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Sommario del 27/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: vincere la desolazione spirituale con la preghiera

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Cosa succede nel nostro cuore quando veniamo presi dalla “desolazione spirituale”? E’ la domanda che Francesco pone nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sulla figura di Giobbe. Il Papa ha messo l’accento sull’importanza del silenzio e della preghiera per vincere i momenti più bui. Nell’occasione della memoria di San Vincenzo de Paoli, il Papa ha quindi offerto la Messa per le suore vincenziane, le Figlie della Carità, che presentano servizio a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Giobbe era nei guai: aveva perso tutto”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla Prima Lettura che ci mostra Giobbe spogliato di ogni suo bene, perfino dei suoi figli. Si sente ormai perso, ma non maledice il Signore.

Tutti prima o poi viviamo una grande desolazione spirituale
Giobbe vive una grande “desolazione spirituale” e si sfoga davanti a Dio. E’ lo sfogo di un “figlio davanti al padre”. Così fa anche il profeta Geremia che si sfoga con il Signore, ma mai bestemmiano:

“La desolazione spirituale è una cosa che accade a tutti noi: può essere più forte, più debole … Ma, quello stato dell’anima oscuro, senza speranza, diffidente, senza voglia di vivere, senza vedere la fine del tunnel, con tante agitazioni nel cuore e anche nelle idee … La desolazione spirituale ci fa sentire come se noi avessimo l’anima schiacciata: non riesce, non riesce, e anche non vuol vivere: ‘Meglio è la morte!’. E’ lo sfogo di Giobbe. Meglio morire che vivere così. Noi dobbiamo capire quando il nostro spirito è in questo stato di tristezza allargata, che quasi non c’è respiro: a tutti noi capita, questo. Forte o non forte … A tutti noi. Capire cosa succede nel nostro cuore”.

Questa, ha soggiunto, è “la domanda che noi possiamo farci: ‘Cosa si deve fare quando noi viviamo questi momenti oscuri, per una tragedia familiare, una malattia, qualche cosa che mi porta giù”. Qualcuno, ha rilevato, pensa di “prendere una pastiglia per dormire” e allontanarsi “dai fatti”, o “prendere due, tre, quattro bicchierini”. Questo, ha ammonito, “non aiuta”. La liturgia di oggi, invece, “ci fa vedere come fare con questa desolazione spirituale, quando siamo tiepidi, giù, senza speranza”.

Quando ci sentiamo persi, pregare Dio con insistenza
Nel Salmo responsoriale, il Salmo 87, c’è la risposta: “Giunga fino a Te la mia preghiera, Signore”. Bisogna pregare, ha detto il Papa, pregare forte, come ha fatto Giobbe: gridare giorno e notte affinché Dio tenda l’orecchio:

“E’ una preghiera di bussare alla porta, ma con forza! ‘Signore, io sono sazio di sventure. La mia vita è sull’orlo degli Inferi. Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai senza forze’. Quante volte noi ci sentiamo così, senza forze … E questa è la preghiera. Lo stesso Signore ci insegna come pregare in questi brutti momenti. ‘Signore, mi hai gettato nella fossa più profonda. Pesa su di me il Tuo furore. Giunga fino a Te la mia preghiera’. Questa è la preghiera: così dobbiamo pregare nei momenti più brutti, più oscuri, più di desolazione, più schiacciati, che ci schiacciano, proprio. Questo è pregare con autenticità. E anche sfogarsi come si è sfogato Giobbe con i figli. Come un figlio”.

Il Libro di Giobbe parla poi del silenzio degli amici. Davanti a una persona che soffre, ha sottolineato il Papa, “le parole possono fare male”. Quello che conta è stare vicino, far sentire la vicinanza, “ma non fare discorsi”.

Silenzio, presenza e preghiera, così si aiuta davvero chi soffre
“Quando una persona soffre, quando una persona è nella desolazione spirituale – ha ripreso – si deve parlare il meno possibile e si deve aiutare con il silenzio, la vicinanza, le carezze la sua preghiera davanti al Padre”:

“Primo, a riconoscere in noi i momenti della desolazione spirituale, quando siamo nel buio, senza speranza, e domandarci perché. Secondo, a pregare il Signore come oggi la liturgia con questo Salmo 87 ci insegna a pregare, nel momento del buio. ‘Giunga fino a Te la mia preghiera, Signore’. E terzo, quando io mi avvicino a una persona che soffre, sia di malattia, di qualsiasi sofferenza, ma che è proprio nella desolazione, silenzio; ma silenzio con tanto amore, vicinanza, carezze. E non fare discorsi che alla fine non aiutano e, anche, le fanno del male”.

“Preghiamo il Signore – ha concluso Francesco – perché ci dia queste tre grazie: la grazia di riconoscere la desolazione spirituale, la grazia di pregare quando noi saremo stati sottomessi a questo stato di desolazione spirituale, e anche la grazia di sapere accompagnare le persone che soffrono momenti brutti di tristezza e di desolazione spirituale”.

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La comunità cattolica della Georgia attende il Papa con gioia

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La Georgia attende il Papa e sarà la piccola comunità cattolica ad accoglierlo il prossimo 30 settembre. Si tratta di una minoranza, in un Paese prevalentemente ortodosso, ma completamente dedita alle opere di carità. Tra le prime congregazioni a giungere nel Paese alla fine del comunismo per dare impulso alla rinascita della vita ecclesiastica, sono stati i camilliani. C’era allora anche padre Nino Martini che - al microfono di Gabriella Ceraso - così ricorda quei tempi: 

R. – Il Papa adesso troverà un Paese trasformato. Diciamo che quando siamo arrivati noi in Georgia, abbiamo parzialmente ricostituito in qualche modo la Chiesa cattolica dopo il comunismo, perché qui si parla del ’92. Ci avevano detto di non andare in Georgia in quel periodo perché c’era la guerra civile. Noi siamo andati a trovare Shevardnadze e la città era bombardata in buona parte; lungo le strade c’erano ancora i carri armati; c’erano state molte vittime. Lo stesso Shevardnadze era praticamente difeso a vista perché poteva essere oggetto di un attentato.

D. – Era un Paese in cui anche la mentalità era da sempre stata quella imposta dall’Unione Sovietica. In che modo avete condiviso la ripresa di una vita che fosse democratica?

R. – Noi abbiamo cominciato con il poliambulatorio, chiedendo allo Stato cosa fosse più urgente in quel momento. Perché in effetti, specialmente la sanità era ridotta ai minimi termini e la gente non aveva le cure. E davamo anche le medicine gratuitamente ai malati. Dopo, passato quel periodo, lo Stato si è in qualche modo organizzato. Noi stessi allora abbiamo fatto in modo che il poliambulatorio fosse affiancato da un’altra opera che costruimmo per i disabili e che sarà quella che visiterà il Papa in questi giorni. Quindi, abbiamo collaborato al cambiamento dello Stato dal punto di vista sanitario-sociale perché eravamo diventati un punto di riferimento per la periferia di Tbilisi e avevamo in cura circa 500 mila abitanti.

D. – Siete riusciti a "conquistarli"?

R. – Non ci è servito neanche molto, eh! Perché il loro carattere ospitale è magnifico. Loro si definiscono i “napoletani del Caucaso”!

D. – Com’è cambiata nel tempo la Georgia?

R. – Sono cambiate in un modo radicale sia la Georgia che l’Armenia. Lei pensi che l’amministrazione era tenuta ancora con i calcoli fatti con le palline, come usiamo negli asili con i bambini. E siamo arrivati ormai alla più grande modernizzazione in pochissimo tempo.

D. – Avete svolto anche un ruolo nella catechesi e nella formazione?

R. – Tutta ha camminato insieme: la parte spirituale, quella materiale, sanitaria e assistenziale. Possiamo dire veramente che la Chiesa cattolica, pur essendo una Chiesa di estrema minoranza, è diventata significativa da ogni punto di vista.

D. – Lei c’era in Georgia e anche in Azerbaigian quando ci fu San Giovanni Paolo II: che contributo ha dato quella presenza nel tempo, fino ad oggi?

R. – Ha dato un contributo soprattutto di apertura verso gli ortodossi, ed è venuta a portare una certa pace. C’è stato un riavvicinamento fondamentale, c’è un cammino più avviato; e quindi penso che il Papa, con questa sua visita, metterà ancora una pietra importante.

D. – A livello di scuole, fabbriche, punti di ritrovo, avete potuto fare qualcosa?

R. – Non abbiamo neppure cominciato, perché intanto il rischio grosso era che fossimo accusati di fare proselitismo. Abbiamo creato poi delle scuole e anche qualche asilo, ma questo nell’ambito delle nostre comunità.

D. – E ci sono stati frutti, risposte nel tempo che lei ha colto, anche da parte della popolazione?

R. – Certamente sì, perché le nostre comunità sono rinate: abbiamo avuto dei seminaristi, più di 20-25 sacerdoti locali e più di una trentina di suore.

D. – Quindi, secondo il suo punto di vista, quali sono le cose più importanti da capire per riuscire ad essere cattolico in un luogo di periferia, in un luogo dove si è in minoranza?

R. – Un po’ come dice il Papa oggi in continuazione: 'Sono i fatti che contano'. E attraverso questi fatti – chiaramente –  noi abbiamo fatto porre alla gente molti punti interrogativi, i quali quindi avevano come conclusione che tutto questo veniva fatto per uno spirito di servizio, per uno spirito cristiano. E in quanto tali siamo sempre stati rispettati: indirettamente noi facevamo un’opera pastorale enorme, perché era una continua testimonianza di vita. Il nostro compito è curare i malati e assistere i poveri: siamo – diciamo così – le retrovie forse oppure le avanguardie di questa nostra pastorale.

D. – Servirà ancora questo alla Georgia?

R. – Eccome! Servirà ancora per molti anni, soprattutto perché, al di là di quello che materialmente facciamo, dobbiamo diventare dei testimoni di come si assistono i malati e di come si vuole bene alla gente. È il “come” che conta, perché poi lo Stato si potrà anche organizzare, ma la testimonianza, il cuore, bisogna che lo portiamo noi.

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Colombia. Card. Parolin: ora impegno di tutto il popolo per la pace

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Cambio di pagina in Colombia: la firma questa notte a Cartagena dell’accordo di pace tra il governo e le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, accordo che - raggiunto dopo 4 anni di negoziati favoriti anche dalla Santa Sede - intende chiudere il conflitto più lungo della storia dell’America Latina. Durato 52 anni ha fatto circa 220 mila vittime e provocato quasi 7 milioni di sfollati. Prima della firma il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha celebrato per tutti i partecipanti allo storico evento una Liturgia della Parola. Il servizio di Adriana Masotti

Voce speaker: "E' arrivato il momento che tutto il Paese aspettava: la firma ufficiale e definitiva dell'accordo di pace"!

A firmare l'accordo di pace il presidente colombiano, Santos e il capo delle Farc, Lodrono. Presenti alla cerimonia in cui tutti erano vestiti di bianco, 15 capi di Stato e 27 ministri degli Esteri, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e l'Alto Rappresentante Ue, Mogherini. A rappresentare la Chiesa il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, mentre la Comunità di Sant’Egidio, a cui si deve un importante supporto ai colloqui di pace, ha partecipato con una delegazione. Nell’occasione, in mattinata il cardinale Parolin ha celebrato per tutti gli invitati una Liturgia della Parola a carattere interreligioso, per pregare insieme per la riconciliazione e l’unità del Paese. La liturgia si è tenuta nella chiesa principale di Cartagena, davanti alla tomba di San Pietro Claver, il missionario spagnolo che si dedicò all’assistenza degli schiavi deportati dall’Africa.

Nella suo intervento il porporato ha ricordato prima di tutto la vicinanza di Papa Francesco che in questi anni “ha seguito con grande attenzione gli sforzi alla ricerca della concordia e della riconciliazione senza prendere parte - ha precisato - alle soluzioni concrete che sono state negoziate”. Il Papa, ha confermato il segretario di Stato, “ha sempre promosso il rispetto dei diritti umani e dei valori cristiani, che si trovano al centro della cultura colombiana”. E ha sottolineato: “Credo che tutti noi che siamo qui presenti siamo coscienti che siamo sì alla conclusione di un negoziato, ma anche all’inizio di un processo, ancora aperto, di cambiamento, che richiede l’apporto e il rispetto di tutti i colombiani”

Sull’esempio di san Pedro che ha saputo incontrare e valorizzare essere umani trattati come merce, ha continuato il cardinale Parolin, oggi la Colombia “deve alleviare il dolore di tanti suoi abitanti umiliati ed oppressi dalla violenza, deve arrestare l’odio e cambiare la direzione della sua storia, per costruire un futuro migliore con istituzioni giuste e solide”, a partire dall’incontro. “Il metodo più sicuro per dare inizio ad un futuro migliore è ricostruire la dignità di chi soffre” facendosi a lui vicino, ha detto ancora, perché la pace che anela la Colombia va oltre il pur necessario perfezionamento di determinate strutture o convenzioni, e trova il suo centro nella ricostruzione della persona: di fatto, le cause profonde del conflitto che negli ultimi decenni ha lacerato questo Paese si trovano nelle ferite del cuore”.

E alle vittime del conflitto si è rivolto nel suo intervento durante la cerimonia della firma il leader delle Farc, Lodrono, chiedendo perdono per tutto il dolore causato a tanti con la violenza che così a lungo ha insanguinato questa terra.

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Giornata mondiale Turismo. Il Papa: si eviti ogni discriminazione

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Nel giorno in cui si celebra l’odierna Giornata mondiale del Turismo indetta dall’Onu ed incentrata sul tema “Turismo per tutti. Promuovere l’accessibilità universale”, Papa Francesco ha lanciato sull’account @Pontifex  un nuovo tweet: “Promuoviamo - scrive il Santo Padre - un turismo sostenibile, che porti sviluppo e incontro con le popolazioni locali, ed eviti ogni sorta di discriminazione”. Quello auspicato dal Papa è un turismo dal volto umano, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, il direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport della Conferenza episcopale italiana, don Mario Lusek

R. – Un turismo “dal volto umano” è appunto solidale, sociale, responsabile, sostenibile e quindi accessibile per tutti. Il tema del turismo per tutti viene considerato dagli organismi internazionali un “diritto”. Può sembrare strano che il turismo sia un diritto della persona, ma strano non è, perché il diritto al riposo, alla quiete e quindi anche al recupero delle energie è non solo un diritto, ma anche un dovere della persona. Il Papa lo ha espresso bene con il Tweet: la persona diventa protagonista anche dell’immersione nei luoghi che visita.

D. – Sostenibilità, sviluppo e incontro sono i tre gradi attraverso cui il turismo può diventare conoscenza, rispetto, un vero fattore di crescita…

R. – D’altronde il turismo è un ponte: un ponte tra culture, esperienze, luoghi, ma soprattutto è un ponte tra persone: soltanto attraverso l’incontro e il dialogo tra le persone si riesce a raggiungere l’obiettivo stesso del turismo, ovvero integrare la propria cultura, le proprie tradizioni e il proprio vissuto con altre esperienze, altre modalità di vita, altri stili ed altri comportamenti. Tutte le fasce deboli della società – le famiglie monoreddito, quelle numerose, quelle che sono penalizzate anche dalla crisi economica, quelle con persone anziane o disabili – hanno diritto anche a questi luoghi di incontro e a questi spazi di ritrovamento di sé quasi. E diventa importante la capacità di accogliere. E' interessante sapere che le strutture religiose – in Italia le case per ferie o altro – sono al primo posto quasi per l’accessibilità e l’attenzione verso categorie anche disagiate di persone. L’Anno della Misericordia ha favorito anche l’ospitalità verso queste fasce un po’ problematiche della società. Allora, in questo senso, si risponde anche a quel bisogno di accessibilità universale di cui parla anche il tema di quest’anno. “Universale” significa proprio rivolgersi a tutte le categorie di persone, senza distinzione e senza fare del turismo un luogo e un’esperienza per privilegiati.

D. – Ricordiamo che i viaggiatori internazionali sono oltre un miliardo e 200 milioni all’anno, ma le persone ad esempio con disabilità affrontano ancora ostacoli insormontabili. “È assurdo – scrive tra l’altro il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, proprio in occasione di questa Giornata – che anche con le moderne tecnologie i disabili vengano lasciati indietro in molte destinazioni turistiche”…

R. – Il problema è soprattutto quello di rispondere a questa domanda di ospitalità delle persone con bisogni speciali. Capire come predisporre il periodo della vacanza per loro favorendo un diverso uso del tempo, un diverso rapporto con la comunità ospitante. Comprendere quindi come far immergere anche le persone con bisogni speciali nella vita delle realtà che si visitano. Capire come apprezzare le tipicità di vita: far fare esperienza di comunità. Ma questo è vero per tutti – per tutte le tipologie del turismo – e lo diventa ancora di più per la persona che ha bisogni diversi. Non in senso pietistico ma proprio per sentirsi parte di una storia e soprattutto di una bellezza, di un incontro, di un’identità e una vita che il luogo che si visita porta con sé. Qui la domanda di ospitalità deve essere per forza aperta e solidale: occorre imparare ad accogliere e ad ascoltare. L’ascolto è un elemento essenziale nell’accoglienza. Ed è la forma primaria di accessibilità ad un luogo. Sentirsi ascoltato, percepire una sensibilità, percepire che anche un non vedente può trovare dei sistemi Breil nei luoghi che visita, che chi ha una mobilità ridotta può superare gli ostacoli che sono frapposti alla visita del luogo. Sono tutti elementi che rilanciano questo turismo dal volto umano e che diventa anche turismo di cooperazione: il viaggiatore si sente appunto accolto, ascoltato e trova risposte ai suoi bisogni di ospitalità.

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Nomina di Papa Francesco negli Stati Uniti

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Negli Usa, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Lubbock, presentata da mons. Plácido Rodríguez. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Lubbock Mons. Robert M. Coerver, del clero di Dallas, finora parroco della “Saint Rita Parish” a Dallas.

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Congregazione Gesuiti. Spadaro: spazio ad azione dello Spirito

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Presentata stamani a Roma la 36.ma Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, che dovrà eleggere il nuovo Preposito generale, successore di padre Adolfo Nicolás. I lavori della Congregazione prenderanno il via lunedì 3 ottobre, all'indomani di una Concelebrazione nella Chiesa del Gesù a Roma. A margine della conferenza stampa, Debora Donnini ha chiesto al direttore di Civiltà Cattolica, il padre gesuita Antonio Spadaro quali siano le attese dei gesuiti e non solo per questo atteso evento: 

R. – Questa sarà la prima Congregazione Generale sotto un Papa gesuita. E certamente per la Compagnia, che è sempre stata per volontà dei Pontefici sulle frontiere, sui luoghi e sui crocevia – nei luoghi in cui c’è uno scambio intenso tra fede e cultura – questo è un momento veramente particolare per il mondo, con grandi sfide di ogni ordine: culturale e politico. Quindi, la Congregazione Generale sarà chiamata ad aprire gli occhi globalmente sul mondo, con molti rappresentanti che ormai vengono dai continenti, quindi con tutta la ricchezza e la complessità che i continenti differenti pongono. Certamente c’è la grande sfida dell’elezione del Padre generale che condurrà nei prossimi anni la Compagnia verso la sua missione.

D. – C’è una grande presenza di padri gesuiti che provengono dai Paesi del Sud del mondo, e specialmente dall’Asia: questo che peso e che significato ha?

R. – Il problema qui non è comunque la dimensione geografica, direi che è la dimensione spirituale: cioè capire la freschezza delle chiese. Certamente le chiese da cui ormai provengono molti gesuiti – direi la maggioranza – sono chiese che hanno una freschezza, e che porranno delle questioni nuove alla Compagnia e alla Chiesa in generale.

D. – Quando ci si può attendere l'elezione del nuovo Proposito Generale?

R. – Non lo sappiamo. Devo dire che i tempi per la Congregazione sono tempi spirituali, non tempi cronologici: Sant’Ignazio, anche per i suoi Esercizi Spirituali, non ha voluto tempi rigidi, ma ha voluto i tempi dello Spirito. Quindi non sappiamo per esempio neanche quando finirà la Congregazione Generale: potrebbe durare quattro, cinque o sei settimane, non sappiamo proprio. Quindi questo dipende anche un po’ dal ritmo interno, e questo è molto bello, perché si lascia lo spazio all’azione dello Spirito: non si chiude, non ci sono degli schemi prefissati e questo è il respiro, bello e spirituale, della Congregazione Generale dei Gesuiti.

D. – Questa Congregazione Generale ha prestato anche molta attenzione alla comunicazione; sia nella fase preparatoria ci si è serviti proprio del web, e d’altra parte anche della comunicazione: c’è un profilo Twitter, Facebook, Instagram, oltre al sito, dedicato proprio a questa 36.ma Congregazione Generale…

R. – Sì, è così, anche i Padri all’interno non useranno molta carta: ognuno di noi ha un tablet e si farà tutto su questa base digitale. E questo serve per semplificare, ma anche, a livello di comunicazione esterna, per dare un po’ il senso di quello che avviene. È chiaro che, essendo un processo spirituale, questo va custodito. Ricordiamo quello che ha chiesto Papa Francesco per il Sinodo: il Sinodo dei vescovi inteso come luogo di riflessione spirituale; così anche la Congregazione Generale. Quindi ci sarà una comunicazione che sarà tenuta a un livello interiore. D’altra parte però vogliamo comunicare all’esterno qual è il clima, attraverso le immagini su Instagram e i Tweet. Quindi è una comunicazione complessa, ma rispettosa della dinamica propria della Congregazione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per cambiare la direzione della storia: celebrazione presieduta dal cardinale segretario di Stato prima della firma dell'accordo tra il governo colombiano e le Farc

Per un'etica globale di responsabilità sul nucleare: intervento del sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati alla 60.ma conferenza generale dell'Aiea.

In prima pagina, un articolo di Charles de Pechpeyrou dal titolo "In prima linea nell'accoglienza dei migranti": Lampedusa e Calais

Là dove nacquero uomini e dei: Carlo Maria Polvani sulla Guerra Cristera in Messico.

Un articolo di Alberto Fabio Ambrogio dal titolo "Meditazione su un matrimonio insolito": da Saintes-Marie-de-la-mer.

Se lo spettatore diventa protagonista: Antonio Paolucci sull'inaugurazione di Studio Azzurro ai Musei Vaticani.

Carità sotto le bombe: nell'intervista di Giampaolo Mattei monsignor Giampietro Toso spiega l'attività delle organizzazioni cattoliche in Siria e Iraq alla vigilia dell'incontro del 29 settembre.

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Oggi in Primo Piano



Casa Bianca: primo confronto televisivo Clinton-Trump

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Nella corsa alla Casa Bianca serrato faccia a faccia televisivo tra la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump. Si tratta del primo confronto prima del voto dell’8 novembre. Da New York, Elena Molinari

Si sono accapigliati per 90 minuti, Hillary Clinton e Donald Trump, criticando la rispettiva visione degli Stati Uniti, delle tensioni razziali, del terrorismo, della giustizia e del fisco. “Donald mi critica per essermi preparata per il dibattito. Ma sono preparata soprattutto per essere presidente”, è stata una delle prime affermazioni dell’ex first lady. Che poi ha accusato l’avversario di aver mentito dicendo che Barack Obama non era nato in America, e anche di nascondere qualcosa nelle dichiarazioni dei redditi che non vuole rendere note. "Le pubblicherò — ha risposto il miliardario — quando lei pubblicherà le 33.000 email che ha cancellato quando era Segretario di Stato”. Il tono del primo dibattito fra i due candidati è continuato su questa linea. Clinton ha sostenuto che Trump ha una lunga storia di razzismo alle spalle, Trump che l’avversaria non ha “l’energia” per essere presidente. Il repubblicano ha insistito sulla necessità di ripristinare “legalità e ordine pubblico”, anche attraverso la profilazione razziale. La democratica sul bisogno di non incarcerare migliaia di giovani neri per reati minori. Gli osservatori hanno affidato la vittoria a Clinton, ma Trump ha certamente saputo tenere testa alla rivale.

Sull’esito del dibattito, Fabio Colagrande ha intervistato il direttore della Stampa, Maurizio Molinari, già per anni corrispondente negli Stati Uniti: 

R. – E’ stato un dibattito vivace, a tratti spettacolare; sicuramente sulla forma e sui contenuti la Clinton ha guadagnato più punti, così come sull’economia, sulla questione delle tasse, sulla politica estera, ma Trump è stato molto efficace quando l’ha attaccata sulla violenza interraziale, la necessità di dare più potere alla polizia, quando ha attaccato l’amministrazione Obama sulla nascita di Is, quando ha imputato a Obama e Hillary la fuga di posti di lavoro verso il Messico e la Cina … Alla fine è stato un sostanziale pareggio, anche se a favore di Hillary. Nel complesso, il team di Clinton ha preparato il match molto meglio di Trump.

D. – Quanto contano questi dibattiti televisivi per il voto finale?

R. – L’esperienza degli ultimi anni ci dice che non contano molto. Ad esempio, nel 2004 Kerry vinse tutti e tre i dibattiti e poi Bush ottenne la rielezione. Nelle ultime due tornate presidenziali, Obama avrebbe vinto a prescindere dai dibattiti. In questo caso specifico, però, tanto il fatto di avere la prima donna candidata a presidente, quanto il fatto di avere un outsider delle dimensioni di Trump trasforma i dibattiti in una prova del nove. Ed è inoltre vero che la principale preoccupazione di entrambi, in questa fase, è di spingere tutti i propri elettori potenziali ad andare a votare. L’indice di impopolarità tanto di Hillary quanto di Trump è molto alto, quindi significa che sono i loro elettori intenzionati a disertare le urne. Per questo entrambi hanno parlato soprattutto ai rispettivi settori dell’elettorato.

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Siria: nessun accordo Usa-Russia. Scenario da Guerra fredda

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Stallo nei negoziati per la pace in Siria. A chiare lettere, ieri, l’inviato speciale dell’Onu in Siria Staffan De Mistura ha detto: “senza un accordo tra russi e americani non si può risolvere la crisi siriana”. Ma le posizioni di Washington e Mosca sembrano allontanarsi. E’ dunque saltata l’ipotesi di un Summit sulla crisi siriana sotto l’egida della Nazioni Unite. Roberta Gisotti ha intervistato Andrea Ungari, docente di Storia e teoria dei Movimenti e dei Partiti politici all’Università Luiss di Roma, tra i curatori dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo. 

D. Prof. Ungari, Stati Unit e Siria appaiono sempre più i veri protagonisti della scena bellica?

R. – Sì, senz’altro. La contesa è tutta fra queste due superpotenze, che si stanno giocando un ruolo egemonico nell’area. C’è una convinzione abbastanza evidente sia da parte della Russia che gli Stati Uniti – e in parte hanno ragione, perché le prove poi sono emerse - hanno finanziato sin dall’inizio movimenti terroristici, compresi i movimenti affiliati ad al-Qaeda, in funzione anti-Assad. Quindi, in qualche maniera, per destabilizzare l’area e per sottrare una pedina, che era sempre stata legata a Mosca, che è appunto quella del regime del presidente Assad.

D. – Ma al momento su cosa Usa e Russia non trovano un accordo per la pace, invocata a parole da tutti?

R. – Io credo che la contesa tra Stati Uniti e Russia in Siria è, né più né meno, la contesa che si era creata lo scorso anno per quanto riguarda la zona del Centro Europa, l’Ucraina. Forse c’è probabilmente una nuova stagione di ‘guerra fredda’ fra le due superpotenze, che si sta sviluppando ad ampio raggio e che non riguarda solamente la Siria. Dal punto di vista americano il problema è che ci sono molte divisioni all’interno del governo, con un Presidente che sta uscendo di scena e che sta lasciando la guida del potere ai due contendenti che si stanno battendo per la competizione elettorale; ma anche all’interno del Dipartimento di Stato ci sono posizioni divergenti rispetto alla volontà di arrivare ad un accordo con la Russia. Per esempio: sia il Segretario alla Difesa, Ash Carter, sia il direttore della National Intelligence, James Clap, hanno sempre messo in evidenza la volontà di non collaborare con la Russia per il necessario scambio di informazioni per combattere il movimento terroristico al-Nusra, l’Isil.

D. – Che dire delle accuse che sono piovute su Mosca di barbarie e crimini di guerra sul territorio siriano? Accuse fatte dagli Stati Uniti, appoggiate anche da Gran Bretagna, Francia e Germania… Comunque un elemento, anche per contrastare i negoziati?

R.  – Non è solamente un aspetto pretestuoso, perché i bombardamenti, che si sono stati da parte del regime di Assad, con l’apporto russo, nei confronti delle formazioni moderate supportate dagli Stati Uniti, sono state accuse oggettive; come oggettivo è stato l’abbattimento del convoglio umanitario dell’Onu: motivo per cui sono stati sospesi i rifornimenti umanitari in quella zona. Dall’altra parte, però, va pure detto che c’è stato un intervento degli Stati Uniti che ha distrutto una base governativa del regime di Assad e che ha portato alla morte i 62 militari. Quindi, in una situazione del genere, è sempre molto difficile stabilire di chi siano le responsabilità.

D. – In questo momento, dunque, bisogna fare delle valutazioni pessimiste su una possibilità di far cessare le armi in Siria?

R. – Assolutamente, questo per una serie di motivi. Il primo, appunto, per le incertezze e le divisioni all’interno del Dipartimento di Stato dovute al cambio di guida ai vertici della Casa Bianca, che impedirà di prendere posizioni ferme fino a che non verrà eletto il nuovo Presidente statunitense. In secondo luogo c’è tutto un problema di alleanze e di scontri geopolitici, che si stanno combattendo nell’area: la Russia sta cercando di lanciare una propria posizione egemonica nel quadrante del Medio Oriente attraverso l’alleanza con l’Iran e la Cina; dall’altra parte gli Stati Uniti sono alleati con tutta una serie di regimi, comprese le monarchie del Golfo, in particolar modo l’Arabia Saudita, che vogliono l’abbattimento del regime di Assad. L’Arabia Saudita che è, tra l’altro, indicata come uno dei principali finanziatori di Daesh (Is). Quindi una situazione veramente molto complessa, che richiederà da parte di tutti e due i contendenti una presa di posizione abbastanza netta, soprattutto nei confronti di regimi e monarchie/governi che alimentano il terrorismo a livello internazionale. 

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Oms: ogni anno 6,5 milioni di persone muoiono per inquinamento

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Il 92% della popolazione mondiale vive in luoghi dove si superano livelli accettabili di qualità nell'aria. L’allarme è dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, sulla base di un rapporto reso noto oggi, invoca “un'azione rapida per affrontare l'inquinamento atmosferico” e prevenire milioni di morti. Massimiliano Menichetti: 

6,5 milioni di persone ogni anno muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico, 3 milioni in più rispetto al 2012. Lo denuncia l’Organizzazione Mondiale della Sanità che fotografa la situazione in 103 Paesi, sia aree rurali, sia metropoli. Il 92% della popolazione dell’intero pianeta, secondo i dati raccolti, vive in luoghi dove si superano livelli accettabili di qualità nell'aria. Principali  inquinanti sono le microparticelle, solfati, nitrati e fuliggine. Le statistiche mostrano che quasi il 90% dei decessi avvengono in Paesi a basso o medio reddito. Sud-est asiatico, Mediterraneo orientale e il Pacifico occidentale, sono le aree più contaminate. Migliore la situazione in Europa e Stati Uniti. I luoghi virtuosi sono Svezia e Nuova Zelanda, quelli in cui si muore di più a causa dell'inquinamento dell'aria sono Turkmenistan, con 108 decessi ogni 100.000 abitanti; Afghanistan; Egitto; Cina e India, con 68 morti ogni 100.000 abitanti. Delineato anche il quadro delle patologie fatali legate all’inquinamento ovvero patologie cardiovascolari, ictus, malattie polmonari ostruttive e cancro.

"Dati noti e allarmanti" ribadisce Antonio Ballarin Denti professore di Fisica dell'Ambiente all’Università Cattolica di Brescia: 

R. – La situazione è allarmante, è globale e riguarda tutte le aree altamente antropizzate, cioè ad alta intensità abitativa ed alta industrializzazione, ed una delle ragioni principali di questo inquinamento è anche la mobilità, cioè le emissioni da traffico, assieme alle emissioni industriali.

D. – I principali inquinanti sono le microparticelle: cosa sono e da dove vengono?

R. – Questi vengono da processi di combustioni, processi di combustioni industriali, processi di combustioni che avvengono dentro i propulsori e cioè ad esempio il motore degli autoveicoli, avvengono dentro gli impianti che generano elettricità delle centrali termoelettriche e avvengono negli impianti di riscaldamento domestico. Tutte queste tipologie di impianti che bruciano combustibili fossili, oltre ad emettere i gas che alterano il clima – quindi producendo CO2 – emettono anche solfati, nitrati e microparticelle che sono gravemente dannose per la salute dell’uomo e anche per gli ecosistemi. Non dimentichiamo che questo comporta anche un impatto molto serio sulle culture agricole e sulle foreste.

D. – Per quanto riguarda il clima, Parigi ha segnato uno spartiacque: la cosiddetta Cop21,  la Conferenza che ha visto 175 leader mondiali impegnarsi in favore del clima, riducendo le emissioni di CO2. Che relazione c’è con le microparticelle?

R. – Dobbiamo anzitutto premettere che la questione del cambiamento climatico è diversa, anche se in parte interagisce con quella dell’inquinamento dell’aria. L’Accordo di Parigi riguarda le emissioni dei gas cosiddetti ad effetto serra e cioè quelli che aumentano la temperatura media del Pianeta e innescano una serie di conseguenze molto serie, quali l’innalzamento dei mari, il cambiamento del regime delle precipitazioni, la desertificazione e così via. Bisogna dire, però, che quasi tutti i cosiddetti “emettitori”, cioè ciminiere industriali, gli scarichi delle automobili, ecc emettono – accanto a questi gas che danneggiano il clima, che aggravano il riscaldamento del Pianeta – anche altri gas che sul clima non fanno nulla o quasi, ma danneggiano molto la salute dell’uomo. Bisogna aggiungere – e purtroppo questo è il dato che è ormai anche noto alla comunità internazionale – che la deriva climatica in atto peggiora la situazione della qualità dell’aria, perché favorisce la formazione e la permanenza di inquinanti, come le micropolveri e come l’ozono, che sono gravemente dannose per la salute. Quindi i due problemi sono collegati tra di loro, ma ci vorrebbe un’altra Parigi che riguardasse – oltre al clima – anche l’inquinamento dell’aria. E’ vero che esistono accordi internazionali, che esistono delle sedi internazionali in cui si discute di questo; però gli sforzi – ripeto – non sono assolutamente adeguati alla situazione drammatica che stiamo vivendo!

D. – Perché? Qual è il quadro internazionale?

R. – Alcuni Paesi stanno attuando delle politiche importanti: sia gli Stati Uniti sia l’Europa stanno adottando, ormai da diversi decenni, delle politiche energiche di miglioramento della qualità dell’aria e alcuni risultati ci sono, alcuni inquinanti come il benzene o come gli ossidi di zolfo sono molto diminuiti … Restano, poi, quelle aree del mondo come il Sud-Est Asiatico e parte della Cina, ma anche vaste aree di Paesi popolosi come l’India o di alcuni Paesi del Medio Oriente, in cui i livelli sono molto alti perché non esistono politiche locali standard di emissione sia degli autoveicoli, sia degli impianti industriali di riscaldamento. Occorre, quindi, che i Paesi leader dal punto di vista tecnologico – Europa e Stati Uniti in primis – facciano ancora di più, e riescano anche a trasferire queste tecnologie e questi approcci normativi a tutto il mondo. Questo richiede una volontà politica a livello planetario, che purtroppo ad oggi non c’è ancora…

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Card. Bagnasco: lo Stato non abbandoni genitori con figli malati

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Se cade il principio che la vita umana è inviolabile, l’individuo diventa oggetto di cui disporre. Lo Stato non lasci soli i genitori con figli malati. E’ uno dei passaggi forti della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che ha aperto nel pomeriggio la sessione autunnale del Consiglio permanente della Cei. La riunione prende il via oggi e si chiuderà mercoledì. Il giorno dopo, la conferenza stampa con lo stesso cardinale Bagnasco, che illustrerà il comunicato finale. Tra i temi al centro dell’attenzione dei vescovi in questi giorni, la revisione delle Nome sul regime amministrativo e le questioni economiche dei tribunali ecclesiastici. Nel suo discorso il porporato spazia dal dramma del terremoto agli importanti eventi ecclesiali d’estate fino alla situazione dell’Europa e dell’Italia. Il servizio di Debora Donnini

Come un’ombra maligna, ancora una volta il terremoto ha falciato centinaia di vite. Prende il via da questo drammatico evento di fine estate, l’intervento del presidente della Cei che ricorda la testimonianza di incomparabile valore offerta da volontari, Protezione civile, membri di associazioni che danno l’esempio di “un modo di vivere alternativo alla cultura diffusa”. Centrale è l’appartenenza ad un popolo che porta ad essere legati gli uni agli altri. Il porporato ricorda che la presidenza della Cei ha stanziato un primo sostegno di un milione dell’8per mille e poi la colletta nazionale lo corso 18 settembre. Richiamata anche l’importanza dei piccoli centri,  “luoghi di fede e umanità”. Lo sguardo del presidente della Cei si concentra sull’Italia, paese segnato dall’aumento della disoccupazione dei giovani, dal PIL che non è cresciuto, da una maggiore distanza fra ricchi e  poveri. “La Chiesa è vicina ai lavoratori e alle loro famiglie”, dice il cardinale Bagnasco che sottolinea: sul fronte dell'occupazione la gente si aspetta impegno e dedizione più grandi da parte della politica e di ogni altro soggetto capace di creare lavoro. Espressa preoccupazione che il patrimonio di ingegno del Paese sia costretto ad emigrare. La teoria della flessibilità getta la persona in un clima fluido e inaffidabile, nota. Ribadito che non può essere paragonata  alla famiglia nessun' altra forma di unione. Una parola di incoraggiamento viene poi rivolta alle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana. 

Lo Stato sia vicino alle famiglie con figli malati
L’attenzione va anche alla vita umana e  per il porporato, la recente morte di un minore avvenuta in Belgio per eutanasia, deve interrogarci seriamente su dove stiamo andando:

“Più in generale prendiamo atto che, ogni volta che si ipotizzano leggi su questi temi decisivi, subito si cerca di pilotare la sensibilità e l’opinione pubblica appellandosi a casi eccezionali di grande impatto emotivo; e si invoca la necessità di ordinare le cose, di normare le procedure. Ma tutto questo accade senza partire dal principio di base, l’inviolabilità della vita umana sempre e comunque: se cade questo principio l’individuo passerà da  soggetto da rispettare a oggetto di cui disporre”.

Il compito dello stato di diritto non è infatti quello di “stabilire la vita e la morte” ma non lasciar soli i cittadini specialmente nelle situazioni più difficili, come quelle di genitori con figli malati. A proposito del Referendum sulla Costituzione, l’invito è ad informarsi personalmente . Ribadita anche l'importanza della sfida educativa.

L’Europa non renda marginale il cristianesimo
Centrale nel discorso del porporato la pagina sull’Europa. “Oggi c’è bisogno di un di più d’Europa”, afferma. I nazionalismi non si vincono con l’omologazione forzosa né con un irenismo miope. Ma riscoprendo la propria missione in quanto si ha “un patrimonio di storia e di cultura da offrire”. Ricordato anche l’esodo di tanti disperati che bussano alle porte dell’Europa:

“L’Italia è in prima linea e, nonostante difficoltà oggettive, continua a fare tutto il possibile su questo fronte che la vede ancora troppo sola. Le comunità cristiane cercano di allargare gli spazi dell’accoglienza e soprattutto del cuore, affinché si vada oltre l’emergenza verso percorsi di integrazione per quanti – mostrando consapevolezza e impegno – desiderano rimanere”.

Quello che l’Europa dovrebbe temere è invece il cosiddetto pensiero unico, il propagandare in modo ossessivo “certi stili di vita” come la ricerca del piacere ad ogni costo, facendo scomparire “il prossimo”  e rimanere solo l’estraneo. La paura, il conflitto fra gli Stati, la destabilizzazione della famiglia: tutti fattori che favoriscono persone attente a “lucrare denaro e potere”, dice il porporato. Dopo la Brexit però si comincia a vedere qualche barlume di coscienza sul fatto che la cultura che ha costruito l’Europa dovrebbe essere il fondamento della casa europea. La parola di Gesù è stata “l’humus del continente”. Questo significa riconoscere nella persona un mondo spirituale ed etico. Questo è dunque il patrimonio su cui l’Europa deve rifondare se stessa:

“Se in nome del laicismo – che è la deformazione miope dell’autentica laicità – non si riconoscono le identità religiose con i loro riti e costumi, allora vuol dire che quel modo di pensare antireligioso è entrato nei gangli delle coscienze legislative oppure nei loro interessi. O forse significa che si è intuito che la vera religiosità costituisce un argine al potere?”

Il cristianesimo è considerato “divisivo” perché non canta nel coro prestabilito, nota il cardinale Bagnasco. Non bisogna quindi emarginarlo dalla sfera pubblica perché il cristianesimo ha “creato la civiltà europea e il suo umanesimo”. E più si studiano le origini dell’umanesimo, più si riconosce qualcosa di nettamente cristiano. A proposito dei recenti atti di terrorismo, il porporato si richiama al pensiero del Papa: tali abomini si mascherano di “una manto religioso” per accreditare “una guerra di religione” ma non bisogna cadere in questa trappola. Il terrorismo infatti si nutre del fanatismo di alcuni gruppi, di disagio sociale e del vuoto spirituale. E poi ci sono “i mercanti di armi, di petrolio, o di potere".  Quindi il cardinale Bagnasco critica la scelta del settimanale satirico francese Charlie Hebdo per le sue vignette sulle vittime del terremoto in Italia, chiedendo che la coscienza reagisca in maniera chiara ed indignata.

Gli eventi ecclesiali estivi: Gmg, canonizzazione Madre Teresa, Congresso eucaristico
Tra gli eventi ecclesiali estivi, ricordata la straordinaria Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia così come la canonizzazione di Madre Teresa, lo scorso 4 settembre, che invita a fa propria la vocazione alla carità. Quindi il XXVI Congresso eucaristico della Chiesa italiana a Genova, un evento da vivere, il cui tema è stato “Eucaristia, sorgente di missione”:

“Con le catechesi eucaristiche alla luce delle cinque vie della Evangelii Gaudium – valorizzate nel Convegno di Firenze – abbiamo approfondito come l’Eucaristia sia la vera sorgente della missionarietà e della carità evangelica: è questo fuoco che spinge a condividere la luce e il calore, perché il mondo viva nella verità e nell’amore, coscienti che certamente dobbiamo preoccuparci di essere credibili, ma innanzitutto di credere”.

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Le donne e i loro diritti tema del Religion Today Film festival

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53 proiezioni, tra lungometraggi, cortometraggi e documentari provenienti da ogni parte del mondo, che hanno come tema centrale la parità dei diritti tra uomo e donna. E’ questo il filo conduttore della 19.ma edizione del Religion Today Film Festival, che partirà a Trento dal prossimo 7 ottobre. Tema del festival, promosso in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento, “C’eravamo tanto amati. Religioni e relazioni di genere”, con un omaggio al regista Ettore Scola. Ascoltiamo la direttrice artistica del Festival Katia Malatesta al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Abbiamo scelto di confrontarci con un tema che riteniamo davvero attuale e cruciale, per raccontare i cambiamenti, i lenti movimenti che avvengono anche all’interno delle tradizioni millenarie delle grandi religioni. In questi anni, al Festival sono arrivati moltissimi film che raccontavano proprio questo fermento: da una parte, la rivendicazione di nuova voce, nuovi spazi e nuovi ruoli, nuovi modelli delle donne nelle religioni; dall’altra parte, talvolta anche la denuncia: la denuncia, per esempio, della piaga della violenza sulle donne che pure quest’anno è presentata in concorso con un bellissimo film che viene dall’Iran! Quindi l’idea è proprio che la cinematografia del mondo, anche quelle che vengono da contesti apparentemente molto tradizionali, si stanno interrogando su questo tema che riguarda le persone religiose, ma riguarda le religioni nel loro rapporto con le società civili.

D. – Cosa si racconterà attraverso questi film?

R. – Si racconteranno storie di cambiamento, anche di cambiamento impetuoso, anche in contesti inaspettati … Per esempio, un’ospite speciale del Festival sarà Ruth Colian, che è la protagonista di un documentario che racconta la sua corsa per il Parlamento israeliano in rappresentanza delle donne “haredi”, quindi le donne ultraortodosse, proprio di fronte a una società invece maschile che ha posto ogni possibile ostacolo a questa battaglia che fin dall’inizio si annunciava in salita. Ma è soltanto un esempio; ci sono storie analoghe che vengono da altri contesti e dall’altra parte ci sono storie di uomini e di donne che naturalmente interagiscono nel loro vivere quotidiano, e la loro relazione si intreccia con la relazione verticale dell’essere umano con Dio. Quindi, appunto, storie di fede, storie di uomini, storie di donne che diventa anche il titolo di una sezione che noi proponiamo tutti i giorni alle 17.30, proprio per tenere l’attenzione puntata su questo tema che crediamo dica veramente tanto di noi.

D. – Quanto è importante il cinema come veicolatore del messaggio di maggiori diritti per la donna?

R. – Io credo che veramente possa essere fondamentale. Negli anni passati abbiamo assistito a storie eclatanti: per esempio, un piccolo film-documentario realizzato con scarsissimi mezzi sulla tragedia delle giovani donne, delle ragazze marocchine costrette a sposare il loro stupratore dopo una violenza, perché era l’unico modo per difendere il loro onore e vivere una vita normale: ecco, un film come questo è arrivato nel Parlamento marocchino e ha prodotto un cambiamento di legge. Quindi, questa è evidentemente una storia che finisce bene – forse un caso abbastanza unico … Però, è vero che il cinema ha proprio questa capacità: innanzitutto di emozionarci, di farci pensare e forse anche di favorire campagne di opinione. Non è la prima volta che succede; crediamo anche che molti di questi film possano aiutarci, davvero, a fare un passo avanti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: no a Piana di Ninive area protetta per minoranze religiose

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Il Parlamento iracheno ha votato ieri, una mozione per chiudere le porte a ogni ipotesi di modifica dei confini e dello status giuridico della Provincia settentrionale di Ninive. La mozione, presentata dal parlamentare sunnita Ahmed Jarba, ha ottenuto ampio favore da parte dell'Assemblea parlamentare, raccogliendo l'appoggio delle forze sciite e di molti parlamentari sunniti. Il popolo iracheno - ha dichiarato Jarba dopo il voto - respinge ogni ipotesi preventiva di ripartizione e riconfigurazione giuridica della Piana di Ninive. 

La modifica dei confini avrebbe violato la costituzione irachena
Secondo i sostenitori della mozione, ogni modifica dei confini e dell'attuale status amministrativo e giuridico della provincia al momento presente rappresenterebbe una violazione della Costituzione irachena. A loro giudizio – riportano fonti locali consultate dall'agenzia Fides - le questioni riguardanti il futuro assetto istituzionale dell'area saranno trattate solo se e quando sarà realizzata la piena liberazione di quelle terre dal dominio dei jihadisti dell'autoproclamato Stato Islamico (Daesh). E in ogni caso, i progetti di riconfigurare l'area su base etnica o settaria rappresentano altrettanti tentativi – promossi da forze esterne - per condizionare i futuri scenari politici della regione “con il pretesto di soccorrere le minoranze religiose”:

L'area di Ninive avrebbe dato maggiore protezione alle minoranze etniche e religiose
Il pronunciamento del Parlamento iracheno rappresenta un intenzionale altolà rispetto a tutte le ipotesi – coltivate sia dentro che fuori dall'Iraq – di suddividere la provincia di Ninive e ricavare delle “aree protette” da riservare a gruppi minoritari etnici e religiosi, dotate di ampia autonomia politica e amministrativa. Negli ultimi tempi, campagne e iniziative politiche lanciate soprattutto negli Usa avevano riproposto i progetti – periodicamente riaffioranti – di trasformare la Piana di Ninive in un'area autonoma, riservata alle popolazioni cristiane caldee, sire e assire. 

Gli Usa favorevoli al riconoscimento della Provincia
Il 9 settembre scorso, dodici membri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti – 9 eletti nel Partito Repubblicano e 3 eletti nel Partito Democratico – avevano anche presentato al Comitato per gli Affari esteri della Camera una Risoluzione per chiedere che il Congresso Usa e la comunità internazionale promuovano presso il governo iracheno il riconoscimento di una Provincia corrispondente alla Piana di Ninive e organizzata secondo criteri giuridici in linea con “l'auto-determinazione da parte delle popolazioni indigene”.

La risoluzione avrebbe applicato la definizione di “genocidio” per cristiani e minoranze
La risoluzione, presentata dal repubblicano Jeff Fortenberry a nome dei suoi colleghi, argomentava la richiesta con una lista di 16 considerazioni, molte delle quali facevano riferimento alle campagne realizzate nei mesi scorsi per spingere il governo Usa e altre istanze politiche occidentali ad applicare la definizione di “genocidio” alle varie forme di brutalità e oppressione consumate dai militanti dell'autoproclamato Califfato Islamico (Daesh) sui cristiani e su altri gruppi minoritari. (G.V.)

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Vescovi Messico: chiarezza sui tre sacerdoti assassinati

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La Conferenza episcopale del Messico (Cem) interviene con un comunicato sull’uccisione di padre José Alfredo López Guillen, il sacerdote della diocesi di Morelia, rapito pochi giorni prima. La nota, firmata dal presidente della Cem card. José Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara, e dal segretario generale, mons. Alfonso Gerardo Miranda Guardiola, vescovo ausiliare di Monterrey - riferisce l'agenzia Sir - prende avvio nel ricordare le parole pronunciate all’Angelus di domenica da Papa Francesco. Nell’occasione il Santo Padre aveva pregato infatti per il popolo messicano e perché cessasse la violenza verso sacerdoti, riferendosi in particolare ai due preti assassinati nello stato di Veracruz la scorsa settimana.

Vescovi chiedono giustizia verso i responsabili di questi crimini gravissimi
Il comunicato prosegue con una preghiera per padre López; viene espressa solidarietà all’arcidiocesi di Morelia, all’arcivescovo, il card. Alberto Suárez Inda, a tutto il presbiterio e alla parrocchia della Santissima Trinità. Continuano i vescovi: “Sono tre i sacerdoti assassinati in una settimana. Fin dal primo momento i vescovi interessati sono entrati in contatto e stanno collaborando con le autorità competenti; tuttavia, chiediamo con rispetto ma con urgenza a chi ha il dovere di farlo che sia fatta chiarezza su quanto accaduto in entrambi i casi (Veracruz e Morelia) e che venga applicata la giustizia verso i responsabili di questi crimini gravissimi". 

Non si manchi di rispetto al nome di alcun sacerdote e di alcuna persona
"Con la stessa forza pretendiamo che non si manchi di rispetto al nome di alcun sacerdote e di alcuna persona, soprattutto finché sono in corso le indagini”. In questo caso, le parole dei vescovi si riferiscono ad alcuni articoli nei quali era stato dato spazio a voci senza fondamento relative a padre López; tali articoli riportavano che il sacerdote sarebbe stato visto in hotel con un giovane, quando con ogni probabilità era invece già deceduto. Conclude il comunicato: “Ci impegniamo anche, assieme a tutto il popolo di Dio, a proseguire nell’impegno con tutte le forze perché mai più alcun cittadino venga coinvolto in tali atti violenti che accadono in molti luoghi del nostro Paese”. (R.P.)

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Laos: ordinati tre nuovi preti, passo storico per la Chiesa

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"Prima di tutto ringraziamo il Signore per il suo dono immenso: siamo molto felici per tre nuovi sacerdoti che potranno lavorare a tempo pieno nella piccola Chiesa cattolica del Laos. Tutti e tre si dedicheranno, in particolare, al lavoro pastorale nel vicariato di Luang Prabang: per me saranno un valido aiuto": Così mons. Tito Banchong Thopanhong, amministratore apostolico di Luang Prabang, comunica all'agenzia Fides la sua gioia per l’avvenuta ordinazione di tre nuovi sacerdoti laotiani. Si tratta di don Paolo Lattana Sunthon, don Agostino Saegna Sii Bunti, don Michele Kanthak Vilae Luong Di, tutti appartenenti al vicariato apostolico di Luang Prabang, ordinati in una solenne celebrazione tenutasi il 16 settembre scorso a Savannakhet, dove ha sede il Seminario maggiore interdiocesano che cura la formazione dei seminaristi laotiani.

Presenti vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli dei Paesi della regione
Alla Messa di ordinazione, presieduta da mons. Prida Inthirath, vicario apostolico di Savannakhet, del vicariato ospitante, erano presenti gli altri due vescovi laotiani (giunti dai vicariati apostolici di Vientiane e Paksè, oltre all'amministratore apostolico di Luang Prabang), nonchè altri due vescovi (uno dalla Thailandia e uno dalla Francia), 54 preti provenienti da Laos, Vietnam, Thailandia, numerose religiose e oltre mille fedeli cattolici, giunti da tutto il Paese.

Presenti anche le autorità civili 
Mons. Tito Banchong racconta a Fides: "E' stato un momento di intensa preghiera e di grande speranza per noi. Un momento storico, in cui abbiamo ricevuto un'effusione speciale della grazia di Dio. Tutto si è svolto nel migliore dei modi, in un clima di grande serenità. Erano presenti anche le autorità civili dal municipio di Savannakhet. Tutti abbiamo gioito nel profondo e festeggiato per questo evento".

Le ordinazioni sacerdotali negli ultimi 10 anni
Nel 2005 a Vientiane, trent'anni dopo l'ultima ordinazione del 1975, era stato ordinato prete Sophone Vilavongsy, laotiano e missionario degli Oblati di Maria Immacolata. Nel dicembre 2006 divennereo preti Pierre Wilaiphorn Phonasa e Luca Sukpaphorn Duangchansai. Nel 2009 a Savannakhet è stata la volta di padre Matthieu Somdet Kaluan. Nel 2011 un altro nuovo sacerdote è stato don Pierre Buntha Silaphet.

In Laos i cristiani sono l'1% della popolazione; i cattolici 45mila
​Su circa 6 milioni di abitanti, in maggioranza buddisti, i cristiani in Laos sono circa l’1% tra i quali circa 45mila cattolici. Oltre ai tre vicari apostolici, i preti diocesani presenti nel Paese, con i tre nuovi ordinati, salgono ora a 20, mentre 11 sono i sacerdoti religiosi. La Chiesa in Laos ora si prepara alla celebrazione di beatificazione di 17 martiri laotiani, in programma a Vientiane l'11 dicembre. Nel 2015 la Santa Sede ha infatti riconosciuto il martirio di padre Mario Borzaga, giovane missionario degli Oblati di Maria Immacolata, e del catechista laotiano Paul. Successivamente ha avuto buon esito anche una seconda causa di beatificazione che riguarda altri 15 martiri, tra missionari e laici laotiani. (P.A.)

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Zambia. Cattolici e protestanti: no a creazione Ministero affari religiosi

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Cattolici e protestanti dello Zambia sono uniti nell’opporsi alla creazione di un nuovo Ministero per gli Affari Religiosi. “Di fronte alle diverse sfide finanziarie ed economiche che il nostro Paese sta affrontando, consideriamo che la creazione di tale ministero non é né una priorità urgente né una decisione prudente. Dopo tutto pensiamo che gli zambiani desiderino che il loro Paese sia una democrazia e non una teocrazia” afferma un comunicato congiunto della Conferenza episcopale dello Zambia e del Council of Churches in Zambia, l’organismo che raggruppa le principali comunità protestanti del Paese.

Cattolici e protestanti hanno contribuito allo sviluppo nazionale senza avere un Ministero
“Pensiamo che, come Chiese e comunità di fede, finora siamo stati capaci di esercitare il mandato datoci da Dio e di contribuire significativamente allo sviluppo nazionale senza avere questo ministero. Quindi, il Consiglio delle Chiese dello Zambia e la Conferenza episcopale dello Zambia si oppongono alla creazione del citato ministero” conclude il comunicato ripreso dall'agenzia Fides.

Il governo vuole regolare le attività delle tante Chiese che sorgono nel Paese
Il partito del Presidente Edgar Chagwa Lungu, il Patriotic Front (Pf), che ha promosso l’iniziativa, afferma che la creazione del nuovo ministero contribuirà a regolare le attività delle Chiese principali del Paese e soprattutto le diverse “Chiese” che sono sorte come funghi e che prendono di mira le persone più vulnerabili.

Favorevoli le Chiese pentecostali
​Il Presidente ha nominato il reverendo Godfridah Sumaili, un Pastore pentecostale, a capo del nuovo Ministero. Il Parlamento deve però ancora ratificare sia la sua nomina che la creazione del Ministero stesso. L’Evangelical Fellowship of Zambia, che raggruppa le Chiese pentecostali, ha lodato l’iniziativa del Presidente Lungu perché “promuove i valori cristiani e attribuisce un significato maggiore alla dichiarazione che lo Zambia è una nazione cristiana”. (L.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 271

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.