Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 01/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a sacerdoti: fuggite carrierismo, vera peste della Chiesa

◊  

Un discorso forte quello rivolto da Papa Francesco alla comunità del Pontificio Collegio Spagnolo San José di Roma, in occasione dei 125 anni di fondazione. Il diavolo - ha detto il Pontefice - entra sempre dalle tasche e il carrierismo è la vera peste della Chiesa. Il servizio di Francesca Sabatinelli

"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza". Le parole di Gesù allo scriba sono la risposta alla domanda che chi affronta la formazione rivolge al Signore: "Qual è la tua volontà? Cosa vuoi da me?". Francesco accoglie così  la comunità del Collegio San José, declinando il significato del Vangelo di Marco.

"Amar de todo corazón, significa hacerlo sin reservas..."
"Amare con tutto il tuo cuore significa farlo senza riserve e senza ambiguità – spiega il Papa – senza falsi interessi, senza cercare il successo personale o la carriera. La carità pastorale presuppone di entrare in contatto con l’altro, comprendendolo, accettandolo e perdonandolo di cuore"; da soli però, è l’avvertimento, "non si può crescere in questa carità. Per questo il Signore ci ha chiamati ad essere una comunità, affinché questa carità possa unire tutti i sacerdoti con uno speciale vincolo nel ministero e nella fraternità. Per questo c’è bisogno dell'aiuto dello Spirito Santo, ma anche del combattimento spirituale personale". "Questo - afferma - non è passato di moda, continua ad essere attuale, come nei primi tempi della Chiesa". La sfida continua è "superare l’individualismo e vivere la diversità come un dono, alla ricerca dell’unità del presbiterio, che è segno della presenza di Dio nella vita della comunità.

"Presbiterio que no mantiene la unidad..."
Il presbiterio che non mantiene l’unità, di fatto caccia Dio dalla sua testimonianza. Non è testimone della presenza di Dio. Lo caccia via".

Amare con tutta la tua anima - spiega ancora Francesco - significa "essere disposti a offrire la vita. Questa attitudine deve persistere nel tempo e abbracciare tutto il nostro essere". Ecco perché "la formazione di un sacerdote non può essere unicamente accademica, per quanto importante e necessaria", ma deve invece essere un processo integrale, che comprenda tutti gli aspetti della vita. La formazione deve servire per crescere e allo stesso tempo per avvicinarsi a Dio e ai fratelli. Per favore, chiede il Papa, non accontentatevi di conseguire un titolo, ma siate discepoli a tempo pieno". Solo così si potranno formare altre persone a quel "discernimento che porta alla Resurrezione e alla Vita" e che permette di "dare una risposta consapevole e generosa a Dio e ai fratelli".

"De ahí nacen todas las ideologías que apestan a la Iglesia..."
Dall’accademismo clericale "nascono tutte le ideologie che appestano la Chiesa, di un segno o di un altro". Sono dunque quattro - osserva - le basi della formazione: accademica, spirituale, comunitaria e apostolica. "Tutte e quattro devono interagire, se ne manca una la formazione inizia a zoppicare e il prete finisce paralitico".

Infine, la terza risposta di Gesù: amare con tutta la tua forza, che "ci ricorda che dove è il nostro tesoro là è il nostro cuore, e che è nelle nostre piccole cose, nelle nostre certezze e nei nostri affetti che noi siamo in grado di dire sì al Signore o allontanarci come il giovane ricco". "Non ci si può accontentare di una vita ordinata e confortevole, che permette di vivere senza preoccupazioni, senza sentire l’esigenza di coltivare uno spirito di povertà radicato nel cuore di Cristo che da ricco si è fatto povero per amore nostro". Ci viene chiesto - prosegue Francesco - di "acquisire l’autentica libertà di figli di Dio in una corretta relazione con il mondo e con i beni terreni, secondo l’esempio delgi Apostoli, invitati da Gesù a confidare nella Provvidenza e a seguirlo senza pesi né legami". Il Papa lancia infine delle forti esortazioni:

"No se olviden de esto: el diablo siempre entra por el bolsillo, siempre..."
"Non dimenticate questo: il diavolo entra sempre dalla tasca". "E’ bene imparare a rendere grazie per quello che abbiamo, conclude il Papa, rinunciando generosamente e volontariamente al superfluo, per essere più vicini ai poveri e ai deboli". E poi, un appello:

"Y, por favor, y esto como hermano, como padre, como amigo..."
"E per favore, e questo da fratello, da padre, da amico, fuggite dal carrierismo ecclesiatico: è una peste!".

inizio pagina

Papa affida competenze sui Santuari a Dicastero Nuova Evangelizzazione

◊  

Sarà il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione e non più la Congregazione per il Clero ad avere competenza sullo sviluppo della pastorale riguardante i Santuari della Chiesa, compresa la loro tutela e la valorizzazione. Lo ha deciso Papa Francesco nella Lettera in forma di Motu Proprio intitolata “Sanctuarium in Ecclesia”, nella quale riconosce a questi luoghi specifici di culto un carattere “insostituibile per l’evangelizzazione del nostro tempo”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Lourdes, Fatima, Guadalupe per citare i più antichi e celebri Santuari della devozione mariana. O i siti della Terra Santa, dove la storia e l’essenza della fede si toccano con mano. Nella sua Lettera, Papa Francesco trova innumerevoli espressioni per dimostrare come ogni Santuario sia un “genuino luogo di evangelizzazione”.

I luoghi della fede semplice
“I Santuari – scrive – permangono fino ai nostri giorni in ogni parte del mondo come segno peculiare della fede semplice e umile dei credenti” nei quali sperimentare “in modo profondo la vicinanza di Dio, la tenerezza della Vergine Maria e la compagnia dei Santi”. Un’esperienza “di vera spiritualità – afferma il Papa – che non può essere svalutata, pena il mortificare l’azione dello Spirito Santo e la vita di grazia”.

Spazi di contemplazione
Questi luoghi, che hanno perfino “plasmato l’identità di intere generazioni”, “nella vita spesso frenetica dei nostri giorni” – e “nonostante la crisi di fede che investe il mondo contemporaneo” – vengono “ancora percepiti – osserva – come spazi sacri verso cui andare pellegrini per trovare un momento di sosta, di silenzio e di contemplazione”.

“Osmosi” Santuario-pellegrinaggio
Alla vita spirituale alimentata dalla frequentazione di un Santuario è poi generalmente connessa l’esperienza del pellegrinaggio. “Il grande afflusso di pellegrini, la preghiera umile e semplice del popolo di Dio alternata alle celebrazioni liturgiche, il compiersi di tante grazie che molti credenti attestano di aver ricevuto e la bellezza naturale di questi luoghi permettono – dice Francesco – di verificare come i Santuari, nella varietà delle loro forme, esprimono un’opportunità insostituibile per l’evangelizzazione nel nostro tempo”.

Pedagogia dell’evangelizzazione
Proprio “questa osmosi tra il pellegrinaggio al Santuario e la vita di tutti i giorni – sostiene il Papa – è un valido aiuto  per la pastorale, perché le consente di ravvivare l’impegno di evangelizzazione mediante una testimonianza più convinta”. Allo stesso modo, la vita sacramentale e liturgica, “la testimonianza della carità” in particolare a poveri, disabili, rifugiati e migranti, “l’impegno catechetico” trovano nel Santuario, ribadisce ancora il Papa, luoghi in cui essere condotti attraverso la “pedagogia dell’evangelizzazione”.

Sette punti per un rilancio
Per questi motivi, Francesco stabilisce nella “Sanctuarium in Ecclesia” – firmata l’11 febbraio scorso – che d’ora in poi il dicastero della Nuova Evangelizzazione dovrà occuparsi di una serie di questioni riassunte in sette punti: la creazione di Santuari internazionali e l’approvazione dei rispettivi statuti, lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano il ruolo evangelizzatore dei Santuari e la coltivazione in essi della religiosità popolare, la promozione di una pastorale organica dei Santuari come “centri propulsori della nuova evangelizzazione”, la promozione di incontri nazionali e internazionali mirati al “rinnovamento della pastorale della pietà popolare e del pellegrinaggio verso luoghi di devozione”, la promozione della “specifica formazione degli operatori dei Santuari e dei luoghi di pietà e devozione”, la “vigilanza” perché ai pellegrini sia offerta “una coerente e sostenuta assistenza spirituale ed ecclesiale” e infine la “valorizzazione culturale e artistica dei Santuari secondo la via pulchritudinis quale modalità peculiare dell’evangelizzazione della Chiesa”.

inizio pagina

Papa a Pontificia Università Cattolica Perù: camminare insieme e uniti

◊  

Camminare “insieme e uniti”, per essere scuola di umanità e centro di evangelizzazione. Così il Papa nella lettera al cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica e gran cancelliere della Pontificia Università Cattolica del Perù, rivolgendosi a docenti, studenti e laureati dell’istituzione latinoamericana nata un secolo fa. Il servizio di Giada Aquilino

Essere evangelizzati per evangelizzare. Questo uno degli “scopi essenziali” delle istituzioni cattoliche universitarie nelle parole del Papa. Della Pontificia Università Cattolica del Perù, in occasione del centenario dell’ateneo, fondato nel 1917 ed eretto poi canonicamente nel 1942, Francesco sottolinea subito gli anni di servizio dedicati alla Chiesa e alla società “dell’amato Paese” sudamericano.

Negli anni scorsi, l’istituzione era stata privata, con decreto della Santa Sede del 2012, del diritto all’uso nella propria denominazione dei titoli di ‘Pontificia’ e ‘Cattolica’ per aver “più volte modificato unilateralmente - si leggeva nel documento - gli Statuti con grave pregiudizio dell’interesse della Chiesa” e per non averli successivamente adeguati; all’inizio di quest’anno poi la notizia dell’approvazione di un nuovo statuto da parte della Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Il Papa, nella lettera, sottolinea “prima di tutto” il carattere di “comunità” di tale realtà universitaria, fatta di docenti, studenti e laureati, che si riconoscono “membri di una stessa famiglia”, condividendo una “storia comune” fondata su “medesimi principi” che l’hanno originata e la governano: la comunità infatti, scrive il Pontefice, si forma e si consolida quando si cammina “insieme e uniti”, valorizzando l’eredità ricevuta che va custodita anche per le nuove generazioni. È innegabile, osserva Francesco, che i fondatori del centro educativo peruviano abbiano lanciato una proposta coraggiosa al servizio della società e della Chiesa locali: una chiamata all’apertura verso altre culture e realtà, perché - in sintesi - se ci si chiude in se stessi si è destinati al “fallimento”.

Solo guardando all’esempio di Gesù, buon maestro, possiamo capire che per insegnare si debba “prima” imparare, essere discepoli. L’insegnamento e l’apprendimento, prosegue la missiva, sono processi lenti e scrupolosi che necessitano “attenzione e amore costante” perché si sta “collaborando col Creatore a plasmare l’opera delle sue mani”. In tale compito, ognuno porta la competenza del proprio sapere e la specificità della propria vocazione e vita, in modo che questo centro di studi brilli non solo nella sua “eccellenza accademica” ma anche come “scuola di umanità”.

D’altra parte, aggiunge Francesco, “siamo discepoli missionari” impegnati a trasformare il mondo in un “Vangelo vivente”. Ecco perché questa istituzione, “con tutti i suoi membri”, sottolinea il Papa, è chiamata ad affrontare la “sfida” di andare incontro all’uomo e alla donna di oggi con una parola “autentica e sicura”, cercando la verità “con rigore”, trasmettendola adeguatamente e collaborando così “alla promozione della persona umana e alla costruzione della società”. L’ateneo, “che in conformità con la sua origine, storia e missione ha un vincolo speciale con il Successore di Pietro” e con la Chiesa universale, avrà raggiunto i suoi obiettivi portando al tessuto sociale le doti di “professionalità e umanità”, proprie del cristiano che ha saputo trovare una giusta sintesi tra fede e ragione.

inizio pagina

Altre udienze e nomine

◊  

Per le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

inizio pagina

Il Papa al Centro Sant'Alessio-Margherita di Savoia per i ciechi

◊  

Una visita a sorpresa nel segno della continuità con i “Venerdì della misericordia”. E’ stata quella di ieri pomeriggio di Papa Francesco al Centro Regionale Sant'Alessio–Margherita di Savoia per i ciechi in Roma. Il Papa ha incontrato i residenti fissi della struttura, oltre trenta anziani e adulti, e tutti gli altri ospiti giornalieri, tra loro decine di bambini. Tutte persone – spiega un comunicato della Sala Stampa – con una disabilità sensoriale legata all’uso della vista, non vedenti dalla nascita o a seguito di gravi patologie e alcuni con pluridisabilità. Il Papa al Sant'Alessio è stato accolto dal presidente del Centro, Amedeo Piva, intervistato da Francesca Sabatinelli

R. – Una sorpresa senz’altro. Sapevamo che aveva intenzione di venirci a trovare, però noi responsabili l’abbiamo saputo l’altro ieri quindi la sorpresa è stata forte! Per noi, per tutti, è stato veramente toccante perché il Papa non ha parlato, ha comunicato, ha comunicato in una maniera molto ma molto più profonda. Un po’ avevamo avvisato i nostri ragazzi che c’era un ospite illustre, di venire a un incontro importante… E poi si sono trovati di fronte il Papa, che ha salutato uno per uno, ha abbracciato, ha sentito proprio il calore di tutte queste persone che erano presenti. Noi qui abbiamo 36 ospiti di una certa età che sono in riabilitazione, però poi abbiamo ogni giorno un’ottantina di persone, di ragazzi, di bambini che vengono qui per terapie riabilitative, tutti ciechi, una buona parte pluridisabili. Oggi erano accorsi tutti a questa misteriosa riunione che il direttore ha voluto comunicare loro l’altro ieri e sono venuti e sono stati abbracciati dal Papa, uno per uno.

D. - Come ha manifestato la sua presenza e la sua vicinanza Francesco?

R. – E’ stato in tre sale diverse. Prima nella sala con tutti i ragazzi, poi è passato al primo piano dove c’è la residenzialità degli anziani e alla fine nella sala più grande, dove ha abbracciato tutti quelli che non aveva incontrato prima. Ha detto pochissime parole però, uno per uno, ha risposto alle domande dei bambini, che non lo vedevano ma sentendo il calore dicevano: “Sei proprio il Papa?” – “Sì, sono il Papa!”. E’ stato veramente commovente e toccante. Qualcuno gli ha chiesto se ad esempio la coroncina che gli aveva regalato poteva utilizzarla come collana… Quindi siamo a un discorso molto famigliare, molto affettuoso.

D. – Con gli adulti?

R. – Be’ con gli adulti, lì c’è anche specialmente qualcuno che magari è diventato cieco da poco, c’era tutta la sofferenza e quindi l’affidarsi a una speranza di serenità che il Papa con la sua presenza ha portato.

D. – Ci sarà stato anche per voi che lavorate in una struttura così importante un forte incoraggiamento?

R. – Assolutamente. Poi il fatto che sia venuto il Papa qui da noi ci ha fatto ricevere centinaia e centinaia di ringraziamenti a me e al direttore generale quasi fosse un nostro merito. Però per la nostra istituzione - che sta procedendo in un cammino molto faticoso per cercare di riorganizzarsi in questo momento, per aumentare i servizi - questa visita del Papa ha permesso anche un grande consolidamento e un rapporto diretto affettivo e determinato anche nel continuare ad andare avanti e nella stima di tutti i nostri collaboratori. Quindi immensamente positivo!

R. – Il Papa vi ha lasciato un dono...

R. - Sì, ci ha lasciato una bellissima immagine della Madonna e poi con una grande attenzione ha lasciato la pergamena a ricordo della sua visita. Anzi, ce ne ha lasciate due: una scritta in braille, che è stata veramente molto apprezzata da tutti. Questa sensibilità è stata graditissima.

inizio pagina

La visita del Papa a Carpi e Mirandola: l'attesa della gente

◊  

Grande l’attesa per la visita di Papa Francesco questa domenica a Carpi e a Mirandola, due comuni dell’Emilia colpita nel 2012 dal terremoto che fece 28 morti e grandi danni ad edifici e aziende. Il Papa partirà alle 8.15 dall’eliporto vaticano e circa un’ora e mezzo dopo atterrerà al campo di rugby “Dorando Pietri” a Carpi. Il rientro nel tardo pomeriggio. Ripercorriamo i momenti salienti del viaggio pastorale di Francesco con il servizio di Debora Donnini

Sarà la rinascimentale Piazza Martiri, a Carpi, a fare da cornice alla Messa di Papa Francesco domenica mattina. A contribuire al clima di festa che già si respira, la Cattedrale restaurata dopo il terremoto ed inaugurata appena sabato scorso. Testimonianza concreta che dalle macerie si può ricostruire e che il terremoto non ha l’ultima parola. Dopo l’Angelus, la benedizione delle prime tre pietre di tre nuovi edifici nella Diocesi: la parrocchia di Sant’Agata in Carpi, la Casa di esercizi spirituali di Sant’Antonio in Novi e la “Cittadella della carità” in Carpi. Quest’ultima, ospiterà gli uffici della Caritas, ma sarà anche un aiuto per le famiglie in difficoltà, per i giovani, e soprattutto un centro di accoglienza per i padri separati con problemi economici. Intorno alle 13 il Papa pranzerà presso il Seminario vescovile con i vescovi della Regione, i sacerdoti anziani residenti nella Casa del Clero e i seminaristi. Poi l’incontro con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi. Quindi, si recherà per breve tempo nella Cattedrale prima di trasferirsi in auto a Mirandola, dove sosterà nella Piazza antistante l’ingresso del Duomo, ancora inagibile in seguito al sisma. Qui farà un discorso alle popolazioni colpite dal terremoto. In questi territori molto è stato ricostruito anche se mancano, appunto, alcuni centri storici e chiese. E l’ultimo appuntamento, prima del rientro in Vaticano, sarà proprio l'omaggio floreale al monumento che ricorda le vittime del terremoto nella zona adiacente alla parrocchia di San Giacomo Roncole di Mirandola. 

A Carpi si attendono circa 60-70mila persone. La macchina organizzativa va avanti a pieno ritmo. Forte la presenza anche dell'Unitalsi, con 3.500 partecipanti. C'è grande voglia di incontrare il Papa o mandargli il proprio saluto, testimonia don Ermanno Caccia, parroco e responsabile dell'ufficio stampa della Diocesi nell'intervista di Debora Donnini:  

R. – Abbiamo tanti ammalati in fase terminale, che anche attraverso le cappellanìe che abbiamo negli ospedali, richiedono di far arrivare il saluto al Santo Padre. Consegneremo due sacchi pieni di lettere e preghiere per Papa Francesco. Addirittura ieri abbiamo ricevuto una richiesta da parte di un paesino di montagna, dell’Appennino di Modena, che tra l’altro non è della nostra Diocesi, per portare tutta la scuola dell’infanzia a vedere Papa Francesco. Sono attestazioni della grande simpatia e del grande amore che c’è nei confronti di Papa Francesco.

D. – A Carpi che aria si respira?

R. – Di gioia e di attesa: è un cantiere. Siamo una piccola diocesi – 100mila persone – ma saremo invasi da un reggimento per noi: 400 e più gli accreditati della stampa nazionale e internazionale.

D. – Nel pomeriggio a Mirandola il Papa parlerà alle popolazioni colpite dal terremoto del 2012. Quindi vedrà anche i parenti delle vittime, tra loro anche dei musulmani: è così?

R. – Sì, c’è una famiglia musulmana di un operaio che durante l’evento sismico perse la vita. Incontrerà le famiglie dei defunti. È un messaggio che, attraverso una parola poco ricordata e tante volte nascosta che è la morte e il dolore, riesce ad unire ogni uomo, sia esso musulmano, induista o cristiano. All’interno della comunità civile, Mirandola piuttosto che Carpi, hanno grosse presenze di convivenza pachistane, indiane, che vivono e collaborano insieme.

inizio pagina

I sindaci di Carpi e Mirandola: visita Francesco, segno di speranza

◊  

La visita del Papa a Carpi cade a quasi 5 anni dal terremoto che, nel 2012, ha scosso l’Emilia provocando 28 morti, centinaia di feriti e danni di ogni tipo. Molto è stato fatto sul fronte della ricostruzione e molto si deve al forte spirito di coesione sociale dei carpigiani, come conferma il sindaco della cittadina emiliana, Alberto Bellelli, al microfono di Emanuela Campanile

R. – Quello che ha dato una mano qui, è stata la coesione sociale, è stata la volontà dei carpigiani di ripartire il prima possibile. E oggi, quando si vedono i risultati, come anche con il 25 marzo, con la riapertura della Cattedrale, questo non può essere che un segno di speranza!

D. – Per quanto riguarda Mirandola …

R. – Io posso parlarvi di tutti i comuni colpiti dell’area Nord, quindi Mirandola, Cavezzo, Concordia, San Felice, Medolla … stiamo parlando di comuni che hanno avuto un impatto ancora più grande dal sisma, anche rispetto a Carpi. A livello di numeri assoluti siamo vicini, ma parliamo di comuni di dimensioni ridotte rispetto al mio. Nei paesi più piccoli, nei centri storici, la riattivazione della rete commerciale e delle attività economiche, risulta ovviamente più complessa ma, devo dire, c’è stata una direzione presa da subito che ha fatto in modo che la ricostruzione, oggi, sia tangibile.

D. – Quindi, il sindaco di Carpi cosa si aspetta da questa visita?

R. – Io posso dirvi quello che si sente in città: c’è un grande clima di attesa, una grande gioia perché sappiamo che c’è sempre la possibilità di poter ragionare e riflettere su quanto Papa Francesco dice. Ci lascia sempre dei messaggi che penso siano importanti per una riflessione, sia da parte dei cattolici sia dei non cattolici; ci interroga sui grandi temi della globalizzazione, della globalizzazione dell’indifferenza, delle periferie… E penso che sia un incontro: per me e per la mia comunità è soprattutto questo, per misurarsi con un pensiero più alto.

Dopo aver fatto tappa a Carpi, il Papa si sposterà nel pomeriggio a Mirandola. Un comune fortemente colpito dal sisma di 5 anni fa. A testimoniare che la ricostruzione non è solo materiale ma anche morale, è il sindaco, Marino Benatti, che sentiamo nell’intervista di Emanuela Campanile

R. - Il Papa, in questi ultimi tempi, ci esorta all’accoglienza e credo che siamo assolutamente partecipi di questa sua importantissima indicazione. Noi, anche se ancora terremotati, abbiamo iniziato ad accogliere i profughi; credo che questo sia un bellissimo segno. Abbiamo bisogno di ricostruire la nostra comunità non solo perché ricostruiamo le case, le imprese e gli edifici, ma perché ridiamo valore ad alcuni concetti importanti, come l’accoglienza e la convivenza, valori per noi importantissimi. Noi che abbiamo avuto tanta solidarietà da parte di tanta gente che non conoscevamo italiana, straniera, dopo il terremoto abbiamo bisogno assolutamente di essere capaci di restituire quella solidarietà.

D. - Parlando  anche con i rappresentanti della città di Carpi emerge una forza e un’energia proprio nel sentirsi e nel volersi unire per fare fronte comune per affrontare le difficoltà. Cosa vi rende così uniti e caparbi?

R. - Io credo sia la nostra storia, i valori che questa terra ha espresso da sempre. Penso che uno dei valori, secolari ormai, è quello che questa terra ha sempre pensato di fare, di costruire assieme, cioè le due parole “costruire, fare” e “assieme” sono le identità forti della nostra terra. Ed era così già prima del terremoto, penso a tutta la cultura sociale, i servizi, la capacità di dare valore ad esempio alla scuola, alla qualità della scuola, all’idea, anche, che la comunità sia uno dei primi baluardi del vivere bene. Queste sono un po’ le cose che credo siano alla base della nostra capacità poi di recuperare dopo la drammatica situazione del 2012.

D. – Allora, come vorreste essere ricordati da Papa Francesco?

R. - Come coloro che, vivendo una drammatica situazione, con la solidarietà di tanti, hanno capito che il prima passo stava a noi. Lo abbiamo fatto. Bisogna capire che la ricostruzione - come dicevo prima - è una ricostruzione anche dei valori morali e che, proprio per questo, anche se non abbiamo finito la nostra ricostruzione, pensiamo che abbiamo il dovere di accogliere persone che purtroppo hanno vissuto drammatiche situazioni come la guerra e la fame e che quindi ci possa essere di aiuto in questo passaggio anche la presenza del Santo Padre.

inizio pagina

P. Fares: vi racconto la passione di Bergoglio per l’educazione

◊  

Dialogando con i giovani cresimandi allo Stadio San Siro di Milano e recentemente con i bambini nelle parrocchie romane è emerso, ancora una volta, come Papa Francesco abbia una grande passione per l’educazione. Un amore che viene da lontano, come sottolinea il gesuita argentino padre Diego Fares, scrittore di “Civiltà Cattolica”, che di Bergoglio fu studente quando il futuro Pontefice era provinciale dei Gesuiti in Argentina. L’intervista è di Alessandro Gisotti

R. - È vero che lui è un grande educatore, un formatore, diciamo noi. Uno che vive l’educazione come un tutto, come educazione del cuore… Ed è proprio lui a dirci che questo grande amore per l’educazione nasce dai salesiani. La sua famiglia si alimentò spiritualmente dei salesiani di San Carlos, a Buenos Aires. In una lettera del 1990 scritta al suo amico padre Cayetano Bruno, ricorda la sua vita come convittore al Collegio dei Santi Angeli, nell’anno 1949 (aveva 12 anni, ndr). “La vita di Collegio era un tutto. Ci si immergeva in una trama di vita, preparata in modo che non ci fosse tempo ozioso. Il giorno passava come una freccia senza che uno avesse il tempo di annoiarsi. Io mi sentivo sommerso in un mondo che, sebbene preparato artificialmente, con risorse pedagogiche, non aveva nulla di artificiale”. Io, adesso, rifletto su queste sue parole, questa sua memoria circa la solidità della formazione salesiana, e vedo come lui abbia dato a noi suoi studenti gesuiti degli anni 1975-1986, la stessa solidità. Anche la nostra vita nel Seminario era “un tutto”. Nella nostra formazione s’integravano la preghiera personale e comunitaria con le lezioni, il lavoro manuale nell’orto, con gli animali. Io per esempio lavoravo con le api... Con la rassegna dei libri per la nostra rivista, lo sport, con una sana concorrenza, con l’apostolato nei quartieri poveri... La cosa buona di quell’epoca è il fatto che Bergoglio aveva chiaro il suo schema formativo ma non lo impose in una sola volta, ma ci inserì in un processo nel quale noi discernevamo insieme a lui quello che andava meglio e, una volta deciso - un orario, un’attività, un lavoro - diventava legge. Ma una legge frutto dalla vita e dalla storia vissuta insieme.

D. - C’è nei suoi ricordi qualcosa che può farci capire com’era l’educatore Jorge Mario Bergoglio e cosa si è aggiunto, secondo lei, da quando è diventato Papa in questo amore per l’educazione?

R. - Com’era e cosa si è aggiunto… Parlerò di pazienza. Ricordo di aver scritto una volta nel mio quaderno spirituale: “Mi colpisce la sua assoluta mancanza d’impazienza”. Si vedeva che, essendo inquieto per natura, non agiva per impulsi ma con carità discreta, come diciamo noi. E pure in questa pazienza proverbiale è cresciuto tantissimo, al punto tale che alcuni confondono questa virtù con debolezza. Niente affatto. La sua pazienza e mansuetudine, apre e lascia spazio allo Spirito. Dico questo perché l’educazione è una lunga pazienza, quella di portare avanti processi di lunga durata, irreversibili. Guardini dice che noi “abitiamo nella pazienza di Dio Padre”. Mi piace parlare della sua capacità di discernimento. A me sempre mi ha colpito, oltre la sua bontà, il suo discernimento. Primo passo: la sua capacità di accogliere la realtà così come è. L’immagine è sempre stata quella del portiere che cerca di parare la palla dove gliela calciano. Bergoglio è uno che non ha paura dei sentimenti: sentire è reale, è buono. Va affermato: “Sento questo!". Dopo s’interpreta se qualcosa è del buono o del cattivo spirito e si giudica quello che si deve acconsentire. Lui diceva: “Una dimensione che è molto cresciuta negli anni successivi alla scuola è stata la mia capacità di sentire bene e mi sono reso conto che la base fu messa da quell’anno d’internato. Là mi educarono al sentimento come valore del cuore. Non parlo di sentimentalismo ma del sentimento come valore del cuore”.

D.- In Amoris Laetitia, Papa Francesco dedica una parte importante all’educazione dei figli. Quali sono i punti forti di questa parte dedicata ai genitori e forse un po’ trascurata dall’attenzione dei media rispetto ad altri temi di questo documento?

R. - I punti forti… A San Siro, ha consigliato di rileggere il capitolo 4 di Amoris Laetitia, sull’amore nel matrimonio. I figli ci guardano, ha detto, e percepiscono se c’è amore tra i genitori. L’amore educa bene. L’amore sempre trova il modo migliore. Per questo il consiglio ai genitori: “Abbiate cura del cuore dei vostri figli, della loro gioia, della loro speranza”. Educare il cuore lo può fare soltanto un padre, una madre. Il cuore sempre ha l’ultima parola. Nel capitolo 7 di Amoris Laetitia, il Papa incoraggia i genitori a educare i figli in questa maturazione affettiva, che si fa carico dei desideri profondi del cuore. Dietro i criteri pedagogici di Amoris laetitia ci sono un “sì” e un “no” radicali. Il “sì” è il sì forte alla gioia dell’amore. La gioia allarga il cuore della famiglia. Qual è la caratteristica di questo “sì”? Ai principi positivi appartiene la gradualità: si può sempre crescere e maturare nel bene. Il “no”, invece, è l’orizzonte come limite. Limite di fronte al peccato che porta alla morte. Ma il “no” è al servizio del “sì”. La vita dei figli non matura a forza di “no” moltiplicati, bensì tramite la gradualità di molti “sì”. Il Papa modera l’uso dei “no”. Non fare il male! Questo è chiaro. La verità non si negozia. Ma, come si fa a casa, subito viene il perdono e la misericordia, la nuova opportunità: non condannare, non giudicare. Questa è la pedagogia della misericordia, che non maltratta i limiti dei figli, anzi tratta i limiti con infinito amore e pazienza, difendendo il grano invece di voler strappare a tutti costi la zizzania.

inizio pagina

Mons. Auza: eliminare armi nucleari, pace e sicurezza per lo sviluppo

◊  

Il nostro lavoro - come ha scritto Papa Francesco nel suo messaggio a questa Conferenza - è un “esercizio di speranza” e anche “un passo decisivo nel cammino verso un mondo senza armi nucleari”. E’ quanto ha affermato mons. Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, intervenendo in questi giorni a New York alla Conferenza dell’Onu, finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari che conduca alla loro totale eliminazione. Per definire un tale strumento - ha detto il presule - la delegazione della Santa Sede sottolinea l’importanza di 7 priorità.

Superare la logica della deterrenza
In primo luogo - ha spiegato mons. Auza - la minaccia della distruzione reciproca attraverso le armi nucleari non può essere la base per un'etica della fraternità e della convivenza pacifica tra gli Stati.

Il dialogo è una delle strade verso la pace
Il secondo aspetto riguarda le vie fondamentali per promuovere la pace: tra queste ci sono l’incontro, il dialogo e il rafforzamento della fiducia.

Distruggere le armi atomiche
In terzo luogo – ha ricordato mons. Auza – ogni Stato deve impegnarsi a fare tutto il possibile per eliminare le armi nucleari e per distruggere quelle stoccate.

Servono condanne inequivocabili
Una quarta cruciale questione è legata alle sofferenze inflitte a quanti sopravvivono alle armi nucleari. Si tratta – ha sottolineato il presule – di una violazione del diritto internazionale da condannare in modo inequivocabile.

Gli Stati si impegnino in attività di bonifica
In quinto luogo, gli Stati devono assumersi le loro responsabilità per l'assistenza alle vittime e per le attività di bonifica ambientale nelle aree contaminate in seguito a test e ad incidenti nucleari.

Educare ogni generazione alla pace
La sesta questione concerne l'obbligo di perseguire iniziative volte a sensibilizzare l'opinione pubblica. Mons. Auza ha sottolineato che si deve educare ogni generazione alla pace. Un obiettivo, questo, che non può essere raggiunto esclusivamente con mezzi militari. E, soprattutto, non si può conseguire tramite il possesso di ordigni nucleari e di altre armi di distruzione di massa.

Si investa nello sviluppo umano integrale
Il settimo aspetto riguarda il modo migliore – ha detto il presule – per garantire pace e sicurezza nello scenario internazionale: investire nello sviluppo umano integrale. Questa conferenza - ha concluso l’osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite - è un atto di sfida contro la logica della paura. (A cura di Amedeo Lomonaco)

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Vescovi Venezuela: c'è rischio dittatura, non si può restare passivi

◊  

In Venezuela cresce la tensione: la guardia nazionale ha disperso alcune manifestazioni di protesta dopo che la Corte suprema ha esautorato il parlamento dando pieni poteri al presidente Maduro. Ma il capo di Stato assicura che l’assemblea nazionale verrà ripristinata. I vescovi denunciano il rischio dittatura. Il servizio di Sergio Centofanti

Il presidente Maduro si difende dicendo che non c’entra nulla con la decisione della Corte suprema e che risolverà presto la situazione: il parlamento – controllato dall’opposizione - sarà reintegrato. Oggi comunque sono attese nuove manifestazioni.

I vescovi venezuelani hanno pubblicato una nota in cui definiscono “moralmente inaccettabile” la soppressione dell’Assemblea nazionale: “Una nazione senza Parlamento – affermano – è come un corpo senz’anima”. Si apre la porta alla dittatura, all’arbitrio, alla corruzione, alla persecuzione. E a pagare saranno sempre i più deboli. Nel Paese – sostengono i vescovi – è in atto una lotta per il potere mentre scarseggiano cibo e medicine e aumentano odio e violenza. “Non si può rimanere passivi”, è l’appello dei vescovi, “dobbiamo difendere i nostri diritti e quelli degli altri” anche ricorrendo alla “disobbedienza civile” e alle “manifestazioni pacifiche”. Occorrono “gesti coraggiosi” – conclude la nota – per “costruire una convivenza libera, giusta e fraterna”.

inizio pagina

Paraguay: assalto al Parlamento. Appello dei vescovi alla calma

◊  

Più di un migliaio di cittadini sono scesi a manifestare questa notte davanti alla sede del Congresso nella capitale, Asunción, contro quello che hanno definito "colpo di Stato parlamentare", cioè la riforma costituzionale che apre la strada alla rielezione dell’attuale Presidente Horactio Cartes. I manifestanti hanno abbattuto le barriere metalliche poste dalla polizia a protezione dell'edificio, hanno fatto irruzione all'interno della sede del Congresso e hanno appiccato il fuoco ad una parte del palazzo. Proprio prevedendo reazioni di questo tipo, i vescovi avevano scritto: "Riteniamo prudente non insistere sull’introduzione della rielezione presidenziale attraverso la via dell’emendamento costituzionale, perché produce inutile tensione e polarizzazione sociale, che, se non gestita correttamente, potrebbe diventare violenza con imprevedibili conseguenze". 

Violenze davanti alla sede del Congresso
Secondo le ultime notizie, il bilancio dell’assalto al Congresso è di un morto e di decine di feriti, fra esponenti politici, manifestanti e agenti di polizia. Il ministro degli Interni, Miguel Tadeo Rojas, ha detto che le forze di sicurezza sono state costrette a reagire, con gli idranti e i proiettili di gomma, per disperdere la folla. La Conferenza episcopale del Paraguay ha pubblicato un comunicato urgente, pervenuto a Fides, invitando alla calma e alla pace: "Chiediamo a tutti, autorità e popolo, di non fare uso della violenza, le manifestazioni non diventino campi di battaglia!".

Percorrere la via del dialogo per mantenere il Paese unito
Poi, rivolgendosi ai politici, chiedono loro “di riguadagnarsi la fiducia sociale con gesti concreti". Il testo si conclude con l'appello al dialogo tra tutte le parti, per mantenere unito il paese. La Costituzione varata in Paraguay nel 1992 dopo 35 anni di dittatura, limita il mandato del Presidente a un unico mandato di cinque anni. Ma Cartes, il cui mandato termina il prossimo anno, sta cercando di rimuovere tale vincolo con un emendamento che autorizzi un secondo mandato. 

inizio pagina

Trump firma due decreti a protezione del commercio Usa

◊  

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato due decreti contro i presunti “abusi” commerciali e il dumping, ovvero l'esportazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno. Per la Casa Bianca, i due provvedimenti pongono le basi per rivitalizzare l'industria manifatturiera Usa. Il servizio di Elvira Ragosta

Due ordini esecutivi per combattere quello che il presidente Trump definisce un deficit commerciale insostenibile e che costa agli Stati Uniti 500 miliardi di dollari. Il primo decreto prevede che il Dipartimento del Commercio prepari entro 90 giorni un rapporto dettagliato per indagare sulle cause del deficit statunitense con tutti i principali partner commerciali. Il secondo provvedimento punta a rafforzare l'autorità delle agenzie americane per contrastare il dumping praticato da società o Stati esteri. "Il mio messaggio è chiaro - ha detto il presidente Trump - da oggi in poi chi viola le regole deve sapere che ne subirà le conseguenze”. Sui possibili effetti di queste disposizioni risponde Mattia Diletti, esperto di politica americana e docente di Scienza Politica all’Università La Sapienza di Roma:

R. - Per adesso siamo veramente in una fase esplorativa ma l’indicazione è piuttosto chiara: tornare ad un sistema in cui gli Stati Uniti siano in grado di proteggere alcuni settori industriali e siano in grado anche politicamente di rispondere a una delle promesse che il presidente Trump ha fatto in campagna elettorale, cioè quella di aggredire la Cina sul piano commerciale, ma in realtà sta aggredendo anche l’Europa. E’ chiaro che la competizione è aperta soprattutto con la Cina. E’ una tendenza piuttosto marcata, ma dobbiamo vedere in realtà quanto ci sia, in questa minaccia, un modo aggressivo di cercare poi di fatto un accordo commerciale e politico. Vedremo solamente tra 90 giorni esattamente a che punto siamo arrivati.

D . – A proposito della Cina un deficit commerciale, quello degli Stati Uniti, che Trump quantifica in 500 miliardi di dollari di cui 340 circa con la Cina e punta il dito contro le politiche di libero scambio dei suoi predecessori. Oltre alla Cina quali sono gli altri partner?

R. – Rientrano in un discorso di ricostruzione della partnership anche beni e prodotti che arrivano dall’Europa. Una delle questioni in ballo, per esempio, è la questione dell’acciaio che riguarda tanto la Cina che il manifatturiero tedesco. Noi dobbiamo abituarci al fatto che ormai con gli Stati Uniti su molti accordi si dovranno rivedere diverse questioni sfruttandole separatamente. Siamo fuori per una gestione di quadro condiviso e coordinato. Vediamo cosa accadrà effettivamente nei prossimi 90, 100 giorni. Certo, gli europei si devono attrezzare, come gli altri Paesi, pensare all’America come un Paese diverso rispetto a quello che era prima. Poi, vedremo cosa succederà anche agli Stati Uniti perché negli Stati Uniti ci sono ovviamente delle forze che si oppongono a questa svolta. E chiaramente è anche una competizione interna a certi settori produttivi e manifatturieri del Paese. Quindi, adesso ci saranno delle reazioni anche lì, anche le camere di commercio americane interverranno, faranno valere i loro rapporti storici con il Partito repubblicano. Diciamo che sono veramente solo all’inizio.

D. - Si va dunque verso il nazionalismo economico degli Stati Uniti?

R.  - Gli Stati Uniti non possono permettersi un nazionalismo economico, non è nei loro numeri. Il livello dei loro scambi commerciali con il resto del mondo è tale, il livello di interdipendenza dell’Europa-Stati Uniti è tale, tra Stati Uniti e Cina è tale, che non si può tornare a un mondo che, francamente non sappiamo nemmeno bene immaginare, cioè a un nazionalismo economico. Ci dobbiamo abituare a pensare che l’America non si muove più con un grande disegno generale in cui il mondo va nella direzione dell’apertura degli scambi commerciali, che era una cosa che prima evidentemente conveniva anche molto a quel Paese; adesso dobbiamo immaginarci un meccanismo più a geometria variabile che può provocare però problemi e tensioni molto forti, se gestito malamente. Di certo non si cominciano a produrre cambiamenti con un atteggiamento così muscolare, diventa tutto più difficile.

D. - Quali sono gli effetti interni a cui mira il presidente Trump per la difesa delle industrie e dei lavoratori statunitensi?

R.  – Il consenso, su due binari. Un binario è quello di rispondere al suo elettorato e soprattutto quello a cui lui si è rivolto per vincere le elezioni, che è quello che ha paura delle chiusure delle industrie nazionali e che ha visto chiudere in alcune contee del Paese pezzi del manifatturiero americano. C’è un discorso nazionalista che innerva la retorica trumpiana fin dal principio che rimane legata anche a questo tipo di azioni. E poi c’è evidentemente anche un sostegno ad una parte dell’industria americana che lo ha appoggiato, anche economicamente, in campagna elettorale, quindi la chiave è quella del mantenimento di un consenso. Trump non ha una retorica di riserva da adottare con l’andare del tempo. Quindi per adesso siamo all’inizio della presidenza, siamo su questa linea: lui la manterrà con molta forza.

inizio pagina

Vescovi del Congo: dialogo è unica via per uscire dalla crisi

◊  

L’accordo globale e inclusivo di San Silvestro rappresenta “la sola, realistica road map in grado di far uscire il Paese dalla crisi istituzionale. Purtroppo, la particolarità del piano destinato ad assicurare la messa in opera di tale accordo stenta a completarsi, mentre la popolazione attende con impazienza le elezioni”. Con queste parole mons. Marcel Utembi Tapa, presidente della Conferenza episcopale congolese (Cenco), ha ribadito la delusione dell’Episcopato per la nuova battuta di arresto del negoziato per l’applicazione dell’intesa raggiunta il 31 dicembre 2016 sulla formazione di un Governo di unità nazionale che porti finalmente il Paese alle elezioni presidenziali entro la fine del 2017.

La stessa opposizione divisa al suo interno
L’accordo, come è noto, prevede il mantenimento al potere del Presidente Joseph Kabila fino all’entrata in funzione del suo successore e alla formazione di un governo guidato da un membro dell’opposizione. I nodi sui quali si sono arenate le trattative, che hanno visto nuovamente riuniti il 27 marzo a Kinshasa rappresentanti del Governo e dell’opposizione, riguardano ancora le modalità di designazione del Premier, che deve essere dell’opposizione, e del Presidente del Consiglio di Monitoraggio dell’Accordo. Le divergenze dividono non solo maggioranza e opposizione, ma anche quest’ultima al suo interno.

La minaccia dei vescovi di ritirarsi dalla mediazione
Di fronte all’impasse i vescovi congolesi, in una dura nota diffusa martedì, hanno ventilato la possibilità di abbandonare i negoziati (vista la mancanza di un reale impegno dei negoziatori e il prevalere degli interessi di parte sul bene comune), ma mons. Utembi in una successiva dichiarazione ripresa dall’Osservatore Romano, ha lasciato intendere che per il momento essi resteranno al loro posto, disponibili a proseguire il loro ruolo di “facilitatori” di dialogo: “Abbiamo concluso un lavoro, ma siamo sempre pronti a ricominciarne un altro”, ha detto l’arcivescovo di Kisangani. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Myanmar: Chiesa e ong salutano inchiesta Onu su condizione Rohingya

◊  

La Chiesa cattolica, le organizzazioni della società civile birmana e diverse ong internazionali salutano la decisione dell’Onu di aprire una inchiesta ufficiale e una missione per indagare sulle violazioni dei diritti umani contro i musulmani Rohingya nello Stato birmano di Rakhine. Il provvedimento è stato ufficializzato dal Consiglio Onu dei diritti umani, che ha promosso una “missione d'inchiesta internazionale indipendente” per “accertare la piena responsabilità e garantire giustizia per le vittime” delle violazioni dei diritti umani in Rakhine. Contestualmente, si prolunga di un anno il mandato del Relatore speciale Onu sulla situazione dei diritti umani in Myanmar. Il governo della Birmania si è pubblicamente dissociato dalla risoluzione Onu.

Christian Solidarity Worldwide: il governo birmano collabori
Secondo “Christian Solidarity Worldwide” (CSW) la risoluzione invia “un messaggio importante al popolo della Birmania: che la comunità internazionale si impegna ad affrontare la straziante situazione nel Paese, in particolare nello Stato Rakhine”. La ong cristiana – riferisce l’agenzia Fides - esprime rammarico per il fatto che “il governo birmano si sia dissociato da questa risoluzione” e lo esorta “a collaborare pienamente con la missione per accertare i fatti, garantendo accesso completo e senza restrizioni agli inviati Onu, in particolare nello stato di Rakhine, ma anche negli stati Kachin e Shan. Vi sono, infatti, notizie di gravi violazioni dei diritti umani anche nel Nord della nazione”.

La situazione dei musulmani Rohingya precipitata lo scorso ottobre
La già difficile condizione della popolazione dei musulmani Rohingya si è ulteriormente deteriorata a partire dall'ottobre 2016, quando l’esercito birmano ha scatenato una vasta offensiva militare contro i civili, dopo la morte di 9 agenti di polizia in un attacco a due posti della guardia di frontiera in Rakhine. I militari sono accusati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani contro i Rohingya, incendiando case, compiendo esecuzioni senza processo, torture e stupri di massa.

L'Alto Commissariato Onu per i diritti umani: una politica orchestrata
Il 3 febbraio l'Alto Commissariato Onu per i diritti umani ha pubblicato un ampio rapporto sulle violazioni dei diritti umani nello stato di Rakhine, parlando di una “politica orchestrata da un gruppo etnico o religioso per terrorizzare la popolazione civile di un altro gruppo etnico o religioso” e cacciarla da un dato territorio. Secondo il rapporto, a partire dal 9 ottobre sono circa 90.000 gli sfollati Rohingya, interni o transfrontalieri.

Card. Bo: un campanello di allarme  per la giovane democrazia birmana
Il mese scorso, l’arcivescovo di Yangon, card. Charles Maung Bo, più volte intervenuto in questi mesi in difesa dei Rohingya, ha definito il rapporto “profondamente inquietante” e un “campanello di allarme”  per la nuova e fragile democrazia birmana, chiedendo al governo di “permettere libero accesso alle agenzie umanitarie, ai media e agli osservatori dei diritti umani negli stati di Rakhine, Kachin e Shan”. (L.Z.)

inizio pagina

Patriarca di Venezia: le religioni si parlino di più

◊  

"Attendiamo gli interrogatori di garanzia, poi faremo il punto mentre gli investigatori sono sempre al lavoro". Così il procuratore reggente di Venezia, Adelchi D'Ippolito, sull’intervento di carabinieri e polizia che due giorni fa ha portato in carcere tre presunti terroristi kossovari di orientamento jihadista che abitavano nei pressi di San Marco. I tre arrestati, tutti residenti in Italia con regolare permesso di soggiorno, sono al momento in prigioni mantenute segrete. Volevano far saltare, tra l’altro, il Ponte di Rialto. Il Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia  ha espresso gratitudine nei confronti delle istituzioni che hanno saputo garantire sicurezza alla città ed ai turisti che la frequentano. Luca Collodi ha chiesto al Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, se la povertà può facilitare l’adesione a “valori” estremi? 

R. – Certamente, la povertà è quel brodo di coltura che fa germinare pensieri, stili, atteggiamenti di rivendicazioni che possono portare anche ad azioni come quella sventata a Venezia. Certamente, dare un futuro, riuscire a esportare – se così è possibile dire – una società di benessere, almeno relativo a quello che è la vita quotidiana, in certe zone del mondo, sarebbe l’equivalente a disinnescare micce che potrebbero esplodere lì o da altre parti, in ogni momento.

D. – Mons. Moraglia, in questo caso non si tratta di immigrati né di clandestini: i giovani arrestati sono tutti camerieri e vivono in Italia da tre anni con regolare permesso di soggiorno…

R. – Richiamo un po’ i valori di Venezia, ma soprattutto anche uno stile di vita che non si deve arrendere al ricatto della violenza e del terrorismo, direi all’ideologia della violenza e del terrorismo, perché probabilmente sono persone che abbiamo salutato, ci hanno salutato anche in questo periodo, passando nelle calli vicine al ristorante dove lavoravano. E questo ci fa riflettere, perché la religione pensata come è realmente, cioè un incontro con Dio, un incontro con gli uomini – penso che possa essere il migliore deterrente di una visione ideologica, culturale che molte volte, dobbiamo dire, si attacca anche alle fedi, distorcendole. Parlo, quindi, di una sorta di appello alle comunità religiose della nostra città, oltre che alla comunità civile, perché credo che proprio la città sia l’unione di comunità differenti che trovano faticosamente, in certi momento storici, le ragioni della “polis”, dello stare insieme nel rispetto delle proprie differenze, nel riconoscersi anche portatori di valori, di tradizioni differenti. Ma credo che sia fondamentale che le religioni si liberino di ogni forma di ideologia che potrebbe essere veramente esplosiva in questo periodo storico.

D. – Qual è il suo messaggio a Venezia?

R. – La città deve trarre spunto da questi fatti che, potenzialmente, potrebbero essere disastrosi, se portati a termine; deve trarre motivo per cui le fedi, le religioni, si parlino di più; può essere motivo – a mio modo di vedere – per creare una vera laicità. Anche lo Stato deve riconoscere il valore delle fedi, delle religioni. Nel momento in cui le riconosce, le responsabilizza, non le obbliga a chiudersi nell’intimo di una coscienza che può diventare anche una coscienza che delinque, come nei casi di cui stiamo parlando, in cui – non sottovalutiamolo – c’era anche un minorenne.

inizio pagina

Uganda: annuale pellegrinaggio al Santuario di Namugongo

◊  

“Restare fermi nella fede che vi è stata insegnata”: è questo il motto scelto per il prossimo pellegrinaggio al Santuario di Namugongo, celebrato ogni anno il 3 giugno per ricordare i Santi Martiri dell’Uganda. Il santuario commemora il martirio di Carlo Lwanga e 21 compagni convertiti al cattolicesimo dai missionari d'Africa del cardinale Charles Lavigerie e uccisi per la loro fede sotto il regno di Mwanga II tra il 15 novembre 1885 ed il 27 gennaio 1887. Papa Benedetto XV li ha beatificati il 6 giugno 1920, mentre Paolo VI li ha canonizzati l’8 ottobre 1964.  

Una delle più importanti mete di pellegrinaggio della regione
Oggi, il santuario, situato sul luogo del martirio nel distretto di Wakiso, a Est di Kampala, è una delle più importanti mete di pellegrinaggio della regione e anche all’appuntamento di quest’anno sono attesi numerosi pellegrini stranieri. Al 21 marzo – riferisce il comitato organizzatore – ne risultavano già iscritti 200 e tra i primi registrati figurano fedeli dalla Zambia e dal Malawi. Secondo le statistiche dell’Amecea, l’Associazione delle Conferenze episcopale dell’Africa Orientale, all’ultimo pellegrinaggio del 2016 hanno partecipato 4.961 fedeli dalla Tanzania, almeno 4 mila keniani, 800 congolesi, 300 ruandesi, 712 dal Burundi e 105 dal Sud Sudan, ma anche diversi pellegrini da altri continenti.

La visita di Papa Francesco nel 2015
Il sito è stato visitato da Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico in Africa nel novembre 2015. Nell’occasione il Pontefice aveva sottolineato che l’eredità dei Martiri Ugandesi è rappresentata da “vite contrassegnate dalla potenza dello Spirito Santo, che testimoniano anche ora il potere trasformante del Vangelo di Gesù Cristo” e che “non ci si appropria di questa eredità con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso”. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Commento di don Sanfilippo al Vangelo della V Domenica di Quaresima

◊  

Nella quinta Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo della risurrezione di Lazzaro. Le due sorelle, Marta e Maria, piangono il fratello, sepolto nella tomba ormai da quattro giorni. Gesù, prima di riportalo in vita, dice:  

«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno».

Su questo brano evangelico ascoltiamo la riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Nel Vangelo odierno vediamo Gesù piangere e turbarsi per la morte di Lazzaro di Betania, suo carissimo amico, fratello di Marta e Maria. Una lettura attenta del testo originale greco rivela come il Salvatore, davanti alle lamentele delle sorelle e di alcuni conoscenti giudei, convenuti per l’occorrenza, abbia un moto di disappunto interiore, fino alle lacrime, prima di giungere al sepolcro. Le sorelle del defunto, infatti, che Egli amava molto, all’incontrarlo ripetono, una dopo l’altra, la stessa amara costatazione: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”, e gli astanti riecheggiano: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?”. Tutti, in definitiva, affermano che quest’evento luttuoso non sarebbe dovuto accadere, come capita anche a noi, non di rado, rattristando il Cuore di Gesù Cristo. Ma il Messia ha degli eventi una visione ben diversa dalla nostra: fin da subito, informato della malattia dell’amico e poi del suo decesso, dichiara ai suoi discepoli di essere contento della propria assenza perché tale avvenimento avrebbe manifestato la gloria di Dio e rafforzato grandemente la fiducia di tutti i discepoli. E con la risurrezione di Lazzaro, mostra il suo potere sulla morte che preannuncia la sua vittoria pasquale e il senso ultimo della vita dell’uomo: la vita eterna.

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 91

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.