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Sommario del 16/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: trasmettere misericordia, mondo stanco di preti e vescovi alla moda

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Il mondo è stanco di preti e vescovi “alla moda”: la Chiesa si lasci “destabilizzare” dal Signore e sia vicina alla gente per trasmettere la misericordia di Dio. Così il Papa nel discorso ai partecipanti al Corso di formazione per nuovi vescovi, organizzato per questa settimana a Roma dalla Congregazione per i vescovi in collaborazione con quella per le Chiese Orientali. Presenti in Sala Clementina i cardinali Marc Ouellet e Leonardo Sandri, prefetti dei due dicasteri. Il servizio di Giada Aquilino

Rendere pastorale la misericordia di Dio. Questa la missione dei vescovi, e in particolare dei nuovi presuli, indicata da Papa Francesco. Il compito, “non facile” ha detto il Pontefice nel suo ampio discorso, è dunque renderla “accessibile, tangibile, incontrabile” nelle Chiese loro affidate in modo che siano “case dove albergano santità, verità e amore”. Una misericordia da offrire a questo “mondo mendicante”, ha osservato, senza tuttavia “attrarre a sé stessi”:

“Il mondo è stanco di incantatori bugiardi. E mi permetto di dire: di preti ‘alla moda’ o di vescovi ‘alla moda’. La gente ‘fiuta’ – il popolo di Dio ha il fiuto di Dio – la gente ‘fiuta’ e si allontana quando riconosce i narcisisti, i manipolatori, i difensori delle cause proprie, i banditori di vane crociate. Piuttosto, cercate di assecondare Dio, che già si introduce prima ancora del vostro arrivo”.

D’altra parte gli uomini “hanno bisogno della misericordia”: coscienti di essere “feriti e 'mezzi morti'”, ha osservato, tendono la mano per mendicarla, rimanendo “affascinati” dalla sua capacità di “chinarsi”, anche quando “un certo reumatismo dell'anima” impedisce di piegarsi. Servono dunque persone che sappiano far emergere dagli “sgrammaticati cuori odierni” la volontà ad ascoltare il Signore, favorendo “il silenzio” che rende ciò possibile.

“Dio non si arrende mai! Siamo noi che, abituati alla resa, spesso ci accomodiamo preferendo lasciarci convincere che veramente hanno potuto eliminarlo e inventiamo discorsi amari per giustificare la pigrizia che ci blocca nel suono immobile delle vane lamentele. Le lamentele di un vescovo sono cose brutte”.

L’esortazione è a lasciarsi “destabilizzare” da Dio: la sua misericordia - ha proseguito Francesco - è la “sola realtà” che consente all’uomo di non perdersi “definitivamente”. Ciò si traduce allora in “non avere altra prospettiva” da cui guardare i fedeli che quella della loro “unicità”, non lasciando “nulla di intentato” pur di raggiungerli, non risparmiando “alcuno sforzo” per ricuperarli. La via è “iniziare” ciascuna Chiesa ad un cammino d’amore, quando oggi – ha constatato il Papa – “si è perso il senso dell’iniziazione”:

“Pensate all’emergenza educativa, alla trasmissione sia dei contenuti sia dei valori, pensate all’analfabetismo affettivo, ai percorsi vocazionali, al discernimento nelle famiglie, alla ricerca della pace: tutto ciò richiede iniziazione e percorsi guidati, con perseveranza, pazienza e costanza, che sono i segni che distinguono il buon pastore dal mercenario”.

Le “strutture di iniziazione” delle Chiese locali, ha spiegato, sono i seminari:

“Non lasciatevi tentare dai numeri e dalla quantità delle vocazioni, ma cercate piuttosto la qualità del discepolato. Né numeri né quantità: soltanto qualità. Non private i seminaristi della vostra ferma e tenera paternità”.

Far dunque crescere i seminaristi “fino al punto di acquisire la libertà di stare in Dio tranquilli e sereni”, non preda “dei propri capricci e succubi delle proprie fragilità”, ma liberi di abbracciare quanto Dio chiede loro. Poi stare “attenti” a che non si rifugino “nelle rigidità”: sotto - ha affermato - c’è sempre “qualcosa di brutto”. Quindi accompagnare “con paziente sollecitudine” il clero.

“Vi prego pure di agire con grande prudenza e responsabilità nell’accogliere candidati o incardinare sacerdoti nelle vostre Chiese locali. Per favore, prudenza e responsabilità in questo. Ricordate che sin dagli inizi si è voluto inscindibile il rapporto tra una Chiesa locale e i suoi sacerdoti e non si è mai accettato un clero vagante o in transito da un posto all’altro. E questa è una malattia dei nostri tempi”.

Al contempo, ha raccomandato di accompagnare le famiglie “incoraggiando l’immenso bene che elargiscono” nella società, seguendo “soprattutto quelle più ferite” nel “discernimento” e con “empatia”.

“Non ‘passate oltre’ davanti alle loro fragilità. Fermatevi per lasciare che il vostro cuore di pastori sia trafitto dalla visione della loro ferita; avvicinatevi con delicatezza e senza paura. Mettete davanti ai loro occhi la gioia dell’amore autentico e della grazia con la quale Dio lo eleva alla partecipazione del proprio Amore”.

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Papa: vivere logica del “dopodomani”, no a pietà spiritualistica

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La logica del cristiano è la “logica del dopodomani” che non si ferma al presente ma guarda con fiducia alla risurrezione della carne. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia da una pietà spiritualistica, ripiegata sull'oggi. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Se Cristo non è risorto, neppure noi lo saremo”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo da un passo della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, per soffermarsi sulla “logica della redenzione fino alla fine”. Il Pontefice ha annotato, con un po’ di amarezza, che quando recitiamo il Credo, l’ultima parte la diciamo di fretta perché ci fa paura pensare al futuro, alla resurrezione dei morti.

La logica del dopodomani è la logica di Cristo risorto
“E’ facile per tutti noi – ha osservato – entrare nella logica del passato, perché è concreta” ed è anche “facile entrare nella logica del presente, perché lo vediamo”. Quando invece guardiamo al futuro, allora pensiamo che sia “meglio non pensare”. “Non è facile – ha ribadito – entrare nella totalità di questa logica del futuro”:

“La logica di ieri è facile. la logica dell’oggi è facile. La logica del domani è facile: tutti moriremo. Ma la logica del dopodomani, questa è difficile. E questo è quello che Paolo vuole annunziare oggi: la logica del dopodomani. Come sarà? ­Come sarà quello? La resurrezione. Cristo è risorto. Cristo è risorto ed è ben chiaro che non è risorto come un fantasma. Nel passo di Luca sulla resurrezione: ‘Ma toccatemi’. Un fantasma non ha carne, non ha ossa. ‘Toccatemi. Datemi da mangiare’. La logica del dopodomani è la logica nella quale entra la carne”.

Ci domandiamo, ha ripreso, “come sarà il cielo?” se “saremo tutti lì”, ma “non arriviamo a quello che Paolo vuol fare capire, questa logica del dopodomani”. E qui, ha ammonito, “ci tradisce un certo gnosticismo” quando pensiamo che “sarà tutto spirituale” e “abbiamo paura della carne”.

No a una pietà spiritualistica, entrare nella logica della carne di Cristo
Non dimentichiamo, ha detto, “che questa è stata la prima eresia”, che l’Apostolo Giovanni condanna: “Chi dice che il Verbo di Dio non è venuto in carne è dell’Anticristo”:

“Abbiamo paura di accettare e portare alle ultime conseguenze la carne di Cristo. E’ più facile una pietà spiritualistica, una pietà delle sfumature; ma entrare nella logica della carne di Cristo, questo è difficile.  E questa è la logica del dopodomani. Noi resusciteremo come è risorto Cristo, con la nostra carne”.

Francesco ha rammentato che i primi cristiani si chiedevano su come fosse risorto Gesù e osserva che “nella fede della resurrezione della carne, hanno la radice più profonda le opere di misericordia, perché c’è un collegamento continuo”. D’altro canto, ha proseguito, San Paolo sottolinea con forza che tutti saremo trasformati, il nostro corpo e la nostra carne saranno trasformati.

Chiediamo la grazia di credere nella trasformazione della carne
Ancora, ricorda che il Signore “si è fatto vedere e toccare e ha mangiato con i discepoli dopo la resurrezione”. E questa “è la logica del dopodomani, quella che noi troviamo difficoltà a capire, in cui troviamo difficoltà ad entrare”:

“E’ un segno di maturità capire bene la logica del passato, è un segno di maturità muoversi nella logica del presente, quella di ieri e quella dell’oggi. E’ anche un segno di maturità avere la prudenza per vedere la logica del domani, del futuro. Ma ci vuole una grazia grande dello Spirito Santo per capire questa logica del dopodomani, dopo la trasformazione, quando Lui verrà e ci porterà tutti trasformati sulle nuvole per rimanere sempre con Lui. Chiediamo al Signore la grazia di questa fede”.

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Papa a Pizzaballa: cristiani restino attivi e presenti in Terra Santa

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Papa Francesco ha ricevuto oggi mons. Pierbattista Pizzaballa, nominato il 24 giugno amministratore apostolico "sede vacante" del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini e consacrato vescovo il 10 settembre scorso. Su questo incontro ascoltiamo il padre francescano al microfono di Sergio Centofanti

R. – E’ stato un incontro molto fraterno, amichevole. Abbiamo parlato del mio mandato, il suo significato, le sue attese.

D. – Quali sono le speranze e le preoccupazioni del Papa per la Terra Santa in questo momento, come lei ha potuto sentire?

R. – Innanzitutto, ho percepito una chiara conoscenza dei problemi, anche delle prospettive che ci sono in Terra Santa. Quindi era molto dentro le questioni. Il suo desiderio è che la Chiesa possa essere luogo di incontro per tutti, che la comunità cristiana rimanga attiva, vivace e presente e quindi fare tutto il possibile per sostenere la comunità cristiana in un contesto assai complicato.

D. – Lei come inizierà  questo nuovo incarico in Terra Santa?

R. – Inizierò questo nuovo incarico innanzitutto ascoltando tutti e volendo lasciare spazio a tutti – naturalmente con un senso critico – in modo da capire insieme dove il Signore ci vuole condurre e poi con fermezza e amore allo stesso tempo guidare la Chiesa.

D. – Quali sono, in questo momento, le maggiori difficoltà per i cristiani e, in particolare, per la comunità cattolica di Terra Santa?

R. – Le difficoltà sono di diverso genere: interne ed esterne. Dal punto di vista interno, diciamo, l’unità. E’ importante preservare l’unità, la comunione, l’armonia, non soltanto all’interno della Chiesa cattolica – perché questo già c’è – ma anche all’interno del mondo cristiano, quindi anche con le altre Chiese non cattoliche. Questo è fondamentale. Essendo il numero dei cristiani limitato - siamo pochi - è importante che i cristiani, tutti i cristiani, abbiano un’unica voce. Smetterla, quindi, con le gelosie tra le Chiese, insomma. Dal punto di vista esterno, che la comunità cristiana unita si presenti come un interlocutore autorevole, non per i suoi numeri – perché non sono tanti - ma per la qualità della sua presenza. Sostenere i cristiani, soprattutto in Giordania, in Terra Santa, favorendo tutte le iniziative che aiutino la comunità cristiana a progredire nell’ambito formativo, nell’ambito anche del lavoro, perché poi bisogna sempre essere concreti.

D. – Come vede invece il processo di pace in questo momento?

R. – In questo momento, ahimè, non c’è nessun processo né di pace né di guerra. Grazie a Dio non c’è la guerra, ma non c’è nemmeno la pace. Quindi è una situazione ambigua che è ferma, in stallo da molto tempo, perché le due parti non si parlano. Bisognerà, dunque, intervenire anche su questo, non certo con la presunzione che tutti stiano ad ascoltare noi, però insistere a tutti i livelli, perché questo negoziato - questo dialogo più che negoziato - riprenda quanto prima possibile.

D. – Di cosa avrebbe bisogno questo negoziato per ripartire?

R. – La volontà. Se c’è una cosa su cui tutto è chiaro, e si è discusso a lungo in tutti i dettagli, è proprio il negoziato israelo-palestinese. Se non c’è, se non si riprende è semplicemente per mancanza di volontà, di fiducia. Bisogna, innanzitutto, ricostruire le basi, perché ci sia un minimo di fiducia per parlarsi.

D. – Quali sono le sue speranze?

R. – La nostra speranza è in Gesù, che ha vinto il mondo. Per cui noi non dobbiamo  demordere. Anche se la situazione è difficile, noi dobbiamo continuare a lavorare, perché la pace ci sia innanzitutto tra di noi. E poi noi non potremo stravolgere in maniera drammatica le sorti del Medio Oriente, ma potremo nel piccolo contesto dove ci troviamo essere un piccolo esempio di pace. Questa è la nostra speranza.

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Cordoglio del Papa per la morte di Ciampi: ebbe forte senso dello Stato

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Papa Francesco ha espresso il suo cordoglio per la morte dell’ex presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi, avvenuta oggi a Roma. In un telegramma indirizzato alla moglie, la signora Franca Pilla, il Papa afferma che Ciampi ha ricoperto “le pubbliche responsabilità con signorile discrezione e forte senso dello Stato".

"Nel ricordare la sincera amicizia che legava questo illustre uomo delle istituzioni a San Giovanni Paolo II" - conclude il Papa - "elevo fervide preghiere di suffragio invocando dal Signore per la Sua anima la pace eterna. Con tali sentimenti invio a Lei e ai congiunti la benedizione apostolica".

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Francesco: sogno nuovo umanesimo europeo vicino agli ultimi

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“Si costruiscano ponti e si abbattano muri di separazione”: è quanto auspica il Papa in un messaggio indirizzato al card. Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, in occasione dell’incontro promosso dall’organismo a Sarajevo sul tema  delle Opere di Misericordia corporali e spirituali.

Il Papa invita tutti i credenti ad essere solleciti “verso quanti si trovano nel bisogno: poveri migranti, rifugiati, carcerati, disoccupati, malati nel corpo e nello spirito. Per contribuire alla rinascita dell’Europa, la Chiesa, madre premurosa - afferma - si sforza di andare incontro con amore alle ferite dell’umanità per risanarle col balsamo della misericordia divina”. Quindi incoraggia i rappresentanti dell’episcopato europeo “a coinvolgere sempre più” le comunità cattoliche e le diverse realtà caritative e assistenziali “nell’impegno ad annunciare il Vangelo a quanti hanno smarrito per varie cause l’orientamento della loro vita”.

“Continuo a sognare un nuovo umanesimo europeo - scrive il Papa - cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. In questo cammino di umanizzazione, l’Europa, culla dei diritti e delle civiltà, è chiamata non tanto a difendere degli spazi, ma ad essere una madre generatrice di processi, quindi feconda, perché rispetta la vita e offre speranze di vita”.

Infine il Papa esorta “ad individuare strade e percorsi nuovi per garantire a quanti vivono o giungono in Europa le capacità di integrazione, dialogo e rinascita per diventare un’unica famiglia di popoli”.

L’incontro di Sarajevo è promosso dalla Commissione CCEE Caritas in Veritate, presieduta dall’Arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, insieme ai seguenti organismi: Caritas Europa, Comece (Commissione degli Episcopati della Comunità Europea), Commissione Giustizia e Pace Europa, FEAMC (Federazione Europea delle Associazioni di Medici Cattolici), ICMC (Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni), ICCPPC (Commissione Internazionale per la Pastorale Cattolica nelle Prigioni - sezione europea), FEBA (Federazione Europea dei Banchi Alimentari), EZA (Centro Europeo per le Questioni dei Lavoratori), UNIAPAC (Unione Internazionale Cristiana dei Dirigenti d’Impresa).

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Francesco riceve il Venerabile Koei Morikawa

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Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza il Venerabile Koei Morikawa, 257° Tendai Zasu, e Supreme Priest della Tendai Buddhist Denomination.

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Il 24 settembre dal Papa i familiari vittime attentato a Nizza

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Alle ore 12 di sabato 24 settembre Papa Francesco riceverà in Aula Paolo VI i familiari delle vittime dell'attacco di Nizza. Lo rende noto il direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke.

Papa Francesco, subito dopo l'attacco terroristico che ha causato 85 morti, aveva telefonato al sindaco di Nizza Christian Estrosi per esprimere il suo dolore. E, a sorpresa, con tutta la spontaneità che lo contraddistingue aveva chiesto cosa potesse fare per dare una mano ai familiari delle vittime. A fare da tramite con il primo cittadino di Nizza, Paolo Celi, presidente della 'Amitiè France-Italie' nominato consigliere straordinario al consiglio di sviluppo della metropoli Nizza-Costa azzurra.

Nella delegazione dei familiari delle vittime che giungerà in Vaticano, il primo cittadino di Nizza Christian Estrosi e lo stesso portavoce dell'associazione Amitiè France Italie, Paolo Celi. "Con noi ci saranno tutte le persone che si sono adoperate nei tragici eventi, senza alcuna distinzione di religione", ha spiegato Celi.

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Tweet Papa: farsi piccoli davanti al Signore per vivere sua misericordia

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"Solo chi si fa piccolo davanti al Signore, può sperimentare la grandezza della sua misericordia". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Pastorale di misericordia: tre raccomandazioni del Papa ai vescovi di nuova nomina.

Francesco Scoppola recensisce la mostra, a Loreto, sul volto della Maddalena.

Strumenti di dialogo: Cristiana Dobner sulle riflessioni di due teologi riguardo al pluralismo religioso.

Il jihad delle donne: Francesco Carrion spiega come cambia il reclutamento delle milizie dell’Is.

La morte di Carlo Azeglio Ciampi.

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Oggi in Primo Piano



Cordoglio unanime per la scomparsa del presidente Ciampi

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Si è spento oggi a Roma Carlo Azeglio Ciampi, presidente  della Repubblica italiana dal 1999 al 2006. Prima ancora il capo dello Stato emerito era stato Governatore della Banca d'Italia,  dal 1979 al 1993, poi presidente del Consiglio tra il 1993 e il 1994, quindi ministro del Tesoro dal 1996 fino all'elezione al Quirinale. Avrebbe compiuto 96 anni il prossimo 9 dicembre. Il servizio di Giancarlo La Vella

Carlo Azeglio Ciampi è stato il primo Capo dello Stato non parlamentare della storia della Repubblica italiana. La sua fedeltà nelle istituzioni democratiche nasce da giovanissimo, quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, rifiutò di aderire alla Repubblica sociale e si rifugiò in Abruzzo, dove insieme con altri antifascisti, abbracciato il pensiero liberal-socialista, si riunì con gli alleati e i patrioti della Brigata Majella. Il diario di quei giorni drammatici venne donato dallo stesso Ciampi al Liceo Scientifico di Sulmona. Con l’avvento della repubblica, la carriera in Banca d’Italia, di cui divenne Governatore nel 1979. Poi l’impegno nelle istituzioni con le cariche di governo. Il 13 maggio 1999 l’elezione al primo scrutinio come 10° Presidente della Repubblica italiana, successore di Oscar Luigi Scalfaro. Da Capo dello Stato incontrò i Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Alla morte di Karol Wojtyla ebbe a dire: “Per il modo con cui ha affrontato la sua lunga malattia, il Papa ci ha offerto un esempio di come si possano mantenere fino alla fine dignità e serenità”. Tutto il mondo politico italiano, e non solo, esprime in queste ore il suo cordoglio per la scomparsa di Ciampi, come uomo, economista e garante delle istituzioni.

Ciampi viene ricordato come uno strenuo difensore della stabilità dei conti pubblici. Roberto Mazzotta, già banchiere e componente dell’Istituto Sturzo, lo ha conosciuto da vicino. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – Aveva una particolare e sottolineata attenzione alla stabilità e alla sicurezza della moneta. Come diceva lui: “Occorre dare un’ancora al cambio”. Lui vedeva questo, in un Paese come l’Italia che ha i suoi problemi e che ha sempre avuto elementi pesanti di squilibrio finanziario, soprattutto sul piano del debito pubblico, ma non solo. Vedeva questo come un elemento fondamentale, non soltanto per l’equilibrio finanziario del Paese, ma anche per le condizioni necessarie per la sua crescita economica e per la sua stabilità politica. Quindi, da questa concezione nasce il costruttore dell’euro.

D. – Ma Ciampi come concepiva l’euro?

R. – Ciampi vedeva nella moneta europea, e quindi nella trasformazione, nel passaggio dalla lira alla moneta unica, un passaggio che dava all’Italia una garanzia fondamentale da questo punto di vista e, conseguentemente, certo qualche vincolo, qualche problema non da poco, aggiuntivo, ma un elemento di sicurezza, di stabilità e di continuità delle condizioni di crescita economica sicuramente fondamentali.

D. – Però Ciampi era anche un sostenitore di una forte unità politica dell’Europa…

R. – Certo, anche questo. Ciampi apparteneva ad una generazione che aveva conosciuto la tragedia del suicidio della guerra, delle dittature. E questa generazione ha sempre avuto il sogno europeo. Sogno europeo visto come straordinaria trasformazione delle condizioni che facevano passare dalla sciagura dei nazionalismi alla sicurezza della solidarietà tra le nazioni e alla costruzione di un’Europa unita. E sarebbe indispensabile ripartire da quella generazione per vedere se abbiamo la fortuna di poter dare ai giovani nuovi elementi e rinnovate ragioni per ricostruire un diverso sogno europeo, ma possibilmente con lo stesso obiettivo: quello di arrivare all’integrazione di un’Europa unita, prima economicamente e poi politicamente.

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Bratislava: si attende l'agenda di lavoro Ue per prossimi mesi

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I leader dei Paesi europei a 27, si ritrovano oggi a Bratislava nel primo vertice senza il Regno Unito, per decidere quale volto e quali direttive concrete assegnare all’Europa riconosciuta, a più voci, in una situazione critica, se non in una crisi esistenziale. I temi più importanti del dibattito, che dovrebbe concludersi con un’agenda di lavoro per i prossimi sei mesi, sono sicurezza e difesa, lavoro e dare speranza a giovani. Il servizio di Gabriella Ceraso:

"Sarà una discussione onesta sullo stato attuale dell’Europa e sul suo avvenire", ha detto aprendo i lavori il padrone di casa il premier slovacco, Paese che detiene la presidenza dell’Ue. Il desiderio condiviso è di concretezza nei progetti per rilanciare una Unione che sia affidabile. "Dobbiamo mostrare di saper fare meglio", ha detto la cancelliera Merkel per la quale la priorità resta la difesa europea, dunque lotta al terrorismo e sicurezza intesa in termini di frontiere esterne: se gli Stati Uniti scelgono di fare un passo indietro dobbiamo su questo fronte esser capaci di difenderci da soli, ha aggiunto il presidente francese Hollande. La paura maggiore, proprio secondo Parigi, è che l’Europa con la Brexit corra il rischio di scioglimento e frammentarietà: serve invece, lo dicono tutti una coesione maggiore basata anche su una politica comune di investimenti, di transizione energetica e su progetti per i giovani.

Ma Bratislava potrà difficilemente far dimenticare le divisioni che ci sono tra molti Stati membri e non solo su tematiche economiche. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Nicoletta Pirozzi, responsabile di ricerca dell'area Europa dello Istituto Affari Internazionali: 

R. – Mai come in questo momento gli Stati europei sono così disuniti. Questo lo abbiamo visto soprattutto come risultato della crisi economica e finanziaria, delle risposte che ne sono derivate e più di recente con la crisi legata al fenomeno migratorio e quella del terrorismo soprattutto. Per quanto riguarda Bratislava direi che le aspettative sono piuttosto caute: c’è la volontà di fissare un’agenda concreta per i prossimi mesi, ma probabilmente non sarà un vertice dal quale usciranno decisioni forti. Questo è stato dichiarato anche dalla stessa Angela Merkel qualche giorno fa.

D. - Quali sono i punti, secondo lei, su cui difficilmente si potrà trovare un accordo? Su cosa sono radicate soprattutto le divergenze che potrebbero rallentare anche decisioni concrete?

R. - Quello che sicuramente non ci sarà è una decisione più forte riguardo alla suddivisione delle quote dei migranti dal punto di vista obbligatorio a livello Unione Europea. Su questo punto, i Paesi del gruppo di Visegrad in particolare, ma anche altri membri dell’Unione Europea, hanno fatto sapere che in realtà si aspettano una solidarietà flessibile su questo tema e quindi ciascuno Stato membro dovrà essere libero di scegliere volontariamente come contribuire. Questo è sicuramente un primo punto di divisione. Il secondo punto probabilmente sarà sui temi economici: da una parte ci si aspetta un rilancio soprattutto del piano degli investimenti, che ha tra gli obiettivi proprio quello rilanciato da Renzi riguardo l’occupazione e le giovani generazioni. Però su questi temi, come sappiamo, le divisioni sono ancora molto forti tra un approccio più attento alle regole ed uno che invece chiede maggiore flessibilità.

D. - Parliamo di difesa, un tema sicuramente in primo piano per tutti, per la Francia, per la Germania… Ma da quando è diventato così importante e soprattutto l’Europa ha la forza di autogestirsi in tema di difesa?

R. - Il tema della difesa in realtà è sempre stato un po’ al centro dell’Agenda europea. Il dibattito si questo tema è stato rivitalizzato, tanto è vero che nelle ultime settimane abbiamo visto il proliferare di una serie di proposte; ovviamente sono dichiarazioni di intenti, sebbene forti e fatte ad un livello politico molto alto. Per quanto riguarda invece l’agenda di attuazione, bisognerà vedere cosa si riuscirà a fare soprattutto in considerazione del nazionalismo ancora molto forte su questi temi da parte dei governi degli Stati membri e delle posizioni un po’ distanti, come quelle dei Paesi dell’Europa dell’Est, in particolare il "gruppo di Visegrad", che continuano a preferire impegni soprattutto in ambito Nato che dà maggiori garanzie di protezione rispetto al vicino russo.

D. - E comunque e a livello di risorse la richiesta sarebbe alta?

R. - Sì, bisogna fare i conti con le capacità e con le risorse finanziarie. Quindi bene l’obiettivo ideale e anche formale, ma poi bisognerà fare i conti anche con i bilanci degli Stati e gli investimenti in questo settore.

D. - La situazione in Europa è critica. Gli elementi di criticità più importanti e ormai non taciuti da nessuno, quali sono?

R. - Questo è dovuto al fatto che le istituzioni che avevamo pensato in contesti internazionali differenti, anche in riferimento ad un numero più ristretto di Stati membri, di fatto non hanno retto la prova di shock esterni e di fenomeni interni molto rilevanti come quello migratorio, quello terroristico. In generale quello che possiamo registrare è un tentativo degli Stati di rinazionalizzare progressivamente le proprie competenze anche in maniera totalmente anti storica, perché questo in realtà è un periodo in cui l’Europa dovrebbe fare un salto in avanti e dimostrare di essere un attore rilevante dal punto di vista delle relazioni internazionali. Ma questo, fino ad ora, non è avvenuto.

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Venezuela: il presidente Maduro estende lo stato di emergenza

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Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha prolungato lo stato di emergenza economica per altri due mesi, al fine di permettere l’arrivo di nuovi aiuti. Questa decisione argina i poteri delle opposizioni politiche, che chiedono un referendum contro Maduro, bloccato numerose volte dalle autorità elettorali. Il presidente attacca le imprese private, contestandole di rallentare la produzione. Il tasso di inflazione è tra i più alti al mondo e la crisi del petrolio, di cui il Venezuela è un importante produttore, contribuisce a indebolire l’economia del Paese. Maria Carnevali ha intervistato Maurizio Chierici, giornalista esperto di America Latina, sull’estensione dello stato d’emergenza in Venezuela: 

R. – E’ un prolungamento dello stato d’emergenza che continua. Gli aiuti riguardano soprattutto quelli alimentari e pratici. Pensiamo alla benzina: è il quinto produttore del mondo, uno dei più importanti perché è un petrolio prezioso per tutta l’America Latina; gli autisti, oggi, in Venezuela devono fare file di ore davanti ai distributori perché non c’è benzina! E quindi gli aiuti serviranno anche a rianimare le fabbriche chiuse che Maduro ha sequestrato, ha statalizzato, e gli aiuti servono anche a far vivere in modo diverso la gente, perché i generi di prima necessità incominciano a mancare – continuano a mancare! Quindi, questo tipo di aiuti che immagino siano stati sollecitati da Maduro ai Paesi vicini dell’America Latina, devono arrivare e quindi ci sarà da aspettare un po’ di tempo. In realtà, questa sembra una "scusa" per poter controllare tutto, per evitare che si faccia il referendum.

D. – L’opposizione, quindi, che preme per il referendum contro Maduro critica questa decisione …

R. – Sono stati raccolti due milioni di firme per questo referendum e queste firme sono state respinte dal governo di Maduro dicendo che non sono valide, che c’è caos nella raccolta, imbrogli eccetera. In parte è vero. Però tutto questo non può bloccare il rapporto democratico con il Paese!

D. – Maduro contesta alle imprese private di rallentare la produzione; il tasso di inflazione è tra i più alti del mondo e la crisi del petrolio sta intaccando la situazione economica del Paese. L’economia, quindi, risulta essere paralizzata …

R. – Sì: l’economia è paralizzata. E devo dire che non esiste neanche una classe dirigente consapevole, quindi anche la classe dirigente è colpevole della crisi del Venezuela.

D. – In questi giorni, ci sarà proprio in Venezuela il Congresso dei Paesi non allineati: cosa sta cercando di fare la comunità internazionale al fine di sostenere anche la popolazione in questa situazione economica e umanitaria disastrosa?

R. – Gli spagnoli stanno cercando di mediare – come è naturale per la cultura della regione. Io non credo che i Paesi non allineati abbiano la forza di imporre qualcosa. Il tutto è complicato dalle elezioni negli Stati Uniti.

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Brasile: il punto sulla situazione politico-economica

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Il Brasile vive da mesi una profonda crisi politica. Il lungo processo d’impeachment nei confronti della Presidente Dilma Rousseff, conclusosi con la sua rimozione dalla carica, ha posto fine a quattordici anni di governi progressisti nel Paese. Al suo posto, sino alle presidenziali del 2018, il vice Presidente di centro destra Michel Temer. Forti contestazioni popolari hanno accompagnato le vicende. Andrea Walton ha intervistato Luis Fernando Beneduzi, docente di Storia e Istituzioni dell’America Latina presso la Cà Foscari di Venezia, sugli ultimi sviluppi politico-economici nel Paese: 

R. – La situazione brasiliana in generale è molto confusa in questo momento. Il governo che ha preso il potere ha utilizzato una strategia istituzionale per arrivarci; c’è quindi una scarsa legittimità. Quindi non riesce ad avere sostegno. Questo è un grande problema, anche perché negli ultimi giorni c’è stata un’azione giudiziaria mossa più da elementi di convinzione che da prove specifiche, e dette e disdette da parte del governo stesso per quanto riguardava per esempio l’orario di lavoro di 12 ore quotidiane o altre proposte che poi sono state ritirate. Quindi la situazione è complicata per la mancata legittimità.

D. - Il nuovo Presidente ha lanciato un piano di privatizzazioni per cercare di rilanciare l’economia del Paese. In cosa consiste questo piano?

R. - Riguarda soprattutto la privatizzazione dei diversi spazi pubblici. Queste misure, in qualche maniera, vanno a colpire i ceti più bassi della popolazione. Questa situazione di apertura ai progetti di privatizzazione era già stato messo in atto negli Anni ’90 dal governo Cardoso e non ha portato dei vantaggi specifici alla popolazione.

D. - Secondo alcuni osservatori è possibile che il nuovo governo possa abbandonare molti dei progetti economici di aiuto ai più poveri iniziati dalle precedenti amministrazioni del Partito dei lavoratori. È una possibilità concreta?

R. - Credo di sì, perché ci sono state delle avvisaglie di questa politica sia nell’ambito della Bolsa Familia, che nell’altro progetto “Minha Casa, Minha vida”, dove sono stati operati dei tagli ai fondi, dirottati su altri tipi di azione del governo. Anche per quanto riguarda l’investimento sull’educazione ci sono stati grossi tagli sia alle agenzie di finanziamento al sistema universitario, sia all’educazione in generale. È molto possibile che ci sia questa continuità di tagli e, quanto meno se non verrà tagliato del tutto, verrà ridotto molto quella che potrebbe essere l’azione sociale effettiva del governo.

D. - C’è il rischio che le proteste popolari contro Temer possano degenerare in qualcosa di più grave?

R. - Quello dipenderà da come verranno controllate. Purtroppo nelle settimane precedenti ci sono stati dei grandi scontri in alcuni Stati brasiliani tra popolazione e polizia che in alcuni casi non ha saputo aver un coordinamento per controllare in un modo meno duro le manifestazioni di strada. Ci sono addirittura casi di giornalisti stranieri che sono stati scambiati per manifestanti ed hanno subito un’azione abbastanza dura da parte della polizia. Quindi esiste una possibilità che la situazione degeneri.

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Siria: combattimenti a Damasco, vacilla sempre di più la tregua

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Violenti bombardamenti e scontri si sono registrati oggi alla periferia orientale di Damasco, nonostante la tregua: lo riferiscono fonti giornalistiche sul posto. Gruppi armati hanno tentato di entrare nella capitale attraverso il quartiere di Jobar e sono stati respinti dalle truppe di Assad. Ma decine di morti, almeno una cinquantina, sono stati causati da violenze in tutto il Paese. Molti bambini tra le vittime. Un razzo ha colpito il vescovado siro-cattolico di Aleppo senza causare morti. In questa situazione gli aiuti umanitari non riescono ad arrivare alle popolazioni stremate dalla guerra. Per un commento sulla situazione Michele Raviart ha intervistato Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa a Beirut: 

R. – Come già accaduto in passato, l’invio di aiuti umanitari diventa una questione politica: in particolare nella regione di Aleppo, ma anche in altre zone sotto assedio da parte delle forze governative, il governo siriano ha ribadito di avere la priorità nel coordinare e quindi anche nel dare il via libera all’ingresso di questi convogli umanitari. Nei giorni scorsi, i militari russi hanno eretto una postazione militare proprio lungo la via – l’unica via che dal confine con la Turchia porta ad Aleppo Est, che è la zona controllata dagli insorti e assediata dai governativi: anche questa presenza militare è considerata una presenza non imparziale: si vogliono aiutare alcuni siriani e non altri siriani, in qualche modo punirli o premiarli per il loro atteggiamento – presunto atteggiamento – politico. Poi, sul terreno ci accorgiamo che la gente ha bisogno di aiuti, in questo momento al di là della bandiera che sostiene …

D. – Quindi c’è il rischio che questi aiuti promossi dalle Nazioni Unite, non siano destinati a tutti i siriani?

R. – Questo già avviene da molto tempo: già da due anni, da quando è entrato in vigore il meccanismo di aiuti internazionali o esterni al territorio siriano. La maggior parte delle volte, quando il governo siriano ha avuto in mano le redini della situazione, ha autorizzato l’invio di aiuti in quella zona perché la considerava una base popolare ed evitava, faceva di tutto almeno per rallentare l’arrivo degli aiuti umanitari in zone che considerava fedeli all’insurrezione. Analogamente, quando in zone assediate controllate dagli insorti arrivavano finalmente gli aiuti – che capitava molto più di rado – gli stessi miliziani che controllavano quella zona spesso sequestravano gli aiuti per poi distribuirli loro in maniera politica, a seconda delle alleanze che avevano nella comunità.

D. – Proprio in queste ore ci sono dei combattimenti a Damasco, nel quartiere orientale: a questo punto, che valore ha la tregua annunciata lunedì?

R. – Per il momento, i numeri indicano che la tregua è in vigore ma ha ridotto sensibilmente il numero delle vittime, sia di morti sia di feriti; si bombarda molto di meno in Siria: come le Nazioni Unite hanno certificato, il bilancio giornaliero delle vittime si è ridotto moltissimo, più di quanto non si fosse ridotto nella precedente tregua del 27 febbraio. Quindi, il risultato a oggi è estremamente positivo, in termini prettamente di perdite di vite umane. Certo, poi sul terreno non è così facile immaginare di avere un rispetto omogeneo e totale: ci sono stati, per esempio, in una notte bombardamenti tra Homs e Hama, ma si tratta comunque di episodi più limitati e sporadici rispetto a quello che avveniva soltanto una settimana fa …

D. – Sul piano diplomatico, la Russia attacca gli Stati Uniti e dice che sostanzialmente sta fallendo nel dividere le opposizioni moderate da quelle jihadiste. A che punto è la situazione diplomatica, viste queste basi?

R. – Credo che Russia e Stati Uniti stiano provando a mettere insieme questo processo di coordinamento militare di cui si è tanto parlato e forse - quando all’interno di un negoziato che si svolge sotto il tavolo - a livello mediatico poi qualcuno lancia un’accusa, una recriminazione, lo si fa per mettere sotto pressione il rivale o il partner con cui si sta negoziando sotto il tavolo. Quindi, immagino che le dichiarazioni di ieri, il botta e risposta fra il Pentagono e il ministero della Difesa russo siano strumentali a far sì che su argomenti su cui noi veramente non abbiamo contezza, l’uno riesca a guadagnare una virgola in più rispetto all’altro. Nel contesto generale, è ovvio che non si può immaginare che l’obiettivo che si sono posti questi due attori, ovvero di dividere le opposizioni cosiddette moderate dai cosiddetti jihadisti “cattivi”, sia un obiettivo realizzabile in poco tempo. A mio avviso, è un obiettivo difficilmente realizzabile anche nel medio e lungo termine, perché si parte dal presupposto che in Siria ci siano i bianchi e i neri e ci si dimentica dei grigi, ci si dimentica del fatto che moltissime persone oggi sono con al Qaeda anche per ragioni socio-economiche, non per ragioni ideologiche: dovremmo capire perché loro preferiscono lo stipendio di al Qaeda che è più alto, rispetto allo stipendio americano. Magari bisognerebbe alzare gli stipendi per portarli dalla parte nostra e non soltanto bombardarli. Però, questa è una riflessione che forse non entra nelle orecchie di chi oggi dal Pentagono o dal Ministero della Difesa russo lancia avvertimenti al rivale per poter guadagnare qualcosa in ambito politico-negoziale.

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Mons. Piero Marini: Eucaristia è porre Cristo al centro della vita

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Con la Messa presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco si è aperto ieri a Genova il Congresso eucaristico nazionale. Il presidente della Cei ha invitato i credenti ad annunciare che Dio non è lontano, che nessuno è orfano in questo tempo angosciato e che l’ingiustizia non è l’ultima parola. Ma sul significato di questo appuntamento ascoltiamo mons. Piero Marini, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, al microfono di Luca Collodi

R. – Il senso del Congresso eucaristico è sottolineare la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e nella nostra vita, quindi la centralità di Cristo, perché l’Eucaristia è innanzitutto comunione con Cristo e poi comunione anche tra di noi, come ha detto il Concilio.

D. – Il Concilio come ha cambiato i Congressi eucaristici?

R. – I Congressi eucaristici sono andati perfezionandosi e maturando lungo la storia, anche attraverso l’incontro tra Congressi eucaristici e Movimento liturgico, da alcune celebrazioni che caratterizzavano i Congressi eucaristici all’inizio. Per esempio, la grande processione eucaristica era quasi un riprendere il possesso della città o delle zone della città da cui i cristiani erano in qualche modo “non riconosciuti”; poi dalla Comunione, naturalmente separata dalla celebrazione; la celebrazione era il terzo elemento dei Congressi eucaristici che però veniva quasi dimenticato. Ricordiamo tutte le grandi processioni che ci descrivono i Congressi eucaristici, lungo il Reno nell’Impero austroungarico e così via … Quindi c’è stata una maturazione con il Movimento liturgico e hanno rimesso la centralità sulla celebrazione. E questo è avvenuto nel Congresso eucaristico di Monaco del 1960.

D. – Che tipo di rapporto si può intravedere tra Chiesa e Stato alla luce dei Congressi eucaristici?

R. – I Congressi eucaristici sono nati con una contrapposizione allo Stato, che non riconosceva la presenza della Chiesa: siamo alla fine dell’Ottocento, quando l’Europa era piena di poteri anticlericali e massonici. Oggi, invece, c’è armonia, la consapevolezza della indipendenza di Chiesa e Stato ma in una collaborazione, che ci deve essere anche in questi Congressi perché ci sono grandi manifestazioni: io sono stato per esempio a Cebu, nellle Filippine, e il Congresso eucaristico è riuscito in modo magnifico proprio per la collaborazione tra lo Stato, tra le autorità civili e le autorità della Chiesa.

D. – Si può parlare oggi di un’“Eucaristia missionaria”?

R. – Ma dell’Eucaristia missionaria non è che se ne può parlare oggi: si riscopre, oggi, l’aspetto missionario dell’Eucaristia. L’anno scorso si sono celebrati cinque Congressi nazionali, di quelli che io ricordi; e quest’anno sono stati programmati altri sei Congressi nazionali. Di questi, sette erano proprio su questo argomento: l’Eucaristia, sorgente della missione della Chiesa. Come quello di Cebu: perché i Congressi eucaristici sono l’espressione del volto della Chiesa di questo tempo. Vogliamo sapere quali sono le problematiche oggi presenti nella Chiesa? Andiamo a vedere i temi dei Congressi eucaristici. Non sono più cose del passato da rispolverare: è la vita della Chiesa oggi, celebrare un Congresso eucaristico.

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Giovane suicida dopo video web. Giaccardi: educare alle relazioni

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Ha innescato un articolato dibattito sul mondo digitale la tragica storia della giovane donna suicidasi dopo la pubblicazione in rete, a sua insaputa, di un video hot in cui era consapevole protagonista. Ad ucciderla sono stati anche gli insulti e le offese scattate sui social media. I funerali si sono celebrati ieri nella chiesa di San Giacomo a Casalnuovo. Durante l’omelia il parroco, don Peppino Ravo, ha chiesto di “pregare per la conversione di chi vive nella malvagità”. Cosa ci insegna questa triste vicenda? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto alla prof.ssa Chiara Giaccardi, sociologa e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore: 

R. – Io credo almeno due cose. La prima è che la Rete è una sorta di palazzo di vetro: noi pensiamo di parlare nell’orecchio di un amico, ma stiamo parlando in una piazza affollatissima. E questo sottrae ciò che noi postiamo - questi contenuti generati dall’utente - dalla nostra intenzionalità comunicativa, dal nostro controllo: ciò che noi postiamo non ci appartiene più! Può essere usato in mille modi possibili. L’altro aspetto riguarda la dimensione emotiva: noi siamo sempre molto scossi da queste vicende, ma la dimensione emotiva è effimera, svanisce subito. L’importante, quando accadono fatti drammatici come questi, è fare in modo che non siano inutili. E’ importante che suscitino una volontà di pensare a quello che sta succedendo e di affidarsi anche a chi può aiutarci a capire in che ambiente ci stiamo muovendo. Questo per evitare che gli stessi errori si ripetano di nuovo, con tante vittime innocenti.

D. – In questa triste storia possiamo dire che il fardello dell’ingiuria, anche il senso della vergogna di questa giovane, si sono alternati su Internet, sul mondo dei social fino a questo tragico epilogo. E’ stato, quindi, soprattutto il mondo virtuale a creare vittima e carnefici?

R. – Io credo che ci sia una dinamica che fatichiamo a riconoscere e che ci deve interrogare: la dinamica di una visione individualistica, radicale, piuttosto che relazionale del sé. In un individualismo radicale il sé cerca solo consensi, cerca di moltiplicare consensi perché questi restituiscano un’immagine potente di sé. E non importa come questi consensi siano ottenuti: l’ingiuria, la frase offensiva, il video violento che, però, può essere rilanciato più e più volte sono qualcosa che in questo sé quantificato contribuisce ad aumentare una percezione forte di sé, di questo sé che ha bisogno di erigersi sopra gli altri. Invece una concezione relazionale pone un limite a ciò che io posso fare per ottenere consenso, proprio in virtù del fatto che sono in relazione con altri. Se non decidiamo quale è l’opzione che sta alla base della nostra comunicazione nella vita faccia a faccia, quotidiana, ma anche nella vita in Rete, fatti come questi continueranno a ripetersi.

D. – In questo mondo dei social le “chiacchiere di paese” si trasferiscono dalla piazza alla Rete e gli effetti possono essere ancora più devastanti…

R. – Cadono ai confini fra i contesti e questo produce anche effetti grotteschi: abbiamo politici che parlano come se fossero al bar… E questo viene scambiato per autenticità, per libertà, per spontaneità e anche per affidabilità. Mentre non è che incompetenza: incapacità cioè di riconoscere che ci sono delle differenze. La consapevolezza di essere in relazione con altri ci fa distinguere la appropriatezza della nostra comunicazione nei diversi contesti e ci aiuta a non commettere errori tragici di questo tipo.

D. – Dal mondo dei social media emerge poi, sempre con maggiore forza, anche la dimensione teatrale e spesso purtroppo – come abbiamo visto – anche drammatica della vita delle persone…

R. – Sì. E’ come se noi, in un mondo in cui la performance del sé è in qualche modo un imperativo, fossimo sollecitati continuamente a recitare noi stessi: quindi il profilo è già una manifattura del nostro sé, che noi costruiamo più in relazione a ciò che pensiamo possa piacere ad altri che non in relazione a ciò che noi siamo o vorremmo diventare. Purtroppo la Rete sollecita una esteriorità, una estimità, una estroflessione e molto poco, invece, quel dialogo con se stessi. Un dialogo che aiuterebbe a stare nell’ambiente digitale in una maniera intanto meno pericolosa, più rispettosa e soprattutto più costruttiva.

D. – Serve, dunque, una educazione al web. Ogni passo in Rete – come nella vita reale – deve richiedere riflessione, prudenza…

R. – Sì, ma prima ancora serve una educazione alla relazione: se io sono abituato a pensare che esiste qualcun altro oltre me stesso, il mio comportamento avrà dei limiti. Il mio comportamento si porrà la questione del rispetto, la questione – appunto – della non violenza nei confronti dell’altro. Se io questa alterità non ce l’ho presente, posso anche tecnicamente essere avvertita di tutti i rischi, però il mio comportamento sarà comunque non rispettoso e violento.

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Rifugiati: un incontro per promuovere impegno ex alunni gesuiti

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Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs) è presente in 45 Paesi e si prende cura di più di 700 mila persone. Lo rende noto padre Thomas Smolich, direttore internazionale del Jesuit Refugee Service, intervenuto, stamani, all’incontro promosso dalla Confederazione europea degli ex-alunni dei gesuiti, presso l’Università Lumsa, a Roma. Tema del meeting iniziato mercoledì scorso: “Migrazione globale e crisi dei rifugiati. E’ tempo di contemplare e agire”. L’obiettivo è promuovere un maggiore impegno degli ex-alunni dei gesuiti nell’aiuto ai migranti. Domani l’udienza dal Papa, che ha dedicato da sempre grande attenzione al dramma di chi fugge da povertà e violenza: in tutto oltre 65 milioni di persone nel mondo. Debora Donnini ha intervistato padre Smolich: 

R. – La situazione dei migranti e dei rifugiati è una situazione grave ed “incredibile” per la loro quantità. Papa Francesco ha parlato molto della necessità della comunità cristiana di aiutare queste persone nel bisogno. Penso che il Continente europeo e tutto il mondo debbano rispondere a questa situazione, a questa crisi. Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati si trova in 45 Paesi, dove porta educazione, cibo, accompagnamento nella fede ed anche assistenza psicologica post-trauma.

D. – Questo incontro vuole creare la possibilità di un colloquio tra il Jesuit Refugee Service, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, e la Confederazione europea degli ex-alunni dei gesuiti, anche proprio per incentivare la conoscenza di questo tema…

R. – Penso che gli ex-alunni, grazie alla loro esperienza fatta nelle scuole e nelle università dei gesuiti, già hanno la possibilità di vedere la situazione da una prospettiva ignaziana. Dopo il raduno, ci saranno più possibilità per aiutare e perché gli ex-alunni partecipino ad eventi a favore dei rifugiati.

D. –Affinché ci siano anche più persone che si prendano cura dei rifugiati…

R. – Sì, perché essendoci uffici del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in quasi tutti i Paesi europei, ci sono molte possibilità che gli ex-alunni aiutino in Europa.

D. – Ci sono due temi importanti, quando si parla di rifugiati e di migranti: uno è l’accoglienza in Paesi europei; l’altro è aiutare le persone nei luoghi di origine, creare lavoro…

R. – Io penso che sia importante che l’Europa offra più accoglienza ai rifugiati ed anche educazione. E che l’educazione è fondamentale per un futuro che sia migliore del passato!

L’incontro organizzato a Roma dalla Conferenza europea degli ex-alunni dei gesuiti ha come centro, appunto, il tema dei rifugiati. Ce lo conferma il responsabile della stessa Conferenza europea, José-Enrique Rebés nell’intervista di Debora Donnini

R. – Lo que hemos hecho primero…
Quello che per prima cosa abbiamo fatto è stato organizzare questi incontri europei degli ex-alunni dei gesuiti, dove quello che facciamo è analizzare, osservare e agire - che è un po’ il motto del Congresso – nei confronti di tutte le problematiche che coinvolgono i rifugiati e i migranti che arrivano in Europa. Quindi, siamo in una prima fase di diffusione di tutte queste problematiche tra gli ex-alunni. Quello che poi abbiamo fatto è anche firmare un accordo con il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, per diffondere in tutte le associazioni degli ex-alunni dei gesuiti d’Europa, tutte le attività che fa il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, in modo che gli ex-alunni vengano a conoscenza di tutte le problematiche, di come il Servizio li sta aiutando e che poi possano collaborare come volontari o che possano fare donazioni o, in qualche modo, possano impegnarsi maggiormente.

D. – Sono più di 700 mila le persone aiutate nel mondo dal Jesuit Refugee Service

R. – Exacto. Sí, sí son muchísimas las personas…
Esatto! Sì, sono moltissime le persone in tutto il mondo. E’ chiaro che qui in Europa vediamo solo il dramma dei rifugiati che attraversano il Mediterraneo dai Paesi del Sud e dai Paesi del Medio Oriente. Bisogna, però, pensare che in tutto mondo ci sono centinaia di migliaia di rifugiati, ai quali i mezzi di comunicazione non prestano tanta attenzione come a quelli che stanno attraversando ora l’Europa, ma che stanno soffrendo nella stessa maniera. Sono migliaia le persone che muoiono ogni anno. Solo nel Mediterraneo si calcola che 6 mila persone siano morte ogni anno, negli ultimi anni. E quest’anno, abbiamo già superato la cifra dei 6 mila. Si calcola che alla fine dell’anno ci saranno più morti nell’attraversamento del Mediterraneo, e molti sono bambini, sono famiglie. Inoltre, tutti quelli che sono nei campi di rifugiati in Europa o fuori dell’Europa, soprattutto in Turchia o in Paesi al confine con l’Unione Europea, cercano di passare nell’Unione Europea semplicemente per trovare una vita un po’ sicura e dignitosa.

D. – Voi come ex alunni dei gesuiti in Europa avete risposto all’invito del Papa che ha parlato dei rifugiati come “carne di Cristo” e ha chiesto con molta forza alla Chiesa di aiutare e di accogliere. La vostra è una risposta a questo invito del Papa?

R. – Claro, es una respuesta  y además…
Certamente, è una risposta. Inoltre, in questa prima fase di diffusione, quello che vogliamo è continuare a collaborare in ciascun Paese europeo con il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, in tutte le attività che porta avanti, anche di formazione permanente. Domani ci riceverà il Papa, perché anche per lui è importante tutta la questione e le sofferenze dei rifugiati. Siamo molto felici che ci riceva e la verità è che lo sentiamo molto vicino!

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Acli: l'Italia rilanci le riforme, a partire dalla Costituzione

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Prosegue il calo del costo del lavoro in Italia, che si dimostra tra i Paesi più virtuosi in Europa. Lo comunica Eurostat. Nella zona euro il costo orario del lavoro  nel secondo trimestre è salito dell’ 1% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre in Italia è sceso dell'1,1%. E il lavoro è tra i temi al centro dell’annuale convegno di studi delle Acli, in corso a Roma fino a domani. Per le Associazione Cristiane dei Lavoratori va rafforzato il processo delle riforme. Alessandro Guarasci: 

Un Paese fermo, con un Pil che quest’anno non andrà oltre l’1%, una disoccupazione che fa fatica a scendere sotto l’11%. Dunque, per le Acli, l’Italia deve ripartire dalla sua anima popolare e rilanciare le riforme per il bene di tutto il Paese. A cominciare dalla riforma della cittadinanza, da quella sui partiti per una vera selezione della classe dirigente, per l’introduzione del reddito di inclusione. Bisogna dare una speranza a quel 40% di ragazzi che non vede futuro perché non ha un lavoro. Roberto Rossini, presidente delle Acli:

“La crisi del lavoro giovanile è la crisi di un sistema. Quando tu non sei in grado di offrire lavoro ai giovani, vuol dire che qualcosa non funziona nel tuo Paese. Però, non basta semplicemente offrire qualche lavoro qua è là. E’ proprio un sistema che non funziona e quindi occorre intervenire con delle riforme”.

Snodo cruciale è il referendum costituzionale di autunno. Ancora Rossini:

“Se oggi non ci fosse il bicameralismo perfetto, il reddito di inclusione sociale sarebbe già una realtà, perché la Camera lo ha già approvato. Noi ci auguriamo che, come tutte le altre democrazie, anche l’Italia abbia un bicameralismo imperfetto”.

I delegati delle Acli, arrivati da tutta Italia, si confrontano su questi temi, convinti che il cattolicesimo sociale possa dare soluzioni per il rilancio dell’Italia.

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Palermo ha ricordato il Beato don Puglisi, prete scomodo alla mafia

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Il 15 settembre del '93 Cosa nostra uccise don Pino Puglisi nel giorno del suo 56.mo compleanno. Elevato agli onori degli altari nel 2013 per essere stato ucciso ‘in odium fidei’, era diventato un prete scomodo per la mafia nel degradato quartiere di Brancaccio, a Palermo, dove cominciò la sua opera contro la criminalità organizzata parlando ai giovani e aprendo il "Centro Padre Nostro". Ascoltiamo, da Palermo, il servizio di Alessandra Zaffiro: 

In occasione del 23.mo anniversario del martirio di padre Pino Puglisi, l’arcidiocesi di Palermo ha organizzato ieri la “Festa con 3P”, ricordando il modo in cui si firmava il sacerdote. Nel pomeriggio in cattedrale, alla presenza di tante autorità, tra le quali la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, l’arcivescovo, mons. Corrado Lorefice, che ha celebrato la Messa, durante l’omelia ha detto:

“Don Pino non è un prete antimafia. Dobbiamo averla in forma chiara questa idea. Per questo lui eventualmente è stato temuto: perché è andato alla radice e si va alla radice. Non doveva farsi un nome, non doveva apparire sotto i riflettori, aveva solo un unico obiettivo: che gli altri abbiano vita perché lui ha incontrato il Signore Gesù. La vera forza di testimonianza di don Pino Puglisi – ha spiegato monsignore Lorefice nell’omelia - è questa ferialità della sua vita, questo stare al suo posto, uomo veramente libero, libero, perché di questo si tratta. Oggi siamo in un mondo che ostenta questa parola: libertà, ma don Pino è un uomo che era libero ormai da se stesso, non aveva altri interessi….  Mi sento minuscolo, inconsistente dinnanzi alla sua testimonianza. Ma la via è una: noi non educheremo nessuno, noi non faremo nessun muro, noi non avremo nessuna parola positiva per bloccare ogni mentalità mafiosa, ogni illegalità, ogni potere occulto, se non ritorniamo a riconquistare questa libertà, quella interiore, quella del cuore. Questo è il senso vero del servizio politico, questo è il vero senso di chi ha un compito educativo, questo è il vero servizio per noi preti. Noi  - ha aggiunto l’arcivescovo di Palermo - abbiamo questo confratello, noi abbiamo l’obbligo, il dovere di continuare nella ferialità della nostra vita, questo continuo lavorio del rinnegamento delle nostre piccole o grandi ambizioni... Alla luce della Pasqua del Signore noi guardiamo in tutto il Suo fulgore, la vita di questo nostro fratello che sembra assente ma è qui, in mezzo a noi, non perché abbiamo la sua reliquia, ma perché lui non può che essere partecipe di quella vita che è deflagrata in quel giorno di Pasqua, in quel giorno in cui il Sepolcro del Gòlgota è stato vinto e il Crocifisso oggi, per noi, è il Vivente, il Risorto in mezzo a noi".

In cattedrale anche il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti:

“Che meraviglia che un sacerdote di questa meravigliosa terra sia Beato e testimoni veramente con la Parola di Dio, che è una parola difficile, scomoda, provocante, che ci invita tutti a metterci di più in gioco, ad avere il coraggio di avere più coraggio tutti”.

In serata, sul sagrato della cattedrale, la “Festa con 3P”, pensata per la cittadinanza e i più giovani, che ha visto sul palco Moni Ovadia, musicisti, ballerini, attori e volontari  clown che operano negli ospedali.

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Nella Chiesa e nel mondo



Colombia: il 26 settembre la firma degli Accordi di Pace

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Il 26 settembre 2016, nella città di Cartagena de Indias, si svolgerà la cerimonia per la firma degli Accordi di Pace tra il governo del Presidente Manuel Santos e l'ex gruppo guerrigliero delle Farc. Lo ha confermato il Ministro degli Affari esteri della Colombia, María Ángela Holguín.

Il 2 ottobre il referendum sugli accordi pace
Il documento, che si intitola "Acuerdo Final para la Terminación del Conflicto y la Construcción de una Paz Estable y Duradera" - riferisce l'agenzia Fides - sarà firmato davanti ad un nutrito gruppo di delegazioni diplomatiche. Nel frattempo il Paese si prepara al referendum del 2 ottobre per sancire la pace: dopo 52 anni di guerra interna, la popolazione deciderà se accettare o rifiutare gli accordi tra il governo e le Farc.

Richiesta all'Onu per la reintegrazione delle Farc
​Ieri, alla fine di una conferenza-dialogo tra rappresentanti del settore privato ed imprenditori, la Cancelliera Maria Angela Holguin ha detto: "Sarà richiesta una verifica da parte delle Nazioni Unite. Chiederemo una missione anche all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la reintegrazione politica, economica e sociale delle Farc". (C.E.)

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Card. Bagnasco: missione e carità per non tradire l'Eucaristia

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“Intendiamo annunciare che Dio non è lontano, che nessuno è orfano in questo angosciato tempo, che non siamo vagabondi senza meta, che la solitudine non è il nostro destino, che l’ingiustizia non è l’ultima parola, perché tutti abbiamo una casa che ci  aspetta”. È la missione dei credenti, delineata nell’omelia del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nella Messa di apertura ieri sera, del Congresso eucaristico nazionale, il cui primo obiettivo è portare la “luce” dell’Eucaristia “ai fratelli e alle sorelle di questo amato Paese”. “Sappiamo che – nonostante segni contrari – un anelito, un’attesa, un desiderio di senso plenario batte anche nel cuore del nostro  tempo”, la convinzione del presidente della Cei, secondo il quale “non dobbiamo aver paura dell’apparente sordità, ma lasciare che questo battito salga lentamente dall’anima dell’uomo fino a farsi ricerca e scoperta.

La Chiesa non è un’organizzazione, ma il Corpo di Cristo
“Come credenti, siamo qui per ritrovare una serena ansia apostolica, così da dire ovunque che Gesù è il Signore, senza preferenza di persone e senza equilibrismi di inutile prudenza”, l’invito del porporato. La Chiesa “non è un’organizzazione, ma il Corpo di Cristo”, ha puntualizzato il presidente della Cei, e “il nostro compito non è quello di scegliere i terreni, i luoghi, le persone, le categorie: dobbiamo, piuttosto, avere il tratto largo e abbondante del braccio, e soprattutto del cuore! I criteri della missionarietà, come di ogni pastorale, sono infatti quelli delle persone”.

Quando si incontra Gesù il cielo è diverso
“Annunciare il Vangelo è vivere Cristo, e partecipare alla missione è vivere la Chiesa” ha osservato il porporato. “Quando si vive l’incontro con Gesù – così come si vive un rapporto d’amore – l’orizzonte cambia, il cielo è diverso, la vita prende spessore. In Lui tutto è diventato luce, anche le croci. E se la missione è attrazione, ogni cristiano dovrebbe vivere in modo tale da fare invidia – santa invidia! – ad altri che, sorpresi, si chiederanno il segreto di questo singolare modo di stare nel mondo, di vivere le cose di tutti, gioie e affanni”.

Vivere l’Eucaristia è un tornare alla sorgente della bellezza cristiana
L’Eucaristia ci porta, a nostra volta, tra le braccia di Dio, rinnovando la gioia di essere figli di Colui che ha tanto amato gli uomini da mandare il suo Figlio per noi”. In questa prospettiva, “celebrare i divini misteri è per la Chiesa tornare alla fonte della grazia, al grembo della vita secondo lo Spirito”. “Se vivere l’Eucaristia è per noi un tornare alla sorgente della bellezza cristiana - ha detto il card. Bagnasco - allora l’Eucaristia è l’acqua sorgiva che suscita l’annuncio del Vangelo, perché il mondo sia redento e si sveli a tutti il segreto della gioia”, l’invito: “Negarci alla missione e alla carità significherebbe negarci all’Eucaristia; sarebbe un tradire l’Eucaristia stessa”.

La carità non ha muscoli da esibire
“Affidarci al Sacramento ci fa creature nuove, capaci non solo di fare cose grandi, ma di vivere in modo grande le piccole cose di ogni giorno; di fare del poco che siamo un dono per gli altri”. “La carità – ha puntualizzato – non ha muscoli da esibire, ma piccole anfore da portare, anfore comunque capaci di dissetare la sete dei poveri nel corpo e nello spirito”. “Va in questa direzione – ha osservato il presidente della Cei – la colletta che domenica prossima viene fatta in tutte le nostre diocesi: un segno di solidale condivisione che si aggiunge alla preghiera per quanti sono stati duramente colpiti dal terremoto nel centro Italia”.

Il pensiero a Papa Francesco
All'inizio della sua omelia, il card. Bagnasco non ha mancato di rivolgere un pensiero a Papa Francesco: “Egli è con noi - ha detto - con quell’affetto caldo e paterno che tutto il mondo conosce e ricambia". (R.P.)

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Nigeria: grido d'allarme dei vescovi contro la violenza

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“Un uragano di violenza da parte di pastori e di altri agenti di morte ha lasciato sulla sua scia un paesaggio di sangue e distruzione” accusano i vescovi della Nigeria nel loro messaggio “Ristabilire la fiducia nella Nigeria” pubblicato al termine della loro Assemblea plenaria.

I vescovi condannano le scelte settariste del Presidente Buhari 
Il documento, inviato all’agenzia Fides, sembra segnare un cambio di tono della Conferenza episcopale della Nigeria nei confronti del Presidente Muhammadu Buhari, che aveva ricevuto il plauso dei vescovi per la campagna anticorruzione. Pur sottolineando che l’elezione del musulmano Buhari, è stata “una delle più pacifiche della storia del Paese” e che votandolo “i nigeriani hanno dimostrato, al di là dei confini della religione, dell’etnia e delle regioni, che vogliono voltare pagina in una storia piena di sogni infranti”, i vescovi rimarcano che il “settarismo” delle ultime nomine presidenziali, sia “difficile da associare con le credenziali morali del Presidente”.

La popolazione è devastata da fame e malattie
Il messaggio sottolinea che “violenza politica, corruzione, rapimenti, rapine a mano armata, omicidi rituali e i diversi mali del passato, sono ancora ben presenti, e a causa di ciò sembra che stiamo progressivamente sprofondando nella melma. La popolazione è ora devastata dalla malattia e dalla fame. Il risultato è l’aumento della violenza da parte di attori statali e non statali”.

Critiche per l’espansione della Sharia nella vita pubblica
I vescovi ricordano che lo Stato deve garantire la sicurezza di tutti, come il rispetto dell’eguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, criticando “l’espansione dell’ambito della Sharia nella vita pubblica, in contraddizione con lo spirito e la lettera della Costituzione”. I vescovi lanciano un appello alla popolazione perché continui a vivere secondo i valori della compassione e della solidarietà, invitandola a non cadere vittima dei “ciarlatani”che usano la religione per i propri interessi.

I nigeriani delusi dalla politica del Presidente che non ha cambiato le cose
I vescovi ricordano infine al Presidente, che “la maggioranza dei nigeriani è delusa dall’avere gettato via le grandi speranze derivanti dalla sua determinazione di cambiare le cose” e che non può ignorare “le forti accuse della crescita del nepotismo e del settarismo nelle nomine federali”. (L.M.)

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Filippine: vescovi condannano violenze extra giudiziali e aborto

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Tutti gli attacchi alla vita umana, dall’aborto agli atti di terrorismo, sono peccati “che gridano al cielo per la giustizia divina”. Lo affermano i vescovi filippini che, in un messaggio pubblicato ieri in occasione della ricorrenza della Vergine addolorata, esprimono la loro preoccupazione per l’escalation di violenze che si registra nelle Filippine. Nelle ultime 10 settimane - riferisce l'agenzia AsiaNews - 3.500 persone sono state uccise nel Paese, 1.400 delle quali erano sospetti trafficanti di droga freddati dalle forze dell’ordine. Il 2 settembre scorso un attacco bomba nella città di Davao ha ucciso 14 persone ferendone 60.

La dignità della persona umana va sempre protetta
Mons. Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale, ha ricordato che “la dignità umana va sempre protetta, e la nobiltà di ogni persona umana continua a brillare nonostante le cicatrici del crimine e del peccato”.  A fine agosto, l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan aveva lanciato un appello per la fine della catena di omicidi extra giudiziali di trafficanti voluta dal neo presidente Rodrigo Duterte. I vescovi hanno chiesto alle famiglie delle vittime di non cercare vendetta e di non confonderla con la giustizia.

Nessuno è indegno dell’amore di Dio
I tossicodipendenti, ha detto mons Villegas, “sono fratelli malati che hanno bisogno di guarigione…meritano una nuova vita e non la morte. Sono pazienti che implorano per una cura. Possono essersi comportati come canaglie e rifiuti umani, ma l’amore salvifico di Gesù Cristo è innanzitutto per loro. Nessun uomo o donna può mai essere indegno dell’amore di Dio”. Per questo motivo, scrive l’arcivescovo, i dipendenti dalla droga devono avere una seconda possibilità: “Morti nella loro dipendenza, ‘morti viventi’ agli occhi di un mondo che non perdona, noi ordiniamo ai nostri fratelli drogati di rialzarsi e vivere di nuovo”. (R.P.)

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Nepal: l'impegno della Caritas per i terremotati

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“Siamo molto impegnati con i terremotati: la Chiesa ha profuso uno sforzo di assistenza umanitaria e di conforto nella prima fase, che oggi è conclusa. Un anno e mezzo dopo il disastro che ha colpito la nazione nella primavera del 2015, ci si sta impegnando anche nelle seconda fase, quella della ricostruzione, grazie all’opera della Caritas Nepal, e con gli aiuti della rete Caritas di tutto il mondo”: lo dice all’agenzia Fides il vescovo Paul Simick, vicario apostolico del Nepal.

Processo di ricostruzione con il contributo della Chiesa
“Il processo di ricostruzione post-sisma – riferisce il vescovo – è iniziato da poco: abbiamo atteso le procedure tracciate nel Documento fondamentale del governo per la politica di riabilitazione e ricostruzione. Ci stiamo concentrando su case, scuole, ospedali, anche grazie al contributo di Ordini religiosi come i Gesuiti e i Salesiani, accanto a molte altre Ong non cattoliche”.

Il 99% dei terremotati aiutati dalla Chiesa non sono cattolici
​“Per noi è una modalità di testimoniare il Vangelo in Nepal. Molte comunità poverissime, in zone remote, confidano solo su di noi. Il 99% dei destinatari dei nostri programmi di aiuto non sono cattolici. Più che predicando, il Vangelo si dona con le opere”, racconta mons. Simick. “Vogliamo che la nostra presenza in Nepal sia creativa. La creatività apostolica è dono dello Spirito Santo. Vogliamo dare un contributo alla società nepalese e lo facciamo soprattutto tramite l'istruzione e le opere sociali, che portiamo avanti da oltre 20 anni” osserva.

La realtà della Chiesa in Nepal
“La Chiesa in Nepal è una Chiesa giovane, ha solo 62 anni, e conta sull’apporto di sei congregazioni maschili e 22 femminili: in tutto 85 preti e 122 suore che lavorano in molte aree del Paese. La gente ha una buona opinione di noi cattolici, un piccolo gregge di circa 8.000 fedeli”, conclude il vicario apostolico del Nepal. (P.A.)

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Israele: scuole cristiane riaperte ma niente fondi statali

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Studenti e insegnanti hanno iniziato il nuovo anno scolastico “con entusiasmo e partecipazione”, anche se restano “irrisolti” i problemi che da oltre un anno condizionano la vita delle scuole cristiane in Israele. È quanto racconta all'agenzia AsiaNews padre Abdel-Massih Fahim, sacerdote francescano e direttore dell’Ufficio delle scuole cristiane della Custodia di Terra Santa, il quale conferma che “la situazione a livello finanziario è ancora sospesa e i conti peggiorano”. “Il ministero - aggiunge - non ha ancora stanziato i fondi promessi nel 2015. Noi però vogliamo continuare la nostra missione, per questo abbiamo aperto le classi”. 

33mila studenti tornati sui banchi di scuola nei 47 Istituti cristiani
In questi giorni sono tornati sui banchi di scuola i 33mila studenti delle scuole cristiane, tra antichi problemi e nuove sfide in ambito educativo e sociale. La prima campanella è già suonata in tutte e 47 gli istituti; quest’anno, a differenza dello scorso, le lezioni hanno preso il via con regolarità, anche se resta aperta la controversia che, nel settembre 2015, ha portato i vertici della Chiesa di Terra Santa - insieme a studenti e genitori - a posticipare di quasi un mese l’inizio delle lezioni. 

Sconti alle famiglie per superare la crisi
Le scuole cristiane vantano 400 anni di storia e la volontà dei vertici della Chiesa è di mantenerle aperte. “Già in passato vi sono stati momenti di crisi - prosegue il sacerdote - e noi siamo convinti di poter superare anche questa. Noi vogliamo continuare, a dispetto della situazione di crisi finanziaria, tanto che lo scorso anno abbiamo fatto un ulteriore sconto del 25% alle famiglie”. 

La copertura governativa del 34% non basta
In previsione dell’inizio dell’anno scolastico, ciascun istituto “si è arrangiato” per garantirsi la copertura finanziaria necessaria ma “è una soluzione momentanea”. “Noi non vogliamo l’elemosina dal governo - aggiunge padre Fahim - ma il rispetto dei nostri diritti”. I vertici ministeriali hanno proposto una copertura finanziaria del 34% ma non basta; inoltre, secondo la legge dovrebbero stanziare fondi pari “almeno al 75% delle spese”. L’idea, aggiunge, è di “far perdere la nostra autonomia, mentre noi continuiamo a difenderla a spada tratta”. 

Per il governo le scuole cristiane sono una eccellenza all’interno del panorama educativo
La missione delle scuole cristiane è “chiara: educazione uguale per tutti, in un contesto di dialogo, di confronto e di scambio fra studenti e insegnanti. I problemi economici con le autorità israeliane non influiscono e non devono influire con questo obiettivo. E con l’elemento multiculturale e il pluralismo religioso che sono alla base delle nostre realtà”. Il ministero dell’Istruzione che da un lato non stanzia i fondi per le scuole, dall’altro riconosce che gli istituti cristiani rappresentano una eccellenza all’interno del panorama educativo. 

60% degli studenti sono cristiani, il 40% musulmani e una piccola parte ebrei
​Ad oggi in Israele vi sono 47 scuole cristiane, che garantiscono istruzione a oltre 33mila bambini, il 60% dei quali cristiani e circa il 40% musulmani, e una piccola rappresentanza ebraica. Anche fra gli insegnanti (circa 3mila) e il personale non docente non vi sono solo cristiani, ma pure musulmani ed ebrei. La discriminazione operata dal governo di Israele è un dato di fatto evidente, se si paragona a quanto avviene con le scuole ebraiche ultra-ortodosse: esse vengono sovvenzionate in toto dal governo e non subiscono ispezioni dal ministero dell’Educazione, sebbene non siano in regola col curriculum degli studi. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 260

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.