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Sommario del 02/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Carpi: mai intrappolati da macerie, è Gesù che risolleva la vita

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Non restare intrappolati nelle macerie, ma stare dalla parte di Gesù e farlo avvicinare ai nostri sepolcri. Così il Papa nell’omelia della Messa celebrata stamani in Piazza Martiri, a Carpi, alla presenza di circa 70 mila persone. Dopo la recita dell’Angelus, la benedizione delle prime 4 pietre di altrettanti edifici della diocesi, colpita dal terremoto del 2012 in Emilia. Prima della Messa, al suo arrivo, il Papa ha voluto rendere un omaggio floreale alla statua della Madonna presente nella cattedrale. Al termine della mattinata, il pranzo presso il Seminario con i vescovi della regione, i sacerdoti anziani e i seminaristi. Il servizio della nostra inviata a Carpi, Debora Donnini

La piazza gremita di fedeli abbraccia Papa Francesco. Il cielo grigio e qualche goccia di pioggia non hanno fermato le migliaia di persone, fra loro tanti in carrozzella, che fin dalla notte hanno cominciato a prendere posto in Piazza Martiri. In altre zone della cittadina, allestiti maxischermi. Forte la gioia dei fedeli, colpiti cinque anni fa dal terremoto che in questi territori ha fatto 28 morti ed enormi danni ad edifici e aziende. Il cuore di Dio “non fa scomparire magicamente il male” ma è vicino a chi soffre e trasforma la sofferenza abitandola, ricorda loro il Papa nell’omelia intessuta sul Vangelo della Risurrezione di Lazzaro. Per la sua morte, anche Gesù scoppia in pianto. Ma “nel mistero della sofferenza, di fronte al quale il pensiero e il progresso si infrangono come mosche sul vetro”, Gesù “non si fa imprigionare dal pessimismo”.

“Attorno a quel sepolcro, avviene così un grande incontro-scontro”, sottolinea il Papa. Da una parte c’è la “disfatta del sepolcro”, la delusione, la precarietà, e dall’altra la speranza, “che vince la morte e il male, e che ha un nome: Gesù”. Gesù non porta qualche rimedio per allungare la vita, ma proclama: “Io sono la Risurrezione”, “chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Per questo dice di togliere la pietra dal sepolcro dell’amico e a Lazzaro di venire fuori:

“Cari fratelli e sorelle, anche noi siamo invitati a decidere da che parte stare. Si può stare dalla parte del sepolcro oppure dalla parte di Gesù. C’è chi si lascia chiudere nella tristezza e chi si apre alla speranza. C’è chi resta intrappolato nelle macerie della vita e chi, come voi, con l’aiuto di Dio solleva le macerie e ricostruisce con paziente speranza. Di fronte ai grandi ‘perché’ della vita abbiamo due vie: stare a guardare malinconicamente i sepolcri di ieri e di oggi, o far avvicinare Gesù ai nostri sepolcri”.

Ognuno di noi, nota infatti Francesco, ha “un piccolo sepolcro”, qualche ferita, un torto subìto, un rancore che non dà tregua, un peccato che non si riesce a superare. “Individuiamo oggi questi nostri piccoli sepolcri”, esorta il Papa, e “lì invitiamo Gesù”. Spesso, invece, anche se è strano, si preferisce “stare nelle grotte oscure che abbiamo dentro:

“Non lasciamoci imprigionare dalla tentazione di rimanere soli e sfiduciati a piangerci addosso per quello che ci succede; non cediamo alla logica inutile e inconcludente della paura, al ripetere rassegnato che va tutto male e niente è più come una volta. Questa è l’atmosfera del sepolcro; il Signore desidera invece aprire la via della vita, quella dell’incontro con Lui, della fiducia in Lui, della Risurrezione del cuore, la via dell’‘Alzati, alzati! Vieni fuori’! E’ questo che ci chiede il Signore e Lui è accanto a noi per farlo”.

E le parole di Gesù a Lazzaro sono rivolte anche a noi:

“Vieni fuori dall’ingorgo della tristezza senza speranza; sciogli le bende della paura che ostacolano il cammino; ai lacci delle debolezze e delle inquietudini che ti bloccano, ripeti che Dio scioglie i nodi. Seguendo Gesù impariamo a non annodare le nostre vite attorno ai problemi che si aggrovigliano: sempre ci saranno problemi, sempre, e quando ne risolviamo uno, puntualmente ne arriva un altro. Possiamo però trovare una nuova stabilità, e questa stabilità è proprio Gesù”.

Con Gesù infatti “la speranza rinasce, il dolore si trasforma in pace” e sempre ci sarà la sua mano che risolleva:

“Ci dice a tutti: ‘Non abbiate paura’. Anche a noi, oggi come allora, Gesù dice: ‘Togliete la pietra’! Per quanto pesante sia il passato, grande il peccato, forte la vergogna, non sbarriamo mai l’ingresso del Signore. Togliamo davanti a Lui quella pietra che Gli impedisce di entrare: è questo il tempo favorevole per rimuovere il nostro peccato, il nostro attaccamento alle vanità mondane, l’orgoglio che ci blocca l’anima, tante inimicizie tra noi, nelle famiglie, tante cose… Questo è il momento favorevole per rimuovere tutte queste cose”.

“Chiediamo la grazia di essere testimoni di vita in questo mondo che ne è assetato”, testimoni che risuscitano la speranza di Dio nei cuori appesantiti dalla tristezza, conclude Francesco.

Al termine della Messa, l’Angelus. Il Papa ringrazia i presenti a cominciare dai vescovi dell’Emilia Romagna e ricorda alcune figure di questa terra, come il Beato Odoardo Focherini, Giusto fra le nazioni, che pagò con la vita il salvataggio di più di 100 ebrei durante la Seconda guerra mondiale e morì in un campo di concentramento nazista. E la Venerabile Marianna Saltini, conosciuta come “Mamma Nina”, fondatrice della “Casa della Divina Provvidenza”:

“Richiamando l’ardore apostolico di due figure laicali della vostra terra, il Beato Odoardo Focherini e la Venerabile Marianna Saltini, testimoni della carità di Cristo, saluto con gratitudine voi, fedeli laici. Vi incoraggio ad essere protagonisti della vita delle vostre comunità, in comunione con i vostri sacerdoti: puntate sempre su ciò che è essenziale nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo”.

A soffermarsi su questi ed altri testimoni di Gesù, anche il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina nelle parole di ringraziamento al termine della Messa. In particolare mons. Cavina sottolinea la pagina oscura legata al campo di Fossoli, prima campo di concentramento da cui migliaia di persone, soprattutto ebrei, partirono per i lager nazisti e che poi, in forma meno drammatica ma ugualmente dolorosa, ospitò i profughi istriano-dalmati costretti a fuggire dalle loro terre. A Fossoli però la comunità cristiana si è prodigata per alleviare le sofferenze dei prigionieri, con l’instancabile lavoro del parroco Francesco Venturelli. “La vita vince sempre”, conclude il presule, ringraziando il Papa per la sua presenza: “un cardiotonico”, dice, perché i cuori possano tornare a prendere il largo.

Al termine, Francesco benedice le prime quattro pietre di altrettanti nuovi edifici della diocesi: la Chiesa nuova di Sant’Agata di Cibeno, la “Cittadella della Carità”, la struttura polivalente di San Martino Carano di Mirandola, e il Centro di spiritualità di Sant’Antonio in Mercadello di Novi di Modena. La pietra di quest’ultima struttura proviene dalla cattedrale dell’Immacolata Concezione di Qaraqosh, nella Piana di Ninive, in Iraq. E all’Angelus il Papa ha anche voluto ringraziare tutti quelli che hanno lavorato per questa visita:

“Grazie tante! E vorrei ringraziare voi, ammalati: ci sono 4.500 malati, qui! Grazie a voi, che con le vostre sofferenze aiutate la Chiesa, aiutate a portare la Croce di Cristo. Grazie. Grazie tante a voi”.

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Da Carpi, preghiera del Papa per Colombia, Venezuela, Paraguay e Congo

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Colombia, Venezuela, Paraguay e Repubblica Democratica del Congo. Paesi diversi, tragedie, violenze e crisi differenti, ma un unico dolore: quello di Papa Francesco che da Carpi, prima della recita dell’Angelus, ha voluto levare una preghiera senza confini, dall’America Latina all’Africa. Il servizio di Giada Aquilino

Da una terra ferita dal terremoto, l’Emilia, ad un’altra colpita dalla devastazione della natura, la Colombia. Al termine della Messa celebrata a Carpi, Papa Francesco si dice “profondamente addolorato” per la tragedia che ha colpito la città di Mocoa, nel sud ovest del Paese latinoamericano, dove - ricorda - una “gigantesca valanga di fango” causata dalle intense piogge torrenziali ha provocato oltre 200 morti e diverse centinaia di feriti:

“Prego per le vittime e assicuro la mia e vostra vicinanza a quanti piangono la scomparsa dei propri cari e ringrazio tutti coloro che si stanno adoperando per prestare soccorso”.

È poi “viva” l’attenzione del Pontefice anche per l’aggravarsi delle crisi in Venezuela e Paraguay:

“Prego per quelle popolazioni, a me molto care, e invito tutti a perseverare senza stancarsi, evitando ogni violenza, nella ricerca di soluzioni politiche”.

Lo sguardo del Papa si sposta quindi in Africa, perché - dice - continuano a giungere notizie dalla Repubblica Democratica del Congo, dove sono in corso “sanguinosi scontri armati” nella regione del Kasai, che stanno provocando “vittime e sfollamenti” e che “colpiscono anche persone e proprietà della Chiesa”, edifici di culto, ospedali, scuole:

“Assicuro la mia vicinanza a questa nazione ed esorto tutti a pregare per la pace, affinché i cuori degli artefici di tali crimini non rimangano schiavi dell’odio e della violenza, perché sempre odio e violenza distruggono”.

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Messa a Carpi: i malati, dal Papa invito ad andare avanti col sorriso

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Fra i tanti presenti alla Messa di Papa Francesco a Carpi, anche moltissime persone in carrozzella, uomini, donne, ragazzi. La nostra inviata in Emilia, Debora Donnini, ha raccolto le loro testimonianze: 

R. – E’ stato bello, m’è piaciuto: proprio una bella giornata.

D. – Cosa le hanno lasciato le parole del Papa?

R. – Serenità: Francesco porta sempre serenità. Sono contenta!

R. – Adesso speriamo anche di venire a trovarlo a Roma…

R. – Ci si appoggia sempre alle sue parole, a quello che rappresenta: è importante…

R. – E’ sempre un aiuto per diventare migliori: ci aiuta …

D. – Il suo pensiero ai malati, il suo ringraziamento l’ha colpita?

R. – Certo! Lui ha sempre attenzione per gli ultimi, sì. E’ una cosa molto importante, grazie.

D. – E le sue parole sul non lasciarsi andare al pessimismo, a non rimanere intrappolati nelle miserie della vita?

R. – Bisogna sempre avere speranza nel futuro. E la fede ti aiuta ad andare avanti.

D. – E’ stata contenta di questo incontro?

R. – Da morire, da morire! A noi è dispiaciuto soltanto non poterlo abbracciare!

R. – E’ la terza volta che lo vedo ma è sempre la stessa emozione!

D. – Cosa ti hanno lasciato le sue parole?

R. – Molta gioia e serenità.

D. – Un invito ad andare avanti, a seguire Gesù nonostante le difficoltà …

R. - … e con il sorriso, soprattutto!

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Francesco a Carpi: folla entusiasta. Azione Cattolica: slancio per territorio

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Papa Francesco era arrivato a Carpi questa mattina poco dopo le 9:30, per l’attesa visita all’Emilia colpita cinque anni fa dal sisma del maggio 2012. A bordo della 'papamobile' era giunto in Piazza Martiri per la celebrazione della Santa Messa, accolto da una folla entusiasta. Nel pomeriggio, il Pontefice abbraccia Mirandola, altro comune gravemente ferito dal terremoto. La nostra inviata Debora Donnini ha intervistato Alessandro Pivetti, presidente dell’Azione Cattolica diocesana: 

R. – Di sicuro la presenza del Papa risveglia alcune forze che, nella fatica della ricostruzione, dell’affrontare giorno per giorno la quotidianità, a volte hanno bisogno di momenti forti di rilancio e di speranza. La sua presenza viene colta quindi come un momento fondamentale di ricarica, di rilancio. Durante il terremoto è scattata subito una grande solidarietà, un grande aiuto, poi - in realtà - col tempo ci si ripiega un po’ su se stessi e lo slancio finisce. Questa è una nuova e buona occasione per ripartire.

D. – Carpi ha ricostruito moltissimo, anche la Cattedrale è stata inaugurata sabato 25 marzo, dopo i lavori di restauro per il terremoto. A Mirandola, invece, il Duomo è ancora inagibile, come lo sono tutte le chiese. E’ un luogo, Mirandola, dove la gente ha sofferto molto e dove le ferite sono molto profonde, ci sono stati anche morti…

R. – Sì, io sono di una piccola frazione vicino Mirandola: la chiesa dove mi sono sposato un anno prima del sisma è completamente crollata. Nelle zone che noi qui a Carpi chiamiamo “della bassa”, zone di Mirandola e dintorni, anche se le case o le aziende sono ripartite e sono state ricostruite, i luoghi soprattutto parrocchiali sono ancora molto in difficoltà. Si sono tirati fuori vari espedienti, di fatto ci si arrangia tanto e ci sono bellissime realtà in cui donazioni oppure l’impegno stesso della Curia ha potuto rimettere in piedi altre strutture di legno, strutture antisismiche, ma per il patrimonio anche artistico antico che apparteneva alla nostra diocesi ancora c’è tanto lavoro da fare.

D. – Però c’è speranza che vengano presto ricostruite?

R. – Sì, c’è speranza che vengano ricostruite attorno alle comunità più vive, più presenti, in modo che possano tornare ad essere luoghi di ritrovo. Non lo credevamo prima, ma fa la differenza: avere una chiesa di pietre è bello, è fondamentale. Poi, è ovvio che ci si arrangia anche dentro una struttura tipo container, ma la situazione è differente.

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Mirandola attende il Papa: don Segalina, gente vuole ricostruzione chiese

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Il programma della visita del Papa in Emilia prevede nel pomeriggio il trasferimento a Mirandola, per una visita al Duomo gravemente colpito dal sisma del 2012, l’incontro con le popolazioni terremotate e un omaggio floreale alle vittime della tragedia di cinque anni fa. La nostra inviata Debora Donnini ha intervistato don Flavio Segalina, parroco del Duomo di Mirandola: 

R. - Vivo questa visita del Papa come un segno di speranza di colui che ci viene a confermare e a sostenere in questo cammino che non è semplicemente di ricostruzione degli edifici ma anche di ricostruzione umana e spirituale, perché il terremoto ha danneggiato, ha distrutto e ha lasciato dei segni anche profondi nell’animo delle persone. Quindi la presenza del Papa è sicuramente un sacro olio guaritore, capace di dare nuova forza e nuovo impulso a quello che poi sarà il ritrovarsi nella vita spirituale, nella vita morale, nella vita sociale che sono state comunque profondamente toccate dal terremoto.

D. – A Mirandola il Duomo di cui lei è parroco è ancora distrutto e tutte le chiese sono inagibili. Sentite il bisogno della ricostruzione di questi luoghi?

R. – C’è un bisogno enorme della ricostruzione di questi luoghi perché le chiese non sono solo monumenti, sono il segno di ciò che unisce la vita con il cielo, il segno che ci apre al trascendente. La gente sente un bisogno enorme di questi posti come luoghi di incontro con Dio, come luoghi della propria fede. E devo dire di più, questi luoghi sono desiderati anche da coloro che non sono praticanti perché appartengono a quella che è la storia stessa della vita di ogni persona. Quindi c’è anche chi ti dice: “Io in chiesa non ci vengo, però lì mi sono sposato, lì si è sposato mio figlio, lì ho battezzato mio figlio”. Quindi sono punti di riferimento: magari sono persone che non vengono a Messa però ti confessano alla fine che, quando passano, fanno un giro dentro e si fermano. Tutto questo è indispensabile per una ricostruzione anche spirituale e morale delle persone.

D. – Vedete spiragli di luce per i lavori di ricostruzione del Duomo e delle chiese a Mirandola?

R. – Qualcosa c’è. Proprio da qualche mese sono iniziati i lavori di una parrocchia limitrofa a Mirandola, che è Santa Giustina Vigona, e dopo Pasqua inizieranno i lavori dell’oratorio del Santissimo Sacramento, che è proprio adiacente al Duomo. Poi, abbiamo buone speranze che nell’arco del 2017 arrivi la bella notizia dell’inizio dei lavori del Duomo di Mirandola, ma anche di altre chiese del territorio.

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Paglia: Wojtyla e Bergoglio figli del Concilio, pastori del popolo

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Il 2 aprile di 12 anni fa, tornava alla Casa del Padre San Giovanni Paolo II. Si concludeva così uno dei Pontificati più lunghi e straordinari nella storia della Chiesa. La memoria di Karol Wojtyla è oggi quanto mai viva tra i fedeli che, in tanti aspetti, trovano una consonanza tra il Papa “venuto da un Paese lontano” e quello “venuto quasi dalla fine del mondo”. Alessandro Gisotti ha chiesto una riflessione a mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, che proprio da Papa Wojtyla fu nominato vescovo nel 2000: 

R. - Siamo di fronte ad un testimone della fede cristiana che ha saputo darle quella dimensione di universalità che oggi vediamo riflessa anche nel Pontificato di Papa Francesco. E se potessi trovare una fonte comune, a parte il Vangelo, ovviamente, direi che il Concilio Vaticano II resta per ambedue una sorta di stella polare. Mi ha fatto impressione il fatto che Papa Giovanni Paolo II fece il suo primo Sinodo sulla famiglia; la stessa cosa è accaduta con Papa Francesco: anche per lui il primo Sinodo fu sulla famiglia. E allora è importante vedere un filo rosso che lega, anche questo tema, come in uno sviluppo non in una ripetizione pedissequa, ma in una crescita. E c’è allora un passo di crescita partendo dalla Familiaris consortio e giungendo sino all’Amoris Laetitia; c’è una continuità che io credo vada riscoperta per cogliere la ricchezza del magistero papale in questi ultimi decenni.

D. - Di tanto in tanto alcuni esperti di vario genere si concentrano sulle presunte discontinuità tra Wojtyla e Bergoglio. Poi vediamo per esempio, invece, che nella gente, nel popolo di Dio, queste due figure si sono sentite molto vicine …

R. - Io inviterei tutti noi a guardare questo sensus fidei fidelium: il popolo di Dio ha colto il rapporto tra questi due Papi, ovviamente diversi tra loro. Dico questo anche perché ci troviamo nell’anniversario dell’Amoris Laetitia. Il senso dei fedeli - e l’ho potuto constatare girando in tante parti del modo - ha accolto questo documento con entusiasmo, così come aveva accolto con entusiasmo l’insegnamento sulla famiglia di San Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto. Ma c’è una crescita che il popolo ha capito, così come c’è, anche qui, una crescita dei due grandi territorio del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso: c’è l’attenzione verso i più poveri. Ricordo personalmente, dopo il primo viaggio in Brasile di San Giovanni Paolo II, l’impressione che lui confidò alla Comunità di Sant’Egidio, l’impressione nel vedere le grandi periferie delle città brasiliane piene di poveri. E lui in quell’occasione disse: “É questo quello che il Concilio chiedeva: la Chiesa che sceglie tutti, ma particolarmente i più poveri”.

D. - Tra i tanti ricordi personali, ce n’è qualcuno su cui è tornato con la memoria che magari vuole condividere con noi?

R. - Ricordo, proprio perché ultimamente sono stato nei Balcani, la passione con cui Giovanni Paolo II voleva bloccare quella guerra drammatica che ha insanguinato tutti i Balcani. Con decisione voleva recarsi a vistare contemporaneamente le tre capitali: Zagabria, Sarajevo e Belgrado. Non fu possibile, ma la determinazione che lui aveva per portare la sua testimonianza di pace, la ricordo davvero straordinaria; mi impressionò la sua decisione, fino a battere i pugni sul tavolo, quando il segretario voleva impedirglielo. La sua decisione era quella di andare a Sarajevo anche a costo di andarci con un carrarmato, a costo di parlare da solo ad una città provata dalla tragedia della guerra. Questa determinazione per la pace credo sia stata uno dei doni più grandi che San Giovanni Paolo II ha mostrato. E Papa Francesco lo ha ripreso con passione.

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Oggi in Primo Piano



Colombia: a Mocoa il fango uccide oltre 200 persone

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Una colata di fango ha travolto nella notte tra venerdì e sabato la città di Mocoa, nel sud-ovest della Colombia. Oltre 200 i morti causati dalla frana, altrettanti i dispersi, mentre i feriti sono più di 400. Un bilancio destinato ad aggravarsi mentre i soccorsi sono stati sospesi nella notte per mancanza di elettricità. A tutto il Paese, da Carpi, la vicinanza del Papa. Il servizio di Michele Raviart

Il fiume di fango e detriti ha inondato i quartieri della città, distrutto abitazioni e ponti, coinvolgendo almeno trecento famiglie. A devastare Mocoa, quaranta mila abitanti al confine con l’Ecuador e il Perù, uno smottamento del terreno dovuto alle piogge torrenziali che negli ultimi giorni hanno fatto straripare i tre fiumi che circondano la città. A perdere la vita, in una delle zone più povere del Paese, “intere famiglie, ragazzi ed anziani”, ha sottolineato il ministro degli Interni Juan Manuel Cristo, che sono state sotterrate dal fango durante il sonno. Dichiarato lo stato di calamità dal presidente Juan Manuel Santos, che ha raggiunto il luogo del disastro e presiede alle operazioni di soccorso, in cui sono impegnati oltre mille e cento tra poliziotti e soldati. Le ricerche ricominceranno in queste ore per cercare le decine di dispersi, dopo che erano state sospese la scorsa notte per la carenza di energia elettrica. 25 le abitazioni completamente distrutte finora, mentre i corpi delle vittime sono in corso di identificazione da parte di tre squadre di medici legali. Un disastro naturale che colpisce un Paese in cui sono in corso colloqui di pace con la guerriglia e in cui si aspetta la visita del Papa il prossimo settembre, come spiega Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, che per la Comunità di Sant'Egidio sta seguendo i colloqui di pace:

"Questo disastro naturale conferma ancora una volta la debolezza degli aspetti climatici del controllo del territorio e rivela la fragilità di molti di questi Paesi in cui tali manifestazioni naturali producono non solo centinaia di morti ma anche costringono il Paese a fare i conti con opere di ricostruzione importanti. Certo, una vicenda che coglie la Colombia in un momento di grande concentrazione attorno al processo di pace e in grande preparazione da tutti i punti di vista per la visita del Papa. C’è da augurarsi che questo disastro naturale non distragga le forze sociali, le forze economiche, le forze politiche da quella che è la concentrazione primaria in questo momento nella vita del Paese: arrivare alla firma della pace definitiva. Quindi è molto importante che tutti i colombiani e soprattutto la comunità internazionale si stringa attorno alla Colombia nell’aiutarla nel momento difficilissimo della tragedia ma nello stesso tempo possa garantire a questo Paese la possibilità di continuare a fare tutti gli sforzi verso il raggiungimento della pace definitiva".

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Venezuela: reintegrato Parlamento, ma è crisi umanitaria

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Per il Parlamento del Venezuela, controllato dal 2015 dall’opposizione di centro destra al presidente Nicolas Maduro, è “insufficiente” l’annullamento da parte della Corte suprema di Caracas delle sentenze con le quali aveva esautorato la stessa Assemblea e abolito l'immunità parlamentare dei deputati. In una nota, i vescovi avevano denunciato il rischio di cadere in una dittatura, ipotizzando il ricorso alla disobbedienza civile. Assistiamo a una lotta per il potere - avevano scritto i presuli - mentre nel Paese c’è tanta gente che non ha cibo né medicine. La situazione umanitaria è gravissima: un’emergenza che non è di oggi, spiega la segretaria dell’Associazione Latinoamericana Italia (Ali), Ingrid Dussi, che richiama l’attenzione su una popolazione sfinita dalle malattie e dalla fame. Eugenio Murrali l’ha intervistata: 

R. – Finché il governo venezuelano non dichiarerà un’emergenza umanitaria, sia sanitaria sia alimentare, non sarà possibile per le grandi organizzazioni internazionali - Amnesty International, Medici senza frontiere, Caritas, Croce Rossa - di intervenire.

D. – Da un punto di vista pratico, quali sono le medicine più urgenti, qual è la situazione? E’ difficile trovare anche l’aspirina a quanto pare…

R. – C’è stato un aumento di malattie infettive: la malaria, la chikungunya e tante medicine mancano. Manca tutto: non posso fare una classifica di quale sia il farmaco che manca di più. Noi, con il progetto “Ali per Venezuela”, raccogliamo le donazioni che molto generosamente in Italia riusciamo ad avere, mandiamo in Venezuela le medicine con spese molto elevate, perché ogni kg di medicine che noi spediamo ci costa 8 euro, non riusciamo a spedire tutti i farmaci che necessitano di refrigerazione: non riusciamo a mandare antitumorali, anche perché di quelli ne riceviamo pochi come donazione. Per cui io direi che l’emergenza più grave, più importante in questo momento, è la possibilità di aprire un canale che ci permetta di mandare in Venezuela antitumorali e soprattutto insulina per i diabetici.

D. – Quanto sono importanti i venezuelani all’estero in questo momento, per aiutare le persone che sono sul territorio?

R. – Sono importantissimi. Chi è potuto uscire significa che in questo momento sta spedendo farmaci, ma soprattutto generi alimentari. Dal punto di vista delle famiglie, queste sono divise, sono distrutte. Parlo ovviamente della classe media, mentre invece la povera gente - posso dirlo - è proprio nella miseria più nera. E c'è chi delinque.

D. – Conosce lei persone che inviano aiuti alimentari?

R. – Io stessa, tutti noi, tutti volontari della nostra associazione, che conta 100 persone in questo momento, in 27 città d’Italia, tutti noi spediamo cibo alle nostre famiglie. Olio, pasta, riso, tonno in scatola, formaggini… Noi spediamo perfino la farina di mais che adesso viene prodotta anche negli Stati Uniti: un kg di farina di mais precotta per fare l’arepa, che è la nostra polenta, che noi usiamo al posto del pane, che è l’alimento-base del venezuelano, fa questo giro: dalla California all’Italia e dall’Italia in Venezuela. Ma chi non ha nessuno all’estero, non so che cosa faccia. Si parla del 73% della popolazione venezuelana che in due anni ha perso, in media, nove kg di peso…

D. – E c’è anche un vero e proprio mercato nero alimentare …

R. – Il mercato nero alimentare esiste già da sette-otto anni, perché la gente dovrebbe fare la fila nei mercati popolari del governo: sono file di chilometri. Molta gente non la vuole fare, perché molti dicono: o vado a lavorare o vado a fare la fila. Soprattutto perché quando arriva il tuo turno, tu non trovi quello che speravi di trovare e ti tocca riportare a casa un deodorante, quando volevi andare a comprare la farina o un pacco di pasta. Queste file sono state poi ritenute anche abbastanza pericolose dal governo, tant’è che hanno istituito la distribuzione - a pagamento, ovviamente - di sportine alla popolazione, tramite tesseramento. Per cui adesso ci sono queste sportine che vengono confezionate altrove, con cibo che proviene dal Messico - mi pare che vengano confezionate a Panama - con pericolo di adulterazione. Per cui, chi può compra al mercato nero. Però, molto spesso, a prezzi improponibili: improponibili!

D. – C’è anche contraffazione di farmaci…

R. – Riescono a vendere farmaci con capsule completamente vuote, oppure con contenuto che non corrisponde a quanto dichiarato sulla confezione. Non credo che la situazione potrebbe essere peggiore di quella che sto descrivendo ora. Non riesco ad immaginare come potrebbe esserci un peggioramento di questa situazione.

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L'Armenia alle urne, per la prima volta col proporzionale

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L’Armenia alle urne questa domenica per il rinnovo del Parlamento. Circa 2 milioni e mezzo gli aventi diritto al voto. Si tratta delle prime consultazioni, in base al referendum costituzionale del 2015, che sanciscono il passaggio dal semipresidenzialismo al parlamentarismo puro e dal sistema elettorale misto al proporzionale. Tra le novità: la riduzione dei parlamentari da 131 a 101 e l’introduzione delle quote rosa. Dell’importanza di queste elezioni, Giancarlo La Vella ha parlato con Robert Attarian, responsabile del Programma armeno della nostra emittente: 

R. – E’ una fase importante per tutto il Paese, perché dovrebbe segnare un po’ una svolta anche per il sistema politico che vigeva fino ad ora. E questo nuovo sistema ovviamente darà più possibilità a tutte le forze politiche. In questo momento, il Partito Repubblicano, che è la forza politica con a capo il presidente attuale, Sargsyan, è in testa ai sondaggi. Però, il metodo proporzionale darà comunque la possibilità anche agli altri partiti di poter accedere al Parlamento, che ha una soglia di sbarramento del 5% per i partiti, mentre per le coalizioni è del 7%.

D. – Per quelle che saranno le nuove istituzioni, quali le sfide sia interne e sia internazionali?

R. – Le sfide rimarranno sempre le stesse, ovviamente, ma bisogna affrontarle in modo diverso, probabilmente. Oggi l’Armenia affronta anche una sfida molto acuta al suo interno, perché è un Paese isolato dal resto del mondo: il conflitto con l’Azerbaigian non consente di tenere le frontiere aperte con quel Paese, la stessa cosa vale anche con la Turchia. Ovviamente, essendo un Paese isolato, ha grosse difficoltà interne e una delle prime sfide è proprio quella di guardare all'esterno. Il premier attuale sta facendo un grosso lavoro, sotto questo aspetto, perché sta cercando di sviluppare comunque l’economia interna e ovviamente tanti vorrebbero che lui continuasse questo suo lavoro, perché credono in lui.

D. – L’Armenia, luogo di incontro delle religioni: questo dialogo c’è anche a livello politico?

R. – Sì. Diciamo che una cosa importante è che in questa nuova legge proporzionale ci sono anche seggi assegnati alle minoranze: i curdi, gli yazidi, i russi e gli assiri - a prescindere dal risultato elettorale, e questa è un’altra attenzione verso il multiculturalismo e la multietnicità.

D. – Poco meno di un anno fa, la visita di Papa Francesco in Armenia, prima tappa di un viaggio più ampio in alcuni Paesi del Caucaso. Cosa è rimasto del messaggio del Papa soprattutto per quelli che dovranno guidare il Paese?

R. – Diciamo che il viaggio del Papa in Armenia ha segnato, in un certo senso, la coscienza religiosa del Paese e, devo dire, che da quella data a oggi c’è stata una sorta di risveglio religioso. Ovviamente, le guide politiche del Paese dovranno in un certo modo seguire anche i suggerimenti che ha lasciato il Papa per governare un Paese e - di qualsiasi Paese si parli, non solo l’Armenia - la prima cosa è la lotta alla corruzione. Penso che anche in Armenia si debba camminare su questa via in modo da costruire un Paese in cui la corruzione sparisca; poi, una volta sparito questo aspetto molto negativo della politica, probabilmente l’Armenia potrà fare un passo avanti e crescere anche politicamente ed economicamente, ed essere un baluardo e un esempio anche per tutti gli altri Paesi che la circondano.

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Giornata autismo: non lasciare sole le famiglie

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Una disabilità che non si vede e spesso viene ancora nascosta e vissuta dolorosamente tra le mura di casa. E’ l’autismo: questa domenica ricorre la Giornata mondiale della consapevolezza di tale patologia, di cui solo in Italia ne soffrono tra le 350 mila e le 500 mila persone. Un percorso doloroso, in cui spesso le famiglie si sentono sole e abbandonate a loro stesse. Marina Tomarro ne ha parlato con Marialba Corona, presidente della sezione di Bologna dell'Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici (Angsa): 

R. – È importante non dimenticare tutte queste persone e le loro famiglie, perché da sempre le famiglie sono state lasciate sole; si sono rinchiuse per il fatto che questa è una disabilità che fisicamente non si vede. Ed essendo tale, la gente comune non capisce che cosa sia l’autismo, molte famiglie tendono a nasconderlo. È importantissima questa Giornata dell’Autismo perché noi, come abbiamo fatto in altri anni, abbiamo scelto non di fare convegni ma di scendere nella piazza più famosa di Bologna con tutte le nostre famiglie. Parleremo con la gente, faremo vedere i nostri ragazzi, i nostri bambini e risponderemo alle loro domande su che cos’è l’autismo.

D. – Quanto è importante anche non chiudersi ma anzi chiedere aiuto e quanto è importante un’associazione per aiutare chi soffre?

R. – È importantissima un’associazione per aiutare le famiglie. Le famiglie arrivano alla nostra associazione non per segnalazione della Asl, delle istituzioni, ma per un passaparola e per Internet. E quando arrivano il lavoro è molto lungo da fare. Quindi noi, come associazione, informiamo la famiglia su cosa fare e cosa non fare. Perché noi abbiamo figli che urlano, non dormono di notte, sono ingestibili, hanno comportamenti o il problema che si mordono o che possono essere dannosi per loro e per gli altri. E questi comportamenti e problemi arrivano quando uno meno se lo aspetta. Anche la famiglia quindi deve essere formata e aiutata per gestire i propri ragazzi.

D. – Anche lei vive questo problema in famiglia avendo un figlio autistico. Come affronta la quotidianità, giorno dopo giorno?

R. – La quotidianità giorno dopo giorno è difficile quando c’è una diagnosi di autismo; anche perché la vita cambia, gli amici spariscono e quindi la famiglia si deve riorganizzare. Purtroppo molti genitori non ce la fanno e si separano perché l’impegno è molto grosso e non tutti ce la fanno. Quelli che ce la fanno si rafforzano molto, si aiutano, vanno avanti sperando nelle nuove leggi e nelle nuove norme e sperando, un domani, di poter gestire il loro figlio grande in famiglia.

D. – Di cosa avete bisogno voi e i vostri ragazzi?

R. – Le leggi ci sono; abbiamo bisogno però che vengano applicate, perché finora di parole ne sono state dette tante, ma i ragazzi crescono e le famiglie hanno fretta, le famiglie hanno bisogno di essere aiutate a casa, con educatori specializzati; che ci sia la continuità anche nel pomeriggio oltre l’orario scolastico per lo stesso educatore, cosa che spesso non è permessa dalle cooperative. Le famiglie, per i casi più gravi, hanno bisogno di avere delle residenze specializzate. Attualmente ci sono solo l’associazione “Marino” a Reggio Calabria e altre in Piemonte; non ci sono in ogni regione d’Italia. Quindi la famiglia ha bisogno di sapere che in futuro il proprio figlio vada in un posto adatto a lui.

D. – Quanto è importante anche la sensibilizzazione su questo tema, nelle scuole, tra i coetanei dei vostri figli?

R. – È molto importante per le persone che ci circondano e anche a scuola. Ad esempio, sono molto importanti per la nostra disabilità le famose “aulette”. Le faccio l’esempio di mio figlio: mio figlio è arrivato in prima elementare che urlava, saltava e lanciava tutto quello che aveva. Non poteva in queste condizioni stare con gli altri bambini, anche perché gli altri bambini si sarebbero spaventati e non si sarebbero più avvicinati a lui. Quindi è stata creata la sua “auletta” dove lui andava quando era agitato; imparava tutte le cose, ad una ad una. L’auletta di sostegno deve servire non a relegare il disabile ma ad educarlo, portarlo in classe nei suoi momenti migliori, fare dei piccoli gruppetti con i compagni che piano piano vengono in auletta a fare attività con lui. E il maestro - che all’inizio era molto contrario, secondo lui in questo modo non c’era integrazione - alla fine della quinta elementare mi ha detto: “Sai? Avevi ragione. Anche i bambini che avevano paura si sono avvicinati ad Edoardo”. Ecco, per questo anche la formazione delle persone è molto importante.

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Paraguay: sostituito ministro Interno dopo morte militante

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Il presidente del Paraguay Horacio Cartes ha destituito il ministro dell'Interno Tadeo Rojas, dopo gli scontri di venerdì scorso ad Asuncion e la morte di un militante dell’opposizione in seguito a un blitz delle forze dell’ordine. Allontanato anche il comandante della Polizia, Crispulo Sotelo, mentre il nuovo ministro dell'Interno Lorenzo Dario Lezcano ha assicurato piena collaborazione con la procura “perché siano chiarite al più presto” le circostanze della morte del ragazzo. Si tratta del 28.enne Rodrigo Quintana, simpatizzante del Partito liberale radicale autentico (Plra), che sta protestando contro la proposta del presidente Cartes di riformare la costituzione del 1992 per potersi ricandidare ad un secondo mandato. Diffuso dalla procura un video nel quale si vede Quintana ucciso a sangue freddo dagli agenti, entrati armi in pungo in una delle sede del Plra della capitale.

Nella notte tra venerdì e sabato decine di manifestanti sono stati arrestati dopo essere entrati nell’edificio del Parlamento e aver appiccato fuoco a una parte del palazzo. Migliaia le persone in piazza contro la riforma costituzionale e quello che hanno definito “un colpo di Stato parlamentare”. “Chiediamo a tutti, autorità e popolo, di non fare uso della violenza, le manifestazioni non diventino campi di battaglia": questo l’appello dei vescovi del Paraguay, che hanno invitato i politici a “riguadagnarsi la fiducia sociale con gesti concreti”. In precedenza la Conferenza episcopale del Paese avevano chiesto di “non insistere sull’introduzione della rielezione presidenziale attraverso la via dell’emendamento costituzionale, perché produce inutile tensione e polarizzazione sociale, che, se non gestita correttamente, potrebbe diventare violenza con imprevedibili conseguenze”. (M.R.)

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Kenya: due anni fa a Garissa al Shabaab uccideva 148 studenti

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Due anni a fa a Garissa, in Kenya, 148 persone, in gran parte studenti e cristiani, furono uccisi dal gruppo jihadista somalo al Shabaab. I terroristi assaltarono il Garissa University College e presero in ostaggio oltre 700 persone, dividendole tra musulmani e cristiani sulla base della loro conoscenza della religione islamica e uccidendo chi non rispondeva correttamente. La strage, che ha profondamente colpito la Chiesa locale, è stata commemorata dal vescovo di Garissa, mons. Joseph Alessandro, che ha ricordato in un’intervista al Sir come “l’educazione sia l’arma più potente che esista per superare conflitti religiosi, tribalismo, ignoranza e povertà”. Chi studia, ha detto il presule, “potrà costruirsi una vita e non sarà attratto da chi offre una paga in cambio dell’arruolamento in un movimento radicale”. (M. R.)

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Pakistan: custode uccide 20 fedeli in un santuario sufi

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In Pakistan, venti persone sono state uccise e quattro ferite in un santuario sufi nella provincia centrale del Punjab. A colpire con una sciabola è stato il custode del tempio, il 50.enne Abdul Waheed, che ha prima narcotizzato e poi stordito i fedeli. L’uomo, che per la polizia “appare disturbato mentalmente”, avrebbe agito per vendicarsi della morte due anni fa del suo leader spirituale, convinto che fossero stati proprio i fedeli ad ucciderlo e che quindi dovessero “essere purificati”. Tra le vittime, quattro donne e cinque membri della stessa famiglia. (M.R.)

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Serbia: il premier Vucic favorito per le presidenziali

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Quasi sette milioni di persone sono chiamate al voto in Serbia per le elezioni presidenziali. Favorito l’attuale primo ministro Aleksander Vucic, conservatore ed europeista. Secondo i sondaggi Vucic potrebbe vincere già al primo turno, con un risultato compreso tra il 53 e il 57%. Distanziati gli altri dieci candidati, tra cui l’ex-ministro degli Esteri, Vuk Jeremic, il centrista Sasa Jankovic e l’ultranazionalista Vojislav Seselj, assolto l’anno scorso dall’accusa di crimini di guerra. Outsider, il giovane Luka Maksimovic detto “Beli”, autore di una campagna antipolitica rivolta a giovani e scontenti. Seggi aperti fino alle 20, con i primi risultati attesi in serata. (M.R.)

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Taiwan. Cristiani e buddisti contro legalizzazione nozze gay

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Anche a Taiwan la legalizzazione delle nozze gay è entrata nel dibattito politico. Un progetto di legge in tal senso è stato approvato in prima lettura dal Parlamento locale lo scorso dicembre ed è in attesa della seconda lettura. Intanto, la Corte Costituzionale ha iniziato l’esame di due ricorsi contro un articolo del Codice Civile che stabilisce che il matrimonio può avere luogo solo tra un uomo e una donna. Per i ricorrenti, l’articolo in questione è contrario al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.

Cristiani e buddisti uniti contro la legalizzazione
Contro la legalizzazione - riporta il quotidiano francese La Croix - si sono mobilitati i leader religiosi buddisti e cristiani dell’isola, secondo i quali la ridefinizione del matrimonio è incompatibile con i valori tradizionali, profondamente radicati nell’isola. “Nelle culture orientali diamo una grande importanza alla pietà filiale dovuta, da ciascuno di noi, a madre e padre. È una virtù che dobbiamo preservare”, ha dichiarato David Tseng, portavoce dell’Alleanza delle religioni di Taiwan per la difesa della famiglia, che riunisce diverse organizzazioni cattoliche, protestanti e buddiste.

La presidente Tsai Ing-wen a favore dei diritti degli omosessuali
La diocesi di Taipei ha intanto indirizzato ai fedeli due lettere per esortarli a “saturare” la casella di posta elettronica della presidente Tsai Ing-wen, come segno di protesta contro una sua dichiarazione secondo la quale non avrebbe “mai sentito parlare di obiezioni da parte della Chiesa al matrimonio tra persone dello stesso sesso”. Cattolica, ma non praticante e prima donna alla guida del Paese, dall’inizio del suo mandato nel 2016, Ing-wen si è detta aperta ai diritti degli omosessuali. Se la proposta di legge presentata al Parlamento passasse, Taiwan sarebbe il primo Paese dell’Asia a legalizzare le nozze gay. (A cura di Lisa Zengarini)

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Nigeria. Vescovi preoccupati per violenze in Southern Kaduna

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Profonda preoccupazione è stata espressa dalla Chiesa in Nigeria in merito alle violenze subite dalla gente ad opera dei Fulani, popolazione nomade normalmente dedita alla pastorizia e al commercio. Secondo mons. Joseph Danlami Bagobiri, vescovo di Kafanchan, nello Stato del Southern Kaduna, nel nord del Paese, "la crisi persiste", perché è mal gestita sia dal governo statale sia da quello federale.

Situazione di insicurezza nella diocesi di Kafanchan e nel Southern Kaduna
Il presule - riporta l'Osservatore Romano - è intervenuto durante una visita compiuta nell’area da una delegazione della Conferenza episcopale guidata mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos. I presuli hanno espresso la vicinanza di tutta la Chiesa nei confronti della popolazione locale minacciata dai raid degli allevatori Fulani. "È importante affermare pubblicamente - ha detto mons. Bagobiri - che la situazione di insicurezza che viviamo nella diocesi di Kafanchan e nel Southern Kaduna non si è fermata, nonostante la presenza degli agenti. Molti di noi sono delusi nel vedere i nostri leader politici parteggiate e sostenere i fulani".

Al Paese servono unità ed equità
Il vescovo ha ricordato che il Southern Kaduna, dove vive la maggioranza dei cristiani dell’area, è privo di progetti di sviluppo federali. Nell’occasione, monsignor Kaigama ha anche rammentato che la Nigeria è un Paese "multietnico, multireligioso e per sua natura complesso. Per questo i nostri politici non devono promuovere gli interessi di alcun gruppo particolare, ma devono essere neutrali e devono cercare il bene comune per promuovere l’unità e l’equità".

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El Salvador: Congresso approva divieto estrazione metalli

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Il Congresso di El Salvador ha approvato, mercoledì scorso, una legge che vieta l'estrazione dei metalli nel Paese. Il divieto è passato con i voti di 69 degli 84 deputati del Congresso unicamerale. La proposta è partita ed è stata sostenuta dalla Chiesa cattolica, dalla Caritas di El Salvador e dalla Università Centroamericana “José Simeón Cañas” (Uca).

Divieto assoluto di estrazioni minerarie
La legge mira a vietare l’estrazione dei metalli dal suolo e dal sottosuolo del territorio salvadoregno. Il divieto - come riportato dalla agenzia Fides - comprende l’esplorazione, l’estrazione e la lavorazione, sia in superfice sia nel sottosuolo. Divieto anche per l'uso di sostanze chimiche tossiche, come il cianuro, mercurio e altre, e qualsiasi procedimento di estrazione dei metalli.

Una battaglia vinta contro lo sfruttamento della natura
Nell’ottobre 2016 il governo salvadoregno ha vinto una causa legale intentata dalla società Oceana Gold (già Pacific Rin), che lo aveva citato in giudizio per aver negato i permessi d'estrazione mineraria. L'arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, aveva detto durante una conferenza stampa: "La legge mineraria che abbiamo è estremamente obsoleta e ci mette in grave pericolo, fa diventare vulnerabile la nazione". A sostegno del disegno di legge ora approvato, sono state raccolte più di 30.000 firme, che sono state consegnate ai deputati il 9 marzo dallo stesso arcivescovo.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 92

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.