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Sommario del 24/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Strage Nizza. Papa a familiari delle vittime: disarmare l'odio con l'amore

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Compassione e affetto per le vittime di una violenza inaudita e un appello alla fraternità che arrivi a disarmare l’odio. Sono i sentimenti e i pensieri con i quali Papa Francesco (discorso) ha accolto in Aula Paolo VI i familiari delle vittime dell’attentato avvenuto lo scorso 14 luglio a Nizza, in Francia, quando un terrorista a bordo di un camion ha crudelmente investito e ucciso oltre 80 persone. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il sorriso spento dall’orrore, l’allegria dalla morte, che piomba addosso alla stessa velocità dei fuochi artificiali che solo per un attimo colorano il cielo e poi lo lasciano al buio. Cadono così, sotto lo zig-zag omicida del camion che li falcia, 86 tra mamme, papà, giovani, bambini, figli nonni e nipoti che popolano la Promenade des Anglais.

La mia compassione per voi
Il 14 luglio di Nizza smette di essere la festa della Repubblica e diventare l’abisso di un dolore enorme, al quale Papa Francesco sceglie di avvicinarsi con, dice, “la tenerezza del Successore di Pietro”:

“Una sera di festa, la violenza vi ha colpito ciecamente, voi o uno dei vostri cari, senza badare all’origine o alla religione. Desidero condividere il vostro dolore, un dolore che si fa ancora più forte quando penso ai bambini, persino a intere famiglie, la cui vita è stata strappata all’improvviso e in modo così drammatico. A ciascuno di voi assicuro la mia compassione, la mia vicinanza e la mia preghiera”.

La Chiesa vi resta vicina
In mille si stringono in Aula Paolo VI attorno a Francesco, che riceve un cesto con 86 garofani in ricordo delle vittime. Tratti somatici e simboli religiosi dicono di un dolore che nel bisogno di conforto si unisce e non divide. Il Papa – che si scusa per il suo francese “non buono” e si esprime in italiano, tradotto da un sacerdote – ricorda la certezza cristiana della Risurrezione e anche “quella della vita eterna, che – afferma – appartiene anche a credenti di altre religioni”. Possa “esservi di consolazione nel corso della vita – è il suo augurio – e costituire un forte motivo di perseveranza per continuare con coraggio il vostro cammino quaggiù”:

“Prego il Dio di misericordia anche per tutte le persone rimaste ferite, in certi casi atrocemente mutilate, nella carne o nello spirito, e non dimentico tutti coloro che per questo non sono potuti venire o sono ancora in ospedale. La Chiesa vi resta vicina e vi accompagna con immensa compassione”.

Stabilire relazioni fraterne
La sera dell’infamia altre 200 persone cadono sull’asfalto di Nizza non morte ma martoriate. Francesco ringrazia per i “gesti di solidarietà e di accompagnamento” che il dramma ha suscitato. Le persone “che immediatamente – ricorda – hanno dato soccorso alle vittime, o che fino ad oggi, e di certo ancora a lungo, si dedicano a sostenere e accompagnare le famiglie”. È il lavoro svolto per esempio dall’associazione Alpes-Maritimes Fraternité, al cui interno – e il Papa tiene a sottolinearlo – sono presenti “rappresentanti di tutte le confessioni religiose” e questo per Francesco “è un segno molto bello di speranza”:

“Stabilire un dialogo sincero e relazioni fraterne tra tutti, in particolare tra quanti confessano un Dio unico e misericordioso, è una urgente priorità che i responsabili, sia politici sia religiosi, devono cercare di favorire e che ciascuno è chiamato ad attuare intorno a sé. Quando la tentazione di ripiegarsi su sé stessi, oppure di rispondere all’odio con l’odio e alla violenza con la violenza è grande, un’autentica conversione del cuore è necessaria (…) Si può rispondere agli assalti del demonio solo con le opere di Dio che sono perdono, amore e rispetto del prossimo, anche se è differente”.

L’ultima preghiera di Francesco è per la Francia e “per i suoi responsabili” perché, auspica, “si costruisca senza stancarsi una società giusta, pacifica e fraterna”. Poi, il lungo pellegrinaggio del Papa della tenerezza, fila dopo fila, a stringere mani, carezzare, benedire, raccogliere lacrime, richieste sussurrate e biglietti. Dopo il bianco del camion passato di corsa a strappare vite, il bianco di un pastore che semina di nuovo e lentamente la speranza.

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Commozione tra i familiari: "La vicinanza del Papa ci dà conforto"

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Grande commozione tra i familiari delle vittime della strage di Nizza presenti in Aula Paolo VI per incontrare Papa Francesco. Ascoltiamo al microfono di Michele Raviart alcune testimonianze, a partire da quella Paolo Celi, presidente dell’associazione “Amicizia Francia-Italia”: 

R. – Il Santo Padre è fantastico! È veramente molto importante per noi, per tutta la città e per tutte queste persone, perché siamo tutti in lutto. I familiari hanno subito la perdita dei loro cari, ci sono i feriti, ci sono i soccorritori: tantissime persone. Lì, quella sera erano in 30mila, ognuno di loro ha bisogno di aiuto. Il Santo Padre ha accolto subito la nostra domanda di aiuto. E quindi per tutti loro è molto, molto importante.

D. – Quanto sono state di conforto le parole del Papa che poi è intervenuto immediatamente dopo l’attentato?

R. – Sono state veramente di aiuto e di conforto. Quando abbiamo portato questo suo messaggio a ogni persona che incontravamo e che era nella sofferenza, abbiamo visto un sorriso in ognuno di loro. A noi ha dato l’energia da subito e penso che oggi, veramente, dia il coraggio a tutti noi per riprendere una vita normale e pensare al futuro.

D. – Dalila Staccoli, lei è stata ferita quella notte: che cosa ricorda?

R. – Ho tantissimi ricordi. Un ricordo sono gli occhi dell’attentatore, che è la cosa che non scorderò mai e che mi perseguitano ancora adesso. Un’altra sensazione che ho è quella dei suoni: i rumori, le urla delle persone, dei genitori che non trovavano i figli. E un altro ricordo è anche il dopo: ho trovato tanta solidarietà da parte delle persone che erano lì, che mi vedevano ferita e quindi sanguinante. Questo mi ha dato subito la forza: il fatto di vedere che c’era qualcuno intorno a me, mi ha dato sicurezza. E anche oggi essere qua è un’emozione, perché ci fa capire che comunque non si è dimenticata quella serata.

D. – Quali sono i primi pensieri quando si è di fronte a un avvenimento del genere, che è imponderabile?

R. – Noi eravamo vicino ad un bar sulla Promenade. Quindi il pensiero era: “È uno che sta andando al bar a scaricare qualcosa”. Poi, in realtà, ci stavamo rendendo conto di questo camion che continuava a rimanere acceso e, anzi, faceva rumore. E quindi ci siamo resi conto che non era fermo – non era spento – ma stava proseguendo. Pensavamo poi ci fosse un ubriaco, perché si vedeva proprio che andava qua e là, a zig-zag. Poi, in realtà, dopo ci siamo resi conto, vedendolo negli occhi, che non era ubriaco per niente: era anzi molto determinato, molto! E quindi ho la visione di questi occhi neri che proprio puntano: puntava le persone, guardava dove c’erano più persone e quindi una maggiore probabilità di prendere qualcuno ... e puntava.

D. – Anche lei, Loredana Bonaventura era presente sulla Promenade des Anglais...

R. – Io stavo filmando il concerto da inviare a mio marito che era in Italia. Ero con mia figlia di dieci anni. A un certo punto mia figlia mi chiede: “Mamma perché ti giri?”, e io le rispondo: “Per far vedere a papà che c’era tanta gente”. Mentre mi giravo, è arrivato il camion. Ha sfiorato la bambina, io sono riuscita a toglierla per tempo. Purtroppo ha travolto il ragazzo che era davanti a noi, perché, anche se cerchi di gridare però le grida sono talmente alte che, per quanto tu possa gridare, non vieni ascoltato, non ti sentono. E ho visto travolgere tutte le persone.

D. – Che cosa si pensa in quel momento?

R. – Nel giro di pochi secondi ti trovi catapultato in una dimensione surreale. Per quanti video puoi vedere, per quante persone puoi ascoltare, quello che vivi è impossibile da raccontare e da trasmettere. Io ho subito pensato che fosse un ubriaco. Mia figlia – dieci anni – mi gridava: “È l’Isis!”. Ha subito messo a fuoco la situazione. Quello che pensi è che la follia umana non abbia limite. Io come mamma mi preoccupo di dire a mia figlia come si deve comportare, quando in realtà la cosa più difficile che forse un genitore deve fare è trasmettere al figlio è come vivere in sicurezza ogni volta che esce di casa.

D. – Come vive la città ora che sono passati mesi?

R. – C’è tanto silenzio sulla Promenade. Nizza era una città viva, caotica, nel senso positivo; invece ora è in silenzio totale.

D. – E cosa significa per voi essere qui, accolti dal Papa?

R. – A me serve da conforto. Voglio partecipare al suo messaggio. Dobbiamo comunque stare uniti. Non siamo tutti uguali: i cattivi sono uno – quelli sono il diavolo ed è vero – ma i buoni sono di più.

Sull’incontro con il Papa ascoltiamo anche il vescovo di Nizza, mons. André Marceau

R. – Nous sommes très heureux de rencontrer le Pape François: les victimes, leurs familles …
Siamo felici di incontrare Papa Francesco: le vittime e le loro famiglie sono grati e riconoscenti della comprensione per quello che stanno vivendo, che è molto pesante, e per il pensiero che il Papa – il Papa! – è vicino a loro. Si era espresso con parole molto belle appena dopo l’attentato e non li dimentica oggi. Molte persone sono colpite dall’atteggiamento del Papa e aspettano ancora parole d’affetto, parole di vita e di speranza che le aiutino a vivere, a superare questo momento molto, molto difficile.

D. – A poco più di due mesi dall’attentato, qual è la situazione in città? Come si vive a Nizza, ora?

R. – À Nice aujourd’hui la population est très touché. La population porte le poids de cet évènement …
La popolazione di Nizza è molto colpita. Porta il peso di questo evento e un po’ se lo porta nel quotidiano; c’è anche un po’ di paura … in alcuni casi c’è stata l’espressione di un sentimento di odio, di violenza. Ma bisogna lavorare affinché i cuori si pacifichino, affinché ritorni la pace e perché le persone tornino a credere che vinceranno la vita e l’amore …

D. – Che spiegazioni si è data la comunità di fedeli dopo questo attacco? Come ha reagito, proprio in quanto cristiani?

R. – Je crois qu’il ne faut pas se laisser aller et que les Chrétiens – les Chrétiens! – ont un message …
Credo che non dobbiamo lasciarci andare e che i cristiani – i cristiani! – abbiano da portare un messaggio di speranza e di vita e possono farlo essendo vicini: vicini alle persone, essendo solidali, accompagnando le persone, anche. Ci sono stati tanti preti – cito un esempio – che continuano a fare visita a persone o famiglie ferite oppure dopo i funerali ci sono legami che rimangono molto vivi. Io credo che la nostra presenza di cristiani significhi dire che Dio è il Dio della vita, che Dio è il Dio dell’amore, che Dio è il Dio della speranza; Gesù ci ha aperto questa strada e noi dobbiamo continuare a seguirla …

D. – Ci sono stati grandi momenti di solidarietà, anche da parte della comunità musulmana, dopo l’attentato: che cosa significano questi gesti?

R. – Voilà, avec la communauté musulmane, qui a été très touché par l’attentat : il y a eu beaucoup …
Bè, la comunità musulmana è stata colpita dolorosamente dall’attentato: ci sono stati molti morti musulmani. Ma noi siamo loro molto vicini. Esiste un gruppo di relazioni tra le diverse comunità cristiane e la comunità musulmana e gli ebrei. Esiste questo luogo che ci mette in rapporto gli uni con gli altri e che fa sì che portiamo insieme un medesimo messaggio di pace, un medesimo messaggio che ci aiuti a vivere insieme, un medesimo messaggio per le nostre comunità, perché le nostre comunità non portino l’esclusione, l’odio, e che si possa essere insieme. Ecco: questo è il bel messaggio che vogliamo portare insieme.

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Papa: cultura laicista non tolga suore dagli ospedali

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Il Papa ha incontrato stamattina, nella Sala Clementina in Vaticano, un gruppo di 130 Suore Ospedaliere della Misericordia con la loro Superiora generale Madre Paola Iacovone. “Voi siete un segno concreto di come si esprime la misericordia del Padre” ha detto Francesco nel suo discorso, raccomandando loro di non arrendersi di fronte alle difficoltà rappresentate da una certa cultura laicista. Adriana Masotti

La Parola del Signore può cambiare la vita di chi diventa suo discepolo, esordisce il Papa rivolgendosi alle religiose, ne è prova anche la vita della Serva di Dio Teresa Orsini Doria Pamphili Landi, la nobildonna romana fondatrice delle Suore Ospedaliere della Misericordia che si lasciò guidare dalle parole di Gesù: ero ammalato e mi avete assistito:

"Davanti alla debolezza della malattia non possono esistere distinzioni di stato sociale, razza, lingua e cultura; tutti diventiamo deboli e dobbiamo affidarci agli altri".

La Chiesa, dice il Papa, sente come suo impegno e sua responsabilità la vicinanza a quanti soffrono, e voi dedicate la vostra vita soprattutto al servizio di fratelli e di sorelle che sono ricoverati negli ospedali.

"E per fare questo non c'è bisogno di lunghi discorsi: una carezza, un bacio, uno stare accanto in silenzio, un sorriso".

Non arrendetevi mai, raccomanda Francesco, in questo servizio così prezioso, nonostante tutte le difficoltà che potete incontrare:

"Talvolta, ai nostri giorni, una cultura laicista mira a togliere anche dagli ospedali ogni riferimento religioso, a partire dalla presenza stessa delle Suore. Quando questo avviene, però, si accompagna non di rado a dolorose carenze di umanità, davvero stridenti nei luoghi di sofferenza. Non stancatevi di essere amiche, sorelle e madri degli ammalati… "

In ogni persona che giace sul letto di un ospedale, continua Francesco, è presente Gesù ed è Lui che chiede aiuto a ciascuna di voi.

"E' Gesù. Alle volte uno può pensare: 'Ma alcuni ammalati danno fastidio'. Ma anche noi diamo fastidio al Signore, e ci sopporta e ci accompagna! La vicinanza a Gesù e ai più deboli sia la vostra forza".

Di fronte al moltiplicarsi di persone senza famiglia, senza casa, senza patria e bisognose di accoglienza, conclude il Papa, risulta quanto mai attuale il quarto voto (quello dell’Ospitalità verso chiunque sia nel bisogno, ndr), che vi caratterizza come famiglia religiosa.

Al termine del discorso, secondo il desiderio espresso in precedenza dalla Superiora Madre Iacovone, Papa Francesco insieme a tutte le religiose ha pronunciato una preghiera di riconsacrazione dell'Istituto delle Suore Ospedaliere della Misericordia alla Santa Madre della Misericordia.

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Papa nomina il card. Toppo inviato alla plenaria della Fabc

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Il Papa ha nominato il cardinale Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi (India), suo inviato speciale all’11.ma Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fabc), che si terrà a Colombo, nello Sri Lanka, dal 28 novembre al 4 dicembre 2016.

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Papa, tweet: prendiamoci cura del creato, nostra casa comune

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Camminiamo insieme prendendoci cura l’uno dell’altro e anche del creato, nostra casa comune”.

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Giubileo catechisti, il Papa presiede la Messa in Piazza San Pietro

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Questa domenica alle 10.30, Papa Francesco presiede in Piazza San Pietro la Santa Messa per il Giubileo dei Catechisti. Per l’occasione sono giunti a Roma da tutto il mondo oltre 15mila catechisti. Ma cosa chiedono i ragazzi a quanti sono chiamati a trasmettere la fede? Antonella Palermo lo ha chiesto a due ragazzi romani

R. – Bisogna stare attenti a non dare troppe "cose" ai ragazzi, annoiandoli. Forse all’inizio, infatti, è proprio importare mantenerli tutti insieme, perché diventino un bel gruppo. Se tu fai un incontro con i ragazzi di quarta, quinta elementare, e li stanchi un po’ facendo quaranta minuti di catechismo "serio", loro poi non si divertono, diciamo, e quindi lasciano. E’ importante, dunque, mantenere sempre viva la loro attenzione.

D. – E in che modo?

R. – Questo non è facile. Per esempio, ci sono persone le cui parole colpiscono molto i ragazzi, che ne sono attratti. Quello, però, è un dono di natura. Non è che qualcuno può inventarselo da un giorno all’altro!

R. – Secondo me, è cercare di essere visti non come la figura classica del catechista, ma proprio come un amico o un fratello. Io quando facevo la preparazione per la Comunione vedevo i miei catechisti molto distanti da me, li vedevo più come genitori. Adesso, invece, con il percorso della Cresima, li vedo proprio come amici, fratelli maggiori. Secondo me, quindi, l’importante è instaurare un rapporto di alleanza. Cioè: non “io sono meglio di te; io sono più grande”, ma comprendersi l’un l’altro, perché comunque, come i bambini, anche i catechisti hanno vissuto l'infanzia. Cercare, quindi, di mettersi nei panni dei ragazzi.  

Ascoltiamo Francesca Martucci, mamma di 4 figli e catechista in una parrocchia romana:  

R. – Il discorso è farli sentire vicini alle loro esperienze, sentire che Gesù è vicino anche alla loro età.

D. – Come si fa?

R. – Eh, come si fa! I ragazzi vanno coinvolti in esperienze concrete. Li abbiamo portati tanto a spasso. Abbiamo fatto fare loro il percorso dei Santi attraverso le chiese. Noi siamo a Roma, quindi abbiamo potuto fare veramente delle bellissime esperienze. E abbiamo fatto non il Giubileo "dei" catechisti, ma il Giubileo "coi" catechisti. Appena il Papa ha indetto il Giubileo li abbiamo portati a vedere la Porta Santa chiusa e abbiamo spiegato loro cosa significasse e poi siamo riandati quando la Porta è stata aperta. 

D. – Che reazioni?

R. – E’ stato bellissimo. I ragazzi erano felicissimi. Erano felicissimi perché hanno condiviso con noi il loro tempo. Ci siamo divertiti. E’ stato bello andare, è stato bello tornare. E’ stato bello durante la Messa. Tutto. E’ fatica, perché devi organizzare; ti devi confrontare con loro; devi fare vedere che hai speso del tempo per loro e con loro.

D. – E non hai detto loro solo delle parole, ma hai compiuto dei gesti…

R. – Dei fatti. Dei gesti concreti. Ed è questo che ci chiedono. I ragazzi hanno detto: “Adesso abbiamo coinvolto una nostra amica”, e a loro sembra tanto. Perché? Perché hanno dato testimonianza. 

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Beatificazione di padre Unzeitig, il Massimiliano Kolbe dei tedeschi

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La Chiesa ha un nuovo Beato: è il sacerdote tedesco Engelmar Unzeitig, dei Missionari di Mariannhill, morto nel 1945 nel campo di concentramento nazista di Dachau a soli 34 anni. A presiedere il rito nella città di Würzburg, in Baviera, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Padre Engelmar (nato nel 1911 nell’odierna Repubblica Ceca) voleva partire missionario per il mondo: è diventato missionario nel lager di Dachau. Ordinato sacerdote a 28 anni, nel 1939, sceglie come motto sacerdotale: “Se nessun altro vuole andare, andrò io!”. Svolge il suo ministero in Austria. Incurante dei rischi, denuncia nelle sue omelie il regime nazista. Viene arrestato e deportato nel 1941 a Dachau: qui saranno uccisi oltre 1000 sacerdoti e religiosi cattolici, ma tra le vittime ci sono anche pastori protestanti e preti ortodossi. Si prende cura dei prigionieri, in particolare dei russi: impara la loro lingua, li assiste materialmente e spiritualmente. Scoppiato il tifo, i malati vengono abbandonati in una baracca, dove nessuno pensa di andare: lui ci va, aiuta come può e alla fine viene contagiato e muore. E’ il 2 marzo 1945. Il giorno prima aveva compiuto 34 anni. E’ stato sacerdote sei anni, 4 dei quali passati nel lager. 

In una lettera scrive: “Qualunque cosa facciamo, qualunque cosa vogliamo, è sempre e solo la grazia che ci guida e ci porta. La grazia di Dio onnipotente ci aiuta a superare ogni ostacolo. L’amore duplica le nostre forze, ci rende fantasiosi, contenti e liberi. Se solo la gente sapesse che cosa Dio ha in serbo per quelli che Lo amano!”. Padre Unzeitig è il primo Missionario di Mariannhill ad essere beatificato.

Sulla figura di questo Beato ascoltiamo il cardinale Angelo Amato al microfono di Roberto Piermarini

R. - Padre Unzeitig appare come una scintilla di autentica umanità nella notte buia del terrore nazista. Egli mostra che nessuno può estirpare la bontà dal cuore dell'uomo. Il suo martirio ci consegna un triplice messaggio di fede, di carità e di fortezza. Ancora oggi, come ai tempi di Padre Engelmar, la Chiesa di Cristo viene discriminata, perseguitata e umiliata. E questo non solo in partibus infidelium, ma anche nella nostra Europa, spesso dimentica del suo patrimonio di civiltà cristiana. La fede, invece, era per Padre Unzeitig il bene supremo e il tesoro più prezioso. Viveva il suo status di prigioniero sempre unito a Dio, nella preghiera, nella gioia e nella disponibilità costante ad amare, aiutare, consolare il prossimo. Santa Messa, adorazione eucaristica, recita del rosario scandivano i tempi liberi della sua faticosa giornata.

D. - Cosa dire a proposito della sua carità?

R. - Il Beato Engelmar, amando Dio con un amore totalizzante, era misericordioso e caritatevole con coloro che, come lui, soffrivano per gli stenti e le umiliazioni della prigionia. Per dare consolazione ai prigionieri russi tradusse gran parte del Nuovo Testamento in russo per riaccendere la loro fede. Con la sua presenza affabile e piena di bontà dava speranza ai prigionieri oppressi e disperati del lager. Assisteva gli ammalati gravi accompagnandoli con affetto materno fino alla fine. Con lui la morte diventava un passaggio sereno verso l'eternità. Il suo supremo gesto d'amore fu la volontaria offerta di assistere e curare i malati di tifo a Dachau. Contagiato, morì abbandonato e senza poter ricevere le cure adeguate.

D. - Cosa dire a proposito della sua fortezza d'animo?

R. - Nonostante l'esperienza disumana del lager, egli si mantenne paziente e ilare, cercando di tenere alto nei prigionieri il sentimento di dignità e di umanità. La sua condizione era da lui considerata come uno status onorifico, un privilegio per testimoniare l'amore a Cristo. La sua forza d'animo suscitava ammirazione e dava a tutti il respiro per continuare a sopportare una situazione senza speranza. «Era l'amore fatto persona», disse di lui Padre Adalbert Balling. Altri chiamano il nostro Beato, il martire della carità, il Massimiliano Kolbe dei tedeschi. Il suo martirio risponde alla parole di Gesù che dice: «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la sua vita per i suoi amici» (Gv 15,13). Il Beato Engelmar Unzeitig apre uno spiraglio di luce sull'identità di quella porzione del popolo tedesco che, per rimanere fedele al Vangelo, subì anch'esso persecuzione e morte.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non cedere alla tentazione dell'odio: il Papa incontra i sopravvissuti e i familiari dell'attentato di Nizza.

La prefazione del Papa e il contributo del cardinale Bergoglio in merito al libro "El Concilio Vaticano II y los judios".

Nel Paese della regina Tamar: Giovanna Parravicini su icone e affreschi dell'antica Georgia.

Dialogo via della pace: la "lectio doctoralis" pronunciata da Bartolomeo I, patriarca ecumenico arcivescovo di Costantinopoli.

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Oggi in Primo Piano



Siria, raid su Aleppo. Il parroco: colpita comunità cristiana

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Sono almeno 25 i civili uccisi negli ultimi bombardamenti aerei su Aleppo, nella parte settentrionale della Siria, dopo che ieri i raid delle forze del regime di Damasco e russe sui quartieri in mano ai ribelli avevano provocato una novantina di vittime. Il servizio di Giada Aquilino

Aleppo continua a bruciare. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani denuncia continui attacchi aerei: tra le vittime, molti bambini, in particolare nel villaggio di Beshqati a ovest della città. Damasco nega di aver centrato obiettivi civili, ma afferma di aver bombardato esclusivamente “posizioni terroriste”. La situazione per gli abitanti peggiora: l’Unicef parla di due milioni di persone nuovamente senza acqua corrente ed elettricità a causa dei combattimenti. A New York, a margine dei lavori dell’Assemblea generale dell’Onu, nessun passo avanti concreto per ristabilire la tregua mediata da Usa e Russia, ma i capi delle diplomazie di Washington e Mosca, John Kerry e Serghei Lavrov, hanno parlato di “piccoli progressi” nelle trattative, puntando a “preservare” il cessate-il-fuoco raggiunto il 9 settembre scorso a Ginevra e di fatto saltato sul terreno. In particolare, il Cremlino invoca una nuova indagine sul raid contro il convoglio Onu di aiuti umanitari colpito nei giorni scorsi nei pressi di Aleppo, esaminando anche “i proiettili” usati.

Per una testimonianza, Giada Aquilino ha intervistato padre Ibrahim Alsabagh, parroco della Chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo e responsabile della locale comunità latina: 

R. – Sicuramente, viviamo una grande confusione e una grande instabilità. Quando infatti le potenze internazionali non si mettono d’accordo o si mostrano come rivali, tutto ciò si riflette sulla nostra vita quotidiana. Negli ultimi giorni non abbiamo potuto dormire la notte, per quanti bombardamenti che abbiamo sentito. Anche nella nostra zona, a ovest della città, nella nostra comunità cristiana e in modo speciale in quella latina, per le bombe e i missili caduti sulle abitazioni ci sono stati morti e feriti. Un giovane, un padre di famiglia, è rimasto colpito l’altro ieri, quando è caduto un missile sulle abitazioni vicine. E’ stato ricoverato e, ringraziamo il Signore, è rimasto in vita, anche se adesso però porta i segni sul corpo di questa violenza. In più, in questo momento, ci sono l’incertezza, l’amarezza della gente e la paura del futuro.

D. – Quali quartieri in particolare sono stati colpiti? Si è detto i quartieri in mano ai ribelli…

R. – Parlo dei nostri quartieri, come Azizieh, che sono in una zona sotto il controllo dell’esercito regolare e dove, appunto, è caduto un missile l’altro ieri che ha colpito civili.

D. – C’è di nuovo emergenza idrica, ha detto l’Unicef. Cosa serve?

R. – Serve tutto. Ormai se parliamo dell’acqua, non possiamo dimenticare il cibo, con i prezzi degli alimenti alle stelle. Non possiamo dimenticare le medicine. Non possiamo dimenticare tutti gli altri bisogni. Siamo sempre di corsa, per cercare di soccorrere la gente, per quanto riusciamo, con tutti i mezzi che sono in nostro possesso.

D. – In queste ore, la diplomazia ha lavorato e si punta a preservare la tregua del 9 settembre. Ma poi, di fatto, sul terreno è stata rispettata? C’è ancora? O ormai è solo un ricordo?

R. – Il problema è la confusione tra le parti cosiddette moderate e le parti cosiddette fondamentaliste sul terreno. Da una parte, i russi e anche l'esercito regolare avevano detto che la tregua doveva essere rispettata per i gruppi moderati. Invece, contro al-Nusra, contro al-Qaeda e contro il sedicente Stato islamico i bombardamenti sarebbero continuati senza sosta. Qualche volta la non chiarezza e la non collaborazione fra tutte le parti presenti sul terreno – parlo anche delle forze internazionali, di altri Paesi esterni – è quello che crea più confusione.

D. – Vi sentite abbandonati in un certo senso?

R. – Sicuramente no. Da una parte, sentiamo grande dispiacere e insoddisfazione a livello internazionale, quando vediamo che non si arriva a un chiarimento, a un accordo. Dall’altra parte, però, ci sentiamo molto amati, assistiti prima di tutto da parte della Chiesa, con il Papa che sempre richiama e chiama tutte le parti, e anche dai tanti, tantissimi cristiani di tutto il mondo e da persone di buona volontà che si sentono responsabili della sorte delle famiglie che soffrono qua ad Aleppo.

D. – Da parroco, qual è la speranza che ha raccolto tra i suoi fedeli?

R. – Nel cuore, sentiamo che non prevarranno queste ondate di male e questo vento terribile che tira e che preannuncia una tempesta. Quando parlo, non parlo soltanto della comunità cristiana, parlo anche di tutte le persone che vivono qua, che subiscono questa guerra assurda. Quindi, parlo di tutta Aleppo, di tutti i cittadini, di tutte le religioni e di tutte le appartenenze.

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Elezioni Giordania: avanti Fratelli musulmani e donne

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Se i risultati parziali delle elezioni parlamentari svoltesi in Giordania martedì scorso saranno confermati, avverrà l’ingresso nel parlamento del Paese del movimento del Fratelli musulmani, che dovrebbero ottenere almeno 16 poltrone. Sembra avanzino anche le donne, con una rappresentanza femminile di 20 deputate contro le 18 della legislazione precedente. Per un commento su questi due dati, Roberta Barbi ha chiesto l'opinione del prof. Andrea Ungari, docente della Luiss e curatore dell’Atlante geopolitico mediterraneo 2016 del Cesi: 

R. – Sono due dati sicuramente significativi di queste elezioni e forse costituiscono anche due trend del mondo arabo nel suo complesso. L’aumento della partecipazione femminile è un dato senz’altro significativo e positivo, ma anche questo è un trend che abbiamo visto in altre zone, in altre regioni: anche in Iran e nel Nord Africa c’è una partecipazione femminile, un mondo femminile che sicuramente è molto più attivo rispetto al passato. Per quanto riguarda i Fratelli musulmani – è evidente – anche questo è un trend: nel momento in cui ci sono state le prime elezioni libere in Egitto, la vittoria è stata, appunto, dei Fratelli musulmani. Quindi, è evidente che c’è una certa pervasività di questo movimento che, sicuramente, per certi versi può essere considerato pericoloso e in qualche maniera destabilizzante, ma, nel contempo, bisogna prendere in considerazione che i Fratelli musulmani sono molto impegnati nel sociale. Il loro successo politico nasce perché spesso, rispetto a regimi corrotti, sono molto legati al popolo, fanno servizi di assistenza alla popolazione, fanno del microcredito. È, quindi, un movimento che cerca di attirare consenso da parte della popolazione investendo però realmente nel benessere della popolazione stessa.

D. – Tre anni fa, in Egitto la cacciata di Morsi e la Fratellanza bandita e resa illegale. Anche nel Regno hashemita il movimento è illegale. Come è possibile allora questo ritorno?

R. – Il regime giordano è sicuramente uno dei regimi – prendendo il termine con le molle – più "liberali" che ci siano in Medio Oriente, sia per quanto riguarda il Maghreb, sia per quanto riguarda il Nord Africa, sia per quanto riguarda il Medio Oriente. La loro presenza credo sia dovuta a una serie di fattori, appunto, non solo a un radicamento dei Fratelli musulmani, ma anche alle difficoltà che la Giordania sta incontrando e di cui poco si parla. La Giordania, infatti, è effettivamente uno di quei Paesi, assieme al Libano, che rischia di più dalla crisi siriana. Noi molto spesso questo ce lo dimentichiamo, preoccupati per qualche centinaio o migliaio di profughi che vengono in Europa, ma in Libano e in Giordania c’è un’emergenza umanitaria, determinata dalla crisi siriana, che ha delle conseguenze non solo sulla struttura e sull’aspetto economico di questi due Paesi, ma che in qualche maniera favorisce anche, probabilmente, infiltrazioni all’interno della società giordana con elementi che magari possono venire anche dall’esterno o, comunque, possono influenzare gli orientali e ideologicamente la popolazione.

D. – In Giordania, il potere esecutivo resta nelle mani del sovrano. Secondo alcuni, vista anche la complessità della legge elettorale, la Fratellanza non supererà il 20% dei circa 130 seggi in parlamento…

R. – Questa previsione è senz’altro da considerare corretta. Il re resta comunque il garante della vita politica giordana e quindi a lui spetterà senz’altro l’ultima parola per quanto riguarda il quadro politico definitivo. Certo, non credo che sarà spaventato dalla presenza di 20 deputati all’interno del parlamento giordano della Fratellanza musulmana. Se la situazione resta così, dal punto di vista numerico non credo ci saranno problemi anche a consentire una rappresentanza della Fratellanza musulmana.

D. – In questa tornata elettorale c’è da registrare anche il dato della scarsa affluenza alle urne: appena il 36% sugli oltre 4 milioni di aventi diritto…

R. – Questo è un dato che è difficilmente decifrabile, dipende da tante variabili. Ci potrebbe essere una disaffezione nei confronti del quadro politico generale, dovuta appunto a una politica invece che non riesca a far fronte a queste problematiche di carattere economico e di carattere  sociale, che si stanno sviluppando in Giordania. Credo, quindi, che forse la motivazione sia soprattutto questa.

D. – È il primo voto dopo la "primavera araba" in un Paese che deve fare i conti con un debito pubblico elevato, con una disoccupazione giovanile crescente e un’emergenza profughi continua. Quali saranno le sfide, dunque, per il nuovo governo?

R. – Le sfide saranno molto forti, perché la Giordania non è un Paese ricco. Tutte le questioni messe in evidenza sono questioni all’ordine del giorno dello Stato giordano e del Regno hashemita. Quindi, c’è proprio un problema di fondo dovuto a questo aspetto della difficoltà di affrontare situazioni sempre più complesse. Tenga presente che l’Onu ultimamente ha stanziato finanziamenti per quanto riguarda il problema dei rifugiati e sono state fatte tutta una serie di cose, solo che l’emergenza è un’emergenza enorme, con grandissime tendopoli che ospitano questi rifugiati che sono al confine con la Siria e dove molto spesso si verificano sconfinamenti da parte di truppe regolari e non regolari, soprattutto siriane, all’interno del territorio giordano. Per questo le sfide che si delineano per il governo saranno veramente molto difficili da affrontare.

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Messa ad Amatrice, mons. Pompili: non si creino deserti

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E’ passato esattamente un mese dalla scossa di terremoto che lo scorso 24 agosto, alle 3.36 di notte, ha colpito il centro Italia provocando la morte di 297 persone, almeno 400 feriti, oltre 2700 sfollati e danni per circa 4 miliardi di euro. Oggi sono previste numerose iniziative per commemorare le vittime. Questa mattina il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, ha celebrato ad Amatrice una Santa Messa in suffragio di quanti hanno perso la vita nel sisma​. Amedeo Lomonaco lo ha intervistato: 

R. – Ad un mese dal sisma ci siamo ritrovati insieme a pregare e a portare la Parola del Signore. Che ci dia la forza per affrontare con profondità e senza superficialità questo tragico evento. La superficialità è quella che rischia di separare la giovinezza dalla vecchiaia, l’istante dall’eterno mentre credo che questo tragico evento ci inviti ad essere sobri, vigilanti e lucidi. Ciò che ci attende non è posto solo nelle mani delle istituzioni che hanno promesso di fare presto e di fare bene, non solo nelle mani di coloro che concretamente opereranno fuori dai loro interessi per questo obiettivo, ma anche nelle mani di ciascuno di noi, per rendere questi luoghi - che sono stati già talora abbandonati - non più deserti. E credo che il segno più bello di questa speranza sia il battesimo che questa mattina abbiamo vissuto. Un battesimo che dà il senso del futuro nella fede e anche nella speranza condivisa.

D. – Anche perché il rischio maggiore è che tutti resti sospeso, cioè che si fermino le lancette a quell’ora drammatica delle tre e trentasei e che non si guardi avanti. Invece la speranza, la speranza cristiana, è quella che deve sorreggere anche in questi momenti così drammatici …

R. – La speranza è stata bene interpretata da una vignetta di Giannelli dove una bambina sposta la lancetta in avanti. Ci dice che proprio partendo dalle nuove generazioni, messe in grado di vivere, sarà possibile continuare il cammino. E questo è quello che muove, nonostante il dolore che permane nei cuori di tutti.

D. – Anche perché gli effetti più devastanti possono essere proprio quelli nei cuori delle persone …

R. – Certamente c’è da ricostruire il tessuto delle relazioni, degli affetti e anche della comunità. E’ un lavoro invisibile ma, in un certo senso, è simile a quello delle fondamenta che non si vedono ma sono poi quelle che decidono della tenuta o meno di fronte agli imprevisti della vita.

D. – Eccellenza, lei oggi ha abbracciato le popolazioni di paesi duramente colpiti dal sisma. Una popolazione che è in attesa di un altro abbraccio, quello del Santo Padre …

R. – Certamente! Siamo tutti in attesa che venga e, naturalmente, sarà un incontro che darà sostegno, vigore e fiducia a tutti. E veramente ce n'è bisogno. Per questo siamo tutti desiderosi di poterlo incontrare e abbracciare.

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Undicesima giornata nazionale Creato: celebrazioni a Fossano

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Una giornata di celebrazione della tutela dell’ambiente nell’ottica della Misericordia. Questo il tema di fondo delle celebrazioni che si svolgono oggi al Castello degli Acaja a Fossano, in provincia di Cuneo, in occasione dell'11.ma Giornata nazionale per la custodia del Creato, promossa dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) sul tema “La Misericordia del Signore, per ogni essere vivente”. Il servizio di Andrea Walton: 

Fitto il programma degli eventi: in mattinata si è svolto il Convegno “La meraviglia genera misericordia” introdotto da mons. Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, e a seguire le “Buone pratiche per rispondere al grido della terra”, dove sono intervenuti, tra gli altri, esponenti di cooperative piemontesi. Nel pomeriggio, invece, laboratori didattici e giochi interattivi per sensibilizzare sui temi ambientali. In seguito l’incontro di preghiera interreligioso per la custodia della “Casa Comune”. Alle 21, in conclusione della giornata, il concerto della Kachupa Folk Band. Celebrare la Giornata del Creato nell’Anno giubilare diventa dunque un invito a vivere fino in fondo questa dimensione della Misericordia divina, come ci ricordano la Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il Diaologo e la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la Giustizia e la Pace.

La lettura della "Laudato si'", proprio nell’Anno della misericordia, significa imparare ad ascoltare la sofferenza della Terra e quella dei più poveri, come afferma Papa Francesco. Sempre dall’Enciclica si ricava l’insegnamento di allargare il nostro cuore per praticare la Misericordia verso tutti e a riconoscere il valore intrinseco di tutte le creature. La "Laudato sì'", concludono le Commissioni, è un invito alla conversione ecologica, a un riorientamento delle pratiche che si radichino in un cuore rinnovato.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XXVI T.O.

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Nella 26.ma domenica del Tempo ordinario, il Vangelo presenta la parabola del ricco che si dava a lauti banchetti, totalmente disinteressato del povero Lazzaro che stava alla sua porta. Morti entrambi, il primo finisce tra i tormenti, mentre il secondo viene finalmente consolato. Il ricco chiede che Lazzaro possa venire in suo aiuto, ma gli viene risposto:

“Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco”. Corriamo il pericolo d’interpretare questo Vangelo riduttivamente trascurando forme di povertà meno evidenti, ma che sono ugualmente nel cuore di Cristo, a favore di povertà che contemplano solo alcuni bisogni primari dell’uomo. Non si tratta solamente dell’indigenza, che peraltro è certamente presente nel brano. Ci sono, anche, poveri che “giacciono” in case benestanti, ma piagati dall’egoismo o dalla paura di vivere, privi di amore e unità in famiglia e affamati di briciole di perdono e di rispetto. Come pure giovani, poveri di pietà verso il prossimo, derubati dal diavolo della verità e del significato meraviglioso che Dio ha associato al corpo umano e alla differenza sessuale, che vivacchiano in qualche università, palestra, o beauty farm, desiderosi di scoprire il senso della vita. Alcuni di questi fratelli “meno abbienti” stanno rischiando il suicidio e la povertà eterna e aspettano bramosi qualcuno che, per amore, annunci loro il kerigma, la misericordia che ci arricchisce della natura divina. Il Signore ci conceda di commuoverci per i poveri che appaiono immediatamente tali e per quelli che sembrano ricchi ma gemono privi d’amore, così come Egli ha avuto pietà della nostra miseria.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa, scontri Charlotte. Vescovo: chiediamo pace e giustizia

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Resta alta la tensione nella città statunitense di Charlotte, in North Carolina: nella notte, ci sono state ancora proteste per l’uccisione - da parte della polizia -dell’afroamericano Keith Lamont Scott. Nonostante il coprifuoco, numerose persone hanno sfilato nelle strade del centro, mentre nei giorni scorsi gli scontri hanno provocato almeno 12 feriti tra i poliziotti.

No alla violenza
Di fronte a tale drammatica situazione, il vescovo di Charlotte, mons. Peter Jugis, ha diffuso una nota in cui esorta i fedeli a “pregare per la pace e per la giustizia, non solo per le vittime della violenza a Charlotte, ma per tutte le vittime nel Paese”. “Preghiamo anche – sottolinea il presule – per i membri delle forze dell’ordine che sono stati colpiti da violenze ingiuste”. Infine, il richiamo di mons. Jugis va a “tutti gli uomini e le donne di buona volontà affinché siano sempre strumenti di armonia e facciano risplendere la luce di Cristo in casa, sul posto di lavoro, a scuola e negli spazi pubblici”. (I.P.)

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Vescovi Malaysia: misericordia e inclusione per i migranti

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Misericordia e inclusione sono le coordinate fondamentali insegnate dal Vangelo a ogni cristiano che si relaziona con gli immigrati: lo afferma il messaggio di mons. Bernard Paul, presidente della Commissione per la Pastorale per i migranti e gli itineranti della Conferenza episcopale di Malaysia, Singapore e Brunei. Il documento è stato diffuso in occasione della “Giornata per i migranti”, che la Chiesa locale celebrerà domani, domenica 25 settembre.

Il contributo dei migranti alla società
Il testo, citato dall’agenzia Fides, sottolinea che “l'economia malese è fortemente dipendente dal lavoro degli immigrati”: secondo dati ufficiali, infatti, i migranti nel Paese sono 6,7 milioni, tra i quali oltre 4 milioni di lavoratori senza documenti regolari. “Solo pochi sono disposti a parlare delle benedizioni che i lavoratori immigrati e i rifugiati portano alla nostra vita, alla nostra economia, alle nostre imprese – scrive mons. Paul - La loro presenza si fa sentire anche nelle costruzioni, nella produzione, in agricoltura, nelle piantagioni, nel terziario”.

Non possiamo voltarci dall’altra parte
Di qui, le domande poste dal presule: “Possiamo ignorare il loro contributo? Possiamo voltarci dall’altra parte, senza alcun riconoscimento? Abbiamo il coraggio di ammettere che sono i nostri nuovi vicini?”. “I migranti e i rifugiati sono i nostri nuovi amici e nuovi vicini, in un mondo contrassegnato da globalizzazione e mobilità”, ha detto.

Parrocchie siano centri di integrazione e accoglienza
Il vescovo malese ricorda, poi, che “quando i nostri figli emigrano in terre straniere, desideriamo per loro inclusione, rispetto e benevolenza. Cerchiamo quindi di fare altrettanto”. Per questo, l’auspicio è che “le parrocchie diventino centri d’integrazione” e si attivino per costruire “una comunità di migranti”, partendo dalla domanda evangelica: “Chi è il mio prossimo?”.

Lasciarsi muovere dalla misericordia
Il messaggio si conclude con l’appello a tutti gli uomini di buona volontà a “lasciarsi muovere dalla misericordia di Dio” e ad avere “l’atteggiamento evangelico del samaritano verso questi nuovi vicini, che sono in mezzo a noi, per costruire il Regno di Dio”. (I.P.)

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Vescovi brasiliani: difendere sempre integrità della vita

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“Rifiutiamo l’aborto e le eventuali iniziative che minacciano la vita, in particolare quelle che approfittano delle situazioni di fragilità che colpiscono le famiglie”: scrive così la Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb) in una nota intitolata “In difesa dell’integrità della vita”. Il documento si riferisce, nello specifico, alla normativa attuale sull’adozione di misure cautelari sanitarie per contrastare il virus zika. Le donne incinte che vengono colpite da tale virus, infatti, rischiano di dare alla luce bambini affetti da microcefalia.

Sostenere le famiglie con bambini affetti da microcefalia
“È urgente – scrivono i vescovi brasiliani – che il governo implementi politiche pubbliche per affrontare in modo efficace il virus zika come, ad esempio, una diagnostica efficiente e un sostegno nel sistema sanitario pubblico”. Di qui, l’appello affinché venga esteso “per tutta la vita il sussidio ai bambini microcefalici e non per soli tre anni”, come vorrebbe la normativa attuale. Non solo: la Cnbb chiede anche che tale sussidio sia concesso “immediatamente dopo la nascita del bambino e non al termine dell’indennità di maternità”.

Nessuna disabilità giustifica l’aborto
I presuli si dicono poi “indignati” da chi sostiene e incoraggia l’aborto in caso di contagio da zika, per evitare eventuali danni ai nascituri: “Nessuna disabilità, per quanto grave, diminuisce il valore e la dignità della vita umana e giustifica l’aborto”. Anzi, come scrive Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”, “meritano grande ammirazione le famiglie che accettano con amore la difficile prova di un figlio disabile. Esse danno alla Chiesa e alla società una testimonianza preziosa di fedeltà al dono della vita” (n. 47).

L’esempio positivo delle Paralimpiadi
Come esempio concreto dell’importanza di tutelare la vita sempre e comunque, i vescovi brasiliani citano le Paralimpiadi, svoltesi a Rio de Janeiro dal 7 al 18 settembre scorsi: questi Giochi dedicati ad atleti con disabilità “hanno offerto una lezione che merita di essere appresa da tutti”, perché hanno dimostrato che “l’umanità si rivela soprattutto nella fragilità”. Esprimendo, quindi, “solidarietà alle famiglie che convivono con la realtà della microcefalia”, la Cnbb auspica che esse trovino “accoglienza e sostegno” all’interno della società. (I.P.)

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Tanzania in festa per i 150 anni di evangelizzazione

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Avranno inizio il Primo ottobre nella diocesi di Bukoka, le iniziative della Chiesa cattolica della Tanzania per celebrare i 150 anni di evangelizzazione del Paese. In una nota del Direttorio per l’evangelizzazione, organismo della Conferenza episcopale locale, si sottolinea che “in quello stesso giorno, avranno inizio anche le celebrazioni per il centenario di ordinazione del primo sacerdote autoctono”, avvenuta il 15 agosto 1917 proprio nella diocesi di Bukoka.

Due eventi culminanti nel 2017 e nel 2018
Il programma, per entrambi gli anniversari, prevede due momenti culminanti: il primo si terrà il 15 agosto 2017; il secondo l’anno successivo. La data del Primo ottobre prossimo, scelta per dare inizio agli eventi celebrativi, vuole commemorare “la festa di Santa Teresa di Lisieux, Patrona delle missioni”, sottolinea il Direttorio. Il lancio delle iniziative sarà preceduto da “incontri spirituali, preghiere e pellegrinaggi nei principali luoghi religiosi del Paese”.

La storia dell’evangelizzazione del Paese
Da ricordare che la Tanzania ha attraversato due ondate di evangelizzazione: la prima nel XV secolo e la seconda nel XIX. Nel primo caso, il Vangelo fu portato dai missionari agostiniani portoghesi, arrivati con Vasco da Gama nel 1499 a Zanzibar. Tuttavia, a causa dell’opposizione araba musulmana, la missione degli agostiniani si concluse alla fine del 1600. Nel XIX secolo, invece, furono ben tre le congregazioni che portarono avanti l’evangelizzazione: i Padri dello Spirito Santo (o Spiritani), i Padri Bianchi (Missionari d’Africa) e i Benedettini.

Lo sviluppo dopo la prima Guerra mondiale
Nel 1868 si ebbe la prima liberazione degli schiavi, seguita poi dalla fondazione di monasteri e dalla creazione della Prefettura Apostolica di Zanzibar e, nel 1907, della prima Congregazione locale delle Figlie di Maria. Infine, dopo la Prima Guerra Mondiale, nel Paese arrivarono altri missionari: tra questi i Cappuccini, i Missionari della Consolata, i Passionisti e i Pallottini; successivamente i missionari di Maryknoll. (I.P.)

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Pakistan: diocesi di Faisalabad indice Anno dell’istruzione

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“Lavorare in favore dell’istruzione è un’opera di misericordia, poiché l’istruzione permette di sviluppare tutte le potenzialità di ogni individuo”. Così mons. Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad, in Pakistan, motiva la sua decisione di indire un “Anno dell’istruzione” a livello diocesano: “L’iniziativa – spiega l’agenzia Fides – si tiene in coincidenza del Giubileo straordinario della Misericordia, voluto da Papa Francesco e in corso in tutto il mondo fino al 20 novembre”.

Promuovere un’educazione di qualità
In questi giorni mons. Arshad sta visitando le scuole cattoliche della diocesi: una sorta di “pellegrinaggio” che toccherà tutti gli istituti del territorio che accolgono anche numerosi studenti musulmani. L'obiettivo, afferma il presule, è “consolidare le istituzioni scolastiche nella diocesi, promuovere un’educazione di qualità, aumentare l'interesse degli studenti attraverso l’insegnamento e l’apprendimento”. Centrale, inoltre, l’urgenza di “motivare i genitori e incoraggiare gli insegnanti a rendere l'istruzione accessibile a tutti, aiutando gli alunni meritevoli a proseguire gli studi, nonché aumentare il numero di studenti cristiani nelle scuole e diminuire il numero degli abbandoni”.

I docenti contribuiscono alla formazione umana degli alunni
Positivo, finora, il risultato dell’Anno dell’istruzione: “Si nota dappertutto entusiasmo e fiorente partecipazione – sottolinea mons. Arshad - si tratta di una grande opportunità, sia per gli studenti che per i docenti, di sviluppare la fiducia in se stessi ed esplorare talenti nascosti”. Di qui, il richiamo del presule “all’importanza della formazione” e la sottolineatura delle responsabilità e del prezioso ruolo degli insegnanti, che “non trasmettono solo contenuti, ma contribuiscono anche alla formazione umana degli allievi”.

Dare priorità agli studenti poveri e bisognosi
Una delle priorità, osserva ancora il vescovo di Faisalabd, è “raggiungere i bambini poveri e bisognosi, specialmente di famiglie cristiane, che non hanno accesso all’istruzione”. Per questo è compito delle scuole cristiane “sostenere a livello economico i bambini cristiani di famiglie povere, perché possano seguire il percorso di studi”. A tal fine, ad esempio, la “La Salle High School” di Faisalabad offre una riduzione del 50 per cento della retta per gli studenti cristiani, così come la “Sacred Heart Convent School” che garantisce una diminuzione del 40 per cento. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 268

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.