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Sommario del 10/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: no a false illusioni, solo Dio dona la vera libertà

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Solo Dio ci dà la vera libertà, non le false illusioni del mondo. E’ quanto affermato da Francesco nell’udienza giubilare in Piazza San Pietro, davanti ad oltre 30 mila fedeli. Il Papa ha rammentato che, anche nelle angustie e persecuzioni, sempre possiamo trovare la mano misericordiosa del Signore che ci libera e salva. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un pensiero speciale per la Protezione Civile impegnata a dare sostegno ai terremotati. Il servizio di Alessandro Gisotti

Misericordia e Redenzione. E’ il binomio su cui Francesco ha incentrato la sua catechesi nell’udienza giubilare, in una Piazza San Pietro gremita di fedeli e in un clima particolarmente festoso. Il Papa ha subito sottolineato che oggi sembra che l’uomo “non ami più pensare di essere liberato e salvato da un intervento di Dio”.

No a illusioni come la droga che rendono schiavi in nome della libertà
L’uomo, ha proseguito, “si illude infatti della propria libertà come forza per ottenere tutto”. E, ha soggiunto con rammarico, “si vanta anche di questo”. In realtà, è stato il suo monito, oggi tante illusioni “vengono vendute sotto il pretesto della libertà” e anzi tante “nuove schiavitù si creano ai nostri giorni in nome di una falsa libertà”:

“Tanti, tanti schiavi … ‘Io faccio questo perché voglio farlo, io prendo la droga perché mi piace, sono libero, io faccio quell’altro … ‘Sono schiavi! Diventano schiavi in nome della libertà. Tutti noi abbiamo visto persone del genere che alla fine finiscono per terra. Abbiamo bisogno che Dio ci liberi da ogni forma di indifferenza, di egoismo e di autosufficienza”.

Francesco rileva dunque che il Signore ci redime, si sacrifica per noi donandoci una nuova vita fatta di “perdono, di amore e di gioia”.

Anche nelle angustie, la mano misericordiosa di Dio ci solleva sempre
Certo, ha osservato, ci sono momenti in cui siamo messi alla prova e soffriamo per questo ma è proprio in quel momento che siamo “invitati a puntare lo sguardo su Gesù crocifisso che soffre per noi e con noi, come prova certa che Dio non ci abbandona”:

“Non dimentichiamo mai, comunque, che nelle angustie e nelle persecuzioni, come nei dolori quotidiani siamo sempre liberati dalla mano misericordiosa di Dio che ci solleva a sé e ci conduce a una vita nuova”.

Dio ha una grande tenerezza per i più piccoli e gli scartati
L’amore di Dio, ha ribadito, è “sconfinato” e possiamo “scoprire segni sempre nuovi che indicano la sua attenzione nei nostri confronti”. Tutta la nostra vita, ha detto “pur segnata dalla fragilità del peccato, è posta sotto lo sguardo di Dio che ci ama”. E mostra tutta la sua vicinanza e tenerezza soprattutto a chi è più bisognoso:

“Dio ha una grande  tenerezza, un grande amore per i piccoli, per i più deboli, per gli scartati della società. Più noi siamo nel bisogno, più il suo sguardo su di noi si riempie di misericordia. Egli prova una compassione pietosa nei nostri riguardi perché conosce le nostre debolezze. Conosce i nostri peccati e ci perdona; perdona sempre! È tanto buono, è tanto buono il nostro Padre”.

Grazie alla Protezione Civile per il continuo impegno per i terremotati
Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un “saluto speciale” ai giovani dell’Azione Cattolica riuniti per il Festival dei ragazzi e i partecipanti al Giubileo delle Università. Quindi, un pensiero speciale per i volontari della Protezione Civile:

“Il mio pensiero va anzitutto al Servizio Nazionale della Protezione Civile che oggi doveva essere presente, e che ha annullato la partecipazione per continuare la preziosa opera di soccorso e assistenza alle popolazioni colpite dal terremoto il 24 agosto scorso. Li ringrazio per la dedizione e il generoso aiuto offerto in questi giorni!".

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Il Papa ai docenti universitari: fate fruttificare i talenti

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“Un insegnamento ricco di valori, per formare persone che sappiano far fruttificare i talenti che Dio ha loro affidato”. Con queste parole, Papa Francesco all’udienza giubilare ha salutato i partecipanti al Giubileo delle Università e dei Centri di ricerca, iniziato lo scorso giovedì e concluso oggi a Roma. All’incontro, promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica in collaborazione con l'Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria, hanno partecipato oltre 1500 tra  docenti provenienti da circa 60 Paesi nel mondo. Tra gli eventi di queste giornate anche il XIII Simposio internazionale dei docenti Universitari. Il servizio di Marina Tomarro

Un impegno ad orientare i modelli educativi verso una progressiva integrazione fra le esigenze della società e la capacità delle università di elaborare soluzioni capaci di armonizzare le necessità economiche e l’ampiezza di carico del pianeta. Con questo obiettivo si è concluso il Giubileo delle Università e dei Centri di ricerca. Ascoltiamo il commento di Maria Chiara Malaguti, docente all’Università Cattolica di Roma:

R. – Problemi di immigrazione, ambiente, benessere umano … Tutti i problemi fondamentali dell’umanità sono stati sviscerati. Quindi sono emerse le difficoltà e il desiderio di creare parametri di conoscenza diversi per aiutare veramente l’uomo. Abbiamo visto i problemi e abbiamo provato ad ipotizzare nuove soluzioni per uno sviluppo che sia effettivamente vero.

D. – Quanto è stato importante questo incontro tra docenti universitari provenienti da tutto il mondo?

R. – È stato interessantissimo per varie ragioni. Prima di tutto il confronto culturale è sempre interessante. Comunque, il solo fatto che ci siano persone che vengono da posti diversi già ti arricchisce. Qui è stato molto più di questo, perché hanno portato tesi, dottrine, filoni di pensiero che anche noi non conosciamo, quindi realtà che magari non vengono tradotte. Quindi prima di tutto ci hanno messo a confronto con elaborazioni teoriche che non conoscevamo e poi si sono confrontante anche persone con provenienze e opinioni molto diverse.

D. – Il simposio si è concluso con la presentazione dell’ Instrumentum Laboris Carta di Roma. Di cosa si tratta?

R. – La Carta di Roma è un documento di lavoro quindi per ora da parte nostra è stata solo una proposta di quello che vogliamo e speriamo diventi, cioè una specie di piccolo manifesto dove gli universitari di buona volontà cercano di mettersi d’accordo su alcune linee guida. C’è soprattutto una definizione di terza missione dell’università che dice: l’università deve aiutare a costruire il presente e il futuro. Quindi è una proposta di cosa il mondo degli studiosi è in grado di fare per contribuire al nuovo mondo per una rinascita ed una soluzione dei problemi.

Ieri pomeriggio i docenti hanno attraversato la Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano e partecipato alla celebrazione giubilare presieduta dal cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Ascoltiamo il suo commento:

R. – La missione di chi insegna, di chi informa, è un servizio che deve essere fatto proprio nel segno della carità e quindi della misericordia, capovolgendo un po’ la mentalità mondana secondo la quale coloro che sanno di più hanno una sorta di privilegio, di dominio. Al contrario, lo stile evangelico deve essere praticato nella misericordia; chi più ha deve dare di più e mettersi al servizio degli altri in modo da condividere tutto un sapere che non è solo una conoscenza della verità ma che diventa anche un’esigenza etica. Quindi la verità diventa bene, diventa opera di carità.

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Ucraina: il saluto del Papa alla Chiesa cattolica di rito latino

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La Chiesa cattolica ucraina di rito latino festeggia i 25 anni della ricostituzione delle sue strutture, con le nomine episcopali decise da Giovanni Paolo II nel 1991. Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato emerito, ha presieduto stamane la Messa nella Cattedrale latina di Leopoli, portando il saluto di Papa Francesco. Ha concelebrato l’arcivescovo latino di Leopoli, mons. Mieczysław Mokrzyck. Il cardinale Bertone, ricordando il motto di questa città, "Leopoli sempre fedele", ha parlato degli eroi della fede che durante le persecuzioni sono rimasti fedeli alla roccia che è Cristo e al suo Vicario e hanno perseverato nella carità gli uni verso gli altri. Su questo anniversario ascoltiamo il nunzio apostolico in Ucraina, mons. Claudio Gugerotti, al microfono di Costantino Chavaga: 

R. – Per la Chiesa universale è stata un’esperienza di grande commozione e di grande fede. Di grande commozione, perché è riemersa una realtà poco conosciuta, che era rimasta per tanto tempo in una situazione di congelamento e molto spesso con grandi sofferenze. La seconda cosa è che questo rinnovo delle strutture della Chiesa latina si accompagnava al rinnovo delle strutture della Chiesa greco-cattolica, che ancora meno era conosciuta a causa della situazione di clandestinità completa. Tutto questo poi per il mondo aveva un nome: San Giovanni Paolo II. È lui che ha assolutamente voluto ridare il più presto possibile alla Chiesa in Ucraina tutte le sue strutture giuridiche. Anche perché il legame che lo univa all’Ucraina era molto forte: lui sentiva una grande attrazione per questo Paese e un grande affetto, come ha dimostrato durante un suo viaggio in questo Paese in un momento molto difficile.

D. – Che posto occupa la Chiesa cattolica nella società ucraina?

R. – Un posto particolarmente importante. Perché è speranza per tante persone che sono alla ricerca del significato della vita. E dopo i recenti avvenimenti – la rivoluzione arancione, Maidan – questo interrogarsi sul senso della vita è diventato sempre più frequente. E la Chiesa cattolica si sente una grande responsabilità in questo momento per poter raggiungere le persone che cercano e cercare di rispondere alle loro domande.

D. – Che futuro vede per la Chiesa cattolica in Ucraina?

R. – Sta nelle mani di Dio. E’ difficile poterlo immaginare. Quello che è sicuro è che la sorte della Chiesa cattolica in Ucraina dipende dalla sorte dell’Ucraina. Quindi, se ci sarà la pace, ci sarà la pace anche tra le confessioni religiose. E se ci sarà la pace tra le confessioni religiose, ci sarà una sempre maggiore possibilità di testimoniare più coerentemente il Vangelo di Gesù. Dipende anche da noi questo futuro; perché se le nostre strutture ecclesiastiche avranno la forza e il coraggio di andare incontro alle persone che cercano, invece di aspettarle, sarà sempre più forte l’impatto della Chiesa sulla popolazione ucraina. Certamente, la Chiesa cattolica oggi è una grande forza che cerca la pace. E questa è la volontà di Papa Francesco per la Chiesa ucraina: che sia un ponte, uno strumento di pace anche laddove le persone pensano che non ci sia più possibilità di dialogare.

D. – E' presente a Leopoli il cardinale Tarcisio Bertone: come considera questa sua partecipazione?

R. – La presenza di un cardinale come il cardinale Bertone certamente ha un significato di grande profondità e anche di grande simbolismo; tanto più che avviene a pochi mesi di distanza dalla visita del suo successore: il cardinale Parolin. Questo mostra quanto la Santa Sede è attenta, preoccupata, ma anche solidale con l’Ucraina.

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Lettera del Papa per i 25 anni di episcopato di mons. Nosiglia

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Papa Francesco ha indirizzato una Lettera a mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, per i 25 anni di ordinazione episcopale che ricorreranno il prossimo 14 settembre, nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Il Papa esprime la propria gratitudine per il servizio fin qui svolto dal presule, ricordando i principali momenti del suo apostolato: vescovo ausiliare di Roma, vicegerente di Roma, presidente del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica, presidente dell’Istituto Internazionale dell’Educazione Cattolica, delegato del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa per la Catechesi e l’Università, presidente della Commissione Cei per l’Istruzione Cattolica, vescovo di Vicenza e poi di Torino.

“Nell’esercizio dei compiti di Pastore, Maestro e Padre - scrive Francesco - ti sei impegnato e ti impegni perché i fedeli a te affidati siano solleciti nella carità, lieti nella speranza e fondati in una fede solida, inoltre assidui alla mensa del Pane eucaristico e del Verbo divino, ‘per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte’ (Gaudium et spes, 38), sempre memori dei fratelli che sono nel bisogno”.

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Beatificazione di don Bukowiński, testimone nei gulag sovietici

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Questa domenica viene beatificato a Karaganda, in Kazakhstan, don Ladislao Bukowiński, evangelizzatore dell’Est europeo: ha trascorso oltre 10 anni nei gulag sovietici annunciando e testimoniando il Vangelo al fianco dei condannati ai lavori forzati. San Giovanni Paolo II, dopo averlo incontrato, lo definì testimone eroico della fede e difensore di tutti i perseguitati. Alla celebrazione, in rappresentanza del Santo Padre, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Di questo infaticabile apostolo del Vangelo ci parla Roberta Barbi: 

Era nato in quella che allora, nel 1904, era la Polonia orientale e oggi è Ucraina, ma dovette fuggire a causa dell’invasione bolscevica. Il futuro don Ladislao Antonio Bukowiński studiò Scienze politiche e poi Teologia a Cracovia, imparando da una lunga malattia personale che la sofferenza poteva essere un modo per approfondire la sua fede. Dopo l’ordinazione nel 1931, negli anni della Seconda Guerra Mondiale proprio ai malati e ai bisognosi dedicò il proprio ministero pastorale che non gli risparmiò numerose sofferenze, come racconta il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato:

“Fu accusato, imprigionato e inviato più volte ai lavori forzati e qui trascorse più di 13 anni in campi di lavoro. In un tempo di persecuzioni religiose fatte di sofferenze fisiche e morali, don Bukowiński trovava il suo porto sicuro nella fede in Dio e nella sua Provvidenza. La sua era una fede veramente profonda, solida e incrollabile come quella di Abramo”.

Il lager divenne il pulpito da cui educava all’amore di Dio e alla riconciliazione con il prossimo, perché anche nell’esperienza più umiliante per l’essere umano, non dimenticò mai la propria missione di sacerdote. La mattina presto, mentre gli altri dormivano, celebrava la Messa sulla panca dove dormiva, usando come paramenti sacri i pochi stracci della sua prigionia. Dopo le dieci ore di lavoro, poi, visitava i malati in infermeria, impartiva i Sacramenti, teneva conferenze spirituali. E poi pregava, pregava molto la Madonna – aveva una statuina sempre con sé – con un rosario i cui grani erano palline di pane tenute insieme con lo spago e la croce un’intersezione di fil di ferro. Intonava inni, nonostante i divieti.

Un giorno un giudice ateo lo colse sul fatto: “Cosa fate là?”. “Sto pregando”, rispose. “Ma è proibito!”, urlò l’altro. “Si calmi – replicò don Bukowiński – in futuro pregherò in modo che lei non se ne accorga”. Questo episodio gli fece comprendere che la Provvidenza agisce talvolta anche attraverso gli atei: per questo, e per rendere vivo quello che ripeteva spesso, che “la fede spezza i muri”, quando fu deportato in Kazakhstan al termine della prigionia e nel 1955 gli fu offerto di tornare in patria, egli rifiutò, come spiega il porporato:

“Rifiutò perché voleva restare in Kazakhstan per soccorrere e confortare i fedeli del posto. In mezzo a un popolo umiliato e oppresso, egli fu l’uomo della speranza. Era convinto della rinascita della Chiesa in Oriente e soprattutto del ritorno a Cristo della Russia”.

A Karaganda, dove ormai risiedeva, aveva ricevuto la cittadinanza russa e viveva del suo lavoro di guardiano di un cantiere edile, ma proseguendo sempre il suo apostolato nascosto. Un giorno, mentre stava celebrando la Messa, arrivò la milizia sovietica e gli fu ordinato di smettere. Usciti i soldati, disse ai fedeli: “Chi vuole uscire esca, ma io celebrerò”. Nessuno andò via: se lui non aveva timore, nessuno ne aveva; era il suo esempio, quell’insegnamento che ancora oggi don Bukowiński sa lasciare all’uomo di oggi, come ricorda il cardinale Amato:  

“La mia felicità – disse lui un giorno – sta nella felicità degli altri. Don Bukowiński ci lascia un messaggio di gioia, di fraternità e di speranza. Insomma, i Santi invitano sempre alla serenità e alla fiducia nella Divina Provvidenza. Come diceva San Paolo: chi ci può separare dall’amore di Cristo? Niente!”.

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Tweet Papa: la misericordia rende il mondo più umano

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"La misericordia può contribuire realmente all’edificazione di un mondo più umano". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Vera libertà e nuove schiavitù: all’udienza giubilare il Papa ricorda che l’autentica salvezza viene da Dio.

Libri ebraici in monastero - Adam Smulevich sulla mostra sul recupero di antichi manoscritti e stampati danneggiati durante l’alluvione di Firenze.

L’onore di ogni essere umano - Cristiana Dobner sul libro di Reimund Schnabel "Il disonore dell'uomo".

Il segno più convincente - intervento del card. Kurt Koch al convegno di spiritualità ortodossa su martirio e comunione.

Adelio Dell’Oro - Apostolo nei lager. A Karaganda la Beatificazione di Władysław Bukowiński.

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Oggi in Primo Piano



Accordo tra Stati Uniti e Russia per tregua in Siria

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In Siria si scorge  finalmente un possibile, atteso punto di svolta: Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un accordo per una tregua che, nel martoriato Paese mediorientale, scatterà  al tramonto di lunedì prossimo, giorno in cui si celebra la festa musulmana di Eid al Adha. L’annuncio è stato dato a Ginevra al termine di una maratona negoziale di oltre 13 ore tra il Segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il primo scopo dell’intesa è la cessazione dei combattimenti, a partire da lunedì prossimo, per arrivare in futuro alla conclusione della guerra civile, che dal 2011 ha provocato più di 290 mila morti. Per favorire questo percorso che fa leva su una tregua immediata per avviare in seguito un processo di transizione politica e garantire la pace attraverso la via dei negoziati, è anche prevista una collaborazione militare e di intelligence tra Mosca e Washington. Il piano poggia, in gran parte, sulla capacità di persuasione che Stati Uniti e Russia potranno esercitare sui loro alleati. Mosca dovrà assicurare, in particolare, che il governo siriano rispetti i termini dell’accordo. Washington, da parte sua, dovrà convincere i gruppi di ribelli laici e moderati a rompere l’alleanza con le milizie di al Nusra e del sedicente Stato Islamico. Si tratta di un passaggio cruciale per la stabilità della regione mediorientale. L’accordo mira infatti a creare un asse strategico decisivo: quando le forze dello Stato islamico saranno isolate, le due superpotenze potranno, in futuro, combattere insieme contro le milizie jihadiste.

Su questa intesa Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento al prof. Andrea Ungari, docente di Storia e teoria dei Movimenti politici all'Università Luiss Guido di Roma: 

R. – Questo è senza dubbio un passo fondamentale. Bisognerà vedere se questo accordo terrà. Gli Stati Uniti hanno dato una precisa indicazione: è una tregua delle armi che deve durare almeno una settimana perché l’accordo poi prenda realmente vigore.

D. - Che cosa  può avere di diverso questa tregua rispetto a quelle passate?

R. - Aldilà di un impegno più preciso e più diretto da parte di Stati Uniti e Russia, credo che sia mutato anche il quadro internazionale di riferimento. Penso che la Casa Bianca abbia cominciato a comprendere come un accordo con la Russia diretto e chiaro sulla questione mediorientale adesso sia indispensabile per risolvere questo problema, in particolar modo per quanto riguarda la Siria. Tra l’altro, la diplomazia americana è riuscita anche in un capolavoro strategico che non era mai riuscito prima: fare andare d’accordo Turchia e Russia per la prima volta in secoli di storia. Quindi, forse, alla Casa Bianca è prevalso un atteggiamento un po’ più prudente, direi anche un po’ più intelligente nei confronti della Russia.

D. - Un accordo che poi dovrebbe prevedere anche una transizione politica in Siria per arrivare - si spera - alla pace attraverso la via dei negoziati. È questa la direttrice giusta per concludere questa pagina sanguinosa della guerra civile nel Paese mediorientale?

R. - Senz’altro è una via giusta anche se credo bisogna esser molto cauti. Spetterà sia alla Russia sia agli Stati Uniti di tenere a bada i propri alleati. La Russia, ovviamente, dovrà fare pressioni su Assad affinché cessi le ostilità e quindi controllare anche le milizie iraniane hezbollah che operano accanto al regime di Assad. E, dall’altra parte, anche gli Stati Uniti dovranno fare pressioni sui miliziani moderati per cercare di indurli ad evitare di continuare le operazioni militari. Quindi senz’altro è un accordo importante. Però aspettiamo con cautela di vedere come si svolgano poi realmente le operazioni sul campo.

D. - Per il completamento di questo processo di pace in Siria è dunque fondamentale anche il ruolo degli alleati di Russia e Stati Uniti. Da questo punto di vista, ci sono segnali confrontanti oppure ci dobbiamo aspettare il solito quadro complesso di intrecci difficili?

R. - Credo che le pressioni che la Russia può fare su Assad siano molto convincenti. Quindi Assad potrebbe essere indotto, quanto meno, a sospendere le operazioni militari. Certo, controllare tutte le milizie, tutte le variegate formazioni e truppe paramilitari che operano all’interno di questa sanguinosa guerra civile sicuramente non facile. Sarà compito degli Stati Uniti e della Russia cercare anche di capire quanto possibili o probabili iniziative da parte di cani sciolti di queste formazioni paramilitari possano influire sull’accordo di pace.

D. - Questo accordo può essere anche la premessa imprescindibile per un impegno congiunto da parte di Stati Uniti e Russia contro le milizie jihadiste dello Stato islamico...

R. - La speranza è che ci sia un accordo che, appunto, si estenda non solo alla questione siriana, ma che possa essere un'intesa un po’ più generale perché sia gli Stati Uniti sia la Russia hanno interesse ad una stabilizzazione del Mediterraneo. Una stabilizzazione che, appunto, parte dalla Siria ma  non si ferma in Siria.

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Attentati a Baghdad, oltre 10 morti: Is rivendica ma arretra

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Nuovi attentati in Iraq. Due autobombe sono esplose ieri, in tarda serata, in un centro commerciale nel cuore di Baghdad, causando oltre 10 morti e 40 feriti. Una delle due auto era parcheggiata, l'altra condotta da un kamikaze. Gran parte delle vittime sarebbero musulmani sciiti. Gli attacchi sono stati rivendicati dall'Is, il sedicente Stato Islamico. Centrale, in questo momento in Iraq, la questione dell’offensiva su Mosul, ultima roccaforte dei jihadisti nel Paese. Sul significato dell’attacco a Baghdad e dell’operazione che si sta preparando su Mosul, Debora Donnini ha parlato con Stefania Azzolina, analista del Cesi, Centro Alti Studi Strategici, per il Medio Oriente: 

R. – E’ un attentato che si inserisce in tutta quella scia di attentati terroristici che si sono verificati a Baghdad, soprattutto nell’ultimo anno. Il significato fondamentalmente sta proprio nel perdurare della capacità dell’Is di colpire la capitale irachena, nonostante sul terreno stia arretrando. E questo evidenzia quelle che ancora sono le forti criticità in Iraq, dal punto di vista della sicurezza.

D. – Si prepara, intanto, l’offensiva su Mosul, in mano al sedicente Stato Islamico dal 2014. In vista dell’offensiva, sono stati dispiegati altri 400 soldati americani, per un totale di 4.460. Ci sono, però, voci diverse su quando partirà l’operazione. Perché?

R. – E’ difficile al momento ipotizzare quali saranno le tempistiche dell’attacco finale a Mosul, perché fondamentalmente molto dipenderà da due fattori: si sta combattendo a sud di Mosul, nonostante nell’ultimo anno le forze governative irachene abbiano compiuto numerosi passi avanti, ma molto dipende anche da quando si riuscirà definitivamente a stabilizzare la Provincia di al-Anbar, in modo da permettere il dispiegamento su Mosul delle unità necessarie all’offensiva.

D. – E proprio da Mosul che Abu Bakr al-Baghdadi ha proclamato la nascita del Califfato. Quindi è centrale – anche a livello simbolico – la riconquista di questa città irachena?

R. – Assolutamente si! E’ centrale sia da un punto di vista militare, ma anche e soprattutto da un punto di vista propagandistico. E la propaganda rappresenta lo strumento principale per l’Is. Quindi, un’offensiva su Mosul ed un eventuale vittoria del fronte governativo, potrebbe determinare una forte perdita dell’immagine dello Stato Islamico.

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Usa: quindici anni fa gli attentati dell'11 settembre

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8:46 del mattino. Quindici anni fa, a quell’ora, cambiò la storia degli Stati Uniti: era l’11 settembre del 2001 e un volo American Airlines dirottato da un gruppo di terroristi colpì la torre nord del World Trade Center di New York. Alle 9:03, l’impatto di un altro aereo sulla seconda torre. Un terzo velivolo si schiantò sul Pentagono a Washington e un quarto in un campo della Pennsylvania. In tutto ci furono 2.974 vittime. Diciannove gli attentatori suicidi morti, a bordo dei quattro aerei. L'11 settembre è ormai diventato il “Patriot day and National day of service and remembrance”, con celebrazioni ed eventi dedicati al volontariato in ricordo delle vittime, dei sopravvissuti e delle persone che si occuparono dei primi soccorsi. Anche quest’anno gli appuntamenti coinvolgono tutto il Paese, in un momento in cui gli Usa si preparano alle presidenziali di novembre. Ce ne parla Ferdinando Fasce, già docente all'Università di Genova e profondo conoscitore della Storia americana. L'intervista è di Giada Aquilino

R. – L’anniversario cade in un momento di forte tensione sia sul piano interno sia sul piano del quadro internazionale. Ma soprattutto di tensione sul piano interno perché in questi anni c’è stata una forte recrudescenza della questione razziale e si è ritornati a parlare di pesanti forme di discriminazione. Ci sono state rivolte nel passato: l’ultima significativa in fondo risaliva al 1992 a Los Angeles. Invece ce ne sono state diverse soltanto nell’ultimo anno. Quindi si è riproposto con grande forza questo problema atavico della società statunitense.

D. – L’11 settembre continua a riecheggiare nei toni e nei programmi dei due candidati presidenziali, specialmente in quelli di Trump, con una idea di America improntata in un certo senso alla chiusura?

R. – Sì ed era inevitabile. L’11 settembre ha lasciato e diffuso, con la sua tragicità, un’ombra che non si sarebbe potuta cancellare nel tempo, nonostante ci siano stati tentativi di elaborazione, di comprensione e di cercare di andare oltre. E’ indubbio che Trump, che fa una politica fortemente emotiva, una politica che cerca di toccare le corde – mi spiace dirlo – peggiori dell’elettorato, faccia poi riferimento nella sua visione del rilancio dell’America a debolezze da parte del fronte avversario, da parte dei democratici e in particolare di Hillary Clinton, come possibili gestori della politica estera rispetto alla forza che, invece, mostrerebbe o sarebbe in grado di dimostrare Trump stesso.

D. – La sicurezza nazionale, la questione razziale che lei ha citato, la circolazione delle armi: come ritorneranno tali temi nei prossimi mesi?

R. – Ritorneranno sicuramente, perché è indubbio che Trump li riproporrà in maniera esagerata dal punto di vista emotivo appunto. C’è da sperare che, a tutto questo, Hillary Clinton sia capace di rispondere con argomentazioni adeguate, così come ha provato a fare – in vario modo – il suo predecessore e attuale presidente Barack Obama: quindi richiamando, ad esempio, la necessità di una legge sulle armi; sottolineando l’imprescindibilità di una logica di interdipendenza e di apertura internazionale degli Stati Uniti e non di atteggiamento di chiusura protezionistico o di rottura di relazioni come quello suggerito da Trump; e poi immaginando politiche interne che possano aiutare ad affrontare la questione razziale.

D. - Obama, però, non è riuscito a chiudere, entro la fine del suo mandato, la base-prigione di Guantanamo. Lì, tra gli altri, è incarcerato anche il presunto “cervello” delle stragi dell’11 settembre, Khalid Shaykh Muhammad. Cosa c’è da attendersi?

R. – Questo potrebbe essere definito il più significativo fallimento da parte di Obama rispetto alle promesse che aveva fatto. Nell’immediato, c’è da sperare che ciò non venga usato in maniera incontrollata ed emotiva nella campagna elettorale. E poi c’è da sperare che Obama stesso crei le premesse e che il vincitore o la vincitrice delle elezioni possa aprire la strada e sviluppare una politica che porti alla chiusura di Guantanámo.

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Marcia notturna da Perugia ad Assisi contro l'indifferenza

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Una marcia nel buio della notte da Perugia ad Assisi contro la violenza e l’indifferenza: è l’iniziativa promossa per questa notte dalla Tavola della Pace a cui hanno aderito numerosi gruppi, associazioni, centri culturali anche islamici, sindaci ed enti locali. Parteciperanno, tra gli altri, don Luigi Ciotti e il missionario padre Zanotelli. Dopo un incontro con la stampa per spiegare i motivi dell’iniziativa, i partecipanti inizieranno il loro cammino alla mezzanotte per arrivare alle 7 di domani alla Rocca Maggiore di Assisi. Ma come è nata l’idea di compiere questo  gesto inedito? Adriana Masotti lo ha chiesto a Andrea Ferrari, presidente del Coordinamento Nazionale Enti locali per la pace  e i diritti umani: 

R. – L’idea è nata dal tentativo di colpire l’opinione pubblica con una iniziativa sicuramente faticosa, anche dal punto di vista fisico: una marcia nella notte, con delle fiaccole che cercheranno simbolicamente di illuminare tutte le notizie che non vengono date e che riguardano i conflitti. Purtroppo ci sono guerre, anche in Europa e sono molte volte guerre sottili: penso a tutto il Medio Oriente… Situazioni che ci sembrano lontane, ma che in realtà le abbiamo in casa. Allora la Marcia da Perugia ad Assisi, che anticipa la grande marcia del 9 ottobre, vuole essere un tentativo di dire che la marcia non è solo una parata o “un ritrovo tra vecchi amici” come qualcuno ogni tanto ci dice, ma è un tentativo di raccontare un lavoro che viene fatto tutto l’anno.

D. – Che cosa, in particolare, voi osservate con preoccupazione nelle nostre società?

R. – Dalle periferie e dai comuni si osserva che c’è in corso sempre più un processo di disgregazione. Il rischio è che davvero si arrivi ad una società conflittuale nel suo complesso. Proprio nei territori, oggi più che mai, il compito degli amministratori, dei sindaci e dei presidenti delle Provincie è quello di provare a lavorare su parole nuove, su un paradigma nuovo, legato al tema della pace. Oggi certamente dire che si è a favore della pace non vuol dire semplicemente alzare una bandiera durante una marcia: vuol dire sporcarsi le mani ogni giorno, vuol dire tentare ogni momento di dialogare, dal proprio vicino di casa alla persona che si incontra per strada. Le guerre le abbiamo in casa! I racconti dei giovani che sono nelle nostre città sono racconti di persone disperate, a cui tante volte bisogna dare voce. E noi lo facciamo in tanti comuni, con incontri con i più giovani, con i ragazzi: devo dire che gli incontri nelle scuole fatti da giovani che scappano dalle guerre con i nostri giovani sono gli incontri più intensi.

D. – E’ importante questo, perché altrimenti potrebbe sembrare – la Marcia – una manifestazione che comincia e finisce lì e che ha, quindi, un impatto relativo. Invece è un po’ come una sintesi, un momento di arrivo e di partenza, di una attività quotidiana…

R. – E’ una attività quotidiana. A Lodi – per esempio – fra poche settimane avremo una Marcia in cui il tema sarà il diritto al cibo: ad ogni partecipante chiederemo di portare un sacchetto di prodotti, che ha in casa e a cui rinuncia, che doneremo al Centro di raccolta di diritto al cibo, che sfama ogni anno migliaia di persone. Questo è un esempio di come una iniziativa – diciamo - di massa, di carattere popolare, come è la Marcia della Pace, possa tornare un po’ al suo senso originale, quale era la Marcia di Aldo Capitini, una Marcia che passava nei comuni e che lasciava un segno. Le marce oggi e la Marcia Perugia-Assisi a maggior ragione, devono lasciare un segno e colpire anche le emozioni delle persone: uno deve tornare a casa da quella marcia più carico e più determinato a lavorare insieme nel proprio territorio e sentirsi meno isolato.

D. – Certamente i risultati non sempre si vedono: quindi ci vuole anche molta determinazione e coraggio per proseguire in questo vostro impegno…

R. – E’ sicuramente un po’ come la tela di Penelope. Però è una strada da cui non si può tornare indietro e chi si occupa di questi temi - lo dico a vasto raggio - a tutti gli operatori, volontari e professionisti, bisognerebbe dare davvero un Nobel, perché sono persone che tentano di aggregare una società che – complice anche la crisi – fa sempre più fatica a stare insieme.

D. – Abbiamo parlato della pace costruita nel quotidiano. Però voi guardate anche al mondo e mi sembra che anche per quanto riguarda – ad esempio – il conflitto in Medio Oriente voi fate anche delle visite, delle azioni di solidarietà. Quindi volete incidere anche oltre…

R. – Sì! Il tentativo è quello di usare le reti meno ufficiali: non quelle diplomatiche o degli Stati, ma le reti delle associazioni, le reti delle persone, le reti dei cittadini per andare a incidere nei territori dove troviamo delle energie, per raccontare che in realtà, anche in Paesi in conflitto, ci sono dei germogli di pace che valgono la pena di essere coltivati. Quindi, in questo, il Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace ha un patrimonio di relazioni costruito in tanti anni davvero prezioso.

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Sagra Musicale Umbra: un viaggio nella spiritualità francescana

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Apre al Teatro Morlacchi di Perugia, con il concerto della grande pianista argentina Martha Argerich, accompagnata dai ragazzi della “Youth Orchestra de Bahia”, la 71.ma edizione della Sagra Musicale Umbra, dal titolo “Altissima Luce”, tra i più antichi festival italiani di musica sacra e classica, che vedrà anche la presenza del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il servizio da Perugia di Alessandro De Carolis

Un violino, una percussione, un oboe e la vita ti risucchia all’indietro verso una possibilità di crescita dal vortice del degrado dove spesso finiscono tanti piccoli quando non hanno i grandi a proteggerli. C’è questo dietro la musica prodotta dai ragazzi dell’Orchestra giovanile di Bahia, diretta dal maestro Ricardo Castro, che stasera inaugura a Perugia la Sagra Musicale Umbra 2016 assieme alle note della grande pianista Martha Argerich e alla sua celeberrima interpretazione del “Bolero” di Ravel.

Il Festival umbro disegnato dal direttore artistico Alberto Batisti quest’anno propone un viaggio nella spiritualità di San Francesco tra città e borghi della terra francescana per eccellenza. Uno dei fulcri di questo itinerario sarà il concerto di martedì prossimo, quando tra lo spoglio fascino dell’ex chiesa templare di San Bevignate verrà eseguito con arrangiamenti originali di Paolo Fresu il “Laudario da Cortona”, il Codice del Duecento contenente la più antica collezione di musica italiana in lingua volgare.

E passando tra alcune delle pagine più belle scritte di Scarlatti, Bach, Mozart fino ai maestri contemporanei, la musica sacra in particolare sarà protagonista nel concerto del 15 settembre, nella Basilica di San Pietro a Perugia, con l’esecuzione dei tre Kyrie finalisti del Concorso di composizione intitolato a Francesco Siciliani, tra i quali verrà scelto e quindi proclamato il vincitore. È stato il cardinale Gianfranco Ravasi, nella sua veste di patrocinatore del Concorso, a proporre ai musicisti partecipanti il testo del Kyrie come base per le loro creazioni – dopo il Credo e il Padre Nostro delle prime due edizioni – e oltre 100 sono state le partiture giunte da tutto il mondo e visionate dalla giuria internazionale presieduta dal direttore di coro, Helmuth Rilling.

Il viaggio verso l’“Altissima Luce” della Sagra Musicale Umbra non dimentica però le vicende della terra. E proprio il concerto del Concorso di musica sacra sarà dedicato al ricordo delle vittime del terremoto in Italia centrale.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XXIV T.O.

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Nella 24.ma domenica del Tempo ordinario, il Vangelo ci propone tre parabole sulla misericordia, tra cui quella del figlio prodigo. Al figlio maggiore che protestava perché il fratello dissoluto era stato riaccolto con gioia a casa, il padre risponde:

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”, ecco il cuore compassionevole del Padre. Questo cuore creatore manifesta, anzitutto, la straordinaria dignità della sua creatura più importante, la persona umana: anche colui che si allontana dal Suo Amore e lo dissipa, è considerato sempre e comunque figlio e fratello. La seconda annotazione antropologica che traspare dalle stesse parole riguarda la dinamica del peccato e delle sue conseguenze sull’uomo, ovvero, la morte interna, quella spirituale e il rischio che tale condizione diventi definitiva. In effetti, la corsa esultante del Padre e la sua gioia concitata indicano, a un tempo, la profondità del suo amore e la consapevolezza dell’entità del pericolo scampato. Quanto sono importanti e attuali queste considerazioni sulla dignità dell’uomo e la sua libertà! Esse spingono Dio ad andare oltre le legittime esigenze della giustizia pur di favorire la salvezza del figlio, come ci ricorda san Giovanni Paolo II, nella Dives in Misericordia, commentando questo brano. Papa Francesco, con altrettanto zelo, c’invita ad accogliere con affetto e tenerezza chiunque abbia sbagliato, senza enfatizzare l’errore; la giustizia, infatti, si manifesta già nella coscienza di chi è caduto.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Europa centro-orientale: incontro su famiglia e fede

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Crisi della famiglia, connessa a quella demografica, crisi della fede e crisi dell’identità culturale: queste le sfide principali che l’Europa deve affrontare, a 27 anni dalla caduta del regime comunista nella regione centro-orientale. Non solo: ultimamente, molti Paesi fanno fronte anche alle numerose migrazioni provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa. Questo è quanto emerso dalla riunione dei rappresentanti delle Conferenze episcopali dell’Europa centro-orientale, svoltasi l‘8 e il 9 settembre a Bratislava, in Slovacchia, Paese che presiede il Consiglio dell’Unione Europea

Pari dignità e rispetto per tutti i popoli
"È fondamentale – si legge nel comunicato finale dei lavori - che tra gli Stati europei ci sia una vera partnership basata sulla pari dignità di tutti i popoli e sul rispetto reciproco". Allo stesso tempo, "è importante che le strutture pubbliche, nazionali ed europee, sviluppino un vero dialogo con i rappresentanti delle Chiese cristiane o con gli esponenti di altre religioni".

Tutelare famiglia e vita
Per questo, i vescovi dell’area centro-orientale “ritengono necessario risvegliare la riflessione sull’identità europea, la quale é stata sempre connessa alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna”, perché “solo una società con figli  é una società con la speranza” e “la famiglia è una comunità umana fondamentale secondo il progetto di Dio” che la Chiesa è chiamata a testimoniare. Di qui, il rammarico dei vescovi per “alcune decisioni prese dalle strutture europee che mettono in pericolo la famiglia e la tutela della vita”: “Attualmente – prosegue la nota – l’Europa ha bisogno, prima di tutto, di famiglie stabili e di una politica demografica prudente. E l’immigrazione non é una soluzione alla crisi demografica”.

Aiutare i cristiani perseguitati, comunicare di più con mondo islamico
Poi, di fronte alla sofferenza di tante persone in fuga da conflitti bellici, “soprattutto quelli che devastano la Siria” e davanti alle numerose vittime degli “attacchi terroristici commessi in Europa”, i presuli “ritengono giusto sviluppare una maggiore comunicazione con il mondo islamico e dedicare maggiori sforzi per aiutare i più bisognosi in base al comandamento della carità”. Non solo: i vescovi “sentono il dovere speciale di aiutare i cristiani perseguitati, ma non escludono dal loro cuore nessun’altra persona umana bisognosa di aiuto, sia nelle regioni di crisi del mondo, sia nei rispettivi Paesi”.

Il tema delle migrazioni
“Generosità e saggezza” sono, dunque, i criteri di azione suggeriti, per valutare “le circostanze culturali, religiose ed economiche dei popoli europei e di quelli che arrivano” nel continente: c’è, infatti, “una differenza fondamentale tra i Paesi europei di destinazione del flusso migratorio e quelli dell’Europa centro-orientale, che sono di transito e nei quali il tenore di vita è pari al 20% di quello occidentale”. Gli aiuti da prestare, quindi, andranno diversificati. Inoltre, “è legittimo ed anche necessario  - ribadisce la nota - riflettere su come concepire il futuro del continente europeo, su quali valori edificare la società e quale posto riservare alla religione”.

Preghiera per le vittime di guerra, violenza e terrorismo
I vescovi assicurano, infine, la loro preghiera “per tutte le vittime della violenza, della guerra e del terrorismo” ed esprimono l’auspicio che “l’Europa diventi un continente capace di mettere al primo posto il rispetto per la vita umana, dal concepimento e fino alla morte naturale, insieme al sostegno per la famiglia” basata sul matrimonio tra uomo e donna. (A cura di Isabella Piro)

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Chiesa Colombia: partecipare a referendum in modo responsabile

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Una Giornata di preghiera, da celebrarsi il 29 settembre, “per chiedere a Dio il dono della pace ed il nostro impegno a costruirla”: a promuovere l’iniziativa è la Conferenza episcopale della Colombia (Cec), a pochi giorni dal referendum del 2 ottobre, con il quale la popolazione dovrà accettare o meno gli accordi tra il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie), raggiunti dopo 50 anni di conflitto.

Referendum richiede responsabilità, i credenti non siano indifferenti
“Invitiamo tutte le comunità cattoliche del Paese – si legge in una comunicato dei vescovi, diffuso sul loro sito web - ad una preghiera prolungata davanti al Santissimo Sacramento per chiedere l’illuminazione delle coscienze, la riconciliazione tra i colombiani e le misure necessarie per sradicare le radici della violenza”. Il referendum, aggiungono i presuli, è un momento che richiede “grande responsabilità ed impegno”, soprattutto per i credenti che “non possono assumere un atteggiamento di indifferenza o disinteresse di fronte a tale processo”.

Voto di coscienza significa scelta libera per il bene comune
Per questo, richiamando quanto già affermato in passato, la Cec chiede al popolo colombiano di partecipare alla votazione “in modo responsabile, informato e con coscienza, esprimendo liberamente la propria opinione”, con il fine ultimo di “costruire la pace e la riconciliazione”. Allo stesso tempo, i vescovi sottolineano di “essere chiamati, in quanto pastori, a rispettare la coscienza di ciascuno ed il diritto inalienabile di esprimere il proprio parere”, perché “non vi può essere vera democrazia se tale diritto non è tutelato”. “Voto di coscienza”, pertanto, significa che “dopo opportuno discernimento, indipendentemente da qualsiasi pressione esterna o schieramento, si attua una libera scelta, pensando al bene comune”.

I punti centrali dell’accordo governo-Farc
​Al referendum del 2 ottobre, i colombiani dovranno dare il loro parere sugli accordi di pace raggiunti il 23 giugno scorso a Cuba, dopo quattro anni di negoziati. Punti centrali dell’intesa sono il cessate-il-fuoco; la consegna delle armi da parte delle Farc in cambio della loro  trasformazione in un movimento legale; la creazione di una commissione speciale per sostenere la riconciliazione nazionale;  il risarcimento per le vittime e l’istituzione di un tribunale speciale per perseguire e punire i responsabili dei crimini commessi durante il conflitto armato. Per essere valido, il referendum dovrà raggiungere il quorum del 13% degli aventi diritto al voto. (I.P.)

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Venezuela: mancano cibo e medicinali. La gente muore di fame

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L'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, ha detto che il popolo venezuelano dovrebbe risolvere i conflitti pacificamente. "Vi è una mancanza di tutti i generi alimentari, e non ci sono medicine, questo è diventato un grave problema ma dobbiamo risolverlo pacificamente". ha detto pochi giorni fa.

In un istituto psichiatrico i pazienti muoiono di fame
Nel frattempo la situazione è diventata critica, secondo quanto segnala una testimonianza ripresa dall'agenzia Fides da Barquisimeto, città a circa 340 km da Caracas, dove nel Centro psichiatrico El Pampero, i pazienti stanno morendo dalla fame. Dal mese scorso sono ormai 3 i morti per fame e la situazione non cambia.

Le autorità ostacolano la convocazione del referendum
​Questa settimana nel Paese è aumentata la tensione, la popolazione in molte città scende in piazza contro il Consiglio nazionale elettorale, accusato di ostacolare e ritardare la convocazione del referendum, in modo da evitare che avvenga dopo il 10 gennaio prossimo. Manifestanti e opposizione premono affinché il voto avvenga prima di questa data, perché solo in questo modo una vittoria del sì porterebbe alla rimozione dell’intero Governo e alla convocazione di nuove elezioni nazionali. (C.E.)

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L'ordinazione episcopale a Bergamo di Padre Pizzaballa

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Oggi  la cattedrale di Bergamo ospiterà la solenne ordinazione episcopale di padre Pierbattista Pizzaballa, 51 anni, bergamasco, che Papa Francesco ha nominato amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini elevandolo alla dignità di arcivescovo, dopo essere stato per 12 anni Custode di Terra Santa. Presiederà la celebrazione il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, organo della Santa Sede che sovrintende a nome del Santo Padre sui territori del Medio Oriente e nel rapporto con le Chiese Ortodosse. Con lui concelebreranno sua beatitudine Fouad Twal, patriarca emerito di Gerusalemme, e mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, insieme a circa altri 30 vescovi, tra cui i rappresentanti del Papa come nunzi apostolici in Israele, Palestina, Giordania, Libano, Cuba, Singapore, Canada.

Il significato del suo motto episcopale 
"La Chiesa di Terra Santa non ha mezzi e non ha potere. Ha solo Cristo e la sua grazia": questo il riferimento biblico scelto dal neo vescovo per il motto del suo episcopato. "Avere coscienza che la nostra missione altro non è - spiega in un comunicato mons. Pizzaballa - che testimoniare la Grazia che per primi ci ha toccato e da questa continuamente ripartire. Nello stemma adottato dal neo presule, appare la città di Gerusalemme così come nel medioevo era tradizionalmente raffigurata sui sigilli del regno latino, ovvero coma una città con mura e porta, da cui si alzano la cupola a cono dimezzato del Santo Sepolcro, la Torre di Davide e la cupola tonda dell'attuale Moschea, stilizzazione a cui  abbinato il motto "Civitas Regis Regum omnium".

Una vita al servizio della Terra Santa
Arrivato in Custodia di Terra Santa il 7 ottobre 1990, padre Piazzaballa ha completato gli studi di specializzazione allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme nel 1993. In seguito è stato professore di ebraico biblico alla Facoltà Francescana di Scienze Bibliche e Archeologiche di Gerusalemme.
Ha iniziato il servizio nella Custodia il 2 luglio 1999. Il 9 maggio 2001 è stato nominato Guardiano del convento dei Santi Simeone e Anna a Gerusalemme. È stato impegnato nella pastorale dei fedeli cattolici di espressione ebraica ed è nominato Vicario Patriarcale nel 2005 fino al 2008. Eletto custode di Terra Santa e guardiano del Monte Sion nel maggio 2004, il suo mandato si è concluso lo scorso aprile. (R.P.)

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Vescovi argentini: accogliere i rifugiati siriani

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È un appello “alla responsabilità ed alla solidarietà di tutto il popolo di Dio” quello lanciato dalla Conferenza episcopale argentina per far fronte alla “tragica situazione dei profughi e richiedenti asilo siriani, in cerca di una vita migliore, lontano da guerre, povertà, fame e sfruttamento”. In una nota congiunta delle Commissioni episcopali per le Migrazioni e per la Giustizia e la pace, i presuli si dicono “disponibili a mettere a disposizione dei richiedenti asilo l’assistenza legale necessaria, lezioni di lingua spagnola e la dovuta assistenza spirituale”.

Contributo della Chiesa è fondamentale
“È fondamentale il contributo della Chiesa – continuano i presuli – attraverso programmi di sensibilizzazione, mobilitazione, assistenza, monitoraggio e consulenza messi in atto dalle comunità religiose e parrocchiali nei punti di arrivo dei rifugiati”. “Di fronte alle tragedie che colpiscono l'umanità, Dio non è indifferente, non è lontano – concludono le due Commissioni episcopali -  Egli è il nostro Padre, che ci sostiene nella costruzione del bene e nel rifiuto del male”, invitandoci a "prendersi cura con tenerezza” dei sofferenti.

Cinque anni di conflitto
​Iniziato nel marzo del 2011, nel contesto della così detta “Primavera araba”, il conflitto siriano si è poi trasformato in una vera guerra civile nel 2012. Le proteste iniziali avevano l'obiettivo di spingere alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad; in seguito si è aggiunta una componente estremista. Cinque anni di conflitto hanno provocato un numero altissimo di morti, feriti e sfollati. Cifre certe ed attendibili non sono facili da stilare, ma secondo le stime più ricorrenti, le vittime sarebbero almeno 250mila, mentre circa la metà della popolazione originaria del Paese sarebbe stata costretta alla fuga per sopravvivere. (I.P.)

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Svizzera: Chiesa sostiene iniziativa "Economia verde"

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Sì all’iniziativa popolare denominata “Economia verde”: lo dice la Commissione episcopale Giustizia e pace della Svizzera. L’iniziativa, che verrà sottoposta a referendum il prossimo 25 settembre, mira a creare le basi per un'economia che non sfrutti in modo eccessivo le risorse naturali. In particolare, si richiede che nella Costituzione federale venga scritto, in modo vincolante, che il Paese si impegna affinché, entro il 2050, l'economia nazionale impieghi con parsimonia le materie prime.  

Ridurre i rifiuti e guardare al principio di sussidiarietà
Inoltre, si chiede la riduzione dei rifiuti facendo in modo che possano essere riutilizzati e reintrodotti nel ciclo economico come materia prime,  evitando così di danneggiare l'ambiente. Il tutto guardando al principio di sussidiarietà. In generale, il Consiglio federale condivide gli obiettivi presentati dall’iniziativa, ma ne respinge le modalità, temendo che si voglia ottenere “troppo in troppo poco tempo”. Ulteriori timori riguardano le ripercussioni negative che “l’Economia verde” potrebbe avere sull’intera economia nazionale.

Salvaguardia del Creato, compito primario di ogni cristiano
In questo contesto, Giustizia e pace ribadisce che “la salvaguardia del Creato è compito primario di ogni cristiano e che la sfida del cambiamento climatico è talmente grande che ogni ritardo rischia soltanto di aggravare la situazione”. "Non ne va soltanto dell’ambiente, ma dell’uomo in quanto tale, soprattutto degli indigenti!”, afferma Thomas Wallimann-Sasaki, esperto di etica sociale e presidente ad interim di Giustizia e pace.

Sfruttamento della natura è pari allo sfruttamento dell’uomo
Di qui, il richiamo a quanto scritto da Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si’ sulla cura della Casa comune”: “Chi non vigila sull’ambiente, creato da Dio, non prende sul serio neppure gli uomini, soprattutto i poveri e i marginalizzati”, perché “lo sfruttamento della natura procede di pari passo con lo sfruttamento dell’uomo”.

Sensibilizzare scuole e parrocchie sui temi ecologici
​Insieme alla Commissione episcopale a sostenere l’iniziativa “Economia verde” c’è anche l’associazione ecumenica “Oeku Chiesa e ambiente”, che organizza corsi di sensibilizzazione sui temi ecologici nelle parrocchie e fornisce materiale informativo e didattico sull’ambiente alle scuole. (I.P.)

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Irlanda: pellegrinaggio di solidarietà con cristiani di Terra Santa

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Otto giorni in Terra Santa, in segno di solidarietà con tutti i cristiani: con questo obiettivo, è iniziato ieri il pellegrinaggio di 177 fedeli irlandesi nella regione legata alla vita terrena di Cristo. L’iniziativa, che si concluderà il 17 settembre, è guidata da mons. Eamon Martin, arcivescovo di Armagh e Primate di tutta l’Irlanda.

Non dimenticare i cristiani di Terra Santa
“Questo pellegrinaggio – informa una nota della Conferenza episcopale irlandese – vuole essere un modo per dimostrare solidarietà alla comunità cristiana locale che, negli ultimi decenni, è andata diminuendo”. Per questo, è “molto apprezzata la presenza di fedeli” provenienti da altri Paesi, perché ricorda ai cristiani di Terra Santa che “non sono stati dimenticati e porta, nel buio della loro sofferenza, un barlume di speranza e di gioia”.  

Le sofferenze causate da persecuzione ed emarginazione
“Molti cristiani di Terra Santa – sottolinea infatti mons. Martin – si sentono soli, abbandonati e temono di essere trascurati, se non addirittura dimenticati, dai loro fratelli e sorelle nel resto del mondo”. In quest’ottica, quindi, il pellegrinaggio dei fedeli irlandesi è “un'espressione tangibile di solidarietà, soprattutto in questo momento di sofferenza vissuto nella regione, a causa  delle persecuzioni religiose e dell’emarginazione sociale ed economica ".

L’importanza dei gemellaggi parrocchiali
​Le tappe del pellegrinaggio prevedono la Galilea, Betlemme e Gerusalemme. In programma anche un incontro con il sindaco di Betlemme, Vera Baboun, e con mons. William Shomali, vescovo del Patriarcato latino di Gerusalemme. Infine, mons. Martin auspica che il pellegrinaggio in corso sia solo l’inizio di una serie di viaggi che porterà sempre più persone irlandesi in questa regione storica e ricorda l’importanza dei gemellaggi tra le parrocchie irlandesi e quelle di Terra Santa per offrire “un supporto pratico e materiale alle comunità locali”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 254

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.