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Sommario del 09/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai vescovi: divisioni e soldi, armi del diavolo per distruggere la Chiesa

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Il diavolo ha due armi per distruggere la Chiesa: le divisioni e il denaro. E’ quanto ha affermato Papa Francesco rivolgendosi ai vescovi dei territori di missione ricevuti stamani in udienza. “Il diavolo – ha detto il Santo Padre nel suo discorso - entra per le tasche e distrugge con la lingua, con le chiacchiere”. Il servizio di Amedeo Lomonaco

I vescovi dei Territori di missione provengono da luoghi “diversi e distanti tra loro”. Ogni presule - ha ricordato il Papa - ha “il grande privilegio e al tempo stesso la responsabilità di essere in prima fila nell’evangelizzazione”. Il Santo Padre ha anche esortato i vescovi a vigilare affinché l’opera evangelizzatrice non venga danneggiata o vanificata “da divisioni già presenti o che si possono creare”:

“Le divisioni sono l’arma che il diavolo ha più alla mano per distruggere la Chiesa da dentro. Ha due armi, ma quella principale è la divisione; l’altra sono i soldi. Il diavolo entra per le tasche e distrugge con la lingua, con le chiacchiere che dividono”.

Le chiacchiere sono bombe
Le chiacchiere – ha spiegato il Papa – possono minare l’unità della Chiesa:

“L’abitudine a chiacchierare è un’abitudine di terrorismo. Il chiacchierone è un terrorista che butta la bomba – la chiacchiera – per distruggere. Per favore, lottate contro le divisioni, perché è una delle armi che ha il diavolo per distruggere la Chiesa locale e la chiesa universale”.

Pellegrini della misericordia
“La Chiesa – ha aggiunto Francesco - è chiamata a sapersi porre sempre al di sopra delle connotazioni tribali-culturali e il vescovo ha il compito di edificare incessantemente la Chiesa particolare nella comunione di tutti i suoi membri”. Nell’Anno Santo della Misericordia – ha poi ricordato il Pontefice - molti vescovi si sono uniti a tanti pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. E’ un esperienza – ha detto il Papa – che ci fa sentire bene:

“Ci fa sentire che siamo tutti pellegrini della misericordia, tutti abbiamo bisogno della grazia di Cristo per essere misericordiosi come il Padre”.

In cerca degli smarriti e dei tiepidi
Il Pontefice ha esortato i vescovi dei territori di missione a “curare il gregge”, ad andare in cerca delle pecore, “specialmente di quelle lontane o smarrite”. Il Pontefice li ha anche invitati ad aiutare i credenti - anche quelli “tiepidi” o non praticanti -  “a scoprire nuovamente la gioia della fede”, ad “incontrare anche le pecore che non appartengono ancora all’ovile di Cristo”. Ricordando che nell’opera missionaria i vescovi possono avvalersi del contributo di diversi collaboratori e di molti fedeli laici, Papa Francesco ha anche esortato i presuli ad accompagnare i seminaristi nel loro percorso:

“Vi invito a prestare attenzione alla preparazione dei presbiteri negli anni di Seminario, senza smettere di accompagnarli nella formazione permanente dopo l’Ordinazione. Sappiate offrire loro un esempio concreto e tangibile. Per quanto vi è possibile, cercate di partecipare con loro ai principali momenti formativi, avendo sempre cura anche della dimensione personale”.

I vescovi siano vicini ai sacerdoti
Dal Papa anche l’esortazione a non dimenticarsi del presbitero, il “prossimo più prossimo del vescovo”:

“Ogni presbitero deve sentire la vicinanza del suo Vescovo. Quando un Vescovo sente una chiamata telefonica del presbitero o arriva una lettera, risponde subito! Subito! Lo stesso giorno, se è possibile. Ma quella vicinanza deve cominciare nel seminario, nella formazione e continuare. Il prossimo più prossimo del Vescovo è il presbitero”.

Il compito indicato dal Papa ai presuli ha una triplice direttrice:

“Curate il popolo di Dio a voi affidato, curate i presbiteri, curate i seminaristi. Questo è il vostro lavoro”.

Card. Filoni: in diversi Paesi vivere da cristiani richiede grande coraggio
Al seminario di studio, organizzato dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, partecipano fino al prossimo 17 settembre 96 vescovi nominati dal Papa negli ultimi due anni. Arrivano da giovani Chiese di territori di missione: 43 presuli provengono dall’Africa, 36 dall’Asia, 13 dall’America e 4 dall’Oceania. Il loro ministero – ha detto il prefetto della Congregazione, cardinale Fernando Filoni, prendendo la parola prima del Pontefice – presenta sfide impegnative:

“Il ministero pastorale che sono chiamati a svolgere, in molti casi, avviene in situazioni estremamente complesse, dove le circostanze sociali e politiche non sempre sono favorevoli e dove si avverte la necessità di una particolare e coraggiosa testimonianza di fede. Vivere ed operare da cristiani in tali ambienti richiede un grande coraggio, alimentato e sostenuto dalla preghiera dell’intera comunità cristiana”.

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Papa: evangelizzare non è una funzione, ma testimonianza di vita

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Non ridurre l’evangelizzazione al funzionalismo né tanto meno ad una semplice “passeggiata”. E’ il richiamo di Papa Francesco nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato l’importanza che deve assumere la testimonianza nella vita dei cristiani, mettendo in guardia dalla tentazione di far proselitismo o di convincere a forza di parole. Il servizio di Alessandro Gisotti

Cosa significa evangelizzare e come possiamo farlo? Francesco prende spunto dalla Prima Lettura, un brano della Lettera di San Paolo ai Corinzi, per interrogarsi su cosa significhi dare testimonianza di Cristo. Innanzitutto, il Papa si sofferma su ciò che non vuol dire evangelizzare: ridurlo “ad una funzione”.

Evangelizzare non è un vanto, né un funzionalismo
Purtroppo ravvisa il Papa anche oggi si vedono cristiani che vivono il servizio come una funzione. Laici e sacerdoti che si vantano di quello che fanno:

“Questo è il vanto: io mi vanto. E’ ridurre proprio il Vangelo a una funzione o anche ad un vanto: ‘Io vado ad evangelizzare e ho portato in Chiesa tanti’. Fare proselitismo: anche quello è un vanto. Evangelizzare non è fare proselitismo. Cioè né fare la passeggiata, né ridurre il Vangelo a una funzione né fare proselitismo: questo non è evangelizzare. Questo è quello che dice Paolo qui: ‘Per me non è un vanto. Per me è una necessità’ – continua – “che mi si impone”. Un cristiano ha l’obbligo, ma con questa forza, come una necessità di portare il nome di Gesù, ma dal proprio cuore”.

Annunciare il Vangelo, prosegue, non può essere un vanto, ma – come ci esorta San Paolo – “un obbligo”. Ma qual è dunque lo “stile” dell’evangelizzazione, si domanda ancora il Papa? “Come io posso essere sicuro – aggiunge – di non fare la passeggiata, di non fare proselitismo e di non ridurre l’evangelizzazione a un funzionalismo?”. Lo stile, è la risposta di Francesco “è farsi tutto a tutti”. Lo stile è: “andare e condividere la vita degli altri, accompagnare; accompagnare nel cammino della fede, far crescere nel cammino della fede”.

Evangelizzare è dare testimonianza, senza troppe parole
Dobbiamo metterci nella condizione dell’altro: “Se lui è ammalato, avvicinarmi, non ingombrarlo con argomenti”, “essere vicino, assisterlo, aiutarlo”. Si evangelizza, ribadisce, “con questo atteggiamento di misericordia: farsi tutto a tutti. E’ la testimonianza che porta la Parola”. Francesco ha dunque rammentato che durante il pranzo con i giovani alla Gmg di Cracovia, un ragazzo gli ha chiesto cosa dovesse dire ad un suo caro amico ateo:

“E’ una bella domanda! Tutti noi conosciamo gente allontanata dalla Chiesa: cosa dobbiamo dire loro? E io ho risposto: ‘Senti, l’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa! incomincia a fare e lui vedrà cosa tu fai e ti domanderà; e quando lui ti domanderà, tu di’’. Evangelizzare è dare questa testimonianza: io vivo così, perché credo in Gesù Cristo; io risveglio in te la curiosità della domanda ‘ma perché fai queste cose?’ Perché credo in Gesù Cristo e annuncio Gesù Cristo e non solo con la Parola – si deve annunciarLo con la Parola – ma con la vita”.

Questo è evangelizzare, ha detto, “e anche questo si fa gratuitamente”, “perché noi abbiamo ricevuto gratuitamente il Vangelo”, “la grazia, la salvezza non si compra e neppure si vende: è gratis! E gratis dobbiamo darla”.

Annunciare Cristo è vivere la fede, donando gratuitamente l’amore di Dio
Ha così rammentato la figura di San Pietro Claver, di cui ricorre oggi la memoria. Un missionario, ha annotato, che “se ne è andato ad annunciare il Vangelo”. Forse, ha commentato, “lui pensava che il suo futuro sarebbe stato predicare: nel suo futuro il Signore gli ha chiesto di essere vicino, accanto agli scartati di quel tempo, agli schiavi, ai negri, che arrivavano lì, dall’Africa, per essere venduti”:

“E quest’uomo non ha fatto la passeggiata, dicendo che evangelizzava; non ha ridotto l’evangelizzazione a un funzionalismo e neppure ad un proselitismo: ha annunciato Gesù Cristo con i gesti, parlando agli schiavi, vivendo con loro, vivendo come loro! E come lui nella Chiesa ce ne sono tanti! Tanti che annientano se stessi per annunciare Gesù Cristo. E anche tutti noi, fratelli e sorelle, abbiamo l’obbligo di evangelizzare, che non è bussare alla porta al vicino e alla vicina e dire: ‘Cristo è risorto!’. E’ vivere la fede, è parlarne con mitezza, con amore, senza voglia di convincere nessuno, ma gratuitamente. E’ dare gratis quello che Dio gratis ha dato a me: questo è evangelizzare”.

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Pubblicato il programma del viaggio di Francesco in Svezia

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La Sala Stampa Vaticana ha pubblicato oggi il programma del viaggio apostolico di Papa Francesco in Svezia, in occasione della commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma. Il Papa partirà la mattina del 31 ottobre alla volta di Malmö, dove all’aeroporto internazionale della città si terrà l’accoglienza ufficiale intorno alla 11. Nella giornata, il Papa farà visita alla famiglia reale a Lund. Quindi, nella cattedrale luterana si celebrerà una preghiera ecumenica comune, poi nello stadio di Malmö vi sarà un incontro pubblico con le delegazioni ecumeniche. Il giorno dopo, Francesco celebrerà la Messa con la comunità cattolica svedese, sempre a Malmö, e farà quindi ritorno a Roma, dove è atteso per le ore 15.30.

Cattolici e luterani: rendimento di grazie, pentimento e testimonianza comune
L’evento che vede assieme la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica Romana - sottolineava un comunicato congiunto del primo giugno scorso – intende mettere in evidenza i 50 anni di continuo dialogo ecumenico fra cattolici e luterani e i doni derivanti da tale collaborazione. La commemorazione cattolico-luterana dei 500 anni della Riforma – proseguiva la nota – si impernia sui temi del rendimento di grazie, del pentimento e dell’impegno nella testimonianza comune. L’obiettivo è dunque di esprimere i doni della Riforma e chiedere perdono per la divisione perpetuata dai cristiani delle tue tradizioni.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; mons. Arturo Antonio Szymanski Ramírez, arcivescovo emerito di San Luis Potosí (Messico); Alfonso Matta Fahsen, Ambasciatore di Guatemala in visita di congedo.

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Nomina episcopale di Papa Francesco nelle Filippine

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Nelle Filippine, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Antipolo, presentata da mons. Gabriel V. Reyes. Gli succede mons. Francisco Mendoza De Leon, finora Vescovo Coadiutore della medesima diocesi.

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Tweet Papa: Gesù bussa alla porta del nostro cuore

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"Il Signore si fa presente ogni giorno, bussa alla porta del nostro cuore". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Lombardi: una bella sorpresa il nuovo libro intervista con Benedetto XVI

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Esce oggi in tutto il mondo il volume intitolato “Benedetto XVI. Ultime conversazioni”, il nuovo libro intervista del giornalista tedesco Peter Seewald con il Papa emerito che tocca le tappe più importanti della sua vita: dall’infanzia sotto il regime nazista, la scoperta della vocazione, gli anni difficili della guerra, poi il servizio in Vaticano e il forte legame con Giovanni Paolo II, fino all’elezione al soglio pontificio e alla decisione della rinuncia al Pontificato. Benedetto XVI parla anche di Francesco, esprimendo la sua sorpresa e poi la sua gioia per questa elezione che dimostra come la Chiesa sia viva, dinamica e non congelata in schemi e questo – afferma - è incoraggiante. Su questo libro, edito da Garzanti nella edizione in lingua italiana, pubblichiamo il commento di padre Federico Lombardi, presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI:

Il nuovo libro intervista delle conversazioni di Benedetto XVI con Peter Seewald, in libreria e nelle edicole in diverse lingue da questo venerdì 9 settembre, è certamente per molti una sorpresa, ma possiamo ben dire una bella sorpresa.

Una sorpresa nel senso che, data la chiara scelta di Benedetto XVI di dedicarsi ad una vita ritirata di preghiera e riflessione, forse non ci saremmo aspettati ora la pubblicazione di una nuova lunga conversazione con un giornalista.

Una bella sorpresa nel senso che, superato il primo stupore, la tranquilla lettura del testo ci offre alcune perle molto preziose e di grande valore, altre utili e interessanti.

Le perle più preziose sono, a nostro avviso, due, contenute nella Prima Parte e nel capitolo finale della Terza Parte del libro.

La prima e principale è la commovente testimonianza dell’esperienza spirituale dell’anziano pontefice emerito “in cammino per giungere al cospetto di Dio” (225). Insomma, Benedetto XVI parla serenamente di come sta vivendo nel raccoglimento e nell’orazione l’ultima tappa della sua vita. Giovanni Paolo II ci aveva dato la sua preziosa testimonianza di come portava nella fede la condizione della grave sofferenza della malattia. Benedetto XVI ci dà quella dell’uomo di Dio anziano, che si prepara alla morte. Lo fa con toni umili e umani, riconoscendo che la debolezza fisica gli rende difficile di restare sempre, come vorrebbe, nelle “regioni alte dello spirito” (23). Ci parla del grande mistero di Dio, ci parla dei grandi interrogativi che hanno accompagnato la sua vita spirituale e continuano ad accompagnarla, diventando forse ancora più grandi, come la presenza di tanto male nel mondo. Ci parla in particolare di Gesù Cristo, vero centro focale della sua vita, che “vede proprio davanti” a lui, “sempre grande e misterioso”, e del fatto che “molte parole del Vangelo le trovo ora, per la loro grandezza e gravità, più difficili che in passato” (26).

L’anziano pontefice vive l’avvicinarsi alle soglie del mistero “non abbandonando la certezza di fondo della fede e rimanendo, per così dire, immerso in essa”. “Ci si rende conto che bisogna essere umili, che se non si capiscono le parole della Scrittura, si deve aspettare finché il Signore le schiuda alla nostra comprensione” (27).

Egli parla serenamente dello sguardo sulla vita passata e del “peso della colpa”, del rimpianto per non aver fatto abbastanza per gli altri, ma anche della fiducia nell’amore fedele di Dio, del fatto che al momento dell’incontro “lo pregherà di essere indulgente  con la sua miseria” e della convinzione che nella vita eterna “sarà davvero giunto a casa” (28).

Oltre a questa vera perla fondamentale, a nostro avviso l’aspetto più importante del libro, a un diverso livello – inferiore ma pure rilevante – va apprezzata la risposta chiara e serena a tutte le elucubrazioni immotivate sulle ragioni della sua rinuncia al pontificato, come se fosse stata causata dalle difficoltà incontrate a seguito di scandali o complotti. Di tutto ciò ora, sollecitato dalle domande di Seewald, Benedetto in prima persona fa piazza pulita con decisione, in modo ci auguriamo definitivo, parlando del cammino di discernimento con cui è giunto davanti a Dio alla decisione e della serenità con cui, una volta presa, la ha comunicata e attuata senza alcuna incertezza e non se ne è mai pentito. Insiste sul fatto che la decisione è stata presa non sotto la pressione di difficoltà incalzanti, ma anzi, proprio quando queste erano sostanzialmente state superate. “Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era ritornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte” (38).

Ma a parte la risposta alle interpretazioni infondate, dalle parole di Benedetto risultano ribadite con chiarezza anche le motivazioni vere della rinuncia, e ciò con tale naturalezza che esse appaiono assolutamente ragionevoli e convincenti. In certo senso – ci sia permesso dirlo – la rinuncia da parte del Papa, quando sia effettivamente inadeguato all’esercizio della sua responsabilità nel governo della Chiesa per lo scemare delle forse fisiche e psichiche, si presenta come doverosa e “normale”. Pur restando evidentemente sovrana la libertà di ogni Papa in merito, non si può non costatare che la decisione di Benedetto ha offerto un modello di discernimento ed ha aperto concretamente – possiamo dire anche in questo caso “definitivamente” ? – una possibilità di scelta più facilmente percorribile per tutti i suoi successori.

Questi due grandi argomenti sono quelli che a nostro avviso giustificano pienamente e rendono opportuna la pubblicazione di questo libro, Benedetto vivente.

Del resto, nella Seconda e nella Terza Parte, la conversazione spazia su argomenti molto vari che riguardano l’intero arco della vita di Joseph Ratzinger, dalla famiglia di origine fino a tutto il pontificato. Come ha spiegato lo stesso Seewald in una recente intervista (Christ und Welt, Zeit online, 7.9.2016) è bene osservare che il libro è nato in realtà da alcuni colloqui concessi all’intervistatore (in agosto e novembre 2012, prima della rinuncia; in luglio e dicembre 2013, e febbraio 2014, dopo la rinuncia) in vista di una possibile futura biografia, rispondendo quindi con chiarimenti e approfondimenti a domande su situazioni, episodi, incontri di particolare interesse nelle diverse fasi della lunga vita e dell’attività dell’Intervistato. 

Non sappiamo se e quando Seewald ci offrirà una vera biografia. Questo libro non lo è in alcun modo. Tuttavia, con sintetici paragrafi introduttivi ai vari capitoli e con una opportuna formulazione delle domande, Seewald ordina e contestualizza in rapida successione cronologica le risposte di Benedetto. La chiarezza e la profondità di molte risposte, come pure il loro tono personale e la loro assoluta sincerità rendono avvincente la lettura di un insieme di informazioni e riflessioni che altrimenti risulterebbe frammentario.

A nostro avviso, possono presentare particolare interesse le pagine dedicate a temi di maggiore rilievo. Si possono segnalare ad esempio, il tema del nazismo nell’esperienza familiare ed ecclesiale del giovane Ratzinger; o il clima culturale quasi esaltante vissuto dal giovane professore di teologia a Bonn nel contesto della rinascita della Germania dopo la catastrofe della guerra; il suo personale contributo come esperto al Concilio Vaticano II in particolare sul tema fondamentale del rapporto fra Scrittura Tradizione e Magistero; la sua posizione sempre più critica nei confronti di altri teologi tedeschi sulla comprensione stessa della natura e della funzione della teologia in rapporto alla fede della Chiesa; il suo stretto e lunghissimo rapporto di vicinanza e collaborazione con Papa Wojtyla.

Molti saranno certamente interessati alle risposte che contribuiscono a tracciare un “bilancio” del Pontificato di Benedetto XVI a partire dalle sue linee orientatrici. Offriamo solo alcuni spunti.

“C’era anzitutto quello che volevo fare: mettere al centro il tema di Dio e la fede e in primo piano la Sacra Scrittura. Provengo dalla teologia e sapevo che la mia forza, se ne ho una, è annunciare la fede in forma positiva. Per questo volevo soprattutto insegnare partendo dalla pienezza della Sacra Scrittura e della Tradizione… Io sapevo che il mio non sarebbe stato un pontificato lungo. Che non potevo compiere progetti a lungo termine e realizzare iniziative spettacolari…Non avrei convocato un nuovo Concilio, ma a maggior ragione volevo e potevo rafforzare l’elemento sinodale” (180).

Benedetto ritorna più volte a mettere in luce lo spirito del suo Pontificato, riconoscendone in certo senso il segno distintivo nell’”Anno della Fede”: “un rinnovato incoraggiamento a credere, a vivere una vita a partire dal centro, dal dinamismo della fede, a riscoprire Dio riscoprendo Cristo, dunque a riscoprire la centralità delle fede” (217). Non vi è dubbio che la grande opera su Gesù ha un posto centrale nel pontificato di Benedetto XVI. Non era l’esercizio del teologo nel “tempo libero” lasciatogli dal servizio come Papa, ma era il suo più importante servizio alla Chiesa perché “se noi non conosciamo più Gesù, è la fine della Chiesa…e il pericolo che Gesù venga distrutto o svilito da un certo tipo di esegesi è enorme” (192-193).

Nella riflessione teologica di Ratzinger la escatologia, cioè le “realtà ultime”, e la persona di Gesù hanno occupato un posto particolarmente importante. Non era una teologia separata dalla vita: ora essa si continua e sbocca nella sua quotidiana meditazione sulle realtà ultime, e nel suo vivere  continuamente davanti a Gesù.

Anche lo sguardo sul suo pontificato, nelle sue luci e nei suoi limiti, è lucido e sereno, come si addice a chi “contando i suoi giorni” ha imparato a guardare alle vicende di questo mondo con la “sapienza del cuore” (cfr Salmo 90), e può affidare a Dio con fiducia la sua vita e la sua opera.

 

Qui di seguito è possibile ascoltare l'intervista rilasciata da padre Lombardi ad Adriana Masotti 

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Parolin: da Guardia Svizzera e Gendarmeria, ordine e vigilanza

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“Assicurare ordine, tranquillità e decoro” sono le “importanti funzioni” della Guardia Svizzera e della Gendarmeria Vaticana. Lo ha sottolineato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin presiedendo ieri pomeriggio in San Pietro la Liturgia della Parola per il Giubileo dei due corpi pontifici. “Con il loro quotidiano lavoro - ha affermato il porporato - garantiscono la sicurezza all'interno dello Stato della Città del Vaticano, specie in tempi nei quali occorre la massima vigilanza”. Varcare la Porta Santa - ha spiegato - “significa lasciare fuori dalla casa del Signore e dalla nostra coscienza il male, la corruzione, il mondo del peccato, la vana pretesa di poter vivere come se Dio non esistesse” e compiere invece un gesto “comunitario”, in stretta relazione con quanti lo realizzano oggi e nel corso dei secoli.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Testimoni con la vita: Papa Francesco ai vescovi nei territori di missione.

Storico globale: Andrea Possieri ricorda lo storico Ennio Di Nolfo scomparso ieri.

Premio Robert Bresson 2016 ad Andrej KonĨalovskij: l'intervento di mons. Dario Edoardo Viganò.

Daniela Kalkandijeva e Shahe Anayan al Convegno di spiritualità ortodossa.

Un articolo di Vincenzo Faccioli Pintozzi intitolato L'Asia maggiorenne nei rapporti con l'Occidente.

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Oggi in Primo Piano



Test nucleari Nord Corea: convocato Consiglio di Sicurezza Onu

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La Corea del Nord ha compiuto il suo quinto test nucleare ed è bufera a livello internazionale: il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha deciso di convocare una riunione d'urgenza, dopo le proteste di Russia e Stati Uniti. Anche Nato e Unione Europea hanno definito l'ennesima provocazione "inquietante" e in violazione di tutti gli obblighi internazionali. La preoccupazione è condivisa da Seul e dal Giappone che ha deciso per un nuovo sistema di sanzioni unilaterali. La Cina protesta in modo formale, ma Pyongyang ribatte: "Abbiamo testate da montare su missili strategici di vari formati". Gabriella Ceraso ha chiesto un commento a Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo

R. – Quanto emerge esprime la volontà del governo nordcoreano di proseguire in questa escalation di test nucleari, di proseguire nel suo braccio di ferro con la comunità internazionale, anche se alcuni mesi fa avevano annunciato di aver realizzato la bomba all’idrogeno e su questo invece ci sono molti dubbi.

D. – Ma quando si dice di una potenza sprigionata quasi pari a quella di Hiroshima, è un dato rilevante?

R. – Direi di no, perché le bombe che sono state realizzate nel corso dei decenni successivi sono bombe decisamente molto forti, però considerati gli effetti che queste due piccole bombe sganciate nel 1945 hanno prodotto, ci rendiamo conto che comunque sono armi di distruzione di massa estremamente pericolose.

D. – Ma si può fare una stima della consistenza dell'arsenale nucleare nordcoreano?

R. – Dunque, qui troviamo le ipotesi più diverse: non si sa esattamente quanti vettori abbiano effettivamente, in grado di portare queste testate: si dice di 10, 26, 48 … in realtà il numero esatto non si ha. Ma sono vettori, missili in grado di minacciare dalla Nord Corea non solo in terra di Russia ma addirittura arrivare in Europa centrale.

D. – Quindi, diciamo che c’è la possibilità di applicare le testate a missili strategici e di lanciare questi missili con un raggio d’azione seriamente preoccupante?

R.- Sì, sicuramente questo c’è. Però, ripeto, le notizie non sono certe. Sappiamo che il regime spesso nel corso degli anni ha fatto affermazioni di tipo più propagandistico che sostanziale. Comunque, anche la stessa minaccia è una minaccia più politica che propriamente militare e strategica: un ipotetico attacco condotto con 10 o 20 testate nucleari non è certo in grado di poter fronteggiare una risposta distruttiva che potrebbe essere di centinaia di testate nucleari.

D. – Seul oggi ha detto: “Guadagnerà così solo più sanzioni e più isolamento e andrà verso l’autodistruzione, se continua con questa accelerazione”. Sanzioni e isolamento, contano o non contano? Perché se il processo di potenziamento comunque va avanti …

R. – Le sanzioni spesso e volentieri vanno a colpire altri settori dell’economia nazionale della Corea del Nord. Devo dire che le sanzioni non hanno avuto effetto sui programmi nucleari degli altri Paesi che sono dotati di queste armi e che sono al di fuori del Trattato di non-proliferazione nucleare. E’ probabile che la prospettiva possa essere quella di tentare un dialogo diretto con gli Stati Uniti proprio per mettersi a tavolino e discutere ipotesi di altro genere.

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Gabon: Jean Ping chiede a Corte Costituzione riconteggio voti

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S'inasprisce la disputa sulla vittoria alle presidenziali in Gabon. Il candidato all'opposizione, Jean Ping, ha presentato una denuncia presso la Corte Costituzionale del Paese per contestare i risultati ufficiali del 27 agosto scorso che hanno visto la vittoria di misura del presidente uscente, Ali Bongo. Ping sostiene di essere lui il vincitore e chiede un nuovo conteggio dei voti. Atteso nei prossimi gironi l’arrivo nella capitale Libreville di una delegazione dell’Unione Africana, in linea con l’appello dei vescovi per un intervento di mediazione che permetta al Paese di uscire quanto prima dalla crisi politica. Cosa ci si può aspettare che accada nelle prossime ore? Lucas Duran lo ha chiesto a Raffaello Zordan, redattore di Nigrizia ed esperto di Africa francofona: 

R. – Il tentativo dell’opposizione sarà quello di provare a tenere il caso Gabon sul piatto della politica internazionale coinvolgendo maggiormente l’Unione Europea, l’Unione Africana e tirando in ballo la stessa Francia. La parola chiave è “ricontiamo i voti”; il problema principale è  questo: è sempre difficile alternarsi al potere quando c’è una dinastia che comanda da 50 anni. Non dimentichiamo che la Francia è un’ex potenza coloniale, ma “ex” per modo di dire: è stata all’interno delle dinamiche di Parigi, c’è una base militare francese a Libreville, quando c’è stato l’attacco terroristico a Charlie Hebdo, Ali Bongo è andato a Parigi partecipando alla manifestazione con Hollande, ci sono interessi di ogni sorta che saranno anche venuti un po’ meno in quel calo del prezzo del petrolio, però insomma fanno sempre parte di questa questione. Noi, già un anno fa circa, scrivevamo un pezzo in cui dicevamo: “Bongo vacilla”; è vacillava perché c’erano problemi di corruzione riconducibili alla famiglia del presidente. Il sito di investigazione Médiapart di Parigi aveva messo in chiaro che il presidente e sua sorella, attraverso una holding, una finanziaria, gestiscono e gestivano un sacco di affari. Queste cose sono sul piatto. La domanda è: il Gabon, con un milione e più di abitanti, con un ruolo regionale non eccessivo, resterà sotto i riflettori? Per quanto? Mi pare che sia un po’ complicato. Non vedo all’interno dell’Unione Africana la capacità - come è successo in altri Paesi - di intervenire, di spingere perché sia fatta chiarezza.

D. - Esiste il rischio effettivo che la Comunità internazionale, maggiormente impegnata su altri scenari geopolitici, sia tentata di trascurare il caso Gabon?

R. - In questo momento non conviene a nessuno che rimanga accesa una miccia. Il problema è questo: chi ha la capacità di giocare questa pratica con Bongo che non è abituato a dialettica, a trattare o a giocare la partita delle urne come va giocata? Quindi credo che alla fine la cosa tenderà a smorzarsi e a questo punto lo strato civile del Paese e i partiti rimasti devono prepararsi a fare una lunga marcia in vista del prossimo appuntamento elettorale, ma nel frattempo devono provare, insieme a chi vuole aiutarli, a destrutturare questo sistema famigliare che ha collocato il ricco Paese alla 112.ma posizione su 170-180 nella classifica che riguarda l’indice dello sviluppo umano. Questo vuol dire che non c’è redistribuzione della ricchezza.

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La scuola riparte il 13 settembre anche per le zone terremotate

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I ragazzi delle zone terremotate non perderanno un giorno di scuola: le lezioni riprenderanno anche qui il 13 settembre. Un segno di speranza per le popolazioni colpite dal sisma. Al microfono di Emanuela Campanile parla Giovanna Boda, responsabile del gruppo di intervento organizzato dal Ministero dell’Istruzione per garantire l’apertura delle scuole nelle 54 frazioni terremotate del Centro Italia: 

R. – Sin da subito i nostri insegnanti, i dirigenti scolastici e tutto il personale scolastico si sono resi disponibili per cercare di ripristinare le attività scolastiche per tempo. Quindi il fatto che il 13 ricominci la scuola anche per le scuole colpite dal sisma è un grande risultato di squadra. Abbiamo il caso di Amatrice, in cui il lavoro instancabile della Protezione Civile ha fatto in modo che i ragazzi dell’Istituto Comprensivo possano entrare nei moduli, che saranno pronti per il 13; abbiamo altre situazioni in cui cominceranno sotto tensostrutture, che la Protezione Civile ha procurato, ma nel giro di 1-2 settimane andranno nei moduli scolastici prefabbricati che si stanno montando a tempo di record. Ricordiamo che sono spesso frutto di donazioni pervenute da tutta Italia e quindi un segno della solidarietà nazionale verso le popolazioni colpite dal sisma. La cosa che rimarrà per sempre in tutti noi è proprio il senso di squadra che si è creato con la Protezione Civile, con il personale degli ambiti territoriali e degli uffici scolastici regionali che lavorano insieme, gomito a gomito. Noi abbiamo un pullmino “Ripartiamo dalla scuola”: e questo è lo slogan che sta girando. Tutto viene fatto sul territorio, senza difficoltà di dislocazione fra il Ministero e i diversi uffici.

D. – Ogni alunno, dall’infanzia alle media, avrà un kit donato dal Miur, con libri, quaderni e tutto ciò che serve…

R. – Tutti i ragazzi che ne hanno bisogno avranno questo kit didattico, avranno i libri di testo. Ricordiamo anche che ci sono scuole in Italia che si sono offerte di ospitare – tramite gemellaggi – i ragazzi delle scuole colpite dal sisma: abbiamo i ragazzi di Amatrice che andranno a Policoro… Stiamo cercando di gemellare le scuole con altre scuole italiane che possano ospitarli e che possano – in qualche modo – dare loro la sensazione che ci sia una grande famiglia che li aspetta in ogni città di Italia. Questa è un’altra iniziativa che si sta facendo grazie all’aiuto di tutti!

D. – Da quando si è trasferita in questa zona, qual è la cosa che non può dimenticare e che deve affrontare quotidianamente?

R. – Sono gli occhi sbarrati dei bambini che incontriamo. In quegli occhi sbarrati c’è tutta una storia, c’è tutto il dolore infinito che hanno vissuto. La speranza cui ci dobbiamo aggrappare è quella di cercare di togliere quello sguardo sbarrato. Ricordiamo anche che abbiamo decine di bimbi che non parlano più dal giorno del terremoto, che non dormono… Quindi il nostro auspicio è semplicemente quello di essere utili, cercando di portarli oltre quello che è successo nelle loro vite. Questo è quello che desideriamo più di ogni altra cosa e che auspichiamo di riuscire a fare nel più breve tempo possibile. Quando arriviamo i bambini ci scrivono le lettere su come vorrebbero vedere ricostruita la loro scuola: queste lettere le conserveremo per sempre! E cerchiamo di farle diventare un impegno quotidiano per ognuno di noi.

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Comune di Roma, Acli: "Preoccupati da instabilità"

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La sindaca di Roma Virginia Raggi è al lavoro per completare la giunta del Campidoglio. Ieri la bocciatura di Raffaele De Dominicis, in predicato di diventare assessore al Bilancio ma poi giudicato senza i requisiti previsti dai Cinque Stelle. Grillo rinnova la sua fiduci alla Raggi, ma molte sono le urgenze della città: dai rifiuti, ai trasporti, all’assistenza alle fasce più povere. Alessandro Guarasci ha sentito la presidente delle Acli di Roma Lidia Borzì

R. – Crediamo fortemente nelle istituzioni che sono state volute dal popolo: quindi questo sindaco e quest’amministrazione sono stati messi lì dal volere di un grande numero di cittadini e quindi abbiamo fiducia. Abbiamo scritto una lettera alla sindaca, abbiamo scritto a tutti gli assessori, ai presidenti di municipio. Nel momento “clou” della crisi della Giunta Marino avevamo scritto un piccolo editoriale, definendo Roma un po’ “su un ottovolante” in quel periodo. La sensazione è che da quest’ottovolante non siamo ancora scesi.

D. – Però le emergenze di questa città rimangono tutte: povertà, emarginazione… Come uscire da queste emergenze?

R. – Sicuramente noi, in campagna elettorale, nel nostro piccolo non abbiamo fatto mancare delle proposte: abbiamo fatto delle proposte sull’anagrafe delle fasce deboli, fragili; abbiamo fatto una proposta rispetto all’albo delle buone pratiche sociali; un’altra rispetto allo scambio tra municipi e all’uso dei locali scolastici per fini sociali. Auspichiamo di essere chiamati, ascoltati, e di far parte di un’organizzazione incentrata sulla sussidiarietà circolare che valorizzi il lavoro delle associazioni, delle istituzioni e delle imprese. Ad oggi – oggettivamente – questo non lo vediamo.

D. – E' passato ancora troppo poco tempo dalle elezioni per affrontare questi temi, secondo lei?

R. – In una situazione normale forse non mi sarei preoccupata, perché il tempo è breve. Vedendo però ogni giorno notizie di instabilità, problemi e situazioni, inizio a preoccuparmi seriamente. Non godiamo se la nostra città, quotidianamente, è alla ribalta dei riflettori solo perché c’è instabilità, ci sono liti e problemi; quando la nostra è la capitale d’Italia. La nostra è una città che ha degli anticorpi sani, però è una città che ha bisogno di essere coordinata; ha bisogno di cabine di regia importanti: è questo che noi chiediamo. E - francamente - non abbiamo ricevuto convocazioni.

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Nasce la Carta di Fondi: Chiesa in prima linea contro l'illegalità

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Un incontro di tre giorni, nel Monastero benedettino olivetano di San Magno a Fondi, ha visto la partecipazione di parroci e vicari episcopali appartenenti o vicini all’associazione Libera di don Luigi Ciotti. “Misericordia e verità s’incontreranno” il tema dell'evento che ha partorito la cosiddetta "Carta di Fondi", una serie d’impegni che vanno dalla lotta pastorale alla criminalità organizzata, all’assistenza a chi ha deciso di pentirsi, alla denuncia di illegalità, ingiustizie e corruzione. Andrea Walton ha chiesto a don Pierluigi Di Piazza, fondatore del Centro di Accoglienza e Promozione Culturale Ernesto Balducci, da dove nasca la necessità della Carta di Fondi: 

R. – La necessità nasce dal percorso che noi cerchiamo, con tutti i limiti ma anche con l’impegno e la coerenza di cui riusciamo ad essere testimoni. Da anni noi ci incontriamo e l’impegno riguarda già quello che stiamo preparando a vari livelli, in modo diverso, nelle nostre comunità. Ma l’impegno soprattutto è quello che riguarda un’economia chiamiamola “di vita” rispetto ad un’economia “di morte”. Perché c’è un’economia che domina nella nostra società e anche nel mondo, che si alimenta con la morte e produce morte. Se si pensa al traffico delle armi, delle droghe, degli esseri umani, alla distruzione dell’ambiente, al gioco che induce tante persone alla dipendenza, si dice: ma che economia è questa? Un’economia di morte, non certo di vita. E allora l’impegno riguarda certo la finanza, che porta morte nel mondo, in questa società; ma poi, di fatto, riguarda anche pratiche di economia diversa, a cominciare dalle nostre comunità cristiane, dal nostro impegno che prende sempre luce, forza, coraggio e sostegno dal Vangelo di Gesù.

D. – Quanto è importante l’azione della Chiesa nella lotta alle mafie, nei territori colpiti da questo fenomeno?

R. – La testimonianza e l’impegno della Chiesa sono fondamentali; perché – purtroppo – sappiamo come nella storia si sia configurato un legame stretto delle mafie e della religione; non dico della fede, ma della religione: cioè un Dio utilizzato anche da chi è dentro, coinvolto in modo diretto oppure parte della “zona grigia”, come si definisce, nell’attuare poi una situazione che porta ad espropriare le persone della propria dignità e libertà. E quindi le comunità cristiane e la Chiesa in quanto tale hanno un compito fondamentale. Certamente la parola e i segni di Papa Francesco rispetto a questo sono straordinariamente eloquenti: è continuo il suo richiamo alla corruzione, che è come il male di fondo su cui poi allineano tutte le situazioni terribili alle quali abbiamo accennato.

D. – Quanto conta la misericordia, uno dei temi centrali del Pontificato di Papa Francesco, e l’aprire le braccia al peccatore, nel processo di conversione dei mafiosi?

R. – La misericordia e la giustizia: questo intreccio, quanto è difficile praticarlo... Quando, pochi giorni fa, ci siamo trovati a Fondi, don Luigi Ciotti ci ricordava un’espressione che disse di aver letto sul diario del giudice Livattino, diario che gli dettero in mano gli stessi genitori del giudice di cui adesso è iniziata la Causa di Beatificazione; questo sarebbe un segno importante. Ci ha ricordato quando il giudice dice che Dio non gli chiederà se è stato “credente”, ma “credibile”; e poi di come era fermissimo nell’attuazione e nell’applicazione della legge, nel mandare in carcere i mafiosi; al tempo stesso poi, in modo molto discreto e nascosto, come aiutava i figli di queste persone che lui stesso aveva, in modo risoluto, processato e mandato in carcere. Mi pareva questo un esempio straordinario di come si possa unire la giustizia e la misericordia.

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Partita per la Pace promossa all'Olimpico da Scholas Occurrentes

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Il prossimo 12 ottobre, allo Stadio Olimpico di Roma, si svolgerà l’evento “Uniti per la Pace”, un grande evento di beneficenza per sostenere i programmi educativi e sociali di Fondazione Scholas Occurrentes. Ce ne parla Davide Dionisi: 

Questa mattina, nella Sala Marconi della Radio Vaticana, si è tenuta la presentazione della partita di calcio promossa da Papa Francesco, alla quale parteciperanno grandi campioni in attività ed altre glorie del calcio internazionale. Le novità di questa edizione nella testimonianza di José María del Corral, presidente della Fondazione Internazionale di Diritto Pontificio Scholas Occurrentes:

"Por un lado …
Da una parte la necessità di fare della ‘cultura dell’incontro’ una esperienza educativa, che è vincente e che il Papa torna sempre a ripetere: la pace si costruisce attraverso l’unità, facendo della ‘cultura dell’incontro’ una realtà. Noi stiamo cominciando ora in Italia questa esperienza che è nata con Papa Bergoglio a Buenos Aires. Abbiamo la gioia di iniziare a farlo con i bambini delle scuole statali e non statali italiane. Questa è la caratteristica principale di questa partita. Inoltre il Papa ci dice che il calcio ci insegna a lavorare in gruppo. Per questo la partita di calcio vedrà protagoniste due istituzioni italiane che ci hanno appoggiato. In questo momento è importante soprattutto per quello che stanno vivendo le vittime del terremoto. Quello che è stato raccolto nel 2014 ha permesso di realizzare i 37 programmi di integrazione nel mondo, che si chiamano ‘Scholas ciudadanía’. Il Papa ci ha inviato un lettera per congratularsi con noi. Ovviamente c'è l’idea non soltanto di realizzare questo progetto in Argentina, ma anche nel resto dei Paesi dell’America Latina, nella speranza poi di arrivare in Europa e in Asia. Pensiamo di espanderci in Europa in cinque anni: noi siamo nati il 13 agosto del 2013 e già stiamo vivendo un’esperienza in Asia, negli Emirati Arabi, con cinque musulmani; e adesso lo possiamo anche vivere in Spagna, a Madrid e a Barcellona”.

Tra i calciatori che hanno aderito, Manuel Iturbe della Roma, che in più occasioni è stato protagonista di iniziative di beneficenza legate al mondo del calcio:

“Queste partite sono per noi una cosa bellissima. Tutti i giocatori vogliono stare qui. Io ero presente anche due anni fa, insieme a dei veri campioni: erano tutti contenti di fare questa cosa. Penso che qualsiasi giocatore sarà felice di stare qui e partecipare a questa cosa bella che fa il Vaticano”.

Lo sport è un potente strumento che avvicina i giovani ai valori fondamentali quali la pace e la solidarietà, Ne è convinto mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontifica Accademia delle Scienze:

“E’ di una importanza decisiva, perché cerca di arrivare al 50 per cento dei giovani dell’umanità che non hanno alcuna educazione. Naturalmente una iniziativa che mette insieme lo sport e la bellezza è capace di risvegliare in tutti questi giovani l’importanza dell’educazione. Si sta lavorando da tre anni: abbiamo cominciato con un incontro per la pace, un incontro sportivo, gratuito. E praticamente poi tutti gli anni si è continuato a fare. Loro stanno lavorando molto e particolarmente il presidente José María del Corral sta lavorando molto e sta girando tutto il mondo per questo”.

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Festival Venezia. Viganò consegna premio Bresson a Konchalovsky

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"I grandi artisti amano le creature umane e tentano di capire nelle loro opere le ragioni di questo amore". Sono le parole con cui Andrei Konchalovsky ha preso tra le mani il Premio Robert Bresson che gli è stato consegnato questa mattina alla Mostra del Cinema di Venezia da mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. Il servizio di Luca Pellegrini

Alla Mostra del Cinema di Venezia, Konchalovsky è in concorso con un film, "Paradise - Paradiso", che racconta l'Olocausto dalla prospettiva di tre soli personaggi: un tedesco nazista, un francese collaborazionista e una nobile russa vittima della storia. Ha sorpreso ancora una volta il rigore morale e stilistico del grande regista russo, che oggi ha ricevuto il Premio Robert Bresson alla presenza di don Davide Milani, presidente dell'Ente dello Spettacolo. Konchalovsky si è detto onorato di un riconoscimento che lo lega a Bresson. Ha ricordato quello che per lui è l'impegno più difficile di un regista di cinema: "Far vedere ciò che sta dietro la superficie delle immagini, il mondo fisico, andando a percepire, mostrare, accarezzare la sostanza spirituale. Questo e ciò che Bresson ha fatto durante tutta la sua vita - ha concluso il Maestro russo - e in tutti i suoi film. Quindi non posso che sentirmi onorato perché qualcuno mi riconosca come suo seguace”. Il Premio gli è stato consegnato da mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. Nel suo discorso, ha messo in relazione la cinematografia di Konchalovsky a una frase di Papa Francesco durante il suo viaggio a Cuba lo scorso anno: "Nell'obiettività della vita deve entrare la capacità di sognare". Gli abbiamo chiesto i motivi di questa citazione:

R. – Il Maestro Konchalovsky ha vissuto anche lui un itinerario da Mosca, da un sistema in qualche modo paragonabile a quello di Cuba dal punto di vista delle scelte politiche ed economiche, e poi è andato in America è poi è tornato in Russia. E quindi, perché ha lasciato Mosca, in cui ha iniziato a fare il maestro del cinema, entrando dalla porta principale insieme al Maestro Tarkowski? Perché non aveva libertà, subiva grandi pressioni e quindi cercava di raccontare ciò che emergeva come sogno utopico dal cuore rispetto alle vicende dell’umano. E’ andato in America: forse un’illusione, perché in America poteva avere certamente la possibilità di raccontare ciò che desiderava, ma anche lì tutto ciò doveva essere sottoposto a una legge economica, cioè quanto questo progetto avrebbe potuto produrre. E i sogni non producono: i sogni affascinano, ammaliano, segnano delle strade per intraprendere dei percorsi di comprensione della vita. Ecco che allora torna nella Russia della Perestrojka, della glasnost e lì, finalmente, può raccontare – forse è anche la maturità del Maestro – un cinema come spesso detto, davvero segnato dalla presenza di Bresson, dove il cinema non è semplicemente un catturare delle immagini, ma mostrare attraverso le immagini il cuore, la passione, l’anima di ciò che avviene davanti alla macchina da presa, cioè appunto quell’invisibile che è la forza di un uomo, di una donna, di una società che sanno sognare.

D. – Da presidente dell’Ente dello Spettacolo, lei ha vissuto molto la presenza dell’Ente e quindi in qualche modo della Chiesa e della Santa Sede qui a Venezia, alla Mostra del Cinema. Rispetto a tutto quella che è stata la sua storia legata all’Ente dello Spettacolo e alla presenza della Chiesa qui, alla Mostra del Cinema di Venezia, quali valutazioni può trarre oggi come prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede?

R. – Credo che sia un’esperienza molto importante, molto positiva perché la Chiesa è là dove c’è l’uomo e noi non possiamo abdicare a una presenza responsabile, capace di parole, di accoglienza, di amicizia in un mondo così importante come quello del cinema e in particolare del cinema di Venezia. Qui abbiamo uomini e donne che provengono da tutto il mondo, che raccontano, fanno parte dell’industria dell’intrattenimento, sono i soggetti che in qualche modo segnano i percorsi interpretativi di generazioni e generazioni … Quindi per noi è molto importante essere presenti, senza arroganza, con la vicinanza accogliente, con la parola dell’amicizia e questo credo sia davvero un’esperienza tipica di una Chiesa che sa uscire da sé e sa essere capace di evangelizzazione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiese Medio Oriente: no estremismi, riconoscere contributo cristiano

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Le Chiese e le comunità cristiane del Medio Oriente apprezzano e seguono con ottimismo le iniziative di istituzioni e leader musulmani della regione “che si sono impegnati nel rifiuto dell'estremismo e della violenza, hanno affermato il rispetto della diversità e hanno riconosciuto il ruolo della componente cristiana come fattore originale e fondamentale della civiltà araba e dell'intera regione, invocando che tale fattore sia preservato”. Così i capi ed i rappresentanti di tutte le Chiese e le comunità ecclesiali riuniti ad Amman, nella loro XI Assemblea, hanno voluto rendere omaggio ai rappresentanti di comunità e istituzioni islamiche che, di fronte alle travagliate vicende in atto nell'area mediorientale, hanno riconosciuto la presenza cristiana in Medio Oriente come fattore autoctono e componente ineliminabile delle società mediorientali.

Occorre collaborazione e condivisione
Il sentimento di gratitudine è stato espresso nel messaggio diffuso al termine della XI Assemblea del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, conclusasi giovedì 8 settembre ad Amman. “L'Assemblea - si legge nel documento, riportato dall'agenzia Fides - si augura che tali atteggiamenti espressi da istituzioni e rappresentanti musulmani" si traducano in misure concrete, per passare ad un nuovo modello di collaborazione e condivisione. Il documento riflette anche considerazioni e criteri condivisi dalle Chiese cristiane per affrontare i problemi e i drammi che segnano l'attualità mediorientale.

Fermare il conflitto in Siria
Tra questi, si esprime l'intenzione di costituire una delegazione incaricata di girare i Paesi del Medio Oriente per incontrare autorità civili e religiose, compresi i leader delle grandi istituzioni islamiche come l'Università sunnita di Al Azhar e quella sciita di Qom, per cercare insieme soluzioni atte a favorire la continuità della presenza cristiana nella regione. I Capi delle Chiese e delle comunità cristiane invitano, inoltre, la comunità internazionale a intervenire per fermare il conflitto siriano, astenendosi “dal fornire armi a gruppi terroristici” e perseguendo una soluzione pacifica della crisi siriana che non metta a rischio “l'unità della Siria” e la convivenza delle diverse componenti etniche e religiose in seno alla società civile.

Sostenere gli sfollati, aiutare il popolo palestinese e l’isola di Cipro
Il documento richiama, poi, la responsabilità dei Paesi arabi e della comunità internazionale all'accoglienza e al sostegno agli sfollati, sul modello di quanto fanno le Chiese e gli organismi ecclesiali, mettendo in conto anche il futuro appoggio da fornire al “ritorno” dei rifugiati alle proprie terre natali, “al più presto possibile”. Si ribadisce inoltre il sostegno alla causa del popolo palestinese e al suo diritto ad avere uno Stato, chiedendo di porre fine alla situazione anomala vissuta dall'isola di Cipro, ripristinando l'unità del territorio e garantendo i diritti di tutti i suoi cittadini.

Ringraziamenti alla Giordania e all’Egitto
Infine, il messaggio conclusivo esprime ringraziamenti al Regno Hashemito di Giordania, che ha ospitato i lavori, e del quale viene riaffermato il ruolo di custode dei Luoghi Santi anche cristiani in Terra Santa. Vengono ringraziate poi le autorità egiziane, per aver emanato la nuova legge sulla costruzione e ristrutturazione dei luoghi di culto cristiani.

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Emergenza rifiuti in Libano. Patriarca Raï: serve educazione ambientale

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Emergenza rifiuti in Libano dove, a partire dalla capitale Beirut, il problema dello smaltimento della spazzatura continua da più di un anno, contribuendo a far crescere il malcontento popolare già alimentato dall'instabilità politica e istituzionale del Paese. Per questo, il segretariato nazionale delle scuole cattoliche ha deciso di puntare i riflettori sull'educazione ambientale, dedicando al tema un convegno svoltosi in questi giorni a Beirut ed offerto come occasione di orientamento in vista dell’inizio dell'anno scolastico.

Patriarca Raï: occorre una vera ecologia integrale
La conferenza – riferisce l’agenzia Fides - è stata aperta da un intervento del Patriarca maronita Boutros Bechara Raï, che ha individuato come punto di riferimento della riflessione comune l'Enciclica Laudato si "sulla cura della casa comune” di Papa Francesco. Si tratta di un testo, ha detto il Patriarca, che “esprime lo sguardo biblico sulla creazione, leggendo anche l'emergenza ambientale come un effetto della pretesa di mettere l'uomo al posto di Dio”. Il card. Raï ha ribadito anche la necessità di una vera “ecologia integrale” sottolineando che la questione dell’emergenza ambientale non può essere separata da una riflessione critica globale sui sistemi di sviluppo e sulla loro sostenibilità, legati inevitabilmente anche alle scelte della politica e dell'economia.

Cambiare il nostro approccio al consumo
Dal Patriarca anche il monito ad affrontare le emergenze ambientali attraverso un cambiamento dei comportamenti collettivi, in particolare riguardo all'approccio al consumo. E a questo livello – ha concluso il card. Raï - anche le scuole cattoliche sono chiamate ad offrire un contributo importante, contribuendo a far crescere tra gli studenti una "spiritualità ecologica" che tenga sempre presenti le ricadute sociali di comportamenti che provocano danni all'ambiente.

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Vescovi svizzeri: no al divieto del burqa, tutelare libertà religiosa

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“La libertà di religione, garantita in Svizzera, autorizza l’uso di indumenti e simboli religiosi nello spazio pubblico”: scrivono così i presuli elvetici nel comunicato conclusivo della 313.ma Assemblea ordinaria, svoltasi il 5 e 6 settembre a Fischingen. Nel documento, la locale Conferenza episcopale (Ces) fa riferimento alla recente proposta di vietare, nel Paese, il burqa ed altri indumenti simili.

Raccolta firme contro il burqa, segno di insicurezza
Una proposta per la quale si stanno raccogliendo le firme mirate a far registrare, nella Costituzione federale, il divieto di nascondere il volto in pubblico. Ma questo è “un segno di insicurezza da valutare seriamente”, commenta la Ces, aggiungendo però che “l’abbigliamento non dovrebbe comunque ostacolare la possibilità di essere riconosciuti in qualsiasi momento, al fine di garantire la sicurezza pubblica e la coesistenza pacifica” nel Paese.

La misericordia nelle religioni monoteistiche
Annunciata, inoltre, la  pubblicazione di un opuscolo informativo sul tema della Misericordia nelle tre religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo e islam). Il documento, che sarà redatto dal Gruppo di lavoro sull’islam, dovrebbe uscire nei prossimi mesi, a conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia. Infine, per il 9 marzo 2017 a Berna è stato programmato un seminario sulla recezione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”.

Incontro con le Chiese protestanti
Conclusa l’Assemblea episcopale, il 6 e 7 settembre, sempre a Fischingen, la Ces ha incontrato i membri del Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti svizzere (Feps); al centro dei lavori, “uno scambio amichevole ed un dialogo teologico ed ecumenico approfondito”. In particolare, sottolinea la nota conclusiva dell’incontro, è stato esaminato lo studio internazionale ecumenico intitolato “La Chiesa: verso una visione comune” e condotto dal Consiglio mondiale delle Chiese, in collaborazione con la Chiesa cattolica.

Superare le divisioni
“Riflettere insieme - ha spiegato Gottfried Locher, presidente della Feps - ha permesso di renderci conto, ancora una volta, che dobbiamo superare le nostre divisioni, se vogliamo compiere la missione che Dio ci affida”. Di qui, l’invito a concentrarsi sulle “sfide comuni nella trasmissione della fede cristiana”. Dal suo canto, mons. Charles Morerod, presidente della Ces, ha osservato: “Ricordiamoci che la nostra missione non è solo quella di  organizzare al meglio il mondo, ma di accogliere la presenza di Dio e l'ascolto della sua Parola”.

Iniziative per il 500.mo anniversario della Riforma
L’incontro congiunto ha permesso anche l’esame di due progetti ecumenici in preparazione al 500.mo anniversario della Riforma, che ricorrerà nel 2017: si tratta di una celebrazione ecumenica in programma a Zugo il 1.mo aprile del prossimo anno e dell’allestimento di un padiglione congiunto delle Chiese svizzere alla Mostra mondiale sulla Riforma in programma a Wittenberg, in Germania, dal 20 maggio al 10 settembre 2017. Da ricordare che quello dei giorni scorsi è stato il terzo incontro comune tra Ces e Feps. Il primo si era svolto nel 2001, il secondo nel 2008. (I.P.)

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Myanmar. Vescovo di Myitkyina: speranze di pace nel Paese

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Speranze di pace e di riconciliazione in Myanmar: è quanto esprime mons. Francis Daw Tang, vescovo di Myitkyina, nel Nord del Paese, a pochi giorni dalla conclusione della conferenza di Panglong, dedicata al tema dell’unità nazionale, in particolare nei confronti delle minoranze etniche.

Conferenza di Panglong, occasione preziosa per tutto il Paese
“La questione dell’inclusione delle minoranze etniche nella nazione dura da almeno 60 anni – afferma il presule, citato dall’agenzia Fides – Negli ultimi decenni ci sono stati molti ostacoli e fraintendimenti, ma ora si è riattivato un processo di dialogo con l’obiettivo della riconciliazione nazionale e questa è già una buona notizia. Si tratta di un’occasione preziosa per l’intera nazione”.

Stabilire pace duratura e garantire diritti alle minoranze etniche
La conferenza di Panglong non si è conclusa, come auspicato, con un cessate-il-fuoco, ed ora “sembra che ci vorranno sei mesi per stabilire i prossimi passi ed elaborare una road map”, nota ancora mons. Tang. Ma è essenziale, spiega, “assicurare che, nel frattempo, i militari non lancino offensive nelle aree di conflitto. Per questo, il governo dovrebbe garantire che essi non compiano abusi e rispettino la dignità di tutti”. Dal suo canto, la Chiesa auspica che si riesca a “fermare il conflitto, stabilire una pace duratura e garantire uguali diritti alle minoranze etniche, nel quadro di un sistema federale”.

L’impegno della Caritas locale
Guardando poi alla propria diocesi di Myitkyina, mons. Tang sottolinea che “ci sono ancora oltre 8 mila sfollati che non possono rientrare nei loro villaggi. La Caritas li assiste, ma stiamo predisponendo anche la possibilità di coltivare la terra, così che essi stessi possano contribuire al loro sostentamento”. “Giunga la pace al più presto possibile – è l’accorato appello del presule - per il bene di tutti”.

In Myanmar, oltre 135 etnie
Da ricordare che il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. La conferenza di Panglong è stata la prima da quella del 12 febbraio 1947, che fu firmata da quattro gruppi etnici: Bamar, Chin, Kachin e Shan. Ai lavori, prese parte il generale Aung San, allora capo del governo e padre dell’attuale leader della Nld, Aung San Suu Kyi. Il generale fu assassinato pochi mesi dopo, lasciando un clima di incertezza ed instabilità in tutto il Paese. (I.P.)

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Vescovi Nigeria: fermare le violenze dei pastori erranti

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Un appello a fermare le violenze perpetrate dai pastori erranti nel Nord della Nigeria: a lanciarlo sono i vescovi della Provincia ecclesiastica di Kaduna in una loro lettera pastorale riportata dall’agenzia Fides. “Dobbiamo abbandonare la vecchia pratica dei pastori che si muovono con le loro mandrie attraverso il Paese, vista la violenza che questa pratica scatena sulla nostra gente” si legge nel documento.  

No alla creazione di riserve
Lo spostamento dei pastori, in gran parte di etnia Fulani, è infatti spesso accompagnato da assalti alle popolazione stanziali. L’ultimo risale a ieri, 8 settembre, nell’area di Golkofa, nello Stato di Kaduna, dove sono morte due persone. Il Parlamento federale sta approvando la creazione di una riserva a favore di tali pastori in tutti gli Stati della Nigeria, ma la Conferenza episcopale locale ha criticato questa proposta, suggerendo invece la creazione di apposite aree di pascolo.

In gioco, il futuro e l’ambiente di tutto il Paese
“Intere comunità sono state distrutte e la rabbia è palpabile”, affermano ora i vescovi della Provincia di Kaduna. “Per arrestare la deriva violenta dei pastori e dei loro animali - si legge nel documento - siamo convinti che l’unica via percorribile da parte del governo sia quella di esplorare la possibilità di creare dei ranch”. “Il dibattito sui pastori – aggiunge l’arcivescovo di Kaduna, mons. Matthew Manoso Ndagoso - è un dibattito sul futuro della nostra sopravvivenza umana, sull'ambiente e sul nostro Paese”.

Appello alla salvaguardia del Creato
I vescovi nigeriani lanciano infine un appello per la salvaguardia del Creato, schiacciato dall’incuria e dal degrado messi in atto dall’uomo. “Abbiamo bisogno di estendere i valori del Vangelo della misericordia alla terra stessa - conclude la missiva - È necessario che ci guardiamo indietro, riflettiamo sugli errori commessi e su come, inavvertitamente, siamo stati crudeli con l'ambiente”. Di qui l’invito dei presuli, ad esempio, a “piantare più alberi” e ad adottare, consapevolmente, misure adeguate per rispettare “nostra madre terra”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 253

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.