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Sommario del 11/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all’Angelus: Dio ci aspetta sempre e ci perdona

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“Non c’è peccato in cui siamo caduti da cui, con la grazia di Dio, non possiamo risorgere; non c’è una persona irrecuperabile”. E’ quanto ha affermato Papa Francesco riferendosi al Vangelo odierno e aggiungendo che “Dio non smette mai di volere il nostro bene, anche quando pecchiamo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Il capitolo 15 del Vangelo di Luca, considerato – ha detto il Papa - “il capitolo della misericordia”, raccoglie tre parabole con cui Gesù risponde alle mormorazioni di scribi e farisei. Nella prima parabola Dio è presentato come un pastore che lascia 99 pecore “per andare in cerca di quella perduta”. Nella seconda è paragonato ad “una donna che ha perso una moneta e la cerca fin quando non la trova”. Nella terza parabola Dio è immaginato come “un padre che accoglie il figlio che si era allontanato”. La festa di Dio per coloro che ritornano a Lui pentiti – ha detto il Papa - è quanto mai intonata all’Anno giubilare:

 “Con queste tre parabole, Gesù ci presenta il volto vero di un Dio: un Padre dalle braccia aperte, che tratta i peccatori con tenerezza e compassione. La parabola che più commuove – commuove tutti -, perché manifesta l’infinito amore di Dio, è quella del padre che stringe a sé, e abbraccia il figlio ritrovato. ”.

Dio ci attende con pazienza
A colpire – ha affermato il Pontefice – non è tanto “la triste storia di un giovane che precipita nel degrado, ma le sue parole decisive:

“«Mi alzerò, andrò da mio padre» (v. 18). La via del ritorno verso casa è la via della speranza e della vita nuova. Dio aspetta sempre il nostro rimetterci in viaggio, ci attende con pazienza, ci vede quando ancora siamo lontani, ci corre incontro, ci abbraccia, ci bacia, ci perdona. Così è Dio! Così è il nostro Padre! E il suo perdono cancella il passato e ci rigenera nell’amore. Dimentica il passato: questa è la debolezza di Dio. Quando ci abbraccia e ci perdona, perde la memoria, non ha memoria! Dimentica il passato. Quando noi peccatori ci convertiamo il peccatore si converte e ci facciamo si fa ritrovare da Dio non lo ci attendono rimproveri e durezze, perché Dio salva, riaccoglie a casa con gioia e fa festa”.

Poi il Papa ha rivolto a tutti una domanda:

“Avete mai pensato che ogni volta che ci accostiamo al confessionale, c’è gioia e festa nel cielo? Avete pensato a questo? E’ bello!".

La testimonianza del beato Bukowinski
Dopo l’Angelus, il Santo Padre ha ricordato che oggi a Karakanda, in Kazakhstan, viene proclamato beato Ladislao Bukowinski, sacerdote e parroco, perseguitato per la sua fede. “Nella sua vita – ha detto il Pontefice – ha dimostrato sempre grande amore ai più deboli e bisognosi e la sua testimonianza appare come un condensato delle opere di misericordia spirituali e corporali”.

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Papa Francesco: cessino le violenze in Gabon, si costruisca la pace

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Il pensiero del Papa, dopo l’Angelus, è andato al Gabon, Paese africano scosso da violenze avvenute dopo le elezioni presidenziali tenutesi lo scorso 27 agosto. Dopo l’esito delle consultazioni, vinte dal presidente uscente Ali Bongo, il leader dell’opposizione Jean Ping ha denunciato brogli e irregolarità. I giorni successivi alla conferma di Ali Bongo sono stati segnati da manifestazioni di protesta, da gravi scontri con diverse vittime e da centinaia di arresti: 

“Vorrei invitare ad una speciale preghiera per il Gabon, che sta attraversando un momento di grave crisi politica. Affido al Signore le vittime degli scontri e i loro familiari. Mi associo ai Vescovi di quel caro Paese africano per invitare le parti a rifiutare ogni violenza e ad avere sempre come obiettivo il bene comune. Incoraggio tutti, in particolare i cattolici, ad essere costruttori di pace nel rispetto della legalità, nel dialogo e nella fraternità”.

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Tweet del Papa sulla parola di Dio e sulla misericordia

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Nuovi tweet di Papa Francesco pubblicati sull’account @Pontifex: "La Parola di Dio - si legge nell'ultimo tweet pubblicato - può far rivivere un cuore inaridito". “La misericordia – scrive inoltre il Santo Padre - può contribuire realmente all’edificazione di un mondo più umano”.

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Il card. Sandri consacra vescovo padre Pizzaballa

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Si è tenuta nel pomeriggio di sabato 10 settembre presso la Cattedrale di Bergamo la cerimonia di ordinazione episcopale di padre Pierbattista Pizzaballa, dell'Ordine dei Frati Minori, che Papa Francesco ha nominato, il 24 giugno scorso, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Verbe con dignità di arcivescovo. Hanno concelebrato il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, coadiuvato da S.B. Fouad Twal, patriarca emerito di Gerusalemme, e da mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo. Lo stemma episcopale scelto da mons. Pizzaballa rappresenta la città di Gerusalemme, mentre il motto è “Sufficit tibi gratia mea” (Ti basta la mia grazia) (2Cor 12, 9).

Nell’omelia il card. Sandri ha detto che l’unico strumento nelle nostre mani per evitare che i cristiani “emigrino dal Medio Oriente o vengano fatti uscire da progetti non chiari” è trovare sempre “forme antiche e nuove per essere Chiesa in uscita, che ha a cuore la promozione di spazi di incontro e riconciliazione”. Allora, la comunità cristiana “che chiede di essere preservata, sostenuta e protetta, continuerà a essere dono per tutti, per coloro che abitano quei luoghi da secoli”, ma anche per i pellegrini e per le migliaia di lavoratori migranti che ormai ne fanno stabilmente parte.

Riferendosi in particolare a padre Pizzaballa, il porporato ha indicato nel vescovo un uomo bisognoso di una “speranza affidabile per la propria vita e il proprio destino”, grazie anche alla “solidarietà concreta” di quanti, da tutto il mondo, si impegnano nel sostenere la vita delle Chiese in Terra Santa. In quella regione, dove il nuovo presule ha vissuto e “servito da ventisei anni, il Verbo fatto carne — ha detto il cardinale prefetto — ci ha fatto conoscere il desiderio di Dio, la salvezza per l’umanità. Lì colui che è la parola del Padre ha portato a pienezza la rivelazione”.  Non bisogna perdere la consapevolezza – ha sottolineato - che in quei luoghi, “sotto le macerie frutto dei peccati, delle violenze e delle miopie di molti uomini e di molti poteri del mondo”, è rimasta “la sorgente posta da Dio, che zampilla per dare sollievo e fecondità”: la presenza stessa di Gesù.

Il prefetto ha fatto notare come tanti in Terra Santa, e particolarmente nel territorio del Patriarcato latino, hanno ancora “sete di giustizia e di pace:  dimensioni fondamentali del vivere umano, che prima ancora che rivendicate come diritto dagli altri devono essere desiderate e operate nei rapporti dentro la Chiesa e tra le Chiese, oltre che con i credenti ebrei e musulmani”.

Rivolgendosi ancora a padre Pizzaballa, ha ricordato che essere vescovo per la Chiesa latina che è in Gerusalemme, “amministrandola a nome e per conto del Santo Padre, come pure guidando  l’assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, è compito senz’altro arduo”; ma  potrà essere vissuto pieno “di gioia e di  serena determinazione, perché ancorati nella parola del Signore e non nei nostri progetti umani”. Questa parola infatti non è “incatenata  né messa in fuga, ma efficace e porta frutto”.

Con il porporato hanno concelebrato una trentina tra arcivescovi e vescovi, tra i quali i nunzi apostolici in Israele, Palestina, Giordania, Libano, Cuba, Singapore e Canada. Tra i presenti anche l’arcivescovo di Akka dei greco-melkiti, l’arcivescovo maronita di Haifa, il vicario apostolico dell’Arabia e quello di Istanbul, oltre ad alcuni vescovi nativi di Bergamo. Era presente inoltre una delegazione ecumenica, con l’arcivescovo Nektarios, inviato dal patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme. Numerosi i frati minori, in particolare quelli provenienti dalla Custodia di Terra Santa.

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Festival dei ragazzi, mons Galantino: guardare oltre la parrocchia

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Il dialogo tra giovani e istituzione per una città e un mondo più vivibile è stato al centro dell'incontro "A noi la parola", che si è svolto in aula Paolo VI in Vaticano. Circa mille i giovani dell'Azione Cattolica Ragazzi presenti, provenienti da oltre cento diocesi italiane. Assente il sindaco di Roma Virginia Raggi, che ha annullato la sua partecipazione per motivi personali. II servizio di Michele Raviart

Una città vivibile, in cui sia possibile avere cura di spazi, in cui stanno bene tutti, dalla casa, alle aree verdi, alla parrocchia, e contro chi pretende di cambiare il mondo secondo egoismi personali. Una visione, quella presentata dai ragazzi dell'Azione Cattolica, che presuppone un dialogo virtuoso tra giovani e istituzioni, come ha spiegato mons. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che non si è detto deluso dall'assenza del sindaco di Roma, Virginia Raggi.

“Sono venuto qui per un altro motivo e non per incontrare gli amministratori di Roma: sono venuto qui per ascoltare i ragazzi. Questa è la cosa fondamentale! Penso che la cosa più bella, la cosa più importante sia quando noi, tutti quanti - istituzioni ecclesiastiche e istituzioni anche civili, amministratori - ci mettiamo in ascolto dei ragazzi, perché i ragazzi, i giovani probabilmente sono meno ideologizzati di noi e quindi hanno anche la capacità di trasmetterci i loro sogni, le loro attese, i loro bisogni”.

Per l'amministrazione capitolina è intervenuto, invece, l'assessore alle politiche sociali Laura Baldassarre, che ha ribadito l'importanza che i ragazzi hanno posto sulla cura della persona e dell'ambiente:

“I ragazzi, qui, hanno detto che prima di tutto bisogno pensarla la città e poi realizzarla. Loro ci ricordano le cose importanti: l’importanza di non essere soli, di avere posti di aggregazione, luoghi dove incontrarsi. Noi stiamo lavorando per Roma e siamo una squadra al lavoro per Roma”.

L'incontro, che è stato preparato per un anno da ragazzi tra i 7 e i 14 anni, risponde all'invito di Papa Francesco a diventare una "Chiesa in uscita". Lo ha ricordato lo stesso mons. Galantino: "Non basta stare in parrocchia, bisogna vedere cosa c'è intorno e lontano". Matteo Truffelli, responsabile nazionale dell'Azione Cattolica:

“Questi sono ragazzi che, come tutti i ragazzi, sanno sognare e sanno anche pensare insieme e costruire insieme quello che noi chiamiamo ‘bene comune’. Per i ragazzi, come per i giovani e come per gli adulti, i ragazzi sono la Chiesa in uscita, perché sono la Chiesa che vive nella città, che vive nelle strade, che vive nelle scuole, che vive nei quartieri. Lì vive la Chiesa e vive innanzitutto attraverso i laici. E questi sono ragazzi laici, protagonisti di questa Chiesa”.

Ad ispirare i tre giorni dell'intero "Festival dei Ragazzi", organizzato a Roma dall'Azione Cattolica Ragazzi e di cui "A noi la parola" fa parte, sono stati i cinque "atteggiamenti" consigliati da Papa Francesco nel'“Evangelii Gaudium” (prendere l'iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare), come anche l'Enciclica “Laudato si'” sulla cura della casa comune. Ascoltiamo due dei ragazzi che hanno partecipato: Claudio, della diocesi di Conversano-Monopoli, e Aurora, da Monreale:

R. – Sicuramente abbiamo molto ancora da fare dal punto di vista della cura del Creato. Però iniziare già con i ragazzi è un ottimo punto di partenza, perché aiuta le future generazioni a tenere a mente questo bene comune che è il Creato.

R. – La partecipazione dei ragazzi all’interno della vita parrocchiale è stata incitata anche dal Santo Padre durante il nostro incontro. Chi c’è stato prima di noi ha distrutto quello che avrebbe dovuto salvaguardare: quindi ora tocca a noi salvaguardarlo e portarlo avanti verso chi verrà dopo di noi.

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Mons Moraglia: Santa Madre Teresa: un esempio per credenti e non credenti

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"Madre Teresa di Calcutta è un fervido esempio per credenti e non credenti". Lo ha scritto il Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, in un articolo pubblicato sul giornale diocesano "Gente Veneta", col quale ha voluto ricordare la santa dei poveri canonizzata il 4 settembre da Papa Francesco. Ma cosa rappresenta Madre Teresa in particolare per la chiesa di Venezia? L’intervista al Patriarca Moraglia è di Federico Piana: 

R. – Come fanno sentire la loro voce potente ai grandi della terra gli umili e i piccoli di cuore? Con scelte che i grandi non farebbero, perché sono fuori della loro portata. Ha voluto essere proprio uno strumento molto semplice nelle mani del Signore, con scelte dirompenti, ma in grande comunione ecclesiale sempre.

D. – Lei, su Madre Teresa, ha scritto questo: “Mi ha colpito come Papa Francesco abbia voluto ricordare la sua forte determinazione a favore della vita ancora non nata”. …

R. – Consiglierei di andare al discorso con cui ritirò il Premio Nobel nel 1979 - ricordo Premio Nobel per la Pace - in cui Madre Teresa lega pace a rispetto della vita, dove la vita è più fragile e cioè nel seno materno. Dicendo che finché non si recupera questo rapporto fondamentale dell’uomo con l’uomo, della madre col figlio, difficilmente potremo parlare di pace e parleremo sempre di pace in modo parziale.

D. – Perché, secondo lei, Madre Teresa col suo servire interpella credenti e non credenti?

R. – Perché va all’uomo senza chiedere all’uomo la sua carta anagrafica, senza chiedere all’uomo come mai è ridotto in quelle situazioni. E noi dobbiamo pensare a quella frase di Madre Teresa che dice: “Non possiamo fare grandi cose su questa terra, però possiamo farle con grande amore”. Ecco, credo che questa sia la grande rivoluzione: è l’unica rivoluzione che non fa danni, non fa morti e non sostituisce dei potenti ad altri potenti. Proprio questo amore che incontra l’altro e dice all’altro cosa posso fare per te. E poi Madre Teresa guardava l’altro non solo come un corpo, ma anche come il riflesso di Dio.

D. – Molti - anche sul quotidiano “Avvenire” - hanno proposto l’idea di proclamare Santa Madre Teresa di Calcutta Dottore della Chiesa. Lei è d’accordo o no? Potrebbe essere una possibilità o no?

R. – La pienezza della fede è l’amore: quindi io sono convinto che se andiamo a cercare nei pensieri di Madre Teresa, noi troveremo una sorta di filo rosso che ci permette di trovare una sapienza che traduce la sapienza della Croce all’interno del cammino di questa religiosa, di questa consacrata. Come ad alcuni sembrava improbabile che Teresina di Lisieux potesse diventare Dottore della Chiesa e risulta, invece, espressione di un sapere altissimo, non escludo che ci possa essere anche una strada in cui fede e carità si uniscano.

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Oggi in Primo Piano



Siria: anche Iran e Hezbollah aderiscono alla tregua

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In Siria, a partire dal tramonto di lunedì, comincerà la tregua in Siria negoziata tra gli Stati Uniti e la Russia. Al cessate il fuoco hanno aderito sia il governo di Damasco sia i suoi alleati, sia i gruppi ribelli. L’Onu auspica che l’accordo conduca ad una trattativa politica sul futuro del Paese. Intanto, dall'annuncio della tregua, almeno 100 persone sono state uccise nelle violenze che ancora si registrano in diverse zone della Siria. Il servizio di Marco Guerra: 

La tregua riguarda tutti gli schieramenti convolti nel conflitto siriano, ad esclusione dei gruppi islamisti. Nella ultime ore è stata espressa adesione anche da parte dell’Iran e dei miliziani libanesi Hezbollah, entrambi schierati al fianco del governo di Damasco. Esecutivo che, dal canto suo, ha subito accettato l’intesa russo-americana. Mosca garantirà per le forze governative, quelle sciite e quelle iraniane; mentre Washington dovrà convincere i gruppi di ribelli definiti “moderati” a rompere ogni legame con al Nusra e il sedicente Stato Islamico. Si continuerà a combattere infatti contro il Califfato. Al momento è previsto che la sospensione dei combattimenti da lunedì sera durerà solo una settimana, con scadenze ogni 48 ore, ed avrà come obiettivo immediato l’accesso degli aiuti umanitari alle centinaia di migliaia di persone intrappolate nelle violenze. Tuttavia lo stesso segretario di Stato americano John Kerry, che ha condotto i negoziati con il ministro degli Esteri russo Lavrov, ha parlato di possibile “punto di svolta”. Circola anche l’ipotesi una cabina di regina russo-americana per coordinare la lotta all’Is. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Staffan De Mistura vede nel dialogo tra le due potenze una “determinazione senza precedenti” e ritiene che già ad ottobre possa partire un negoziato politico, che ovviamente “durerà a lungo”, sul futuro della Siria con tutti gli attori regionali. Intanto, a poco più di 24 ore dall’inizio del cessate il fuoco, la Turchia segnala di aver ucciso 20 combattenti in un raid aereo nel nord della Siria, mentre sono salite a 58 le vittime dei bombardamenti non identificati che ieri hanno colpito un mercato ad Idlib, almeno 13 bambini uccisi.

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11 settembre. Ambasciatore Usa: altruismo ha vinto l'orrore

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Gli Stati Uniti d’America si fermano oggi per commemorare le vittime degli attentati terroristici dell’11 settembre che costarono la vita a quasi 3 mila persone.  “La paura del terrorismo – ha detto il presidente americano Barack Obama alla vigilia delle celebrazioni - non deve stravolgere i nostri valori”. “Non dobbiamo seguire – ha aggiunto - chi vorrebbe dividerci”. Nel 15.mo anniversario dell’attacco all’America, Tracey McClure ha raccolto la testimonianza dell’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Kenneth Hackett

R. - In that moment I was working as president of Catholic Relief Services …
All’epoca ero presidente del Catholic Relief Services che conta collaboratori in diversi Paesi in tutto il mondo. Quando ancora non era evidente che fosse un attacco terroristico, abbiamo immediatamente avviato le nostre misure di emergenza per metterci in contatto con tutti i nostri collaboratori perché non capivamo cosa stesse accadendo. È stato il più grande attacco sul territorio americano. Gente di tutte le nazionalità e confessioni erano lì. Il World Trade Center era un enorme edificio. È stato un evento veramente sconvolgente. Le cose sono peggiorate durante la giornata quando un aereo si è schiantato contro il Dipartimento della Difesa e un quarto aereo è caduto in Pennsylvania. Non sapevamo davvero cosa stesso succedendo.

D. - Quali erano i suoi sentimenti, il suo stato d’animo …

R. – Protect my staff alla around the world …
Proteggere i miei collaboratori in tutto il mondo. Noi non sapevamo cosa fosse un atto terroristico di tale protata. Per questo motivo ci siamo subito messi in emergenza. Eravamo scioccati. C’era un senso di impotenza. Avendo vissuto a Manhattan, appena a tre isolati di distanza dal World Trade Center conoscevo la vita di quel posto. Migliaia e migliaia erano le persone che uscivano dalla polvere degli edifici collassati. I poliziotti e i pompieri hanno compiuto azioni eroiche: oltre 300 pompieri sono rimasti uccisi nel tentativo di salvare le persone.

D. - Infatti molte persone hanno detto che questo evento ha tirato fuori la parte migliore degli americani  …

Yes, maybe that will be the legacy, not just the horrot of three thousand people died…
R. - Sì forse sarà questa l’eredità più forte per il popolo americano, non solo l’orrore di tremila vittime. Ci sono state molte azioni di altruismo; le persone cercavano di dare assistenza e reagire. Questo è stato un elemento positivo. Possiamo offrire le nostre preghiere per quelle famiglie che hanno perso dei cari nel World Trade Center… Si porteranno nel cuore questa sofferenza per sempre. Possiamo immaginare che tipo di sofferenza sia, ma continuiamo a pregare e a ricordarle in questo 15.mo anniversario.

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All'insegna dell'incertezza il voto anticipato in Croazia

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In Croazia è durata appena sei mesi l’ultima legislatura e il Paese questa domenica torna alle urne. I sondaggi prevedono un testa a testa tra i due maggiori partiti: l’Unione Democratica, di ispirazione conservatrice, e quello Social-democratico. A ridosso, la formazione centrista Most, con cui necessariamente chi vincerà dovrà dialogare per formare il nuovo esecutivo. Un clima, dunque, in cui non è possibile fare previsioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mauro Ungaro, direttore del periodico “Voce Isontina”: 

R. – Sì, effettivamente è una situazione di estrema incertezza. I sondaggi ci dicono che i due partiti maggiori, l’Unione Democratica Croata e il Partito Social-democratico, dovrebbero essere alla pari e ancora una volta Most potrà essere l’ago della bilancia.

D. - La debolezza del prossimo governo potrebbe essere la stessa di quello precedente, cioè il doversi alleare con Most, che è un partito nato, in fondo, in antitesi ai due partiti principali?

R. – Esatto, ricordiamo che Most è un partito che nasce come partito anti-sistema. Anche ora senz’altro lo sarà, quindi la situazione non fa prevedere un futuro certo in questo momento.

D. - In chiave europea che significato ha questo voto? L’Unione Democratica si è mostrata assolutamente favorevole a rispettare i parametri richiesti da Bruxelles …

R. – Sì, la Croazia ha alle spalle un periodo di governo non facile riguardo i rapporti con l’Unione Europea, soprattutto perché c’è stato un giro di vite nei confronti dei mass media e un periodo anche di revisione di quello che è stato il passato croato, su cui Bruxelles aveva avanzato non pochi dubbi. Chiaramente nessuna delle due coalizioni mette in discussione quella che è l’adesione all’Unione Europea, ma anche il futuro nell’Ue. Si tratterà di cercare di capire su che cosa si focalizzerà, da un punto di vista pratico, l’attività del governo, anche perché il fatto che Most funga da ago della bilancia in questo momento, lascia spazio a varie supposizioni. La stessa campagna elettorale è stata decisamente moderata, dai toni non accesi e, più che altro, caratterizzata da nuove polemiche tra i vicini balcanici, mosse da quella che è stata la revisione da parte di Zagabria della condanna per collaborazionismo al beato cardinale Stepinac, pronunciata nel 1946, condanna che ora il tribunale croato ha annullato.

D. - Quale strascico ha lasciato il sanguinoso conflitto degli anni ’90 che ha coinvolto la Croazia e tutta l’ex Jugoslavia?

R. - In questi giorni rileggevo le parole di San Giovanni Paolo II, che esattamente 20 anni fa celebrava a Zagabria i 900 anni di quella diocesi e in un discorso – ricordiamo in quel momento in quali condizioni era la penisola balcanica – disse delle parole che rimangono veramente impresse: “Suggerisce la pace la stessa collocazione geografica, che fa delle terre balcaniche un punto di passaggio. Proprio da questo è derivato nel corso dei secoli la fioritura di varie attività. In questa linea sta dunque anche il futuro della penisola balcanica. Il progresso e il bene di queste Nazioni hanno un solo nome: pace!”. Mi pare che sia un cammino delineato e da cui assolutamente non si può uscire.

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Elezioni in Bielorussia: scontata la vittoria di Lukashenko

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Elezioni parlamentari questa domenica in Bielorussia: scontata la vittoria del partito del presidente Aleksandr Lukashenko, che lo scorso ottobre ha conquistato il quinto mandato consecutivo con l'83,49% dei consensi. Il servizio di Marco Guerra: 

Molti osservatori definiscono la Bielorussia l’ultima dittatura d’Europa. Ma il sostegno popolare di cui gode il Presidente Alexander Lukashenko non può essere spiegato solo attraverso le accuse di brogli che più volte sono gli state mosse dalle opposizioni. Lukashenko è infatti Capo dello Stato dal 1994 e le sue politiche protezionistiche sono apprezzate soprattutto nelle aree rurali. Le opposizioni sono aggregate in una coalizione che raduna movimenti che guardano con favore all’avvicinamento all’Europa e partiti che rappresentano le minoranze etnico- linguistiche, per loro la sfida sarà riuscire ad accedere in Parlamento. Le operazioni di voto saranno seguite da decine di osservatori di organizzazioni internazionali, tra cui l'Osce. La Bielorussia, che conta oltre 9,5 milioni di abitanti, resta nella sfera di influenza russa, ma Lukashenko in questi ultimi anni ha aperto alla Comunità Internazionale; il Paese gioca infatti un importante ruolo di mediazione politica nella crisi ucraina. Per un’analisi di queste elezioni e della situazione nel Paese sentiamo il Prof. Antonio Macchia, docente di Storia dell’Europa Orientale all’Università degli Studi Internazionali di Roma: 

R. – Non abbiamo grosse novità nel panorama politico bielorusso; abbiamo sempre questa figura di Lukashenko che è il deus ex machina di tutte le politiche interne bielorusse, abbiamo un’opposizione, anche se abbastanza ridotta, che ha questo leader che è dovuto riparare all’estero da qualche anno, ormai, a Londra, nello specifico, che è Andrei Sannikov, un diplomatico che nelle precedenti elezioni presidenziali si era opposto a Lukashenko. I temi essenziali di questa opposizione sono in parte simili a quelli della “Primavera arancione” in Ucraina, cioè un rapporto differente con l’Unione Europea, un rapporto di dialogo con l’Unione Europea e però poi soprattutto una libertà nel processo elettorale. Lukashenko è un leader che comunque ha un suo consenso all’interno del Paese, anche se a noi occidentali, a noi europei può piacere in maniera limitata: nel Paese, piace.

D. – Si tratta di una tornata elettorale dall’esito scontato: abbiamo visto che l’opposizione è molto debole, questa opposizione che in parte guarda all’Europa. Quindi, cosa dobbiamo aspettarci e quali sono i temi sul tappeto, di queste elezioni? Il Paese, a che punto è?

R. – Sì, anche secondo me, l’esito è scontato. Poi, ripeto, l’opposizione è più presente nelle città e meno nelle campagne. Forse un elemento nuovo che potrebbe giocare è una consapevolezza differente rispetto al discorso finanziario, ma è un elemento che permane già da diversi anni: quindi, perché dovrebbe ora operare in maniera molto più forte? Comunque, la Bielorussia è un Paese indebitato sia verso il Fondo Monetario Internazionale sia verso l’Unione Europea e quindi forse un certo spazio all’opposizione potrebbe derivare da questo. Ma il problema è lì: il Parlamento è un Parlamento nel quale non ci sono deputati dell’opposizione e quindi il primo anello potrebbe essere quello, cioè un ingresso in Parlamento di alcuni deputati dell’opposizione mentre il risultato mi sembra pienamente scontato. Lukashenko avrà una maggioranza parlamentare senz’altro plebiscitaria o comunque vicina al plebiscito. Prima si parlava di maggioranze bulgare, oggi forse possiamo parlare di maggioranze bielorusse.

D. – Quindi la vera sfida di queste elezioni è vedere se l’opposizione riuscirà a mettere un nutrito gruppo di suoi rappresentanti in Parlamento?

R. – Diciamo di sì. Non serve nemmeno un nutrito gruppo: basta un piccolo gruppo di deputati dell’opposizione. Questa secondo me è la sfida. E poi, certamente il contesto internazionale in futuro può aiutare o meno un’evoluzione positiva della politica estera e interna bielorussa. La cosiddetta “Camera bassa”, che è l’equivalente del Parlamento, ha 100 rappresentanti: ve ne sono 99, tutti del partito di Lukashenko; il centesimo non c’è perché per essere eletto il rappresentante di un distretto, in quel distretto bisogna che vi sia almeno il 50% di voti espressi sugli aventi diritto al voto.

D. – Che ruolo gioca nello scacchiere europeo? Abbiamo visto che gli accordi di pace per l’Ucraina sono stati firmati proprio a Minsk …

R. – La Bielorussia è diventata, sul malgrado, un territorio neutrale tra varie tensioni, tra varie trazioni politiche. E’ chiaro che dietro la Bielorussia c’è la Russia di Putin; forse la Bielorussia insieme alla Moldova è rimasto l’unico Paese credibilmente parte della vecchia Csi, per cui quello è il luogo dove si possono concludere gli accordi, cioè un intermediario credibile in questo momento, ma senz’altro non da reale protagonista. Certamente, una pacificazione della questione ucraina può incidere anche sulla Bielorussia, ma il problema di fondo è sempre quello dei rapporti tra Unione Europea e Russia.

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Carestia in Sud Sudan, mons. Biguzzi: servono aiuti internazionali

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Il Sud Sudan è colpito da una drammatica carestia. Lo denuncia la Fao. Sarebbero almeno 5 milioni le persone che sono alla fame. La crisi politica, che si è acuita nel luglio scorso, lascia in una condizione di forte instabilità e di violenza l’intero Paese. Per la popolazione è difficile far fronte alla carenza di cibo a causa dell’arresto della produzione agricola e dell’elevato tasso di inflazione. A questo si aggiunge una difficoltà nel far arrivare gli aiuti dai Paesi vicini, data l'insicurezza delle strade. Maria Carnevali ha intervistato mons. Giorgio Biguzzi, vescovo emerito di Makeni, in Sierra Leone, che ha visitato recentemente il Sud Sudan: 

R. - È una situazione dolorosissima e molto complessa, ha radici lontane: va dall’esperienza di guerra, di guerriglia per l’indipendenza, all’intreccio di interessi internazionali e di lotte tribali per il potere locale. Tutto questo a spese della popolazione civile. Ho visto nei villaggi anche lontani gente che cerca soprattutto di sopravvivere difendendosi o fuggendo dalle bande armate che sono aizzate da un gruppo o dall’altro con radici legate ad interessi politici ed economici degli altri Paesi, di quelli vicini e di quelli lontani. Il Sud Sudan è un Paese ricco di petrolio, di acqua e di tante altre ricchezze e come dice la Bibbia: “Dove sono i cadaveri, lì si radunano le aquile”.

D. - La produzione agricola è paralizzata dalla situazione politica instabile. Dall’inizio della  guerra civile nel 2013 la situazione è peggiorata?

R. - È peggiorata tantissimo. Trai il 2014 e il 2015 si era stabilizzata e quindi la gente aveva ripreso a coltivare la terra. L’attività principale è legata al bestiame, poi la coltivazione del sorgo. Purtroppo con l’accordo siglato, ma non mantenuto per un governo di coalizione nazionale, è riscoppiata la guerra. Le vittime sono state migliaia e molta gente quindi ha dovuto smettere di coltivare anche perché coltivano, poi magari arriva un gruppo di guerriglieri e porta via, saccheggia … Quindi non c’è più la voglia di tentare, perché il futuro è incerto. Di conseguenza cercano scampo nei campi che dovrebbero essere protetti dai soldati dall’Onu oppure vanno all’estero con sofferenze inimmaginabili che, per chi non le ha viste o toccate con mano, rompono veramente l’anima e il cuore. Vedere tanta gente innocente soffrire così tanto … Però c’è da dire che le Chiese cristiane, tutte insieme, hanno sempre e in unità alzato la voce per chiedere pace, giustizia, rispetto della gente. Questo lo hanno sempre fatto con grande coraggio. Le Chiese sono diventate un po’ un punto di riferimento per tanti che fuggono e trovano qualche oasi di pace, di sicurezza nelle chiese.

D. - Anche gli aiuti fanno difficoltà ad arrivare a causa dell’insicurezza sulle strade. Come poter pianificare un sistema di aiuti per la popolazione?

R. - Questo è proprio un rebus, perché questa nazione non ha sbocco o accesso al mare. Praticamente l’unica strada asfaltata che dalla capitale va verso l’Uganda è naturalmente anche quella insicura. I rifornimenti arrivavano attraverso il fiume o venivano fatti tramite piccoli aerei. Ma qui adesso è pericolosissimo. Quindi anche far arrivare gli aiuti è un problema da risolvere.

D. - Ad aggravare la situazione è sicuramente l’alto tasso dell’inflazione che è arrivato ormai all’800% …

R. - L’economia del Sud Sudan è basata, direi quasi esclusivamente, sul petrolio, però quando è scoppiata la guerra c’è stato un calo drammatico nelle esportazioni e quindi c’è stato un crollo delle finanze dello Stato che ha portato a questa svalutazione enorme. Anche a livello internazionale non si sa come intervenire e soprattutto non si vuole intervenire in maniera energica perché ognuno ha da tutelare i propri interessi politici ed economici.

D. - Che cosa si dovrebbe fare concretamente per ripristinare la stabilità politica e di conseguenza anche quella sociale?

R. - Sostenere tutte le forze interne, attive come sono le Chiese cristiane con i loro leader, perché è dall’interno che deve arrivare la spinta per una risoluzione del conflitto, sostenere anche quei timidi gesti da parte dell’Onu e spingere sui suoi rappresentanti perché anche grandi potenze utilizzino il loro potere a beneficio della gente.

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Amatrice: si attendono le prime casette provvisorie

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Ad Amatrice, paese più interessato dal sisma dello scorso 24 agosto, continua senza sosta l’opera di aiuto delle popolazioni colpite. Beni di prima necessità  sono stati spediti in abbondanza da ogni parte del mondo con una mobilitazione senza precedenti. Ora, prima dell’arrivo delle piogge e dell’inverno, si attendono le prime casette provvisorie. Per un primo bilancio degli interventi di sostegno, Federico Piana ha intervistato  Alberto Campaioli, responsabile volontario della Confederazione delle Misericordie d’Italia: 

R. – Qui è difficile spostarsi! A volte devi fare un giro anche di mezz’ora per fare cinque chilometri… Questa è la prima cosa da risolvere, anche per favorire l’intervento. Le persone sono tutte alloggiate nei campi. Quelli che sono alloggiati nei campi sono ovviamente i residenti: come voi sapete la maggior parte delle persone che erano presenti qui, quando c’è stato il terremoto, non sono residenti qui. Sono persone che hanno o la seconda casa o che sono dei semplici turisti, che quando hanno potuto se ne sono andati. Quindi qui restano i residenti e i residenti sono alloggiati nei campi, a parte quelli che hanno ancora una casa dove poter stare in sicurezza, perché è già stato fatto il sopralluogo. Qui dormono, qui possono mangiare e possono usufruire dei bagni. Da questo punto di vista l’accoglienza c’è ed è esaustiva.

D. – Si parla delle “casette”,provvisorie... Sta arrivando il maltempo…

R. – Senza ombra di dubbio, anche perché qui siamo in montagna e quindi il freddo arriva e arriva presto. L’urgenza è di creare delle strutture che possano accogliere. Abbiamo parlato con i colleghi della Protezione Civile del Trentino Alto Adige, che stanno lavorando giorno e notte per mettere in condizione la scuola di funzionare entro la riapertura delle scuole. Quindi si parla della settimana prossima… Loro sono convinti di farcela, anche se ovviamente è una corsa contro il tempo: non è facile, ma l’impegno – e questo lo posso garantire – c’è veramente da parte di tutti!

D. – La tempistica di queste “casette”? Ce le avranno prima dell’inverno oppure no?

R. – E’ molto difficile dirlo al momento. La richiesta è assolutamente quella da parte delle persone…

D. – Bisogna anche dire che non serve mandare altro cibo, perché non saprebbero cosa farne…

R. – Assolutamente no! Cibo, vestiti e quant’altro al momento non servono. Chi vuole in qualche maniera aiutare adesso trovi un’associazione di cui ha fiducia o la propria Caritas o chieda al proprio parroco, trovi qualcuno di cui si fida, e al limite faccia una donazione in denaro.

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Mostra del Cinema: Leone d’oro al filippino Lav Diaz

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Assegnati ieri sera, nel corso della cerimonia di chiusura in Sala Grande, i "Leoni" della Mostra del Cinema di Venezia. Verdetti che hanno premiato l'equilibrio tra cinema d'autore e quello più commerciale. Ma le sorprese più grandi sono giunte dalla sezione Orizzonti e dalla Settimana della Critica. Il servizio di Luca Pellegrini:  

Nelle alchimie, sempre molto segrete prima e parzialmente rivelate poi, che guidano i verdetti di una giuria, ribollono spesso non solo gusti personali, ma prospettive di cinema. Per questo, probabilmente, il Leone d'oro a Venezia è stato assegnato ad un film filippino in bianco e nero di quattro ore, "The woman who left", che Lav Diaz ha filmato con un rigore straordinario e un afflato, pur se la vicenda non è per nulla serena, poetico. Di contro, per bilanciare, il cinema americano porta a casa la Coppa Volpi per la migliore attrice di Emma Stone - magnifica nel musical "La la land" - il Gran Premio della Giuria a Tom Ford con il suo raffinato, impeccabile "Nocturnal Animals" e il riconoscimento alla sceneggiatura di "Jackie" di Pablo Larraín, favorito e che meritava ben più. Poi vengono le scelte discutibili: "La región salvaje" di Escalante affiancata a "Paradise" di Konchalowsky per il Leone d'argento alla migliore regia: un guazzabuglio confuso il primo, un capolavoro il secondo. Ci si è anche dimenticati del magnifico "Frantz" di Ozon, un film sull'appassirsi dell'amore e il perdono all'indomani della Grande Guerra, ma almeno si riconosce meritatamente alla sua protagonista, Paula Beer, la migliore attrice emergente. Non emerge, anzi, sprofonda nel ridicolo l'aver premiato i cannibali di "The bad batch". Mentre la vita quotidiana di Padre Cataldo, esorcista siciliano, documentata in "Liberami" da Federica Di Giacomo, è giudicata il miglior film della sezione Orizzonti. E va alla Settimana della Critica il grossissimo merito di aver portato a Venezia "The last of us" del tunisino Ala Eddine Slim, visto da pochissimi, che ha vinto il Leone del Futuro per la miglior opera prima: la fuga di un clandestino dal suo paese che approda in un mondo primitivo diventa l'immagine dell'umanità che percorre i tempi ultimi in cui la parola scompare e il mondo entra nella dimensione dell'eterno. Una parabola quasi cristologica, da non perdere.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi australiani: gli anziani sono una risorsa

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“Un posto a tavola: la giustizia sociale in una società che invecchia”: si intitola così l’opuscolo pubblicato in questi giorni dalla Commissione episcopale per la Giustizia sociale della Chiesa cattolica australiana. L’ampio documento presenta una serie di riflessioni e proposte per l’anno pastorale 2016-2017, guardando “alla sfide, ma anche alle opportunità” che presenta oggi l’età avanzata.

La vecchiaia è una vocazione
“La nostra società – scrive nel messaggio introduttivo mons. Vincent Long Van Nguyen, presidente della Commissione episcopale – ha bisogno di adeguarsi ad una comunità con un numero crescente di persone anziane ed un numero calante di persone in età lavorativa”. “La vecchiaia è una vocazione”, aggiunge il presule, citando le parole di Papa Francesco, “non si tratta quindi di ‘tirare i remi barca’, anche se le società attuali non sono pronte, spiritualmente e moralmente, ad apprezzare il vero valore di questa fase della vita”.

Riconoscere le capacità delle persone anziane
Ma il presule ricorda anche che oggi “ci troviamo di fronte ad una nuova visione dell’invecchiamento in cui rientrano persone di 60-70 anni in buona salute, con molte competenze ed energie da offrire alla comunità”. Di qui, l’invito al governo ed ai datori di lavoro a “riconoscere le vere capacità delle persone anziane”, affinché possano metterle a frutto. Al contempo, la Chiesa australiana esorta a non dimenticare quegli anziani che “non sono in salute, né benestanti” e che necessitano di “aiuto e sostegno”.

No a cultura dello scarto, vincere stereotipi disumanizzanti su anziani
“Questo è il momento – si legge nell’opuscolo – in cui dobbiamo vedere agire una società giusta”, “sfidando l’individualismo ed il consumismo della società moderna che dà origine alla ‘cultura dello scarto’, come la chiama Papa Francesco”. Di qui, l’invito a non credere agli stereotipi “falsi e disumanizzanti” che vedono le persone anziane come “incapaci di ragionare, scollegate dal mondo o non autonome”, perché “gli uomini non sono merci e non devono essere valutati solo in base alla loro produttività o al potere d’acquisto”.

Società sia inclusiva, puntare sulla solidarietà intergenerazionale
Per questo, mons. Van Nguyen sottolinea che gli anziani sono “esseri umani nel senso più pieno del termine, con diritti preziosi, una dignità donata da Dio, con saggezza ed esperienza che rappresentano tesori inestimabili”. Triplice, allora, ricorda il presule, sarà la sfida che la società australiana dovrà affrontare: “Lavorare per una società inclusiva per porta gli anziani nel cuore della comunità; garantire la dignità e le cure alle persone più fragili e più vulnerabili, a rischio di abbandono o di abusi; favorire la solidarietà intergenerazionale”. “Le persone anziane sono figlie di Dio – conclude mons. Van Nguyen – Tutti siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio e siamo chiamati ad avere il nostro ‘posto a tavola’”.

Tutelare vita degli anziani fino a morte naturale
L’opuscolo della Commissione episcopale per la Giustizia sociale suggerisce, poi, alcuni modi utili per prendersi cura degli anziani: in primo luogo, si raccomanda di non porre barriere, nel mondo del lavoro, alle persone di età avanzata, bensì di dare risalto alla loro esperienza vissuta sul campo. Centrale anche il richiamo ad una partecipazione lavorativa che non sia riconosciuta solo nell’aspetto economico, ma che rientri in una “visione olistica” in cui l’anziano possa sentirsi ancora “attivo e produttivo”. Ancora: i vescovi sottolineano la necessità di tutelare la dignità delle persone più vulnerabili, soprattutto tutelandone la vita fino alla morte naturale. Infine, la Chiesa australiana esorta i fedeli a vivere “come una comunità di misericordia ed amore”. (I.P.)

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Filippine: esortazione pastorale del vescovo di Daet

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“Andremo alla casa del Signore”: si intitola così, con un versetto del Salmo 122, l’Esortazione pastorale scritta da mons. Gilbert Garcera, vescovo di Daet, nelle Filippine, al termine della sua visita pastorale 2016 nella diocesi. Il documento episcopale, pubblicato sul sito dei vescovi filippini, giunge in un momento particolare per la Chiesa locale: la diocesi di Daet, infatti, ha celebrato i 40 anni di fondazione nel 2014 ed ora si sta preparando, insieme alle altre diocesi del Paese, alla celebrazione del 500.mo anniversario di evangelizzazione delle Filippine, che ricorrerà nel 2021.

Preghiera e devozione eucaristica
Per questo, mons. Garcera elenca cinque principi-guida per aiutare i fedeli nel “cammino di fede” dei prossimi cinque anni. “La prima area di crescita della nostra vita diocesana – spiega il presule – deve essere la preghiera con la devozione eucaristica”, elementi che non sono da intendersi intesi come “un compito esclusivo dei sacerdoti”, ma devono “comportare la partecipazione dei laici”. Per questo, mons. Garcera incoraggia “l’esercizio delle pratiche di pietà religiosa”, come anche la diffusione “dell’adorazione del Santissimo Sacramento” in tutte le parrocchie, affinché esse siano un luogo di culto “partecipato attivamente da una comunità orientata alla missione, e non un ambiente esclusivo”.

Accompagnamento costante e rassicurante
Come secondo principio, poi, il vescovo di Daet indica “l’amore per la Parola di Dio”: “Dobbiamo essere formati da Gesù – scrive – perché è sua la Parola che seguiamo”. Di qui, il richiamo alla necessità di una formazione specifica per i sacerdoti, ma anche per i laici, i catechisti, i membri delle organizzazioni religiose e i responsabili della Pastorale giovanile. Tale formazione deve comprendere “il discernimento e l’arte di un accompagnamento costante e rassicurante, che rifletta la vicinanza della Chiesa ed il suo sguardo compassionevole”.

Rafforzare legame scuola-parrocchia
Centrale, poi, l’appello a rafforzare il legame tra le scuole cattoliche e le parrocchie, affinché gli studenti diventino davvero “parte integrante della comunità ecclesiale”. Inoltre, mons. Garcera auspica che ogni parrocchia indica una Domenica o un fine-settimana dedicati alla catechesi dei bambini, mentre i giovani vengono esortati ad “usare con saggezza i mezzi di comunicazione sociale per evangelizzare e condividere, con i coetanei, la loro esperienza con Cristo”.

Attenzione per i carismi. Laici siano più coinvolti nella vita della Chiesa
La terza area di sviluppo indicata dal vescovi riguarda, invece, lo sviluppo di “tante diverse forme di carismi”: una realtà “di cui non dobbiamo aver paura”, sottolinea il presule, in quanto si tratta di doni inviati dallo Spirito Santo e che “aspettano solo di essere sviluppati e sfruttati”, così da favorire “l’edificazione delle parrocchie e dell’intera diocesi”. E ancora: al quarto punto, mons. Garcera evidenzia l’importanza del ministero laicale e la necessità di laici maggiormente impegnati nella vita della Chiesa: “Essi non devono essere solo nomi o dati statistici – mette in guardia il presule – ma hanno bisogno di essere coinvolti attivamente nella Chiesa”.

Salvaguardare il Creato
In quest’ottica, il vescovo filippino suggerisce di “individuare famiglie e coppie di sposi” che possano contribuire, in particolare, alla Pastorale della famiglia, mettendo la loro esperienza personale al servizio degli altri. Infine, come ultimo punto, mons. Garcera chiede una maggiore attenzione all’amministrazione degli organismi diocesani, affinché ogni chiesa proceda, ad esempio, all’inventario dei propri beni o alle operazioni di restauro, là dove necessario. Il tutto guardando alla cura del Creato e all’attenzione per le risorse della terra “così generosamente donate da Dio” per “uno sviluppo sostenibile ed integrale”.

I “Nove anni per l’evangelizzazione”
Da ricordare che, in preparazione alle celebrazioni del 2021, la Chiesa filippina sta portando avanti l’iniziativa “Nove anni per l’evangelizzazione”. Iniziati nel 2013, in coincidenza con l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, i “Nove anni” hanno riflettuto, tra il 2013 ed il 2014, sulla formazione integrale alla fede e sul ruolo dei laici, intesi come “agenti di evangelizzazione”. Il 2015, invece, è stato dedicato ai poveri, mentre quest’anno si riflette sul legame tra Eucaristia e famiglia, anche in coincidenza del Congresso eucaristico internazionale svoltosi a Cebu a fine gennaio.

Ogni fedele sia  un missionario
Il 2017 sarà poi dedicato alla parrocchia, mentre sacerdoti e giovani saranno i protagonisti del biennio 2018-2019. Nel 2020, invece, i vescovi filippini rifletteranno su ecumenismo e dialogo interreligioso per promuovere “i grandi valori della pace e dell’armonia soprattutto nelle aree di conflitto. Infine, il 2021, sarà riservato alla “missio ad gentes”, affinché ciascun fedele sia spinto a “diventare missionario”. (I.P.)

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Colombia, “Chiese e miniere”: difendere vita e Creato

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“Gli effetti nocivi delle grandi opere di estrazione mineraria minacciano i diritti della natura e si qualificano come un delitto contro l’umanità”: è quanto emerge dalla Dichiarazione finale del terzo Incontro della rete “Chiese e miniere”, svoltosi a Bogotà, in Colombia, dal 2 al 6 settembre. A carattere ecumenico, l’evento è stato dedicato all’analisi dei grandi progetti minerari del continente latinoamericano ed ha visto la partecipazione di circa 50 rappresentanti, provenienti da dodici diversi Paesi.

No alla violenza, giustizia per le donne
Quattro le emergenze evidenziate nel documento finale: in primo luogo, “la crescente criminalizzazione e gli atti violenza contro le persone che difendono i loro territori”. A tal proposito, viene ricordato la drammatica uccisione, nel marzo scorso, di Berta Cáceres, ecologista, attivista per i diritti umani e rappresentante degli indigeni in Honduras. Per lei, i firmatari “esigono giustizia”, invocando, al contempo, “un mondo più giusto per le donne, protagoniste della difesa della vita”.

Salvaguardia del Creato è elemento costitutivo dell’essere cristiani
La rete “Chiese e miniere” si dice poi consapevole del fatto che difendere la Creazione, in un sistema depredatore il cui fine ultimo è il profitto e il denaro, è un'azione che implica rischi e pericolo di morte”. Tuttavia, forti della fede, i firmatari esortano le autorità locali ad “un impegno etico” in favore di iniziative “in difesa delle popolazioni e della natura”. Ma oltre alle autorità, anche le Chiese vengono chiamate ad “assumere un impegno attivo in difesa della ‘casa comune’, elemento costitutivo dell’essere cristiani”.

Aiutare le piccole comunità più vulnerabili
Infine, i firmatari esprimono sostegno al popolo colombiano “nel suo sforzo per raggiungere la pace e porre fine definitivamente al lungo periodo di guerra interna”. Dopo oltre 50 anni di conflitto, infatti, il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie) hanno raggiunto un accordo che verrà sottoposto a referendum il prossimo 2 ottobre. “La pace è il cammino per continuare la costruzione di una Colombia più giusta, equa e in armonia con la madre natura”, prosegue la rete ecumenica, ribadendo anche la volontà di sostenere “le piccole comunità sfrattate e travolte nei diritti più elementari, perché in nessun luogo del mondo l'attività mineraria è un'alternativa di sviluppo sostenibile dei popoli. (I.P.)

 

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Le Caritas della regione dei Grandi Laghi unite nella lotta alla povertà

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Le Caritas di Burundi, Repubblica democratica del Congo e Rwanda hanno adottato, in questi giorni, il loro Piano operativo per il triennio 2016-2019. Il progetto, informa una nota pubblicata sul sito web della Caritas Rwanda, “è il frutto di una riunione delle Caritas dell’Aceac (Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa centrale), svoltasi dal 3 al 5 settembre a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo”.

Previste cinque aree di intervento
Cinque le aree principali di intervento previste: lo sradicamento della povertà, lo sviluppo delle capacità operative, la promozione di una rete di comunicazione, il rafforzamento delle risposte alle emergenze e una maggiore mobilitazione delle risorse. “Rinnoviamo il nostro impegni – si legge nella nota – a vivere meglio il ministero della carità, lavorando in sinergia per contribuire alla risoluzione di molte sfide della nostra regione, comprese quelle relative alla presenza, in ciascun Paese, di molti rifugiati e sfollati, o anche i problemi derivanti dall’instabilità politica e dalla crescente povertà in una zona che è, comunque, piena di risorse”.

Azioni umanitarie e educazione alla pace
Le tre Caritas si sono quindi impegnate a “lavorare in coordinamento con la Commissione Giustizia e pace dell’Aceac”. Inoltre, i partecipanti all’incontro hanno ribadito la volontà di portare avanti “le azioni umanitarie” necessarie alla popolazione, fornendole anche “elementi educativi per la difesa della pace e della riconciliazione”. Al termine dei lavori, la Caritas della Repubblica democratica del Congo è stata incaricata di coordinare gli aiuti dell’Aceac per i prossimi tre anni, raccogliendo così il testimone dalla sua omologa del Burundi. (I.P.)

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Egitto: scarcerato consulente dei Regeni

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Il tribunale del Cairo ha ordinato la scarcerazione di Ahmed Abdallah, il consulente della famiglia Regeni e presidente della Commissione egiziana per i diritti umani e le libertà, arrestato il 25 aprile durante una manifestazione. Il rilascio è avvenuto su cauzione, ma su Abdallah e di altri 4 attivisti scarcerati restano ancora in piedi le accuse a carico e il suo processo andrà avanti.

Intanto i genitori di Giulio Regeni hanno confermato la volontà di incontrare a breve i procuratori egiziani che stanno indagando sul sequestro, le torture e l'omicidio del loro figlio. Venerdì a Roma il procuratore egiziano Nabeel Sadek si è detto disponibile a vederli "per manifestare anche a loro l'impegno e la volontà di giungere alla scoperta e alla punizione dei colpevoli di un così grave delitto". Tra gli elementi di novità sul caso c'è l'ammissione che la polizia egiziana ha indagato su Giulio Regeni per alcuni giorni, dopo una denuncia a suo carico presentata dal capo del sindacato indipendente.

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Laos: la Chiesa si prepara a due eventi storici

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La piccola Chiesa in Laos si prepara a festeggiare due eventi storici quest’anno: il 16 settembre si terrà a Savannakhet l’ordinazione sacerdotale di tre nuovi preti laotiani; mentre l’11 dicembre, seconda domenica di Avvento, è prevista a Vientiane la solenne celebrazione di beatificazione di 17 martiri tra sacerdoti, religiosi e laici che hanno perso la vita in Laos.

L’ordinazione il 16 settembre alla presenza di tutti i vescovi del Laos
Alla Messa di ordinazione sacerdotale, il 16 settembre, saranno presenti i vescovi laotiani dei Vicariati Apostolici di Vientiane, Luang Prabang, Savannakhet e Paksè. I tre diaconi prossimi al sacerdozio appartengono al Vicariato apostolico di Luang Prabang e hanno il nome di battesimo di tre grandi Santi: don Paolo Lattana Sunthon, don Agostino Saegna Sii Bunti, don Michele Kanthak Vilae Luong Di.

Un momento di piena comunione con la Chiesa universale
“E’ un momento storico per la nostra Chiesa, un vero anno di grazia” dichiara all’agenzia Fides mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, vicario apostolico di Paksé, osservando con soddisfazione che il Paese si sta aprendo sempre di più e che anche la Chiesa sta beneficiando di questo nuovo approccio. Il presule eprime quindi l’auspicio che si possa “rafforzare una proficua cooperazione con le autorità civili, per il bene della Chiesa e del popolo del Laos. “Siamo certi – aggiunge - che avremo degli ospiti alle celebrazioni, come i vescovi o i rappresentanti della Cambogia e speriamo anche da altri paesi vicini. Sarà per noi un momento di piena comunione con la Santa Sede e la Chiesa universale. Ringraziamo di cuore Papa Francesco che ha disposto che la celebrazione dei martiri si tenga in Laos. E’ un grande dono per tutti noi” conclude.

I 17 martiri riconosciuti da Papa Francesco nel 2015
I martiri laotiani, in tutto 17, sono stati riconosciuti da Papa Francesco nel 2015, in due distinte cause: la prima è quella del missionario italiano p. Mario Borzaga OMI e del primo catechista locale, Paolo Thoj Xyooj, uccisi in odium fidei nel 1960. La seconda riguarda il primo sacerdote laotiano, Giuseppe ThaoTien, Giuseppe Thao Tien,  e 14 compagni: 10 sacerdoti professi della Società delle Missioni Estere di Parigi e della Congregazione dei Missionari Oblati della Beata Maria Vergine Immacolata, e 4 laici. Nel Laos la presenza cristiana è stimata al 2% dei suoi abitanti in maggioranza buddisti e seguaci delle religioni tradizionali, di cui lo 0.7% è costituita da cattolici.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 255

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.