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Sommario del 20/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ad Assisi: l'abbraccio con i leader religiosi del mondo

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Il Papa è ad Assisi dove prenderà parte questo pomeriggio alla cerimonia che chiude l’Incontro di oltre 500 leader religiosi del mondo, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Diocesi della città umbra e dalle Famiglie Francescane sul tema: “Sete di Pace: religioni e culture in dialogo”. Francesco si ha pranzato nel refettorio del Sacro Convento insieme ai capi religiosi e ad alcuni rifugiati, vittime delle guerre. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti

Trenta anni fa San Giovanni Paolo II radunò tra queste mura e campane secolari, i leader religiosi del mondo per promuovere la pace nel segno del dialogo, erano poco più di 100. Oggi la prima istantanea è quella di oltre 500 esponenti delle fedi di tutto il globo, che incontrano Papa Francesco nel solco profetico tracciato dal Papa polacco.

Nella terra di San Francesco risuonano le parole del Successore di Pietro pronunciate questa mattina nella Messa a Santa Marta, in Vaticano, e che hanno orientato ancora di più i cuori di tutti alla preghiera, alla penitenza, al “pianto per la pace”; “per sentire - come ha detto il Papa - il grido del povero”.

L’elicottero con a bordo il Papa ha solcato un cielo limpidissimo per atterrare poco dopo le 11.00 nel campo sportivo “Migaghelli” a Santa Maria degli Angeli, proprio sotto Assisi. Ad accoglierlo, per primo, il calore del vescovo della città, mons. Domenico Sorrentino, insieme alle autorità istituzionali, tra le quali il sindaco Stefania Proietti. All’arrivo al Sacro Convento, il Papa è sceso dalla sua auto dirigendosi senza esitazione, sorridente, verso Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; poi ancora abbracci con il Patriarca siro-ortodosso di Antiochia, Sua Santità Ignatius Aphrem II,  con l'arcivescovo di Canterbury e Primate della Chiesa di Inghilterra, Sua Grazia Justin Welby. Calore anche con il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, e con il vice-presidente dell’Università Al-Azhar, il prof. Abbas Shuman.

Tutti, insieme al Custode del Sacro Convento, padre Mauro Gambetti, hanno raggiunto il Chiostro Sisto IV, dove il Papa ha salutato personalmente uno ad uno con i rappresentanti delle Chiese e delle religioni mondiali, rappresentanti istituzionali, del mondo della cultura, i vescovi dell’Umbria e un gruppo di rifugiati che hanno partecipato all’incontro per la pace. Tra i flash delle macchine fotografiche, Francesco ha guardato tutti negli occhi, parlato con tutti, incoraggiato e con la delicatezza di un padre ha accarezzato e benedetto i bambini presenti e chi era seduto in sedia a rotelle. Tanta la gioia e la commozione.

Poi il pranzo comune nel refettorio del Sacro Convento, con alcune vittime delle guerre. A seguire incontri personali, quindi il momento di preghiera in diversi luoghi di Assisi. Nella Basilica inferiore di San Francesco si terrà la preghiera ecumenica dei cristiani. Seguirà la cerimonia conclusiva con tutti i leader delle religioni del mondo, l’atteso discorso del Santo Padre e la lettura dell’Appello di Pace, che verrà consegnato ai bambini di varie nazioni.

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Papa: guerra è vergogna, ad Assisi preghiamo il "Dio di pace"

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In ginocchio a pregare il Dio della pace, insieme, “oltre le divisioni delle religioni”, fino a sentire la “vergogna” della guerra e senza “chiudere l’orecchio” al grido di dolore di chi soffre. Lo spirito col quale il Papa è partito per Assisi è stato spiegato da Francesco stesso all’omelia della Messa celebrata prima della partenza in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Non esiste un dio di guerra”. La guerra, la disumanità di una bomba che esplode facendo morti e feriti, tagliando la strada “all’aiuto umanitario” che non può arrivare a bambini, anziani, malati, è solo opera del “maligno” che “vuole uccidere tutti”. Per questo, è necessario pregare, anche piangere per la pace, tutte le fedi unite nella convinzione che “Dio è Dio di pace”.

Non chiudiamo l’orecchio
Il grande giorno di Assisi, 30 anni dopo Giovanni Paolo II, parte dalla piccola cappella di Casa S. Marta. “Oggi, uomini e donne di tutte le religioni, ci recheremo ad Assisi. Non per fare uno spettacolo: semplicemente per pregare e pregare per la pace”, sono le prime parole del Papa all’omelia. E ovunque, ricorda Francesco – come da lui chiesto in una lettera “a tutti i vescovi del mondo – oggi sono organizzati “raduni di preghiera” che invitano “i cattolici, i cristiani, i credenti e tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di qualsiasi religione, a pregare per la pace”, giacché – esclama nuovamente – “il mondo è in guerra! Il mondo soffre!”:

“Oggi la Prima Lettura finisce così: ‘Chi chiude l’orecchio al grido del povero, invocherà a sua volta e non otterrà risposta’. Se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte. Non possiamo chiudere l’orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono per la guerra”.

La guerra parte dal cuore
Noi la guerra “non la vediamo”, sostiene Francesco. “Ci spaventiamo” per “qualche atto di terrorismo” ma “questo non ha niente a che fare con quello che succede in quei Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono” e “uccidono bambini, anziani, uomini, donne…”. “La guerra è lontana?”, si chiede il Papa. “No! E’ vicinissima”, perché “la guerra tocca tutti”, “la guerra incomincia nel cuore”:

“Che il Signore ci dia pace nel cuore, ci tolga ogni voglia di avidità, di cupidigia, di lotta. No! Pace, pace! Che il nostro cuore sia un cuore di uomo o di donna di pace. E oltre le divisioni delle religioni: tutti, tutti, tutti! Perché tutti siamo figli di Dio. E Dio è Dio di pace. Non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti”.

Sentire la vergogna
Di fronte a questo non possono esserci divisioni di fede, ribadisce Francesco. Non basta ringraziare Dio perché magari la guerra “non ci tocca”. “Sì, ringraziamo per questo – dice – ma pensiamo anche agli altri”:

Pensiamo oggi non solo alle bombe, ai morti, ai feriti; ma anche alla gente – bambini e anziani – alla quale non può arrivare l’aiuto umanitario per mangiare. Non possono arrivare le medicine. Sono affamati, ammalati! Perché le bombe impediscono questo. E, mentre noi oggi preghiamo, sarebbe bello che ognuno di noi senta vergogna. Vergogna di questo: che gli umani, i nostri fratelli, siano capaci di fare questo. Oggi giornata di preghiera, di penitenza, di pianto per la pace; giornata per sentire il grido del povero. Questo grido che ci apre il cuore alla misericordia, all’amore e ci salva dall’egoismo.

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Welby (anglicani) e Bernardini (valdesi): c'è sempre più bisogno di dialogo

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Un avvenimento per mettere al centro il significato più profondo del dialogo. Un dovere particolarmente urgente per i cristiani. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento dell’arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, Justin Welby

R. – For me dialogue means…
Per me dialogo significa ascolto davvero attento, più che tanto parlare.

D. – Cosa si augura per il futuro?

R. – As the Ecumenical Patriarch said…
Come ha detto il Patriarca ecumenico, il mio augurio per il futuro è che si faccia un passo avanti nell’ecumenismo all’interno della Chiesa ed un passo avanti nel riconoscere il nostro comune discepolato in Gesù Cristo.

Sull’importanza dell’incontro interreligioso per la pace ad Assisi, sempre il nostro inviato Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese: 

R. – E’ un’esperienza importante, perché quando ci si incontra il dialogo diventa più semplice e – direi – naturale. E noi abbiamo bisogno sempre di più di dialogo e potrei dire forse più di 30 anni, vista la situazione che stiamo un po’ vivendo tutti.

D. – Alcuni dicono “dialogo è solo parlare”: che cos’è il dialogo?

R. – Il dialogo è l’inizio della soluzione, perché senza dialogo non si possono trovare delle soluzioni condivise; e se le soluzioni non sono condivise, non sono delle vere soluzioni. E purtroppo lo stiamo sperimentando nel nostro tempo.

D. – L’immagine di questa tre giorni è anche la consegna, da parte dei leader religiosi, del messaggio della pace ai bambini che lo portano alle nazioni: una immagine forte…

R. – Perché è il futuro. E già in parte il presene, questo non possiamo dimenticare… E’ il futuro! Le nostre generazioni purtroppo non sono state in grado di cambiare le relazioni internazionali e il modo che abbiamo per affrontare i conflitti, che – tra l’altro – in questi tempi hanno assunto anche venature religiose impropriamente. E qui i leader religiosi presenti sono stati concordi nel rifiutare la strumentalizzazione religiosa dei conflitti. I bambini sono il futuro: noi abbiamo verso di loro grande responsabilità e naturalmente ci auguriamo che loro sappiano fare meglio di noi.

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Assisi: le testimonianze dei cardinali Kasper e Montenegro

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In un mondo sfigurato dalla violenza, dalle guerre e il terrorismo, il dialogo è l’unica strada possibile che ha l’umanità. Ne è convinto il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del dicastero per l’Unità dei Cristiani, intervistato da Massimiliano Menichetti

R. – Il dialogo è l’unica risposta alla violenza che sperimentiamo oggi nel nostro mondo. Il dialogo può unire e guidare alla pace.

D. – Che cosa nasce da questa giornata di Assisi?

R. – Due cose: in primo luogo l’amicizia; l’amicizia è il collante di ogni società e senza amicizia non possiamo avere nulla. In secondo luogo, anche il valore della preghiera, perché la preghiera cambia il nostro cuore, e Dio può anche entrare nel cuore dell’altro e cambiarlo. E così la preghiera è fondamentale per la pace nel mondo.

D. – Nel mondo c’è il terrorismo: come si esce da questa spirale di violenza?

R. – Attraverso il dialogo e la preghiera. E si deve convincere gli altri che la violenza non è una soluzione ai problemi, ma questi possono essere risolti soltanto tramite il dialogo, la giustizia e la misericordia.

Di speranza per il futuro dopo questo incontro di pace parla - al microfono del nostro inviato - Massimiliano Menichetti, il presidente della Caritas italiana, il cardinale Francesco Montenegro

R. – Se la pace è una costruzione che il Signore vuole realizzare in questo mondo, dandoci poi tutto il materiale per poterla realizzare, credo che questi giorni siano un momento in cui dei mattoni in più sono messi per la costruzione di questa casa: una casa che deve accogliere tutti.

D. – “I rifugiati ci interpellano”: è il titolo della Tavola Rotonda da lei presieduta…

R. – Il titolo un po’ mi ha messo in difficoltà… Perché quali rifugiati ci interpellano? Quelli che sono riusciti a superare il mare e a venire nella nostra terra o ci interpellano quelli che sono rimasti per strada, quelli che sono morti? E quelli, oltre ad interpellarci, ci graziano; e noi non possiamo accettare le morti di altri uomini con quasi indifferenza o con un “poveretti” soltanto. È una storia che si mette di fronte alla nostra storia. E la lezione che ci danno i morti è che dobbiamo evitare che altri muoiano come loro. E allora siamo interpellati ad aiutare gli altri a vivere e questo diventa l’impegno di tutti.

D. – Che cos’è il dialogo?

R. – Il dialogo è la parola dell'altro che che entra dentro di me e si deposita nel cuore. il dialogo è incontro di cuori: dove io metto in gioco il mio cuore, l’altro che mi parla con il suo e insieme tentiamo di trovare una soluzione.

D. – Questo incontro si fonda sulla preghiera: la preghiera è concreta?

R. – Le due “p” si confondono e si uniscono. Scrivo la “p” di preghiera e la “p” di pace e il risultato sarà lo stesso: tutti e due ci teniamo per mano.

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Nomina di Papa Francesco in Francia

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In Francia, il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Clermont, mons. François Kalist, finora Vescovo di Limoges.

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Parolin: colombiani liberi e responsabili nel processo di pace

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, presente alla firma degli accordi di pace fra governo colombiano e guerriglieri delle Farc, “nel massimo rispetto dell’autonomia delle istituzioni”, “chiederà a Dio di illuminare il popolo colombiano affinché, operando in coscienza e nella massima libertà, con responsabilità e ben documentato, partecipi alle decisioni che interessano il bene comune del Paese, tanto caro a Papa Francesco”. E’ quanto afferma un comunicato congiunto della Nunziatura apostolica in Colombia e della Conferenza episcopale colombiana.

Il porporato ha accettato l’invito del governo a presiedere, il prossimo 26 settembre a Cartagena de Indias in Colombia, la liturgia che precederà la cerimonia della firma, “per pregare per la concordia e la riconciliazione del popolo di questa nobile Nazione, dalle profonde radici cattoliche e tanto apprezzata dalla comunità internazionale, che sta cercando di costruire una società di pace”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il giorno della pace: il Papa ad Assisi per l'incontro di preghiera con i leader religiosi.

Alla ricerca di un luogo isolato e disagiato: Felice Accrocca sul secondo volume del "Corpus Coelestinianum".

Claudio Matarese sui due Papi dell'antica Fagifula: Montagnano in Molise tra san Pietro Celestino e Benedetto XIII.

L'evangelista Marco e la musa ispiratrice: Fabrizio Bisconti sul restauro del Codice purpureo conservato a Rossano Calabro.

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Oggi in Primo Piano



Siria: stop a convogli umanitari. Mons. Jeanbart: tregua senza effetti

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Se dalle indagini emergesse un atto deliberato, il raid aereo di ieri su un convoglio umanitario dell'Onu in Siria “equivarrebbe ad un crimine di guerra”. Lo ha detto il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, Stephen O'Brian, dopo che almeno 20 civili e un operatore della Mezza Luna Rossa sono rimasti uccisi in un bombardamento ad Ovest di Aleppo mentre cercavano di scaricare aiuti. Le Nazioni Unite hanno quindi annunciato la sospensione dei convogli umanitari. Ormai saltata la tregua - come decretato dal regime di Damasco e dall’alleato russo che accusano le milizie ribelli di violazioni del cessate il fuoco - i raid sono ripresi in una zona controllata dagli insorti e dove si trovano circa 300 mila civili. Le vittime degli ultimi attacchi sarebbero una quarantina. Tra poche ore se ne parlerà al Palazzo di Vetro di New York, dov’è convocata la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mentre è in corso l’Assemblea Generale. Per una testimonianza, Giada Aquilino ha intervistato l’arcivescovo di Aleppo dei greco melkiti, mons. Jean-Clément Jeanbart

R. – La tregua è stata sin dall’inizio senza effetti, perché dal primo giorno in cui è iniziata abbiamo sempre avuto bombe e colpi di mortaio sulla città. C’è stata una dichiarazione ufficiale da parte dell’esercito siriano sulla fine della tregua. Speriamo invece che riescano ad organizzarne una, perché un cessate il fuoco è importante per poter sperare in un dialogo e nella pace.

D. – In questi ultimi giorni in cui si era parlato di tregua, gli aiuti erano arrivati?

R. – In alcuni posti sì, dove c’era una intesa con il governo e le autorità civili. Ma sembra che per quanto riguarda Aleppo ci volessero delle condizioni particolari. C’era infatti – pare – il timore che, com’era già avvenuto tempo fa, le armi potessero passare attraverso i convogli umanitari. È un peccato che questi aiuti non siano poi arrivati a tutti e quelli che pagano sono i civili poveri che non hanno ricevuto nulla.

D. – Cosa serve alla popolazione?

R. – La popolazione dovrebbe avere la libertà, la possibilità di spostarsi, ma anche di ricevere gli aiuti direttamente, senza che vadano a finire nelle mani di Daesh, del sedicente Stato islamico e dei gruppi che dominano da queste parti del Paese. Perché, da alcune testimonianze che abbiamo sentito, sembra che gli aiuti vadano in mano a questi gruppi armati e che la gente che non è loro seguace non riceva niente.

D. – In queste ore a New York, all’Onu, si parla nuovamente di Siria: la gente cosa chiede alla comunità internazionale? C’è fiducia?

R. – Chiede che la comunità internazionale intervenga affinché la pace sia raggiunta. E che siano fatte delle richieste ad entrambe le parti – la Russia e gli Stati Uniti – di obbligare i partner loro alleati ad attuare un cessate il fuoco serio. E anche che cominci un dialogo per trovare una soluzione, un compromesso, un concordato, una riconciliazione. Perché i siriani hanno vissuto insieme per secoli e secoli: musulmani, cristiani e tutte le minoranze hanno vissuto bene tra loro.

D. – Da Assisi, la preghiera del Papa per la pace: che speranze ci sono per la Siria?

R. – La speranza è che smettano di distruggerla e che gli Stati che hanno degli interessi egoistici in questa zona del mondo cessino di provare ad avere tutto per ottenere qualcosa: lascino la Siria ai siriani. Se non c’è pace e se non c’è un cessate il fuoco, non si può dialogare con calma e serenità.

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Assemblea Onu, card. Parolin: rispondere a bisogni migranti

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In una New York blindata, dopo i recenti attentati, si è aperta ieri l’Assemblea Generale dell’Onu con il Summit internazionale sui migranti. “Stabilire una connessione tra rischi per la sicurezza e immigrazione non è nella realtà nei fatti”. Lo ha detto il premier italiano Matteo Renzi, durante il vertice. Per il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon serve un accordo a livello globale per dare più diritti ai migranti. All'insegna dell'accoglienza l'intervento del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. Da New York, Elena Molinari

“Questo Summit acquisterà significato solo se tutti noi onoreremo gli impegni presi”. E’ l’appello lanciato ieri dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, nel presentare la dichiarazione adottata al Vertice su rifugiati e migranti che ha inaugurato la 71.ma sessione dell’Assemblea Generale.

Il documento votato dai 193 Stati membri infatti non è vincolante e non impone ai Paesi più ricchi una quota minima nell’accoglienza dei profughi. All’invito di Ban il premier Matteo Renzi ha risposto che l’Italia è pronta a "fare da sola” sull’immigrazione se l’Europa "non ha interesse" a dimostrare di "avere un’anima".

Nel suo intervento invece il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha evidenziato il ruolo delle istituzioni religiose nel rispondere ai bisogni dei rifugiati e dei migranti. Ma il porporato ha anche sottolineato che molte persone oggi lasciano le loro terre spinte da conflitti, persecuzioni e discriminazioni. E devono quindi ricevere un rifugio sicuro, non diffidenza e razzismo.

Parolin ha poi incontrato il segretario di Stato Usa, John Kerry, per discutere la "situazione umanitaria in Siria" sottolineando "l’interesse condiviso nel combattere la minaccia del Daesh e nel prevenire un’ulteriore oppressione di minoranze etniche e religiose".

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Summit Onu sui migranti deludente. Croce Rossa: governi ipocriti

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Approvata, ieri, la Dichiarazione di New York in chiusura del Summit dedicato, in apertura dei lavori dell’Assemblea generale dell'Onu, alla crisi migratoria globale. Critiche al testo sono arrivate dagli organismi umanitari, che operano sul campo in aiuto a migranti e rifugiati, 65 milioni nel 2015, mai un numero cosi alto dal Secondo dopoguerra. Roberta Gisotti ha raggiunto al telefono a New York, Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa italiana e vicepresidente della Federazione internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. 

D. – Dottor Rocca, questa Dichiarazione certo esprime solidarietà e promesse di impegno, ma non sembra vincolare i Paesi sul piano operativo: per questo ha deluso?

R. – Sotto questo aspetto, sicuramente ha deluso: lo sapevamo. Quello che andava sottolineato è che adesso è il tempo dei fatti. La circostanza che abbiano rinviato al 2018 ad una successiva conferenza la verifica dell’andamento, dell’approvazione di questo documento, insomma, ci lascia solo tante parole – che a New York sono molto esperti nel crearle per non dividere – mentre in realtà qua c’è gente che muore, qui c’è gente che è disperata, c’è gente che comunque ha necessità di vedersi restituita una dignità.

D. – Ecco, ma perché non si è fatto un passo avanti? Anzi, qualcuno parla perfino di un passo indietro rispetto a certe promesse del passato …

R. – Passi indietro … non lo so … Ieri, però, qualcuno ha avuto il coraggio di ricordarlo nell’aula. Ci sono tantissimi atteggiamenti ipocriti, anche da parte di alcuni governi, perché vengono, approvano queste Dichiarazioni e poi in realtà erigono muri, mettono chi chiede asilo e scappa dalle guerre in campi di detenzione nelle isole … Cioè, è una situazione in cui il mondo ha un atteggiamento schizofrenico. Sotto questo aspetto, arrivare a questa risoluzione con degli impegni a lungo termine è stata l’unica maniera per vederla approvata all’unanimità. Però, a volte occorre anche la capacità di adottare delle scelte. Di sicuro, comunque, c’è un’umanità sofferente che ha bisogno di azioni immediate.

D. – L’Italia è tra i Paesi più esposti, non tanto nell’accoglienza definitiva ma nel gestire un transito di masse umane disperate che giungono, sovente in fin di vita o anche cadaveri, dal mare …

R. – Le dico la verità: noi sicuramente abbiamo tanti difetti e tantissimi problemi all’interno da risolvere. Però, il nostro tessuto solidale – rispetto a quello di altre nazioni – sta tenendo, e questo comunque mi rende orgoglioso.

D. – Il punto cruciale di questo dibattito, forse, è quello di andare alle cause di tanta migrazione, cause che sono soprattutto riconducibili alle guerre: di questo si è preso coscienza?

R. – Sì, certo il mondo occidentale deve farsi un esame di coscienza. Il lavoro nei Paesi di origine deve essere fatto, però nessuno ha la bacchetta magica. Allora, ci sia la consapevolezza che i risultati richiedono anni e l’essere umano non è l’acqua di un rubinetto: non è che si chiude il rubinetto e non arriverà più un essere umano. Questo è un investimento nel tempo, che non può però consentire a nessuno di chiudere la possibilità di scappare dalla guerra, a chi comunque la stia subendo.

D. – Non crede che su questo tema cruciale della crisi migratoria globale, si giochi in qualche modo la stessa credibilità delle Nazioni Unite, di essere agli occhi del mondo qualcosa di utile?

R. – Sì, io credo di sì. Su questo come su tantissimi altri temi. Ma il fatto che la diplomazia delle Nazioni Unite sia in gravi difficoltà, questo è sotto gli occhi di tutti. Quindi, onestamente, non so se vederla come ultima spiaggia o comunque questa come ultima possibilità, però sicuramente è vero che i poteri di veto di alcuni Paesi e questa ricerca ossessiva del consenso unanime a tutti i costi, sicuramente non hanno reso un gran favore a questa istituzione. Che peraltro è meravigliosa, perché comunque dà l’opportunità a tutti i Paesi del mondo di incontrarsi, di sedersi, di poter dialogare in maniera paritaria. E, io credo che su questo, semmai, andrebbe veramente fatta una riflessione per cercare un rilancio delle Nazioni Unite.

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Acs in Iraq: portiamo aiuto e vicinanza ai cristiani profughi

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E’ partita oggi, diretta nel Kurdistan iracheno e in particolare a Erbil e Duhok, una delegazione internazionale di cui fa parte anche la fondazione pontificia Acs-Aiuto alla Chiesa che Soffre. Visiteranno i diversi campi profughi dove vivono migliaia di cristiani iracheni fuggiti dall’Is. “Porteremo loro macchinari per facilitare i lavori manuali che compiono per sopravvivere, ma soprattutto porteremo vicinanza e carità”: così, al microfono di Gabriella Ceraso, il presidente di Acs, Alessandro Monteduro

R. – Stiamo andando con questo macchinario, ma stiamo andando assieme ad una delegazione internazionale tanto del governo panamense quanto del governo polacco. Loro arrivano con enormi quantità di cibo, medicine, latte in polvere. Ovviamente le ho parlato del dato materiale, ma andiamo ancora una volta per dare seguito a quello che il Patriarca Sako ci disse nell’aprile scorso: “La vostra presenza qui è fondamentale, perché rappresenta un pugno nello stomaco a chi considera l’Occidente una società fallita”.

D. – Ad aprile scorso che persone avete trovato in questi campi profughi? 

R. – Abbiamo trovato ovviamente delle persone di meravigliosa fede. In questi container, dai 15 ai 20 mq, c’è sempre stata per noi la possibilità di individuare un Crocifisso, una Bibbia, un Vangelo. Abbiamo trovato persone che hanno rinunciato a tutto, per salvaguardare la propria identità, la propria fede. Abbiamo trovato anche tanta speranza.

D. – La Chiesa siro-caldea in questi giorni è riunita in preghiera e poi andranno incontro al loro Sinodo. Voi li avete sentiti? Che clima si respira?

R. – La settimana scorsa ho avuto modo di incontrare mons. Nona, arcivescovo emerito di Mosul, oggi in Australia, ma incontreremo i vari vescovi. Attraverseremo anche una buona parte della regione curda. Il clima è quello dell’attesa, della speranza, ma anche una fermezza: la fermezza che i cristiani non devono abbandonare quell’area. Vogliamo impedire l’estinzione dei cristiani dall’Iraq.

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Giordania alle urne: il ritorno dei Fratelli Musulmani

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Giordania al voto oggi per le 18.me elezioni parlamentari del Paese. Oltre 4 milioni le persone aventi diritto al voto con sistema proporzionale che sceglieranno tra 1252 candidati per un totale di 130 seggi. Fattore rilevante di questa elezione è il ritorno politico dei Fratelli Musulmani che avevano boicottato le precedenti elezioni del 2010 e del 2013. Francesca Sabatinelli ha intervistato Paolo Maggiolini, ricercatore dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale: 

R. - La monarchia e il governo hanno cercato, fino all’ultimo momento, di sottolineare l’importanza di questo evento, definendolo anche storico in quanto arriva a completamento di una fase di revisione della legge elettorale e di riforma anche costituzionale. E poi la Giordania deve affrontare dei problemi economici importanti, la questione dei rifugiati, quindi una serie di sfide non indifferenti che richiedono, in qualche modo, una legittimazione delle istituzioni che dovranno prendere alcune delle decisioni. D’altra parte, però, c’è una sempre crescente - e ormai quasi costante - disaffezione nei confronti delle stesse istituzioni rappresentative, che è un po’ la conseguenza dell’idea che il Parlamento non sia poi così centrale nella vita politica e nelle decisioni del Paese. C’è anche una certa sfiducia nei confronti della rappresentanza politica legata alle questioni della corruzione e non solo alla corruzione effettiva ma, in qualche modo, all’indipendenza di queste istituzioni, che sembra confermare che la partecipazione non sarà molto forte.

D. – Il Fronte di azione islamica, che è il braccio politico dei Fratelli musulmani in Giordania, torna a ripresentarsi dopo due anni di voto boicottato…

R. – Esatto! Questo sarà un altro elemento di novità rispetto alle due precedenti elezioni, perché quello che può essere il Fronte o la sfera dell’islam politico nel partito, nel Paese, e in particolare il Fronte islamico di azione, parteciperà alle elezioni. In genere, in qualche modo, ancora una volta e anche con la nuova legge elettorale, risulta tuttora al di fuori delle dinamiche interne, anche di scissioni, che si sono succedute nell’ultimo periodo, negli ultimi anni, e rimane comunque sempre la formazione meglio organizzata, che presenterà più candidati, affiliati, alcuni hanno una affiliazione partitica, più liste. Quindi, sicuramente, questo è un elemento interessante, perché si prevede probabilmente qualcosa intorno ai 20 seggi direttamente legati al Fronte di azione islamica. In generale sarà interessante vedere quale sarà la performance nelle elezioni di tutti quei candidati, che in qualche modo si riferiscono a quello che definiamo come “islam politico”.

D. – La Giordania è un Paese che si sta trovando di fronte – e non da poco tempo – a sfide importanti e drammatiche. L’altissimo numero di profughi, soprattutto provenienti dalla Siria, che si sono riversati in Giordania, in un Paese così piccolo come la Giordania – circa un milione di profughi si trovano lì – non è certamente indifferente. Oltre a questo c’è anche l’impegno della Giordania nella lotta allo Stato Islamico…

R. – Sicuramente è un Paese che non si è mai potuto sottrarre alle dinamiche della regione, sia per la sua collocazione, sia perché è naturalmente influenzato da come la regione respira e dove va. Ha cercato sempre di assumersi le proprie responsabilità. La questione dei profughi e dei rifugiati chiaramente coglie il sistema Paese nel suo complesso: da un certo punto di vista c’è un peso sull’economia, già difficile, ma anche tanti altri problemi, dalla questione dell’acqua e di tutti quelli che sono i servizi che devono essere forniti alla popolazione. Calcolando, appunto, che il dibattito interno nel Paese e nei confronti della Comunità internazionale tende a sottolineare che questo non è un problema emergenziale per il Paese, ma è un problema strutturale. Sapendo anche quanto sarà difficile la soluzione nel contesto siriano… Nei confronti della minaccia terroristica, sia nell’ambito iracheno che in quello siriano, la Giordania – sin dal primo momento – è stata all’interno della coalizione e ha lavorato in modo tale che i suoi confini, che sono lunghi e notevolmente complessi, non fossero porosi. E in questi giorni, comunque, anche il re è costantemente impegnato su questo campo. Nel complesso di una regione che ha le sue sfide, la Giordania chiaramente può essere l’unico contesto che in qualche modo fa un po’ da pietra angolare nella situazione attuale. E’ da anni, però, che le è stato chiesto anche di affrontare delle sfide che sono effettivamente molto complesse per le risorse interne.

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Messico: uccisi due sacerdoti nello Stato di Veracruz

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In Messico due sacerdoti cattolici sono stati sequestrati e uccisi a Poza Rica, nello Stato orientale messicano di Veracruz. Un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella chiesa di Nuestra Señora de Fatima. Trovata viva invece una terza persona, sequestrata con i due prelati. Le vittime sono Alejo Naborì e José Alfredo Jimenez. Dolore e indignazione sono stati espressi dalla Chiesa messicana. Sulla situazione, Paolo Ondarza ha intervistato Andres Beltramo, corrispondente in Italia per l’agenzia di stampa messicana Notimex

R. – Lo Stato di Veracruz è uno Stato che si affaccia sul Golfo del Messico. Nel passato è stato al centro di passaggio della droga, per cui si sono create diverse bande, diversi corridoi della criminalità. Se poi ci si somma anche il fatto che in questi mesi c’è una grave crisi politica con il governatore di Veracruz accusato di corruzione, questa situazione fa sì che molte volte ci sia spazio per queste bande che da tempo pullulano e controllano alcuni settori di Veracruz, e che ovviamente vedono nella Chiesa e nei preti magari personaggi scomodi. Ancora non conosciamo esattamente la dinamica né i moventi; quello che possiamo intuire da quello che è emerso all’inizio, è che non è stata una rapina o un fatto solamente di sicurezza, perché sono stati sequestrati, poi ricompaiono torturati, con le mani e i piedi legati e finiti con colpi di grosso calibro …

D. – Quindi potrebbe essere un gesto intimidatorio?

R. – Ahimé, questo non è il primo caso: sempre, ogni anno, ci sono due, tre, quattro preti, ogni anno, che perdono la vita. Quindi, non credo che sia un caso di un avvertimento di adesso … E più li vedo, tutti questi casi come conseguenza più che come avvertimento, conseguenza del lavoro che queste persone stanno facendo …

D. – Quindi, personaggi scomodi - potremmo dire - Alejo Naborì e José Alfredo Jimenez, i due sacerdoti che appunto sono stati sequestrati e uccisi. Di loro sai qualcosa? Sai di cosa si occupassero?

R. – Facevano un lavoro anche molto sociale, ma questo ovviamente dice molto bene di loro, mentre in realtà è una cosa molto comune nei preti di queste zone, che sono zone tra città e campagna, una campagna spesso insicura … E poi, come chiesa, la gente va e chiede aiuto, va a dire tante cose … Quindi è molto comune che ci siano questi preti, che siano molto vicini alla gente per il loro lavoro ma anche per le necessità naturali …

D. – Certo, la Chiesa è un punto di riferimento per la gente, per la povera gente …

R. – Certo, perché molte volte queste persone hanno paura, no? Ci sono queste dinamiche che vanno al di là della loro portata e quindi questo fa sì - come dicevo prima - che i preti siano dei raccoglitori di informazioni molto pericolose, a volte. Alcuni possono fare omelie o sermoni che poi arrivano alle orecchie di altri e lì incominciano le minacce. Anche se per quanto riguarda loro, non si sapeva – almeno a livello dei media – che ci fossero state delle minacce. E comunque è una cosa – ahimé! – abbastanza comune, in queste regioni …

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Card. Vallini: formare i giovani all'amore vero della famiglia

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Proporre con convinzione il matrimonio cristiano alle giovani coppie, accompagnato dalla testimonianza di tante buone famiglie, presenti nelle parrocchie. Con questa riflessione, il cardinale vicario Agostino Vallini, ha concluso ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano il convegno della Diocesi di Roma. L’incontro, che ha avuto come filo conduttore il tema “La letizia dell’amore: il cammino delle famiglie a Roma” ispirato all’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Amoris laetitia”, si era aperto lo scorso 16 giugno proprio alla presenza del Pontefice. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro

Aiutare la coppia a fare comunione, mettendo sempre al primo posto nella loro unione l’amore di Dio, perché senza di Lui è impossibile che l’uomo si mantenga fedele all’amore vero. Parte da questo pensiero la conclusione del Convegno diocesano dedicato alla letizia dell’amore. Ascoltiamo il commento del cardinale Agostino Vallini:

R. – Riteniamo che il tema delle famiglie giovani sia il futuro della Chiesa. Offrendo loro un cammino ecclesiale in cui i temi della famiglia, oggi così esposta, siano illustrati, ma soprattutto accompagnati da una comunità viva che sappia anche lenire le sofferenze, risanare le piaghe presenti in tante famiglie, significa che la Chiesa è madre. Ecco, questo è  il cuore della pastorale che quest’anno prende come oggetto di studio, in modo particolare, “Amoris laetitia”, dove il Santo Padre fa proprio riferimento alla bellezza del matrimonio. Dobbiamo riproporre il matrimonio.

D. – Quanto è importante anche l’educazione affettiva dei giovani?

R. – Ecco, questa è il frutto di un lavoro che abbiamo fatto. Non possiamo cominciare a parlare dell’amore vero alla vigilia del matrimonio. Bisogna cominciare dall’adolescenza e quindi dai tempi dell’iniziazione cristiana, perché i ragazzi di oggi, molti di loro, hanno bisogno soprattutto, avendo alle spalle esperienze di famiglia in sofferenza, di vivere nella comunità ecclesiale una esperienza positiva dell’amore vero e quindi prepararsi e crescere verso il matrimonio e la famiglia.

D. – Il Santo Padre, nel suo discorso, ha sottolineato l’importanza dei nonni nelle parrocchie. Ma in che modo gli anziani possono aiutare i giovani a tornare a sognare?

R. – Dando la loro testimonianza. Penso che il punto fondamentale sia capire che nel progetto di Dio non c’è età. Abbiamo assistito ai funerali del presidente Ciampi e sapere che celebravano 70 anni di matrimonio nella gioia e nella fedeltà è stato un grande segno per tutti. Ecco, noi vorremmo che famiglie cristiane come questa possano essere di testimonianza e quindi coinvolte in qualche forma anche nei cammini formativi.

D. – Quanto è importante la presenza delle famiglie nelle parrocchie e, altrettanto, della parrocchia in una famiglia?

R. – La parrocchia io la definisco una famiglia di famiglie. Dobbiamo, dunque, considerare la comunità come l’espressione della realtà. La realtà non divide le persone. Siamo tutti appartenenti ad una famiglia e, dunque, la pastorale deve porre al centro proprio la famiglia soggetto, coinvolgendo nelle forme possibili, attraverso l’azione della pastorale, degli operatori e delle proposte che la Diocesi fa alle famiglie di Roma, cammini dove le famiglie si sentano parte della Chiesa viva.

Fondamentale, in questo cammino di “fare famiglia”, diventa l’accompagnamento della Chiesa. Ascoltiamo mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano:

R. - Io credo che proprio nella nostra vita noi trasmettiamo la bellezza della famiglia, perché abbiamo avuto dei nonni, dei genitori e ci rendiamo conto, facendo per esempio un albero genealogico, che la famiglia è veramente “il motore della storia” - una volta Papa Francesco ha usato quest’espressione. Senza la famiglia, cioè, non avremmo la vita e questo passato è il futuro del mondo. Non è, cioè, qualcosa di opprimente, ma anzi è l’unica cosa che apre il mondo al futuro.

D. – Quanto è importante anche la vicinanza della Chiesa verso quelle famiglie che soffrono?

R. – Questo è importantissimo. Io direi, addirittura, che il loro dolore, per certi aspetti, sia proprio la testimonianza che l’amore deve essere eterno. C’è una vera sofferenza nella separazione che, in qualche modo, è ineliminabile. Uno infatti porta sempre con sé la coscienza che c’è un’altra parte, che sta da qualche parte. E allora questa vicinanza della Chiesa che accompagna veramente in questo cammino, che sempre più si integra nella Chiesa e dove poi, nel foro interno, si prendono anche decisioni ulteriori.

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Dal Nepal la più toccante colletta per Amatrice

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E’ una donazione di 1.000 euro ma il suo reale valore è di gran lunga superiore. Si tratta della donazione alla quale hanno partecipato gli abitanti di un povero paese nepalese per promuovere la ricostruzione di Amatrice, uno dei Comuni più colpiti dal terremoto dello scorso 24 agosto. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Gesù, seduto di fronte al tesoro del tempio, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Una vedova povera, vi gettò due monetine. Allora Gesù disse ai discepoli:  “Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva”. Questa pagina del Vangelo di Marco si è rinnovata non a Gerusalemme ma a Bodgaun, paese sulle pendici dei monti del Nepal.

Dal Nepal straordinario esempio di generosità
La protagonista di una contemporanea e toccante pagina di solidarietà non è una donna povera. I protagonisti sono gli abitanti di questo villaggio nepalese che vivono, o meglio sopravvivono, con poco più di due euro al giorno. Sono sopravvissuti al devastante sisma che lo scorso 24 aprile ha scosso il loro villaggio e il Nepal provocando oltre 10 mila vittime. E dopo aver appreso la notizia del terremoto dello scorso 24 agosto nel centro Italia hanno deciso, attraverso la fondazione “Jay Nepal”, di raccogliere una somma di denaro da destinare ad Amatrice, uno dei comuni più colpiti dal sisma che quasi un mese fa ha causato, in Italia, la morte di 297 persone.

Bodgaun, paese del Nepal solidale con Amatrice
Alla colletta gli abitanti di Bodgaun hanno partecipato con straordinario spirito di generosità. Tutti, non avendo nulla di superfluo, hanno donato più di quello che potrebbero. Ed è stata raggiunta la cifra di circa 1.000 euro, pari allo stipendio medio di un anno. Non una somma esigua, come i paragoni con altre collette più sostanziose potrebbero far pensare erroneamente. Chi ha donato non ha pensato a quanto possiede, ma alla sofferenza della popolazione di un piccolo paese italiano che, come il Nepal, ha vissuto il dramma del terremoto. Quella della popolazione di Bodgaun, come nel caso della povera vedova del Vangelo di Marco, non è quindi una colletta marginale ma una donazione straordinaria perché fatta veramente con il cuore.

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Parte l'assegno contro la povertà, coinvolte 200 mila famiglie

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Circa 200 mila famiglie potranno beneficiare del Sia, il sostegno all’inclusione attiva, una forma di assegno per i nuclei più poveri. E’ la stima che fa il ministero del Lavoro che ricorda come le domande possano essere presentate già dal 2 settembre. Ora, però, è fondamentale la collaborazione dei comuni. Il servizio di Alessandro Guarasci

E’ un primo passo verso un vero reddito di inclusione. Il governo ha stanziato 750 milioni di Euro per quest’anno e un miliardo per il 2017. La misura prevede da 80 a 400 euro al mese per le famiglie con minori e un Isee inferiore ai 3 mila euro. Criteri molto stringenti, per un intervento definito “ponte”, dal direttore generale per l’inclusione del ministero del Lavoro Raffaele Tangorra:

“Non dobbiamo dimenticare che in Parlamento è stato già approvato alla Camera il disegno di legge delega ed entro l’anno sarà approvato anche al Senato. Quindi dovremmo, nel 2017, passare dal Sia al reddito di inclusione, cioè quindi una vera e propria misura strutturale, che, quindi, duri per sempre, di lotta alla povertà”.

I comuni dovranno non solo raccogliere le domande, anche fornire servizi per aiutare queste famiglie ad uscire dalla povertà. Dunque per i circa 400 mila minori che ne beneficeranno sono previsti più formazione, più accesso alla sanità, campi scuola. Ancora Tangorra:

“Gli ambiti territoriali, responsabili della programmazione sociale, devono cercare di fare quel salto di qualità che è necessario, perché una misura di questo tipo possa avere successo, cioè una misura che conta sull’assistenza economica, nel senso del necessario sostegno a condizioni evidentemente di deprivazione materiale, ma soprattutto conta sulla capacità di farsi carico del bisogno di una famiglia, a partire dalla valutazione di quel bisogno e delle risposte che, in termini di servizio, a quel bisogno si riesce a dare”.

Dunque, un lavoro non da poco per tanti comuni. Roma, ad esempio, sta mettendo a punto in questi giorni le modalità per presentare le domande.

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Festa dei Nonni d’Italia: il valore degli anziani nella società

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Conferenza stampa di presentazione a Roma della campagna “Millepiazze-Festa dei Nonni d’Italia”, promossa dalla Fondazione "Senior Italia FederAnziani" e dedicata a raccogliere fondi al fine di fornire defibrillatori a centri anziani e comunità. L’iniziativa si sviluppa in tre eventi: la partita per i nonni, la vendita in alcune piazze italiane di pasta di Altamura nel week end del 1 e 2 ottobre. Ed infine, l’incontro con Papa Francesco in Vaticano, il 15 Ottobre. Questa campagna è finalizzata anche a sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore dei nonni nella società e nella famiglia. Maria Carnevali ha intervistato il Presidente della Fondazione Senior Italia FederAnziani, Roberto Messina

R. – “Mille piazze” prevede una quantità importante di manifestazioni, tutte volte alla valorizzazione dei nonni d’Italia, che sono una figura importante per la nostra nazione e non sono sicuramente un peso, ma una grande risorsa. E lo fanno quotidianamente, attraverso il babysitteraggio gratuito dei loro nipoti, oppure dando una mano – con le loro pensioni – ai propri figli, che magari sono disoccupati, cassaintegrati, precarizzati. Nelle nostre sedi, che sono oltre 3.600, in molte di queste, nei giorni dell’1 o 2 ottobre, ci sarà proprio la festa dei nonni e ci sarà anche un aspetto di solidarietà, che è quello di donare del denaro per acquistare dei defibrillatori che sono importanti, per lasciarli nelle loro sedi. La festa dei nonni alla fine si concluderà con un’udienza con il Santo Padre.

D. – Infatti, la Chiesa è molto vicina a questo tema. Il Santo Padre, Papa Francesco, più volte ha ricordato il ruolo dei nonni nelle società e nelle famiglie. Ma anche Papa Benedetto XVI disse che il valore di una società si vede da come si trattano i nonni, gli anziani, come anche questi hanno un ruolo nella vita comune della comunità intera…

R. – Beh sì, infatti abbiamo visto proprio una grande vicinanza, non solo di Papa Francesco, ma anche dei suoi predecessori, questo stare accanto a queste figure, alla figura del nonno. Proprio Papa Francesco ricordava nella festa della famiglia che una nazione che non tiene conto della saggezza dei nonni è una nazione destinata a non avere futuro. Quindi, lo ringraziamo ogni giorno per queste parole, ma soprattutto per tenere viva l’attenzione verso i nonni, che sono una figura centrale e perno di ogni nazione.

D. – Invece, a livello di politiche sociali, relative anche all’assistenza sanitaria cosa manca, cosa richiedete?

R. – Vanno divise in due grosse aree. Se parliamo di acuzia, nel momento in cui un cittadino italiano, quindi non solo un nonno – ma chiaramente gli anziani sono coloro che maggiormente utilizzano i servizi sanitari – io credo che alla nostra nazione dobbiamo dare come voto 10 e lode. Quando parliamo di cronicità, o quando parliamo di territorio, sicuramente abbiamo molto lavoro da fare e non siamo tra i primi nel rispondere ai servizi o alle cronicità. Devo dire, però, che le Regioni e il Ministero della salute cercano comunque, alla fine, di dare una mano tutti e, alla fine, anche con qualche lista di attesa o con qualche ticket in più il servizio sanitario nazionale regge ancora. Certo, di fronte alla longevità di massa che cresce, questo non sappiamo quanto reggerà. 

La campagna Millepiazze-Festa dei Nonni d’Italia è realizzata in collaborazione con l'Associazione Nazionale Lavoratori Anziani–Onlus (Anla). Al microfono di Maria Carnevali, il presidente di Anla, Antonio Zappi

R. – La cultura dello scarto sta prendendo corpo, purtroppo. Noi dobbiamo tutti adoperarci, perché se questa cultura dello scarto non sarà smantellata, almeno sia un po’ fronteggiata. E l’impegno dell’Associazione che io ho l’onore di presiedere, assieme ad altre associazioni, è quello di dire: gli anziani, che sono espressione di competenza, serietà, professionalità, sono pronti a dare e possono ancora dare. Bisogna soltanto, però, non che siano cercati, ma che siano sollecitati e invitati a partecipare alla vita sociale, alla vita delle varie amministrazioni e alla vita del volontariato. Evitiamo la politica dello scarto.

D. – Richiedete anche delle politiche sociali più adeguate alla cura, anche per le famiglie, per la cura degli anziani?

R. – Direi che è fondamentale. Noi, però, abbiamo politiche degli anziani di cui tutti parlano. Politiche degli anziani e delle famiglie che restano dichiarazioni di principio e spesso con grande divario tra il dichiarato e il vissuto. Purtroppo, è questo il rammarico. Ma anche per questo ce la stiamo mettendo tutta. Non siamo dei legislatori.

D. – Un’ultima domanda: quali aspettative per l’incontro, quindi, in Vaticano con il Santo Padre?

R. – Sarà un’occasione per ripetere al Santo Padre come siamo felici di incontrarlo, come siamo felici di vederlo, ma soprattutto per confermare a lui che non siamo coloro che dicono e non fanno, ma coloro che nel loro piccolo si danno molto da fare, e per questo saremo anche a Roma.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Mons. Hindo: violenze dei miliziani curdi sui cristiani

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Nella città siriana nord-orientale di Hassakè, e nella circostante regione di Jazira, le milizie curde che si contendono il controllo del territorio con l'esercito governativo stanno moltiplicando gli atti di violenza e intimidazione nei confronti dei cristiani: lo riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, raccontando una lunga lista di incidenti e soprusi che a suo giudizio configurano una vera e propria strategia mirante ad espellere dal centro abitato, la residua popolazione di fede cristiana.

I miliziani saccheggiano le case dei cristiani
“Ogni volta che i miliziani curdi entrano in azione per riaffermare la propria egemonia militare sulla città” spiega l'arcivescovo, alla guida dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè Nisibi, “l'epicentro delle loro scorribande e azioni di forza è sempre il quartiere delle sei chiese, dove vivono la gran parte dei cristiani. In molti casi hanno cacciato i cristiani dalle proprie case sotto la minaccia dei kalashnikov. E dove entrano, saccheggiano tutto”. 

Anche mons. Hindo vittime di un atto intimidatorio
L'arcivescovo Hindo confida di essere stato lui stesso vittima di un atto intimidatorio avvenuto nelle scorse settimane, quando alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi contro la finestra della sua abitazione, e un proiettile ha sfiorato la sua testa. “In quel momento” aggiunge l'arcivescovo, “la zona era presidiata da miliziani curdi, e non c'erano nei dintorni altre persone armate”.

Colpi di artiglieria contro una spedizione umanitaria dell'arcidiocesi
Anche una spedizione umanitaria realizzata alcuni giorni fa dai volontari dell'arcidiocesi per distribuire cibo agli abitanti musulmani di Haddadi e di sedici villaggi circostanti, un tempo sotto il controllo dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh), è stata fatta oggetto del lancio di alcuni colpi d'artiglieria. “E certo” fa notare anche in questo caso l'arcivescovo Hindo “non si trattava di colpi sparati dai jihadisti, le cui basi più vicine si trovavano a più di venti chilometri di distanza”. 

La situazione sul campo è confusa e discorde 
A giudizio dell'arcivescovo, le iniziative dei miliziani curdi perseguono il disegno di affermare il proprio controllo su tutta la città di Hassakè, per poi consolidare la propria supremazia su tutta la regione, a scapito delle forze armate governative. Ma un dettaglio aggiunto dall'arcivescovo lascia intendere quanto la situazione sul campo sia confusa e discorde rispetto a certi stereotipi sul conflitto siriano che circolano in Occidente: “A Shaddadi, che un tempo era una roccaforte dei jihadisti” riferisce mons. Hindo “adesso la situazione è in mano ai miliziani curdi. Ma sotto il loro comando si sono inquadrati anche molti degli abitanti locali che prima si erano arruolati con le milizie jihadiste di Daesh”. (G.V.)

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Vietnam: aperta la prima Università cattolica del Paese

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Ha aperto ufficialmente i battenti la prima Università cattolica del Vietnam: nel primo anno accademico, inaugurato nei giorni scorsi, sono 23 gli studenti che frequenteranno le lezioni dell’Istituto Cattolico del Vietnam, nome ufficiale della struttura, come riferisce all'agenzia Fides il vescovo Mons. Joseph Dinh Duc Dao, rettore dell'Istituto e presidente della Commissione episcopale per l'Educazione cattolica.

E' un’opera di misericordia che inizia nell’Anno Santo
“E’ un passo importante per la Chiesa vietnamita che avviene durante il tempo del Giubileo,” nota il vescovo, manifestando a Fides la sua soddisfazione. “È un’opera di misericordia che, grazie a Dio, inizia nell’Anno Santo. Il nostro approccio è quello della compassione, compiuta tramite il servizio dell’istruzione” spiega.

L'Ateneo è riconosciuto dalla Santa Sede e autorizzato dal governo
L’università, la prima in assoluto da quando il Paese è stato riunificato sotto il regime comunista nel 1975, è ufficialmente riconosciuta dalla Santa Sede e ha avuto l’autorizzazione dal governo. Presenziando alla cerimonia di inaugurazione, tenutasi il 14 settembre scorso a Ho Chi Minh City, il vescovo Dinh Duc Dao ha rimarcato che “l’Istituto intende migliorare la conoscenza teologica e le competenze di sacerdoti, religiosi e laici, perché possano vivere una autentica vita di fede in una società in rapida evoluzione”. 

L'Università potrà offrire vari corsi
L’istituto potrà conferire il titolo riconosciuto di baccellierato, licenza e dottorato in teologia. Secondo il progetto, si organizzerà per offrire corsi in teologia sacramentale, dogmatica, morale, ma anche in liturgia e studi biblici, spiritualità, missiologia, diritto canonico, oltre che filosofia, psicologia e scienze umane. (P.A.)

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Ccee a Sarajevo: attualità della misericordia oggi in Europa

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Misericordia “significa non scappare dal dolore, dalle ingiustizie e dalle molteplici sofferenze del nostro tempo ma renderle occasioni di speranza e di salvezza attraverso l’amore cristiano. In qualsiasi opera di misericordia, è la persona umana, nella sua dignità e nella sua integrità, il punto di partenza e il fine dell’azione della Chiesa”: è quanto emerso, secondo una nota emessa ieri dal Ccee, all’incontro promosso dal Consiglio degli episcopati europei a Sarajevo (15-18 settembre), sulle “Opere di misericordia oggi in Europa”. L’appuntamento, organizzato dalla commissione Ccee Caritas in Veritate, in collaborazione con la Conferenza episcopale della Bosnia-Erzegovina, si è rivelato “l’occasione per una riflessione sull’urgenza, l’attualità della misericordia oggi in Europa e le diverse forme d’impegno della Chiesa”. 

Al centro dell’azione della Chiesa sta la persona umana
I lavori hanno visto diversi momenti di riflessione e di testimonianza che hanno mostrato come “al centro dell’azione della Chiesa sta la persona umana. Non è a un anonimo individuo, ma è alla persona, nel limite del suo essere creatura sempre bisognosa di relazioni non solo umane e di sperimentare l’amore di Dio, verso cui si china la Chiesa quando dà da mangiare attraverso il Banco alimentare, quando visita le carceri, quando accoglie il migrante o il rifugiato, quando cura e visita l’ammalato, quando seppellisce i defunti, quando difende il lavoro dignitoso o porta nel mondo della politica il ricco patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa”. 

Per il cristiano non è possibile separare le opere dalla propria fede
“In un tempo di grandi sfide, appare quanto mai urgente ridare speranza all’Europa. Questo è possibile attraverso una presenza che viva un amore cristiano evangelizzato che non si riduce a puro sentimentalismo. Allo stesso tempo, i partecipanti – si legge in una nota – hanno più volte rilevato come la privatizzazione della fede nei Paesi secolarizzati ha spesso portato a una spaccatura tra le opere di misericordia spirituali e quelle materiali, in quanto le opere materiali, percepite come espressione pubblica della propria fede, non vengono sempre ben accolte dalle istituzioni secolari. Non di rado, infatti, l’apparato giuridico e amministrativo messo in campo dai Governi in Europa, pur apprezzando l’immenso servizio che le varie organizzazioni ecclesiali rendono all’intera società, sembrano voler ridurre l’impegno cristiano a mera filantropia privandolo dal suo riferimento religioso”. Se la Chiesa “condanna chiaramente un’attività caritatevole subordinata e motivata dal mero proselitismo, ricorda tuttavia che, per il cristiano, non è possibile separare le opere dalla propria fede, in quanto è proprio la persona di Cristo ad esserne fonte e sostegno”.

Papa Francesco: annunciare il Vangelo a quanti hanno smarrito l’orientamento della loro vita
Nel suo messaggio ai partecipanti, Papa Francesco ha ricordato il bisogno di “contribuire alla rinascita dell’Europa” e a sognare “un nuovo umanesimo europeo” incoraggiando i “rappresentanti dell’episcopato europeo, a coinvolgere sempre più le comunità e le diverse realtà caritative e assistenziali nell’impegno ad annunciare il Vangelo a quanti hanno smarrito per varie cause l’orientamento della loro vita”. 

Lavorare insieme alla persona in difficoltà, impegnando l’intera comunità
A Sarajevo, i responsabili degli organismi ecclesiali hanno anche ricordato come, di fronte alle varie forme di povertà, materiali e spirituali, sia necessario “non solo rispondere all’urgenza dettata dalla sofferenza, fornendo un servizio o una presenza che possa alleviare il dolore del momento, ma piuttosto lavorare insieme alla persona in difficoltà, impegnando l’intera comunità”. 

Scuola per l’Europa, una delle sei opere di misericordia visitate a Sarajevo
Infine, a Sarajevo, città emblematica del nostro tempo per le molteplici sofferenze subite e le ferite ancora aperte da un conflitto durato anni e da accordi – quali quelli di Dayton – “che stanno favorendo una politica dell’inerzia e discriminatoria su base etnica, la misericordia della Chiesa è manifestata da numerose opere, come quella della Scuola per l’Europa, una delle sei opere di misericordia visitate dai partecipanti, aperta durante il conflitto, per testimoniare che la guerra non era una necessità, né la separazione etnica una fatalità, ma che la convivenza pacifica era ed è sempre possibile”. (R.P.)

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Chiesa Guatemala: no a sfruttamento di contadini e indigeni

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"Non continuare con lo sfruttamento di contadini e indigeni e dire la verità in ogni momento": questi i due presupposti per avere un Paese migliore indicati dall’arcivescovo di Santiago de Guatemala, mons. Oscar Julio Vian Morales, alla fine della sua omelia di domenica scorsa. "Il Signore è contro quanti sfruttano i poveri e aumentano il prezzo di ogni cosa, fatto che in Guatemala si vede molto. Questo non permetterà mai lo sviluppo dei poveri. Non possiamo rubare i soldi ai poveri, che già hanno sofferto molto per avere quel poco che hanno" ha detto l'arcivescovo secondo quanto riferisce l'agenzia Fides.

I contadini sono stati abbandonati da tutti
Mons. Vian Morales ha sottolineato che i contadini sono stati abbandonati da tutti: non ricevono ancora istruzione, non possono usufruire dei servizi sanitari e a volte neanche dei servizi di base. Inoltre ha incoraggiato tutti a dire la verità in ogni momento, "perché in questo Paese siamo abituati a dire solo una mezza verità, ma così facendo non si riuscirà a fare giustizia". "Dobbiamo sforzarci di purificare i politici che non amano il Paese e sfruttano i bisognosi" ha concluso l'arcivescovo.

4 governi non hanno fatto nulla per i contadini
La riflessione di mons. Vian Morales si inserisce nei commenti, a livello nazionale e internazionale, seguiti al rapporto del giugno scorso della Unità di Protezione dei difensori dei diritti umani (Udefegua), in cui si legge che negli ultimi 15 anni, e con 4 governi diversi, non ci sono stati "cambiamenti significativi" riguardo alla situazione dei contadini.

Il Paese vittima dello sfruttamento delle multinazionali
Una delle conclusioni del forum Oxfam afferma: "In Guatemala i contadini non hanno accesso alla loro terra. Il Guatemala è il Paese, insieme ad Haiti e al Brasile, dove la ricchezza è concentrata nella mani di pochissimi. Gli sfratti dei contadini dalle loro terre finiscono spesso in scontri violenti con le forze dell’ordine". Di questa opinione è anche Juana Sales, portavoce del Movimento delle Donne Indigene Tzununija e attivista per i diritti umani dei contadini: "Proprio la ricchezza forestale, mineraria, idroelettrica e petrolifera del Guatemala fa diventare il nostro Paese una meta prediletta delle grandi corporazioni multinazionali, che hanno fame di mano d'opera a basso costo e di permissività statale". (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 264

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.