R. – Noi lavoriamo per aiutare tutte le diocesi del mondo, perché per noi è importante assistere le diocesi in tutto il mondo. Le porte sante e anche i segni, le opere di misericordia, tutto questo è importante!

D. – Ci sono i grandi eventi – pensiamo alla Canonizzazione di Madre Teresa – ma ci sono poi i "Venerdì della Misericordia", che sono praticamente degli eventi privati…

R. – E’ incredibile quanti vescovi e sacerdoti in tutto il mondo siano ispirati da questi segni del Santo Padre! Qui, a Roma, il "Venerdì della Misericordia" è quasi privato, ma dopo è importante dare risalto a questo evento: è importante per altri vescovi e sacerdoti, che possono così seguire l’esempio.

D. – Qual è il contributo che già il Giubileo sta dando, qual è la cosa più importante che già si vede?

R. – Secondo me, a questo punto noi dobbiamo ricordare che è importante andare avanti continuando su questa via della misericordia. Quando la Porta Santa si chiuderà, la misericordia procederà. E questo è molto importante. Adesso dobbiamo parlare nel contesto della nuova evangelizzazione su come promuovere la misericordia. Secondo me, questa è la prossima tappa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non in nome della religione: nuovo monito di Papa Francesco contro il terrorismo.

Ultime conversazioni - anticipazione del libro di Peter Seewald che raccoglie le interviste a Benedetto XVI.

Alberto Fabio Ambrosio - Galeotto fu il libro.

Il sergente Pepe sempre in servizio - un articolo di Gaetano Vallini sulla mostra londinese sugli anni Sessanta.

Nessuna invasione e i muri non servono - Silvina Pérez intervista con l’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati.

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Oggi in Primo Piano



Ue: Ok piano per siriani in Turchia. Oxfam: allarme minori scomparsi

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L'Unione Europea si appresta ad avviare il programma umanitario più grande della sua storia, per un valore complessivo da 348 milioni di euro. E mentre Oxfam lancia l’allarme minori non accompagnati scomparsi in Italia, è polemica per la decisione della Gran Bretagna di costruire una barriera a Calais, per evitare l’arrivo di nuovi migranti. Il servizio di Massimiliano Menichetti

L’Unione Europea si mobilita sul fronte delle crisi umanitarie e avvia un programma da 349 milioni di euro per i profughi siriani in Turchia. L’iniziativa fa parte del pacchetto da tre miliardi di euro previsti dall'intesa siglata tra l’Ue e Ankara. In pratica ci saranno trasferimenti diretti di denaro, ogni mese, direttamente su carte elettroniche per far fronte alle singole necessità. Mentre ci si muove per aiutare chi scappa dalle guerre in Medio Oriente e Africa, in Europa però si alza un altro muro: quello di Calais. A costruirlo sarà la Gran Bretagna che tra polemiche e consensi vuole blindare, al di là del mare, una delle principali porte d'ingresso dei flussi migratori dal Vecchio Continente. Secondo Caritas sono oltre 50 i muri nel mondo che, insieme ai mari, costituiscono barriere inaccessibili o cimiteri per migliaia di persone. E’ così ad esempio tra il Marocco e la parte dell'ex-Sahara Occidentale, tra il Messico e gli Stati Uniti, come pure tra Israele e Palestina o India e Bangladesh. Secondo l’ultimo rapporto Caritas “in media ogni quattro secondi, nel mondo, una persona è costretta a fuggire dalla propria casa”. In questo scenario Oxfam lancia un altro allarme relativo ai bambini migranti e rifugiati non accompagnati arrivati quest'anno in Europa attraverso l'Italia. Secondo i dati della associazione umanitaria, il numero dei piccoli è raddoppiato, ma ogni giorno 28 bambini si dileguano senza lasciare traccia. Nei primi sei mesi del 2016, sono stati infatti 5.222 i minori non accompagnati dichiarati "scomparsi". Un sistema inadeguato ed inefficace, denunciano alcuni, consente ai bambini di fuggire dai centri d'accoglienza per continuare il viaggio in altri Paesi dove hanno conoscenti o parenti. Un viaggio fuori dalla legalità e senza alcuna protezione.

Sui muri che sta innalzando l’Europa in particolare quello di Calais, abbiamo intervistato Oliviero Forti, presidente del gruppo di lavoro Caritas Europa sulle migrazioni e responsabile immigrazione Caritas italiana: 

R. – Il muro a Calais era stato preannunciato… E' chiaro che ci trova esterrefatti per questa mossa da parte della Gran Bretagna. E’ un Paese che ha sempre lottato per i diritti civili e oggi si trova al pari di altri – ricordo l’Ungheria, più recentemente, ma anche la Bulgaria – a costruire una barriera anti-immigranti. L’incapacità di un Paese come la Gran Bretagna di gestire un fenomeno sicuramente complesso come l’immigrazione è lo specchio di un’Europa che perde un altro colpo e questo ci preoccupa oltremodo: non è tanto il chilometro di muro che verrà costruito, quanto l’atteggiamento che ormai tutti stiamo assumendo rispetto a un tema che invece richiederebbe una riflessione o una lungimiranza che mancano completamente. Ecco, l’Italia, devo dire, da questo punto divista si sta distinguendo, per fortuna…

D. – Ciò che blocca è più la paura o un’incapacità di gestire questi flussi di persone che fuggono da guerre e difficoltà?

R. – E’ un mix letale di queste due cose. Evidentemente, l’incapacità genera paura. Però, bisogna agire partendo dai Paesi di origine. Vengo da un viaggio in Nigeria: persone che vivono con meno di un dollaro al giorno hanno spesso come unica speranza quella di lasciare quel Paese. Se noi non interveniamo in questi Paesi, evidentemente dovremo trovare soluzioni a un continuo flusso, ripeto, che è destinato ad aumentare.

D. – Intervenire nei Paesi di origine e canali umanitari: sono queste le vie?

R. – I canali umanitari, che anche noi a breve implementeremo se le cose andranno come auspichiamo con l’Etiopia, non sono certamente “la” soluzione: questo bisogna dirlo con grande chiarezza. Sono uno dei tanti strumenti che in questa fase è necessario mettere in campo per dare la possibilità soprattutto ai più vulnerabili, a quelli che non hanno alcuna possibilità, a chi è bloccato nei campi profughi, di sfuggire a una morte certa. Questo è il punto. Ma la gestione dei flussi così come noi li conosciamo, e che riguardano milioni di persone l’anno, può avvenire solo con politiche serie e mirate nei Paesi di origine e di transito. Finché non si avrà il coraggio di fare questo, evidentemente la soluzione rimarrà distante. Forse non ci sarà mai.

D. – Voi lavorate concretamente sul campo. Non avete l’impressione che a livello politico internazionale ci sia soltanto un gran parlare?

R. – Non è, io credo, un’impressione: è una certezza. E’ sotto gli occhi di tutti. Si rincorrono le piccole questioni e non si riesce ad avere uno sguardo più ampio che invece è quello necessario per tentare – e voglio sottolineare questo verbo: tentare – di dare una soluzione a questo tema, elaborare un piano che sia un piano per il mondo, per il pianeta, perché qui non riguarda solo alcuni, ma tutti i Paesi del globo sono in qualche modo coinvolti in questa grande sfida dell’immigrazione.

D. – Un po’ come ribadite nel vostro dossier: oltre 50 muri e mari che bloccano le persone…

R. – Sì, è incredibile: nel 2016, invece che diminuire i muri aumentano e incredibilmente aumentano anche in quel luogo che abbiamo considerato un baluardo dei diritti civili, come l’Europa, che solo nell’ultimo anno ha visto costruire almeno due-tre nuovi muri. Questo è inaccettabile e su questo dobbiamo lavorare, a partire da una seria riflessione su quale strada intenda intraprendere l’Europa nel prossimo futuro. Perché se andiamo avanti così, non dovremo più sorprenderci della "Brexit" o di altri Paesi che desidereranno di non far più parte di un luogo che era nato con tutt’altro intento, che era nato con tutt’altri scopi e che oggi sta frantumandosi di fronte alla grande sfida dell’immigrazione.

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Siria: le opposizioni presentano un piano di transizione con Assad

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Continua l’azione diplomatica internazionale per cercare di risolvere la crisi in Siria. Ieri a Londra le opposizione legate ai Paesi occidentali e alle monarchie del Golfo, riuniti nel gruppo “Amici della Siria”, hanno presentato un documento per il futuro del Paese. Il piano prevede un passaggio di poteri graduale in vista di un governo di unità nazionale, con il Presidente Assad temporaneamente in carica durante il periodo di transizione. Intanto, mentre sul campo l’esercito di Damasco si avvicina ai quartieri meridionali di Aleppo, il Cremlino conferma l’imminente incontro fra il Segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov. Sulle possibilità di riuscita di questo piano di transizione Michele Raviart ha intervistato Massimo Campanini, docente di Islamistica e storia dei Paesi islamici all’università di Trento: 

R. – Formulato com’è formulato, a me sembra in sostanza un piano realistico. Bashar Al Assad ha resistito; se ha resistito, vuol dire che almeno un minimo di appoggio, popolare, dell’esercito, dell’establishment, ce lo aveva. Ciò evidentemente implica che non possa essere cancellato da un giorno all’altro con un tratto di penna. Per cui, il fatto che possa rimanere in sella per un periodo di transizione credo che sia realistico. E questo potrebbe essere un punto di convergenza dell’Occidente anche con le necessità della Russia; e quindi trovare un terreno comune di intesa.

D. – Abbiamo parlato di questo piano, che è realistico sulla carta e prevede anche una tregua: com’è possibile portare questa visione dalle cancellerie occidentali a chi sta combattendo adesso sul campo?

R. – Per quanto riguarda le milizie appoggiate dagli occidentali e dai russi e per quanto riguarda le milizie che sostengono Assad, credo che l’arrivare a un cessate-il-fuoco sia abbastanza praticabile, senza grandi difficoltà. Il problema sarà quello di controllare le milizie jihadiste che non obbediscono né all’Occidente né alla Russia né ad Assad.

D. – Come reagirebbero a questo accordo le varie sigle jihadiste: il sedicente Stato islamico e Al Nusra in primis?

R. – Questo è un accordo che non andrà bene, in generale, alle milizie jihadiste. E qui bisognerà anche valutare come potenzialmente rispondere a una guerriglia e a un terrorismo che, con tutta probabilità, andranno avanti nel Paese. Il jihadismo, se viene evidentemente messo in un angolo dal punto di vista militare, l’arma che ha in mano è quella del terrorismo.

D. – Quale potrebbe essere il futuro della Siria come Stato?

R. – Difficilmente la Siria potrà rimanere intatta come era prima della guerra civile. Credo che la soluzione più praticabile sia quella di tipo iracheno: cioè un sistema in qualche modo federale, in cui, presente Assad o meno, ci possano essere varie rappresentatività che poi si verticizzano a un governo centrale, di unità nazionale. Però anche l’unità nazionale – ovviamente – deve avere questo tipo di riflesso e ricadute sulle sensibilità locali. Per esempio, gli alauiti, da cui derivano gli Assad nel nord della Siria, fino a che punto potranno rivendicare un’autonomia rispetto a un nuovo governo centralizzato di Damasco? E lo stesso vale per i curdi, che hanno dato un contributo importante alla guerra contro l’Is.

D. – Qual è in questo contesto il ruolo della Turchia?

R. – La Turchia è chiaramente preoccupata dell’irredentismo curdo, perché prefigura la nascita di uno Stato curdo che amputerebbe il territorio turco di una parte notevole della sua terra. Per cui, è chiaro che la Turchia di questo sia estremamente preoccupata e abbia mantenuto una posizione certe volte anche pericolosamente attendista nei confronti dell’Is. Però, una volta che le potenze occidentali, la Russia e Assad dovessero effettivamente convergere e trovare un piano di intesa, credo che la Turchia non possa fare a meno che cercare di trovare un suo spazio all’interno di questa intesa.

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Sisma: nei territori lavoro e produzione ripartono a fatica

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"Sono 4.500 le persone sfollate dopo il sisma del 24 agosto che ha colpito il centro Italia e assistite nelle tende”. Lo ha detto il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio, ricordando che ci vorranno circa sette mesi per costruire le casette. Circa 250 persone invece hanno deciso trasferirsi negli hotel sulla costa abruzzese e marchigiana, ieri i primi arrivi. Intanto ad Amatrice e nei comuni terremotati dell’ascolano si tenta di far ripartire il lavoro. Alessandro Guarasci: 

Amatrice è un territorio in cui già adesso la disoccupazione sfiora il 13%. Il rischio è che col terremoto questi territori si spopolino, e dunque, per chi rimane, sia più difficile ripartire. E anche nei comuni della provincia di Ascoli colpiti dal sisma la produzione è in ginocchio. Si tratta di territori agricoli, dove è forte l’allevamento di mucche da latte. Una prima risposta arriva da Confcooperative. Andrea Fora, commissario della sezione laziale:

“Nel Lazio lanceremo, nelle prossime settimane, un incubatore di impresa, rivolto a giovani, laureati e non solo. E pensiamo di poter offrire questo strumento a quel territorio per accompagnare qualche pezzo di comunità con uno strumento molto agevole, che non richiede capitali di investimento, che è abbastanza accessibile. Proveremo a capire quali sono i beni economici in quei territori che possono essere accompagnati in progetti di impresa”.

Il 90% delle fattorie hanno avuto pesanti danni e ora gli allevatori temono l’inverno. Dino Scanavino, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori

"Gli allevatori hanno bisogno  in particolare di acqua potabile, hanno bisogno di elettricità e hanno bisogno di una sistemazione abitativa in prossimità degli allevamenti, degli orti, delle loro fabbriche, perché il governo del bestiame è un qualcosa che vale 24 ore al giorno. Ripristinare la normalità operativa di queste aziende: questa è la cosa principale!".

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La famiglia produce ricchezza: perché nessuno la calcola?

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“La famiglia al centro dell’economia: la via d’uscita dalla crisi”: è la sfida e tema della conferenza promossa dalla Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche (Fafce) che si è tenuta ieri a Bruxelles. Nell’indirizzo di saluto, padre Olivier Poquillon, segretario generale della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea, ha ribadito la centralità di quella che è la cellula base della società. Antoine Renard, presidente della Federazione, ha sottolineato che "l'Europa è prima di tutto una comunità di persone". Durante il dibattito è stato sottolineato che “la famiglia non è un soggetto passivo, ma genera ricchezza e stabilità per l’intero continente”. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Bruxelles il prof. Vincenzo Bassi, consigliere centrale dell’Unione giuristi cattolici e membro del direttivo del Forum delle famiglie in italia: 

R. – La famiglia non ha soltanto un ruolo sociale, ma anche economico: produce ricchezza e questa non è stata mai calcolata. E soprattutto questa ricchezza non viene considerata a livello europeo, ad esempio nei parametri di Maastricht. Proprio ieri abbiamo raccontato come, grazie alla forza economica e all’efficienza delle famiglie, anche Paesi come l’Italia sono riusciti a gestire la crisi economica in maniera efficiente. Il debito privato in Italia è bassissimo e la capacità di risparmio delle famiglie è una grossa risorsa. Questa capacità per tutto il nostro continente – la nostra Europa – è una risorsa per uscire da una crisi che è certamente economica, ma anche sociale.

D. – A livello economico, è quantificabile questa ricchezza della famiglia?

R. – Il problema è esattamente questo: nessuno ha mai pensato di misurarla. C’è un problema di fondo: sembra che abbia un valore economico solo ciò che è remunerato. Ma l’economia è qualcosa di più: non tutto ciò che ha un valore economico è remunerato in termini di corrispettivo; e questo è esattamente il punto. Non dimentichiamo che la parola “economia” significa proprio gestione della casa, gestione della famiglia. Per cui questa radice di economia dovrebbe prevalere sullo scambio degli equivalenti e del corrispettivo. All’interno della famiglia il valore economico non viene misurato in termini di corrispettivi. Questo è un fatto che noi, all’interno delle nostre associazioni nazionali ed europee, dobbiamo cercare di divulgare, nella speranza che ci sarà qualcuno che finalmente vorrà quantificare quello che nella realtà tutti viviamo e vediamo.

D. – Ma concretamente adesso come agirete?

R. – In queste ore stiamo andando ad incontrare dei parlamentari europei. Domani parleremo con i banchieri; dopodomani parleremo con gli imprenditori. E certamente ci faremo aiutare anche dalle scienze sociali: il diritto, l’economia… Tutti devono cominciare, così come avveniva in passato, a mettere la famiglia al centro del sistema, ma non come un soggetto che brucia ricchezza, bensì come soggetto che questa ricchezza la crea per il presente e il futuro. Noi vogliamo che le famiglie vengano riconosciute nell’ambito del mondo bancario non come soggetti che consumano, ma come soggetti che investono: investono in beni durevoli e in capitale sociale. Noi vogliamo che gli imprenditori capiscano che le famiglie solide rendono le loro imprese più efficienti. E vogliamo che le istituzioni politiche capiscano che l’assistenza, se rivolta alle famiglie, non è in quel caso un bene improduttivo – che non produce ricchezza – ma si tratta di investimenti in capitale sociale. Perché le spese di welfare, che sono rivolte alle famiglie, permettono a queste ultime di esercitare meglio la loro funzione, certamente sociale, ma anche economica.

D. – Come si traduce questo in politiche concrete a livello nazionale?

R. - Tanto per dirne una: se le imprese hanno la possibilità di dedurre i costi direttamente inerenti alla propria attività produttiva, non vedo perché questo non possa essere fatto anche per le famiglie. I pannolini, che sono dedotti da un’impresa che svolge attività di asilo nido, non sono dedotti da una famiglia; eppure l’uso è lo stesso: questa è una contraddizione. Le banche devono cominciare a finanziare non il consumo, le vacanze, i telefonini – beni voluttuari –; ma devono iniziare a finanziare anche beni durevoli. Acquistare una macchina sette posti con una famiglia numerosa ha una funzione diversa dall’acquistare beni voluttuari.

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Don Di Noto: governo ci inserisca in osservatorio antipedofilia

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Sta suscitando polemiche in Italia l’esclusione della nota associazione Meter dall’Osservatorio nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, i cui membri Unicef, Save the children e Telefono Azzurro sono stati nominati in questi giorni dal ministro delle Riforme. Boschi. Roberta Gisotti ha intervistato don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente di Meter, da decenni impegnato a livello internazionale contro la pedofilia, specie on line, promotore dello stesso Osservatorio nazionale istituito 1998: 

D. – Don Fortunato, come è stata possibile questa estromissione?

R. – Perché non si conosce la storia della lotta alla pedofilia e alla pedopornografia. Perché a volte le nomine avvengono solo per una volontà "politica’ e non certamente di operatività nel campo, e soprattutto dei risultati che un’associazione come Meter offre a tutto il mondo. Tutto ciò che noi facciamo a favore dei bambini è documentabile perché depositato non solo alla Polizia postale italiana, ma anche presso quelle estere, e soprattutto alle varie Procure distrettuali. Credo che questa esclusione comporti anche una difficoltà nella lotta comune alla pedofilia e agli abomini che si compiono sui bambini, perché non dobbiamo mai dimenticare che se la lotta alla pedofilia si fa a frammenti è già perdente.

D. – Ecco, però, la grande stampa italiana ha ignorato questa notizia che ha suscitato incredulità nell’opinione pubblica che è riuscita ad averla, soprattutto attraverso la rete Internet. Non è però una novità questo disinteresse o che altro?

R. – Sì, non è una novità. Certo, se fosse emerso che don Di Noto avesse compiuto dei danni nei riguardi dei bambini, sarebbe stato in prima pagina. C’è una latente discriminazione della figura del prete che si occupa di queste tematiche così delicate. Certo, è meglio parlare di preti pedofili ed è giusto che se ne parli, ripeto è giusto che se ne parli.

D. – Don Di Noto, al di là del caso che lei è un sacerdote, la lotta alla pedofilia, specie quella online, resta però un tabù di cui parlare…

R. – Resta un tabù perché al di là dei proclami ufficiali manca una profonda coscienza e collaborazione internazionale. Io non credo che ci sarebbero divulgatori o produttori di materiale pedopornografico se ci fossero collaborazioni anche tra le Polizie, ma non soltanto tra le Polizie, ma anche a livello sociale e se ci fosse la percezione della tragedia che vivono i bambini riguardo agli abusi sessuali pedofilici. Certamente ci sono pure – lo dobbiamo dire, ma lo sappiamo, è sotto gli occhi di tutti – tendenze culturali a normalizzare il fenomeno. Ci sono migliaia e migliaia di riferimenti di siti dove la pedofilia viene considerata come una pratica normale: adulti pedofili che vogliono avere relazioni con bambini come una scelta di benessere, come un fatto di relazione d’amore. Ecco, queste sono le battaglie più importanti. Gli Osservatori – in questo caso, quello nazionale – devono occuparsi non soltanto di dati e statistiche, ma devono sapere incidere nella cultura e nella sub-cultura che va a danno dei bambini. L’Osservatorio nazionale, ma anche a livello europeo, dove ci sono tendenze certe, chiare, evidenti in cui la pedofilia vuole essere ritenuta come un orientamento sessuale degli adulti, che preferiscono avere relazioni con bambini, beh queste sono le battaglie forti. Noi continueremo, questo è ovvio. Osservatorio o non Osservatorio, noi siamo sul campo e faremo sempre la nostra parte. Però è necessario che la stampa, i governi, i capi di Stato, il mondo della politica, l’Europa non facciano soltanto dei progetti per avere finanziamenti e risorse; ma qui dobbiamo metterci d’accordo: la pedofilia è un crimine contro l’umanità? Se qualcuno dice di no, bhè, allora abbiamo capito tutto!

D. – Don Di Noto, possiamo immaginare una petizione o una campagna perché l’associazione Meter entri nell’Osservatorio nazionale appena nominato?

R. – Molte cose si stanno muovendo, migliaia e migliaia di persone stanno scrivendo per protesta,  a livello ufficiale dell’Osservatorio stesso; credo che anche il ministro Boschi sia stato informato e credo, spero, che possa provvedere a un ripensamento concreto nella nomina di Meter nell’Osservatorio, perché è un patrimonio che arricchisce. E l’Osservatorio si può privilegiare della presenza di Meter.

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Religions for peace: leader possono favorire o allontanare la pace

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Il dialogo interreligioso per la pace: se ne è parlato ieri nel Convegno “Misericordia e riconciliazione”, tra gli eventi organizzati a Roma nell’ambito del Giubileo dell’Università. Roberta Gisotti ha intervistato Luigi De Salvia, segretario generale dell’organizzazione "Religions for peace - Italia", che ha promosso e coordinato i lavori di questo significativo evento: 

D. – Dr. De Salvia, viviamo un tempo in cui la fede religiosa diviene sovente alibi per gruppi minoritari di esercitare l’odio tra i fratelli. Certo l’attualità sarà entrata nel vivo dell’incontro…

R. – Sicuramente, l’abuso della religione per motivazioni di altro tipo è una costante, anche se è stato messo in evidenza in alcuni interventi che le religioni stesse possono, in determinate situazioni, vivere in modo incoerente il loro messaggio e rendersi complici di tensioni e anche di guerre, come ci ha mostrato anche la storia passata.

D. – Nel convegno, sappiamo che sono stati presenti rappresentanti di 16 confessioni religiose. Questo incontro così diversificato ha portato dei frutti?

R. – Certamente, ha portato dei frutti. Quello che si è sentito è stata la forte tensione unitaria: cercare quanto unisce, soprattutto a partire dal tema della misericordia, come attenzione anche alle fragilità umane, all’inclinazione anche a sbagliare e a sbagliare tragicamente a danno degli altri, e come questo tipo di atteggiamento, che più che essere giudicante cerca di capire le ragioni – ragioni a volte distorte – possa essere la premessa per processi di riconciliazione.

D. – Si è detto che i leader delle religioni possono avere un ruolo più forte, più incisivo verso i loro fedeli, verso i loro seguaci, perché il mondo vada verso la pacificazione…

R. – Sicuramente, i leader religiosi hanno influenza su vaste comunità e quindi la scelta, il comportamento dei leader religiosi è decisivo per ridurre le tensioni internazionali o, viceversa, per esasperarle. C’è poi un compito specifico nella modernità: diciamo che l’eredità di oltre due secoli di prospettive positivistiche, quelle che definiamo materialistiche, ha reso molto fragile la condizione umana. In assenza di riferimenti saldi, radicati il rischio di cadere nell’ostilità nella vita quotidiana e su più larga scala è grande. Quindi, il problema per una ri-umanizzazione non può che essere assunto dalle grandi religioni. Naturalmente, la prima condizione è che si riconoscano reciprocamente nella loro dignità: non può essere affermata la dignità umana se tra le religioni non c’è questo rispetto reciproco della dignità e del valore di una tradizione. Sicuramente, su questo terreno siamo più avanti rispetto al passato, con l’esperienza degli ultimi decenni, quest’anno è il 30.mo anniversario dello storico incontro di preghiera per la pace di Assisi, convocato da San Giovanni Paolo II, dopo che questa dinamica si è messa in moto, le possibilità che le religioni collaborino rispetto ai grandi, crescenti rischi di guerra in parte già in atto e di tensioni internazionali, questa possibilità è più concreta.

D. – Questa ricerca della pace di cui il mondo ha tanto bisogno nei nostri tempi può essere un elemento di accelerazione del cammino verso l’unità dei cristiani?

R. – Ecco, è uno degli aspetti che è emerso, cioè incentrarsi su questo aspetto della difesa dell’umano e della difesa più in generale del Creato come vero orizzonte di responsabilità per tutti i cristiani, piuttosto che discussioni teologiche. Ovviamente, c’è spazio e diritto per questo confronto nelle sedi e nei momenti dovuti, però che queste non siano di ostacolo alla responsabilità per la vita, per le esigenze concrete di tutti i giorni.

D. – Da parte dei rappresentanti della religione islamica, ci sono state sottolineature particolari visto che l’islam è messo così tanto sotto processo?

R. – Sì. La preoccupazione di questa grande parte del mondo islamico che non si riconosce nell’estremismo, nel terrorismo è stato questo, di sottolineare con forza che questo non è realmente coerente con gli insegnamenti religiosi, anche dell’islam. D’altra parte, sappiamo benissimo che all’interno di questo mondo c’è un grande movimento, una grande discussione tra posizioni fondamentaliste e posizioni invece di apertura e di responsabilità verso la pace. In questo caso, interferiscono anche fattori di altra natura, perché esigenze di egemonia geopolitica e di egemonia sul mondo musulmano vanno a stravolgere e a forzare anche le interpretazioni religiose. E, certo l’islam è più al centro della situazione, anche con le esperienze attuali di terrorismo e delle guerre in Medio Oriente e in tutta l’area circostante. Però, non dimentichiamo che anche nelle altre grandi tradizioni non c’è coerenza tra richiamarsi a un’identità religiosa e poi procedere a strategie di guerra con l’illusione di rimettere in pace il mondo.

D. – C’è stata una mozione finale o, quanto meno, delle promesse o una promessa, in chiusura dei lavori?

R. – La promessa da parte di tutti i rappresentanti è stata questa: di riportare nell’ambito delle loro comunità questo impegno, questa tensione per mobilitare i seguaci delle varie religioni, sempre per processi di riconciliazione.

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Festival Venezia. L'esperienza di un esorcista in "Liberami"

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La giornata di un esorcista, il siciliano padre Cataldo, e l'incontro con il male e il dolore: il documentario "Liberami" di Federica Di Giacomo è in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione "Orizzonti". Il servizio di Luca Pellegrini

Federica Di Giacomo tratta il tema dell'esorcismo con grande misura, anche se nulla concede di serenità allo spettatore. Il tema è quello. Nel suo documentario "Liberami" segue alcune giornate, faticosissime, di Padre Cataldo, esorcista da quindici anni della Diocesi di Palermo, e conclude con lui stesso e tanti giovani che frequentano gli appositi corsi istituiti a Roma dall'Ateneo Regina Apostolorum. Le immagini non sono mai concilianti, si innervano sul dolore delle famiglie e gli scarti umorali e della personalità quando incontrano il sacro, quando sentono parlare di Dio. La regista racconta perché è nato questo film.

R. – Io cercavo storie sull’ossessione, sulle dipendenze proprio perché secondo me questa società in cui viviamo produce una serie di ossessioni continue, cioè il nostro stato di lucidità è molto basso. Anche il fatto che possiamo diventare dipendenti dalla televisione, dal gioco, dal sesso… siamo molto dipendenti. Ho trovato questa notizia per caso, del corso di formazione per esorcisti. Mi è sembrato formidabile, perché investigando si apriva una realtà totalmente sconosciuta del fatto che questo fenomeno è in crescita esponenziale. Quindi la Chiesa in un certo senso si è organizzata rispetto ad  un’affluenza di persone fuori dalla norma che chiedeva aiuto ai preti; giustamente li ha anche preparati.

D. - Un film che lei ha fatto anche per i sacerdoti…

R. – Assolutamente. Infatti spero che la Chiesa accetti questo film, accetti il fatto che si parli maggiormente di questa questione e si apra alla società, proprio perché nel momento in cui si nominano in modo così massivo... gli esorcisti sono degli esseri umani che devono imparare! Non sono preparati per distinguere nettamente la malattia psichica da quella diabolica. Quindi ci vuole anche una dose di compassione per queste persone che veramente si trovano nella trincea della sofferenza e che sono assediate. Padre Cataldo riceve 25 famiglie al giorno!

D. - Il male si vede, ma Satana non è mai nominato…

R. – Siamo pervasi da un immaginario horror cinematografico e questo ha condizionato molto. Le persone hanno moltissima paura a dire anche alle proprie famiglie quello che stanno facendo. Un prete ad un certo punto mi ha detto: “Guardi, io sono totalmente a favore di questo film perché nella mia esperienza quotidiana o si pensa che Satana non esiste o si vede da tutte le parti”. Allora, forse, si riacquisisce un giusto mezzo.

D. - Qual è stato il suo rapporto con le famiglie che si sono lasciate riprendere in momenti così terribili? 

R. – C’è stato un lungo lavoro di ricerca, molti sono entrati nel film, poi sono usciti. Molti preti hanno detto “sì”, poi hanno pensato che era meglio dire “no”… Insomma, c’è stato un lungo lavoro. Però, è vero, noi ci ponevamo in un atteggiamento non giudicante, ci facevamo delle domande e in loro abbiamo notato lo stesso stato: si facevano domande continue sul fatto se fossero posseduti o meno, se veramente fosse Satana, se la cura fosse giusta… Anche i preti si facevano molte domande sul limite della malattia psichica. Quindi un po’ tutti, siamo entrati in questo flusso di domande. Tra l’altro, per alcuni di loro è stato anche un modo per confrontarsi con qualcuno perché fuori, per paura del giudizio, era difficile affrontare questi temi e per altri, soprattutto quando hanno iniziato a sentirsi meglio, era anche un modo per aiutare le persone. Molti mi hanno detto: “Noi vogliamo che le persone vedano, perché noi abbiamo passato l’inferno, ma forse possiamo aiutare qualcun’altro”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Vietnam consultati da autorità su Legge sulle religioni

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Apprezzamento per i progressi rispetto alla versione precedente presentata nel 2015, ma anche alcune richieste di modifica di alcuni articoli. È un giudizio in chiaroscuro quello espresso dai vescovi vietnamiti sulla nuova bozza della Legge sui credi e le religioni. Il testo, presentato dal Governo di Hanoi lo scorso 17 agosto, è stato sottoposto dall’Assemblea nazionale alla valutazione delle organizzazioni religiose del Paese, tra le quali la Chiesa cattolica, che ha risposto con una lunga lettera preparata dal Comitato permanente della Conferenza episcopale.

Apprezzamento per la decisione delle autorità di consultare le comunità religiose
Nella lettera, tradotta in francese dall’agenzia Eglises d’Asie, i vescovi esprimono apprezzamento per il fatto che l’Assemblea nazionale abbia voluto consultare le organizzazioni religiose “un punto importante – affermano - che mostra un atteggiamento rispettoso dei legislatori nei confronti delle organizzazioni e delle persone coinvolte dal provvedimento”, anche se essi si rammaricano per i tempi stretti concessi dalle autorità per preparare la risposta.

Sì al riconoscimento della personalità giuridica delle organizzazioni religiose
La lettera, firmata dal vice-segretario della Conferenza episcopale mons. Nguyen Van Kham, inizia quindi con l’elenco delle novità giudicate positive del nuovo testo, a cominciare dal riconoscimento della personalità giuridica “delle organizzazioni religiose e delle istituzioni che da esse dipendono”. In secondo luogo, i vescovi vietnamiti giudicano positivamente la sostituzione del termine “registrazione” delle iniziative delle organizzazioni religiose da parte dello Stato - presente nel precedente testo -  con “comunicazione” o “proposta”, anche se – si osserva - “non basta cambiare una parola, ma occorre modificare un modo di vedere e di fare”, perché “la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale non una grazia concessa dallo Stato”.

Il riconoscimento del diritto di aprire istituti educativi
Inoltre, rispetto all’Ordinanza del 2004 sui credi e le religioni - evidenzia la lettera - la nuova legge sottolinea il diritto di presentare denuncia per fatti riguardanti la fede e la religione. Il quarto aspetto degno di nota, secondo i presuli, è infine il diritto riconosciuto alle organizzazioni religiose “di fondare istituti educativi conformi al sistema educativo nazionale”. In questo modo, osservano,  “si dà ad esse l’opportunità “di dare il proprio contributo nel campo dell’istruzione e della sanità, nell’interesse di tutta la società”.

Le proposte di correzione ad alcuni articoli
​La seconda parte della lettera espone invece una dettagliata serie di proposte di modifica a diversi articoli, volte a prevenire eccessive ingerenze da parte dello Stato e quindi a garantire maggiori diritti e libertà di azione alle organizzazioni religiose. Tra questi, l’articolo riguardante il restauro degli edifici di culto, che non prevede nulla circa la costruzione di nuove strutture religiose. I vescovi chiedono quindi che “dove ci siano 50 o 100 persone della stessa fede, sia consentito costruire un nuovo luogo di culto”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Messico: appello vescovi di Morelia contro la criminalità

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Una denuncia netta dell’aumento di criminalità e illegalità: è quella presentata dai vescovi messicani della regione Morelia, nello Stato del Michoacán, in una lettera ai fedeli, pubblicata sul sito della Conferenza episcopale nazionale e ripresa dall'agenzia Sir. “Constatiamo con tristezza – si legge nel documento - che la realtà del Michoacán continua ad evidenziare dati preoccupanti”, scrivono i firmatari, quali l’arcivescovo di Morelia, card. Alberto Cardenal Suárez Inda, e i vescovi di Apatzingán, Ciudad Lázaro Cárdenas, Tacámbaro e Zamora.

Le tante minacce alla sicurezza della società
Nella lettera – riferisce l’agenzia Sir – si traccia un lungo e dettagliato elenco dei mali che attanagliano la società: omicidi in pieno giorno e in spazi pubblici, sparizioni continue di persone, intimidazioni, estorsioni, racket, posti di blocco arbitrari lungo le strade, disoccupazione crescente che lascia i giovani all’illegalità. “Perfino l’abitazione delle famiglie – continuano i vescovi – che finora è sempre stata considerata uno spazio sicuro, viene spesso violata da coloro che entrano per rapinare o per assassinare qualcuno”.

Il dramma delle famiglie
“Molte famiglie che vivono in campagna, appartenenti alle classi popolari – denunciano inoltre i presuli - su pressione dei gruppi criminali, vengono costrette ad abbandonare le proprie terre e la propria casa; e la loro frustrazione è grande quando, arrivate in una nuova sistemazione, si trovano di fronte a scenari simili rispetto a quelli che hanno lasciato”. Il tutto in un clima di crescente “sfiducia” nelle autorità, tanto che molti delitti non vengono neppure denunciati.

Alcuni segnali di speranza
Tuttavia, i segnali di speranza non mancano, sottolineano i vescovi: sono quei fattori che consentono “di non rifugiarsi nella rassegnazione che paralizza le azioni” della comunità. Tra questi, i presuli citano la presenza di organizzazioni civili che si mobilitano per aumentare la sicurezza locale, l’esperienza di autodifesa cittadina da parte delle comunità, la crescente attenzione pastorale alle vittime di violenza, la promozione da parte delle diocesi di corsi per la costruzione di percorsi di pace destinati agli operatori pastorali.

Promuovere riconciliazione e dialogo
​Ma si tratta di azioni ancora “non sufficienti”; per questo, i firmatari del messaggio lanciano un invito a tutti i cattolici e alle persone di buona volontà affinché si promuovano ulteriori azioni comunitarie, “così da alimentare la riconciliazione e il dialogo” nazionale e rafforzare la preghiera per la pace. (I.P.)

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Vescovi Usa: no a finanziamenti per ricerca sugli embrioni-chimera

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La Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) dice no alla proposta, avanzata dall’Istituto nazionale di sanità (Nih) di sospendere il divieto di finanziamenti federali per la ricerca sui così detti “esseri-chimera”, ossia embrioni di mammiferi cui viene aggiunto Dna umano. In una nota pubblicata sul sito web dell’Usccb, i presuli sottolineano che “il governo federale spenderà i dollari dei contribuenti per la creazione e la manipolazione di nuovi esseri la cui esistenza offusca la linea di demarcazione tra l’uomo e l’animale”. Ma “tale ricerca è decisamente immorale”, ribadiscono i vescovi.

Rispettare la dignità della persona umana
Oltre alla gravità di “sfruttare embrioni umani come fabbriche di cellule per la ricerca – continua la Chiesa cattolica Usa – il problema è che gli esseri ‘chimera’ non appartengono pienamente né alla razza umana, né alla specie animale, rendendo quindi impossibile determinare quali possano essere i loro obblighi morali”. L’etica cattolica – prosegue la nota episcopale – permette “l’uso rispettoso degli animali per la ricerca a beneficio dell’umanità. Ma in ragione della dignità unica della persona, ci sono dei limiti a ciò che si può moralmente fare”.

No alla distruzione di embrioni umani
La ricerca sugli esseri-chimera, infatti, “si basa sulla distruzione di embrioni umani; prevede la produzione di entità dotate, in parte o interamente, di cervello umano e permette la creazione di esseri viventi dotati di gameti umani”. “La dignità e l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase di sviluppo – ribadisce l’Usccb – è un principio fondamentale di ogni società veramente civile. E il diritto a non essere sottoposti a sperimentazioni dannose, senza il proprio consenso espresso ed informato, è un diritto umano innato”.

Cosa prevede la ricerca
​Da ricordare che, fino allo scorso settembre, negli Usa era in vigore il divieto al finanziamento alla ricerca sugli ibridi uomo-animali. Ora, con la sospensione di tale divieto proposta dal Nih nei prossimi messi, si prevede che i finanziamenti siano rilasciati, ma previo parere di uno specifico comitato etico. Le ricerche riguardano soprattutto la possibilità di mescolare materiale genetico animale ed umano a livello di cellule staminali. Le chimere, cioè gli embrioni di mammiferi cui viene aggiunto Dna umano, vengono utilizzati per riprodurre “in provetta” modelli di malattie umane, studiarle e sperimentare farmaci, ma le implicazioni etiche sono altissime. (I.P.)

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Chiesa Sudafrica: nella crisi finanziaria tutelare i poveri

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Resta critica la crisi finanziaria in Sudafrica: dopo il licenziamento del precedente Ministro delle finanze, Nhlanha Nene, avvenuto lo scorso dicembre, ora è il suo successore, Pravin Gordhan, ad essere a rischio nel suo incarico. Il Ministro è stato, infatti, interrogato dagli “Hawks”, un reparto investigativo della polizia sudafricana, specializzato in crimini organizzati e reati finanziari. Al centro dell’indagine, un presunto abuso compiuto da un’unità di intelligence del Ministero delle finanze per raccogliere informazioni finanziarie su diversi politici, tra cui il Capo dello Stato, Jacob Zuma. La notizia dell’inchiesta ha provocato una caduta del “rating” sudafricano, ovvero dell’affidabilità finanziaria del Paese dalla quale dipendono i tassi d’interesse.

Allarme per le conseguenze negative della crisi
Di fronte a questa drammatica situazione, la Chiesa fa sentire la sua voce, attraverso mons. Abel Gabuza, presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale locale (Sacbc). In una nota diffusa sul sito della Sacbc, in particolare, il presule lancia l’allarme per le conseguenze negative che tale crisi può avere sui poveri: “Nel contesto attuale di fragilità economica e considerate le enormi difficoltà che i più indigenti devono già affrontare – scrive mons. Gabuza – è eticamente inappropriato che i leader politici creino incertezza in ambito finanziario e diminuiscano la credibilità economica nazionale”.

Lottare contro la corruzione
Di qui, l’appello alle istituzioni a “fare di più” per risolvere la situazione: “Chiediamo al Capo dello Stato di intervenire in questa fase di stallo per rassicurare il Paese che l’indagine contro il Ministro delle finanze non è motivata da ragioni politiche”. “Sono in gioco gli interessi economici nazionali e le vite dei poveri – aggiunge mons. Gabuza – Per questo, chiediamo al presidente di offrire al Paese un maggior livello di sicurezza, affinché l’inchiesta degli Hawks sul Ministro delle finanze non risulti essere solo uno stratagemma per rimuovere Gordhan ed indebolire la lotta alla corruzione ed alla governance inefficiente”.

Non usare le istituzioni a scopo personale o di partito
Ribadendo, poi, che “tutti i sudafricani, tra cui i Ministri delle finanze, non sono al di sopra delle legge”, tuttavia il responsabile di Giustizia e pace lancia un forte appello ai leader politici “contro l’uso di organismi statali e giudiziari per combattere battaglie di partito o per difendere interessi personali, senza tenere conto delle conseguenze di tali azioni sull’economia nazionale e sui settori più svantaggiati”.

Dare priorità al bene comune del Paese
Da ricordare che, recentemente, anche il Jesuit Institute South Africa si è detto seriamente preoccupato per la tensione tra Gordhan e Zuma. “Il governo del Presidente – si legge in una nota diffusa nei giorni scorsi - dimostra una leadership autoreferenziale, che non si cura del bene comune”. Di qui, l’appello al capo dello Stato affinché “metta al primo posto l’economia del Paese in difficoltà”. (I.P.)

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Ccee a Sarajevo: attualità in Europa delle Opere di misericordia

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Nell’Anno giubilare dedicato alla misericordia “e proseguendo un cammino avviato insieme a diversi organismi cattolici europei”, la Commissione Ccee “Caritas in Veritate” organizza in collaborazione con la Conferenza episcopale della Bosnia-Erzegovina un incontro sull’urgenza e l’attualità delle opere di misericordia oggi in Europa. L’appuntamento - riporta l'agenzia Sir - si terrà a Sarajevo dal 15 al 18 settembre. 

Un incontro che risponde all'invito del Papa nella Misericordiae vultus
 “Seguendo l’invito espresso da Papa Francesco nella bolla d’indizione del Giubileo (Misericordiae vultus, 15), i responsabili degli organismi che in Europa riuniscono molte realtà che con il loro lavoro quotidiano rendono concreta la misericordia di Dio e mostrano l’attualità delle opere di misericordia”, si legge in una nota, “s’incontreranno insieme ai delegati delle Conferenze episcopali, che rappresentano a loro volta il lavoro delle Chiese locali in quest’ambito, e ai rappresentanti dei dicasteri vaticani”. 

Opere di accoglienza migranti e rifugiati e legate a dignità del lavoro e della politica
I lavori prevedono momenti di riflessione e di testimonianza intesi a “mostrare come al centro dell’azione della Chiesa sta la persona umana sempre bisognosa dell’amore di Dio. Guardando prima a ogni opera di misericordia corporale con l’aiuto degli organismi direttamente coinvolti in questi ambiti, i partecipanti si soffermeranno poi sulle nuove opere di misericordia”: quelle legate alle urgenze che attanagliano l’Europa oggi e che sono rivolte all’accoglienza dei migranti e rifugiati, alla dignità del lavoro e al mondo della politica”. 

​Nel corso dell’incontro i partecipanti visiteranno cinque opere di misericordia presenti a Sarajevo 
Al termine dei lavori, i partecipanti ascolteranno, attraverso un'intervista video a Jean Vanier, come la volontà di testimoniare la misericordia di Dio sia stata alla base della fondazione della comunità “L’arca” e del movimento “Fede e luce”. Il programma dell’incontro è disponibile sul sito www.ccee.eu. I lavori si concluderanno con il passaggio attraverso la Porta santa e la celebrazione dell’Eucaristia nella cattedrale della città, domenica 18 settembre alle ore 10.30. (R.P.)

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Belgio. Responsabili dei culti: sì a corsi di religione a scuola

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I corsi di religione nelle scuole primarie e nella formazione di bambini e giovani sono “importanti”: lo affermano chiaramente i responsabili delle Chiese e religioni del Belgio - cristiani, ebrei, musulmani, protestanti ed anglicani – in un appello congiunto diffuso in occasione dell’inizio dell’anno scolastico. Nei giorni scorsi, i firmatari del documento – riferisce l’agenzia Sir – si sono riuniti urgentemente, per dare voce alla preoccupazione di vedere i corsi di religione ostacolati o addirittura soppressi nelle scuole primarie del Belgio francofono.

I valori della fede, lievito della convivenza
Al termine dell’incontro, è stato diffuso un comunicato congiunto, indirizzato ai genitori degli studenti: “I valori della fede, della giustizia, del dialogo e della pace che si ritrovano in tutte le convinzioni religiose – si legge nel testo - permettono non solo di approfondire le radici della cultura religiosa, ma sono anche un lievito potente per costruire il vivere insieme”. Per questo, i leader religiosi condividono “la preoccupazione espressa dai genitori degli studenti venuti a conoscenza del fatto che, in alcune scuole, il corso di religione era saltato e che i relativi docenti erano stati confinati ad incontrare gli studenti in sale di studio” e non in classe.

Libertà di religione e di espressione sono libertà fondamentali
In quest’ottica, i responsabili dei culti chiedono che, oltre ai corsi di educazione alla filosofia e alla cittadinanza, “venga mantenuto il corso di religione, in conformità con la Costituzione e le leggi in materia”. Ed aggiungono: “Nella nostra società, la libertà religiosa e la libertà di espressione sono libertà fondamentali. Un corso di religione permette agli studenti di conoscere meglio il contenuto della fede e di interrogarsi su quel contenuto. Esso fornisce anche criteri e griglie di lettura per esprimere le proprie credenze in una società multiculturale e multivaloriale”.

Necessaria una maggiore informazione
A tal proposito, i firmatari denunciano la pressione esercitata dalla Fapeo (la Federazione che riunisce le associazioni dei genitori) che, nelle scuole, ha distribuito un volantino in cui si invitano le famiglie a dispensare i ragazzi dai corsi di religione per iscriverli, invece, ai corsi di educazione alla filosofia e alla cittadinanza. Si è trattato di un’iniziativa – spiegano i leader religiosi – della quale non tutti i genitori degli studenti erano stati informati.

I firmatari del documento
A firmare la dichiarazione congiunta sono: mons. De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles; il metropolita Atenagora della Chiesa ortodossa belga; il presidente del Concistoro centrale israelita del Belgio, Markiewicz; il pastore Fuite, presidente della Chiesa protestaste unita del Paese; il dott. Lorein, capo del Sinodo federale delle Chiese protestanti ed evangeliche; Salah Echallaoui, presidente dell’esecutivo musulmano del Belgio e Jack McDonald, presidente del Comitato centrale della Chiesa anglicana nel Paese.

La decisione del governo
Da ricordare che, in seguito agli attentati terroristici avvenuti nel Paese, il  Belgio ha deciso di prendere le distanze dalle religioni e il 21 ottobre del 2015 il governo della Federazione Vallonia-Bruxelles ha stabilito, tramite decreto, di introdurre e proporre agli studenti delle scuole pubbliche (dal 2016 per gli alunni delle primarie e dal 2017 per quelli delle secondarie) un corso di “educazione alla filosofia e alla cittadinanza”, alternativo al corso di religione. (I.P.)

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Regno Unito: 2 mila parrocchie aderiscono a energie rinnovabili

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Sono già quasi 2mila le parrocchie cattoliche del Regno Unito che hanno aderito al “Big Church Switch”, la campagna lanciata nella scorsa Quaresima che invita le Chiese di ogni confessione a difendere l’ambiente convertendosi all’uso delle energie rinnovabili al posto dei combustibili fossili. Una risposta anche al pressante appello di Papa Papa Francesco nella Laudato si’ affinché tutti contribuiscano, anche con piccoli gesti, alla cura della “Casa comune”.

Dimostrare l’impegno delle Chiese per la Casa comune
L’iniziativa è promossa da Christian Aid e da Tearfund,  con il sostegno, tra gli altri,  della Cafod, l’agenzia caritativa dei vescovi  inglesi e gallesi per gli aiuti ai Paesi d’oltremare.  Il progetto oltre alla sensibilizzazione,  mira a mettere in contatto le Chiese con le aziende fornitrici di energie rinnovabili, tramite il sito https://www.bigchurchswitch.org.uk/, in maniera tale da agevolare l'incontro tra domanda e offerta. Utilizzando energia pulita, spiegano i promotori dell’iniziativa, ogni comunità cristiana “può dimostrare il proprio impegno per il prossimo e per la terra, che è la nostra casa comune”.

In tutto 3.500 Chiese cristiane hanno aderito al Big Church Switch
Insieme alle 2mila parrocchie cattoliche - riferisce il sito riforma.it - 700 chiese di altre denominazioni cristiane e circa 900 siti appartenenti all'Esercito della Salvezza hanno completato il passaggio alle energie pulite, per un totale di circa 3.500 chiese. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 252

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.