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Sommario del 05/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: inorridito per attacco chimico in Siria, cessi tragedia

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"Inorridito" per l’attacco chimico in Siria. Così il Papa al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro, levando una preghiera perché cessi la tragedia per la popolazione locale, colpita ieri nella provincia di Idlib da un attacco chimico che ha provocato oltre 70 vittime, tra cui almeno 20 bambini. Unanime la condanna internazionale. Il servizio di Giada Aquilino

È “ferma” la deplorazione del Papa per quanto avvenuto ieri in Siria. Lo ha detto lo stesso Pontefice al termine dell’udienza generale: “assistiamo inorriditi” agli ultimi eventi nella provincia di Idlib, ha riferito Francesco a proposito di quella che ha definito una “inaccettabile strage” in cui sono state uccise “decine di persone inermi, tra cui tanti bambini”, per l’attacco chimico a Khan Sheikhun:

“Prego per le vittime e i loro familiari e faccio appello alla coscienza di quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché cessi questa tragedia e si rechi sollievo a quella cara popolazione da troppo tempo stremata dalla guerra. Incoraggio, altresì, gli sforzi di chi, pur nell’insicurezza e nel disagio, si sforza di far giungere aiuto agli abitanti di quella regione”.

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Card. Zenari: bambini e civili, vittime innocenti della guerra in Siria

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Sono cruente le immagini provenienti da Khan Sheikhun, la zona della Siria colpita dall’attacco chimico di ieri, di cui ha parlato il Papa all'udienza generale. Bambini e adulti stesi per terra, nella devastazione, che cercano a fatica di respirare. A denunciare l’accaduto è stata l’opposizione siriana, con l’Osservatorio nazionale per i diritti umani. Le forze di Damasco, assieme a quelle russe, hanno negato ogni coinvolgimento. L’inviato Onu nel Paese mediorientale, Staffan de Mistura, ha parlato di “orribile” attacco chimico venuto dal cielo. Convocato d’urgenza il Consiglio di Sicurezza dell'Onu: Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno presentato un progetto di risoluzione, che condanna l'attacco e chiede un'inchiesta rapida e completa. Mosca ha già definito il documento “inaccettabile”. Sul terreno, intanto, rimangono lo choc e il dolore profondo, come testimonia il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Mario Zenari, intervistato da Giada Aquilino

R. – Starà anche alla comunità internazionale cercar di veder chiaro esattamente come si sono svolti i fatti e le responsabilità, quello che è successo. Certamente, quello che si constata è che sono i poveri civili e, tra questi, anche un certo elevato numero di bambini a pagare le conseguenze di questa terribile guerra e di quello che è successo ieri, di questi gas tossici che hanno colpito la povera popolazione di quel villaggio.

D. – Vedere le immagini di adulti e bambini con gli occhi sbarrati nello sforzo di tentare di continuare a respirare cosa provoca in chi la guerra, poi, la vive ormai da sei anni?

R. – Siamo vicini alla Pasqua, alla settimana di Passione di Nostro Signore Gesù Cristo: subito mi viene da pensare all’esalazione dell'ultimo respiro di Gesù in Croce. Gesù, in questo ultimo respiro aveva presenti anche, credo, tutti questi terribili esalazioni di respiri soprattutto di questa gente innocente. Lui, che era un innocente. Tutti questi bambini, mi viene da riflettere come cristiano, sono quelli più associati alla Passione del Signore. E’ una sofferenza che dura da sei anni. Fra pochi giorni entreremo nel mistero della Pasqua, della Passione, Morte e Risurrezione del Signore: questa gente da oltre sei anni sta vivendo la settimana di Passione, sta vivendo il Venerdì Santo, soprattutto la popolazione civile! Innumerevoli sono stati gli appelli della comunità internazionale, del Santo Padre Francesco, affinché sia risparmiata dalle terribili conseguenze del conflitto in primis la popolazione civile. Ormai abbiamo visto troppe vittime civili! Uno dei principali fondamenti del diritto umanitario internazionale, nei casi di guerra, è la protezione dei civili: qui si vede che proprio tale protezione non è osservata.

D. – Il Papa ha levato il proprio appello per la coscienza di quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale. A chi si è rivolto? E quali ora il compito e il ruolo della comunità internazionale?

R. – Prima di tutto, a chi ha l’obbligo di proteggere i civili qui, in Siria, le autorità. Credo che il Papa faccia appello a chi ha responsabilità, soprattutto affinché i civili siano risparmiati da questa guerra. La loro protezione è uno dei principali compiti delle autorità in questi casi di guerra civile. E altrettanto un compito assai grave per la comunità internazionale: non si può accettare la morte ripetuta di persone innocenti tra cui molti, molti bambini.

D. – Nelle prossime ore è stato convocato un Consiglio di Sicurezza dell’Onu: qual è la voce del popolo siriano all’Onu, in queste ore, dopo la strage?

R. – Il popolo siriano è stanco e qui ormai si fa fatica anche a credere, a volte, alla comunità internazionale. Ormai è stanco di parole, è stanco anche di risoluzioni poi non applicate. Ecco, direi che c’è una certa delusione e anche un certo scetticismo. Occorre passare dalle parole ai fatti e quindi anche in questo caso, a far sì che i civili, la popolazione civile, i più inermi, i bambini siano protetti.

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Papa: attentato San Pietroburgo, vicino ai familiari delle vittime

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All’udienza generale Papa Francesco ha parlato anche dell’attentato di sabato scorso nella metro a San Pietroburgo che ha causato 14 vittime:

“Il mio pensiero va in questo momento al grave attentato dei giorni scorsi nella metropolitana di San Pietroburgo, che ha provocato vittime e smarrimento nella popolazione. Mentre affido alla misericordia di Dio quanti sono tragicamente scomparsi, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari e a tutti coloro che soffrono a causa di questo drammatico evento”.

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Francesco: la speranza cristiana non è un concetto né un sentimento, è Gesù

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La speranza cristiana non è un'idea, è Cristo risorto, e prende forma nella dolcezza e nella benevolenza di chi arriva a perdonare: è quanto ha detto il Papa all'udienza generale in Piazza San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti

Al centro della catechesi del Papa, la Prima Lettera di San Pietro in cui l’apostolo invita a rendere ragione della speranza che è in noi. Si tratta di una speranza che non delude, perché fondata sulla Risurrezione di Cristo:

“La nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, non è un telefonino, non è un mucchio di ricchezze! La nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto. I popoli slavi quando si salutano, invece di dire ‘buongiorno’, ‘buonasera’, nei giorni di Pasqua si salutano con questo ‘Cristo è risorto!’, ‘Christos voskrese!’ dicono tra loro; e sono felici di dirlo!”. 

Rendere visibile la speranza con la testimonianza di vita
Di questa speranza – ha spiegato il Papa – “non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, e questo sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa”:

“Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi. Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello: modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come Lui si è comportato. Fare quello che faceva Gesù”.

I mafiosi non hanno speranza
La speranza – ha precisato Papa Francesco - prende “la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto, della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male”, “nella consapevolezza che il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza”. Invece, “una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare”:

“I mafiosi pensano che il male si può vincere con il male, e così fanno la vendetta e fanno tante cose che noi tutti sappiamo. Ma non conoscono cosa sia umiltà, misericordia e mitezza. E perché? Perché i mafiosi non hanno speranza. Pensate a questo”.

Accettare di soffrire per il bene
San Pietro afferma che «è meglio soffrire operando il bene che facendo il male» (v. 17): “non vuol dire - osserva il Papa - che è bene soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore, il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza”:

“Quando allora anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione, semi di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua”.

Prendere la parte degli ultimi
Così, diventiamo “segni luminosi di speranza” ogni volta che “prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando”, benedicendo e “facendo del bene anche a quelli che non ci vogliono bene, o ci fanno del male”.

Giovanni Paolo II, grande testimone di Cristo
Durante i saluti, il Papa, nell’anniversario della morte il 2 aprile scorso, ha ricordato San Giovanni Paolo II, “grande testimone di Cristo”, “difensore dell’eredità della fede”, che ha rivolto al mondo i due grandi messaggi di Gesù Misericordioso e di Fatima, riguardante il trionfo del Cuore Immacolato di Maria sopra il male.

Invito a partecipare alla Via Crucis a Roma per le "donne crocefisse"
Infine, ha salutato i familiari dei militari caduti nelle missioni internazionali di pace, accompagnati dall’Ordinario Militare, mons. Santo Marcianò, e ha invitato a partecipare alla Via Crucis per le donne crocifisse che avrà luogo venerdì 7 aprile a Roma, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, lanciando un appello a continuare “l’opera in favore di ragazze sottratte alla prostituzione”.

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Papa a delegazione musulmana: il lavoro più importante è ascoltarci

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Prima dell’udienza generale il Papa ha ricevuto nell’Auletta dell’Aula Paolo VI in Vaticano, una delegazione di Leader musulmani della Gran Bretagna, presenti a Roma in occasione di un incontro sui temi dell'integrazione, educazione e violenza. Ad accompagnarli l’arcivescovo di Westminster, il cardinale Vincent Nichols, che ha portato il suo saluto al Papa dopo una breve introduzione del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Nel suo intervento Francesco ha sottolineato l’importanza dell’ascolto. Il servizio di Adriana Masotti

Il cardinale Nichols presenta al Papa i quattro leader della comunità musulmana nel Regno Unito che fanno parte della Delegazione: due appartengono alla comunità sciita e due di quella sunnita. E spiega che essi lavorano costantemente, da tempo, per la causa della pace e del dialogo interreligioso. L’esempio e la guida del Papa è un grande esempio per tutti. Il porporato ringrazia poi Francesco per il messaggio inviato al suo Paese dopo l’attentato di Westminster: “Questo periodo, afferma il cardinale Nichols, rappresenta per noi un’ulteriore sfida, ma lo vediamo anche come un’opportunità per fare in modo che le nostre voci, unite, siano ascoltate per l’unità del Paese, per la pace, per la fiducia in Dio”.

Il Papa dice la sua gioia per questo incontro e poi:

"A me piace pensare che il lavoro più importante che noi dobbiamo fare oggi fra noi, nell’umanità, è il lavoro 'dell’orecchio': ascoltarci. Ascoltarci, senza fretta di dare la risposta".

Bisogna saper accogliere la parola dei fratelli e dare la nostra - prosegue il Papa - perché la capacità di ascolto è tanto importante. E dice che quando le persone hanno questa capacità di ascolto, parlano con un tono basso, non gridano:

"Tra fratelli, tutti noi dobbiamo parlare, ascoltarci e parlare adagio, tranquilli, cercare insieme la strada. E quando si ascolta e si parla, già si è sulla strada".

Al termine dell’udienza il collega della redazione francese Cyprien Viet ha intervistato il card. Tauran che aveva introdotto l’incontro:

"Il Santo Padre ha insistito sulla necessità dell’ascolto. Prima di entrare in merito al dialogo interreligioso è importante ascoltare. Poi, durante la nostra seduta di lavoro, abbiamo rilevato le tre sfide che dobbiamo affrontare. La sfida dell’identità: non si può dialogare sulle religioni se non si ha una chiara percezione della propria fede: il dialogo interreligioso comincia sempre con la professione della propria fede. Poi c’è la sfida dell’alterità, cioè l’altro che non crede come me, che non vive come me, non è necessariamente un nemico ma un fratello che come me va sulla strada che va verso Dio. E poi la sfida della sincerità: il dialogo interreligioso non è una strategia ma è una pratica religiosa dell’uomo di fronte a Dio e di fronte ai suoi compagni nell’umanità perchè siamo tutti pellegrini verso la verità."

 

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Papa Francesco riceve il principe Carlo e la duchessa Camilla

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Papa Francesco ha ricevuto ieri pomeriggio nello studio dell’Aula Paolo VI in Vaticano il principe Carlo del Galles e la duchessa di Cornovaglia, Camilla, con il seguito. È stato il primo incontro del Pontefice con la coppia, in questi giorni in visita in Italia. I colloqui, informa un comunicato dell'ambasciata britannica presso la Santa Sede, hanno riguardato “argomenti di reciproco interesse”. Francesco ha donato una scultura in bronzo di un ramo d'ulivo, mentre il principe Carlo e la duchessa Camilla hanno offerto al Pontefice un cesto di prodotti della tenuta privata di Highgrove, da condividere con poveri e senza fissa dimora. Dopo l’udienza, il principe Carlo si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. L’ambiente è stato uno dei temi trattati. Il principe e la duchessa hanno visitato anche l’Archivio Segreto Vaticano e la Biblioteca Vaticana, salutando inoltre il personale britannico che lavora presso la Santa Sede.

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Santa Sede: Siria, parti in conflitto garantiscano protezione civili

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Il segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, mons. Paul R. Gallagher, è intervenuto oggi a Bruxelles alla Conferenza sul tema “Sostenere il futuro della Siria e della regione”. L’evento - ha osservato il presule - ha il duplice scopo di “rinnovare gli impegni umanitari assunti dalla comunità internazionale lo scorso anno a Londra e di cercare i modi migliori per sostenere una soluzione politica duratura alla crisi in Siria, che sia inclusiva e guidata dai siriani”.

La crisi è entrata nel suo settimo anno e “la Santa Sede - ha detto mons. Gallagher - continua a essere profondamente preoccupata per l’immensa sofferenza umana che colpisce milioni di bambini innocenti e altri civili, i quali continuano a essere privati di aiuti umanitari essenziali, strutture mediche ed educazione, ed esorta al pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, specialmente per quanto riguarda la protezione delle popolazioni civili, garantendo loro accesso alla necessaria assistenza medica. Inoltre, la Santa Sede esprime la sua preoccupazione per le condizioni e il trattamento dei prigionieri e dei detenuti”.

Ricorda, quindi, l’appello di Papa Francesco alla comunità internazionale “perché si adoperi con solerzia per dare vita ad un negoziato serio, che metta per sempre la parola fine al conflitto, che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria” e perché ciascuna delle parti in causa ritenga “come prioritario il rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione”.

“La Santa Sede – ha affermato il rappresentante vaticano - apprezza molto l’enfasi posta in questa conferenza di donatori sul fornire assistenza umanitaria e gli sforzi per sostenere il cessate il fuoco e la soluzione politica alla crisi, e unisce la propria voce agli appelli a favore di maggiori finanziamenti per aiutare le persone internamente dislocate, i rifugiati e le comunità ospitanti nei paesi limitrofi che ne subiscono l’impatto”. Ha quindi assicurato che nel prossimo anno la Chiesa cattolica manterrà il suo impegno a proseguire la sua assistenza umanitaria.

Nel 2016 – ha ricordato mons. Gallagher - la Santa Sede e la Chiesa cattolica, attraverso la sua rete di enti caritativi, hanno contribuito a fornire 200 milioni di dollari americani per l’assistenza umanitaria a diretto beneficio di oltre 4,6 milioni di persone in Siria e nella regione: “Nel distribuire aiuti, le agenzie e le entità cattoliche non fanno distinzioni riguardo all’identità religiosa o etnica di chi ha bisogno di aiuto e cercano sempre di dare priorità alle persone più vulnerabili e più bisognose. Questo approccio è stato dimostrato anche attraverso l’apertura, a gennaio, di un centro Caritas nell’area musulmana della parte est di Aleppo e il progetto ‘Ospedali aperti’, che cerca di aprire gli ospedali cattolici ad Aleppo e a Damasco e di renderli pienamente operativi per i bisogni delle popolazioni locali, specialmente i poveri e i meno avvantaggiati”.

“Motivo di profonda preoccupazione - ha detto il presule - continua a essere per noi la situazione di vulnerabilità dei cristiani e delle minoranze religiose in Medio Oriente, che soffrono oltremodo per gli effetti della guerra e dell’agitazione sociale nella regione, al punto che la loro stessa presenza e la loro esistenza sono fortemente minacciate. Come Sua Santità Papa Francesco ha ripetutamente ricordato, la loro presenza permanente può consentire loro di adempire il proprio ruolo storico e fondamentale di contribuire alla coesione sociale di quelle società, che sarà di fondamentale importanza per il futuro dell’intera regione”.

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Mons. Urbańczyk: traffico bambini migranti è scioccante

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Minacce per i bambini nelle aree di crisi, sistemi effettivi di protezione dei minori, linee guida per lo sviluppo di politiche efficaci. Su questi tre focus si è concentrato mons.Janusz S. Urbańczyk, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Osce, alla 17.ma Conferenza promossa dall'organizzazione, che si è tenuta a Vienna fino a ieri nell'ambito dell'Alleanza contro il traffico di persone. Mons.Urbańczyk ha ricordato, in particolare, le molteplici forme di schiavitù di cui i bambini sono vittime. E’ profondamente scioccante - ha osservato - che la riduzione in schiavitù di esseri umani, e in particolare di minori, sia diventato per i trafficanti un business altamente redditizio in diverse regioni del mondo.

Minacce per i bambini nelle aree di crisi
Il presule ha inoltre sottolineato la priorità di rispettare pienamente il diritto di ogni bambino a vivere nella sua famiglia. Ma assistiamo alla tragica realtà - ha aggiunto - di giovani ragazze e ragazzi abusati, ridotti in schiavitù, impiegati come soldati in conflitti, coinvolti nel traffico di droga. Deve essere affrontata, in particolare, la questione dei bambini migranti e quella dello squilibrio che contraddistingue l’offerta formativa di base a livello mondiale. Anche se siamo tutti impegnati a proteggere la dignità umana - ha affermato mons. Urbańczyk - il lucro rimane la leva più potente alla base dello sfruttamento e dell’abuso dei bambini.

Sistemi effettivi di protezione dei minori
Ricordando che tra i migranti ci sono molti bambini non accompagnati, mons. Urbańczyk ha poi indicato tre urgenze: fornire assistenza per garantire che tutti i bambini siano registrati nei loro Paesi di origine, fissare accordi internazionali per tutelare i diritti dei minori; creare reti efficienti per affrontare la tratta e lo sfruttamento. Mons. Urbańczyk ha ricordato, in particolare, l’iniziativa di “Talitha Kum", la rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone che, in oltre 70 Paesi, promuove iniziative contro la vergognosa piaga del traffico di esseri umani.

Linee guida per lo sviluppo di politiche efficaci
Riferendosi alle linee guida per affrontare il turpe fenomeno della tratta di persone, mons. Urbańczyk ha affermato che è cruciale la cooperazione efficace tra politica, forze di polizia, agenzie di investigazione nazionali e organizzazioni non governative. Una collaborazione necessaria - ha detto - anche per tutelare i minori lungo il loro viaggio dal Paese di origine a quello di destinazione. E’ fondamentale - ha detto infine il presule - riconoscere la necessità di un “cambiamento culturale” per “instillare in ogni coscienza” quei valori universali così chiaramente espressi nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Oggi in Primo Piano



Iraq: 300 mila civili in fuga da Mosul, continua offensiva esercito

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In Iraq settentrionale, in concomitanza con l’avanzata dell’esercito di Baghdad verso la zona occidentale di Mosul, ancora nelle mani del sedicente Stato islamico, cresce l’emergenza umanitaria. Sono oltre 300 mila gli sfollati che hanno lasciato la città dall’ottobre scorso, quando è iniziata l'offensiva. Il numero dei profughi, secondo l’Onu, è destinato a crescere. Sulla situazione, che coinvolge la popolazione cristiana, ma non solo, Giancarlo La Vella ha intervistato Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre

R. - I cristiani condividono questo dramma con tutte le minoranze religiose dal 2014, cioè dall’arrivo dello Stato Islamico. Attualmente, a Mosul, non ci risultano essere ancora dei cristiani. Sostanzialmente da Mosul i cristiani erano fuggiti tutti, salvo alcune rarissime eccezioni, nel giugno 2014. Ci risulta ora una grande fuga di massa. Io ho avuto modo anche di riscontrarla personalmente, quando i primi giorni di marzo sono stato lì, nei pressi di Mosul, nella Piana di Ninive a 7-8 chilometri dalla stessa città: abbiamo avuto modo di vedere da vicino gli enormi campi di prima accoglienza predisposti da tante organizzazioni di carità per decine di migliaia di civili in fuga da Mosul. Queste sono le ore più drammatiche, l’azione forse sta raggiungendo il suo momento topico. I reporter ci raccontano momenti di intensa drammaticità con i civili utilizzati come scudi umani. A noi tutti, all’Occidente come sempre e alle organizzazioni di carità compete il compito di dare accoglienza a chi sta fuggendo.

D. - C’è la speranza di ritornare a Mosul nelle proprie abitazioni, un po’ come è successo in parte per le altre zone liberate?

R. - E’ troppo presto per poter dire qualunque cosa a riguardo. A Mosul ancora si combatte. Salutiamo piuttosto con grandissima gioia l’accordo raggiunto tra la Chiesa caldea, la Chiesa siro-cattolica e la Chiesa siro-ortodossa alla base del quale, finalmente, possiamo partire adesso con gli aiuti, perché i cristiani innanzitutto possano tornare nei loro villaggi della Piana di Ninive.

D. - Che supporto si riesce a dare a questi 300 mila in fuga e non parlo solo di supporti materiali?

R. – I supporti materiali però adesso sono la prima necessità, perché nei supporti materiali c’è un riparo, nei supporti materiali c’è l’alimentazione, ci sono le medicine. Noi ci stiamo dedicando adesso a quella comunità di cristiani che ad Erbil, ancora, da due anni e mezzo, vive o in container, ma soprattutto negli appartamenti presi in affitto. Ho visto diverse organizzazioni di beneficienza a Erbil letteralmente impegnate nella predisposizione di questi campi di accoglienza. Credo che adesso bisogna dare loro quel conforto materiale e psicologico - sono soprattutto musulmani - perché superino un trauma indicibile. Perché quello che si è visto e quello che raccontiamo, che raccontate, anche voi di Radio Vaticana, è veramente qualcosa di incredibile, di inumano, che non trova mai parole adeguate nella descrizione. Lì sono precipitati nell’Inferno e adesso bisogna dare una mano a tutti per poter uscire da questa assurda situazione.

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Vescovi Sudafrica: presidente Zuma consideri ipotesi dimissioni

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Si riporti la crisi politica in Parlamento per preservare la democrazia e la pace sociale, chiedono i Vescovi sudafricani in un messaggio firmato da Mons. Stephen Brislin, Arcivescovo di Città del Capo e Presidente della Southern African Catholic Bishops’ Conference, pubblicata il 4 aprile.

Il rimpasto governativo operato dal Presidente Jacob Zuma che ha visto la sostituzione del Ministro delle Finanze Pravin Gordhan, con Malusi Gigaba, sta creando fortissime proteste nel Paese. “In questo stato di ansietà e di incertezza è della massima importanza che il Parlamento sia convocato d’urgenza” affermano i Vescovi sudafricani nel documento pervenuto all’Agenzia Fides.

I Vescovi ricordano che è compito del Parlamento controllare l’operato del governo ed esprimono la speranza che i deputati “siano guidati dal bene del Paese e della popolazione, e non da ristrette lealtà o interessi di parte”.

In Sudafrica da più parti si chiedono le dimissioni di Zuma. “Mentre prendiamo nota e rispettiamo gli appelli alle dimissioni del Presidente, un passo del genere da solo non rappresenta la soluzione completa, perché occorre sradicare la corruzione ad ogni livello” afferma il messaggio che chiede all’African National Congress, il partito al potere, di “fare sforzi seri per far cessare la corruzione e le raccomandazioni a tutti i livelli di governo”. In ogni caso i Vescovi chiedono a Zuma “di riconsiderare seriamente la propria posizione e di non aver timore d’agire con coraggio e umiltà nell’interesse migliore della nazione”.

Il 7 aprile è stata organizzata una marcia di protesta in tutto il Sudafrica. Notando che si sono intensificate le voci incontrollate su possibili violenze, i Vescovi ribadiscono che dimostrare pacificamente è un diritto e che “è essenziale che la gente possa far sentire la propria voce”.

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Repubblica Democratica del Congo: altri attacchi a preti e suore

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“Da Kinshasa al Nord-Kivu, passando per il Kasai, chiese, conventi e scuole cattoliche sono vandalizzati, saccheggiati e attaccati da banditi armati, da ribelli o altre persone incivili” denuncia il CEPADHO, Ong basata nel Nord Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

Oltre ai fatti avvenuti nel Kasai, il comunicato inviato all’Agenzia Fides, riporta che domenica 2 aprile, “sconosciuti hanno effettuato un’incursione nell’abitazione parrocchiale di Paida nella città di Beni nella provincia del Nord Kivu. Tre sacerdoti, tra cui l’economo, sono stati presi nelle loro camere e torturati. I banditi hanno rubato denaro, computer e altri beni. Le vittime sono salve per miracolo”. Anche le vicine scuole cattoliche sono state saccheggiate, tra le quali una dove era custodito materiale elettorale della Commissione Elettorale Indipendente (CENI).

Secondo il CEPADHO questi episodi sono volti a “punire” l’impegno dei Vescovi nella mediazione politica che ha portato alla stipulazione degli accordi di San Silvestro, che prevedono la creazione di un governo di unità nazionale che organizzi entro l’anno le elezioni presidenziali e parlamentari.

A fine marzo, però, la Conferenza Episcopale ha rinunciato a continuare la mediazione per l’attuazione di questi accordi. “Il CEPADHO sottolinea che l’impasse politica non è colpa dei Vescovi o della Chiesa cattolica, ma della classe politica congolese che frena a mettere in opera l’accordo del 31 dicembre”.

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Messico. La Chiesa lancia "Innovazione pastorale 2.0"

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Puebla capitale internet dell’intera America Latina. E’ la sfida e realtà della Chiesa messicana che ha lanciato il progetto: “Innovazione pastorale 2.0”. Attraverso un percorso di formazione e testimonianza digitale, unico nel continente, si stanno abbattendo muri virtuali e sociali. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con padre Armando Javier Prado Flores, vicario episcopale per i laici nell'arcidiocesi di Puebla: 

R. – Non c’è altra via, sono i mezzi di oggi e anche quelli di domani. Allora noi dobbiamo usarli non soltanto tecnologicamente ma nella mentalità. Dobbiamo capire che questa è un’impostazione diversa della comunicazione: prima io dicevo, tu ascoltavi; adesso io dico, tu ascolti ma tu puoi intervenire, interagire. E’ la rete internet 2.0, poi arriverà quella 3.0, quella semantica che in parte già è una realtà in ambito pubblicitario. A livello semantico si cerca di capire i desideri, i bisogni, le aspettative e si tenta di rispondere in anticipo. La Chiesa ha questa opportunità di conoscere i bisogni reali e così fare “l’abito a misura”.

D.  - C’è chi dice: è pericoloso utilizzare per la fede parole e regole del mercato…

R. - Questa è una domanda che sorge sempre. Dio ha voluto farsi uomo perché noi uomini potessimo capire il suo mistero d’amore, di donazione di sé, di gioia, di ricerca di pienezza della vita. Non siamo stati noi ad inventare questo e mai sottomettere alle leggi del mercato la fede. No, questo no, mai e poi mai! Ciò che si fa è seguire il mistero dell’Incarnazione.

D.  – Detto in altre parole: siamo nel mondo senza essere del mondo…

R. – E non possiamo fare altro. Il cristianesimo cresce per contagio. E’ un contagio di quella gioia che c’è: conoscere Gesù, conoscere l’amore infinito di Dio che non fa discriminazione. E’ un amore inclusivo per tutti, sempre e ovunque.

D. - Puebla è la quarta città del Messico. Voi avete avviato questo progetto  “Innovazione pastorale 2.0”, siete i soli in tutta l’America Latina: chi viene da voi?

R. – Dagli Stati Uniti, dall’Ecuador, Cile, Guatemala e Angola… E poi nel Messico, da un terzo della Repubblica ci sono studenti: da Città del Messico, Campeche, Guanajuato, Guerrero, Hidalgo, Jalisco, Michoacan, Puebla, San Luis Potosi, Taumalipas… 

D. – Stupisce che proprio dagli Stati Uniti, un po’ una patria tecnologica, vengano in Messico…

R.  – Questa è una meraviglia per noi. Ma lo abbiamo pensato fin dall’inizio. Siccome i nostri migranti negli Stati Uniti vogliono ascoltare la Parola di Dio, vogliono diventare agenti pastorali e vogliono lavorare sulla pastorale spagnola negli Stati Uniti, allora loro prendono questa abilitazione da noi, a basso prezzo, bassissimo, rispetto alle università americane, e poi possono lavorare nella pastorale spagnola degli Stati Uniti.

D.  – Il Messico vive ora un periodo complesso proprio in relazione “ai muri” con gli Stati Uniti e alle decisioni del presidente Trump. Qual è la situazione?

R. – Ciò che fa questo presidente non è nuovo. Altri presidenti dagli Stati Uniti hanno fatto le stesse cose, hanno costruito i muri, hanno deportato tanti messicani, tanti centroamericani, sudamericani… Anche Obama ne ha deportati tantissimi, migliaia. Ma il problema è che noi non abbiamo la capacità di trattenere queste persone che cercano lavoro. Adesso che ritornano non abbiamo neanche la capacità di riceverli.

D.  – Come Chiesa siete molto impegnati su questo fronte, che cosa state facendo?

R. – Facciamo un lavoro col governo, con privati, con università, con tutte le parti interessate ad avviare opportunità, nuove imprese ma il problema è enorme. Si parla di 35mila rimpatriati solo negli ultimi giorni. Chi riesce a ricevere questo? Nessun Paese! Dobbiamo creare sinergie, dobbiamo abbattere il muro della povertà estrema, che è un’offesa a Dio. Non è giusto che la gente non abbia il minimo della condizioni per vivere: non è umano, non è evangelico. La Chiesa non lo vuole e dobbiamo lottare con tutte le forze, in tutti i sensi, per avere una vita dignitosa come figli e figlie di Dio.

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Raffaele Cantone: la corruzione "spuzza", ma non ha aree geografiche

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E' stato pubblicato in questi giorni il libro del presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), Raffaele Cantone - scritto con Francesco Caringella - dal titolo "La corruzione spuzza". Un'analisi approfondita su quella che viene definita la "malattia del secolo" e sui passi avanti fatti in materia di anti-corruzione. A ispirare il titolo sono state le parole di Papa Francesco pronunciate il 21 marzo 2015 in occasione della sua visita pastorale a Napoli. Ascoltiamo Raffaele Cantone al microfono di Giovanna Bove

R. – È un chiaro riferimento a parole che mi sono rimaste impresse oltre che per il riferimento alla corruzione anche per il luogo in cui sono state dette: a Scampia. Il Papa apparentemente utilizza un termine errato: invece di “puzza” utilizza “spuzza”, che però ha avuto una capacità evocativa maggiore ed eccezionale. Il titolo è un po’ anche un ringraziamento a quello che il Papa fa continuamente nel denunciare quali sono gli effetti devastanti della  corruzione.

D. - Si parla e si scrive molto del tema, ma questo libro vuole essere qualcosa di diverso. Che cosa, nello specifico?

R. - Vuole provare a dare un’interpretazione diversa, cioè la corruzione non è solo un male ma la corruzione fa male. Noi riteniamo in questo libro che l’indignazione del momento non è molto utile per contrastare la corruzione; abbiamo bisogno invece della consapevolezza dei cittadini che la corruzione è un fatto particolarmente negativo.

D. - Come è cambiato intanto il modo della corruzione in generale? Dove è più infiltrata, in quali ambiti o se vogliamo aree geografiche?

R. - Nelle modalità in primo luogo, perché non è sempre vero che la corruzione è lo scambio della mazzetta. La corruzione spesso è molto altro, non c’è nemmeno a volte lo scambio di denaro. La corruzione non ha aree geografiche. Purtroppo ci sono sicuramente aree meno infestate del Paese, non mi piace fare graduatorie anche perché non hanno un valore scientifico. Secondo me il punto interessante è che la corruzione ovviamente sta emergendo sempre di più anche nei legami con la criminalità organizzata, perché le mafie stanno utilizzando uno degli strumenti principali, soprattutto in un momento in cui sparano meno: proprio lo strumento della corruzione.

D. - Non le piace individuare un’area geografica, però effettivamente è rilevante quanto è accaduto ad esempio in Romania con le settimane di protesta della società civile, ad esempio contro il decreto salva corrotti …

R. - Certamente quello è stato un momento di grande maturità democratica. Però vorrei dire che anche nel nostro Paese ci fu una vicenda del genere durante Tangentopoli quando si provò a fare quel decreto che divenne noto come “Salva ladri“. Il punto vero è proprio quello che dicevamo prima: l’indignazione in certi momenti rischia poi di passare nell’indifferenza. Quando per esempio è stata approvata una norma pericolosissima come  la riforma del falso in bilancio, nessuno ha protestato neanche un minuto. Io insisto: non basta l’indignazione; c’è bisogno della consapevolezza.

D. - Il Pontificato di Papa Francesco si caratterizza anche per gli affondi sul tema della corruzione. Quali azioni, frasi o discorsi le sono rimasti più impressi?

R. - Sono tanti. Da credente credo che l’affermazione apparentemente più paradossale ma anche più bella è quando Papa Francesco dice: “Il peccato si perdona, la corruzione no”. È una cosa incredibile perché la religione cattolica è la religione del perdono. Però quella frase ha una sua ragion d’essere, perché? Papa Francesco lo ha spiegato in più passaggi quando dice che il corrotto e il corruttore si abituano talmente a questa vita che non si rendono conto nemmeno di sbagliare e quindi non si pentono. Perciò il peccatore può essere perdonato e il corrotto no.

D. - In conclusione tra i paragrafi si legge: “L’Italia ce la può fare”. Che cos’è una sollecitazione all’impegno personale collettivo: finalmente dipende da me, dipende da noi, si può guarire dalla corruzione?

R. - È un libro realista che evidenzia quali sono i problemi. Sono tanti. Ma è un libro che si apre anche ad una serie di passaggi di speranza concreti: la possibilità di muoversi con una logica che va aldilà dell’emergenza. Noi negli ultimi capitoli evidenziamo anche passi avanti fatti nella lotta alla corruzione dal punto di vista normativo ed amministrativo, dal punto di vista dei cambiamenti culturali; e perché non segnalare ad esempio che la classifica di “Transparency international” ci ha  fatto guadagnare nove posizioni in due anni, invertendo finalmente una tendenza che sembrava sempre verso il peggio? Però il problema vero è che crediamo che ci sia bisogno di un maggiore coinvolgimento sociale.

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Al via “Forgiamo”, progetto di formazione lavoro per i giovani

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Nasce in Umbria, ma sarà da subito esportato anche in Veneto e in Sicilia, il progetto “Forgiamo. Riscopriamo i talenti”: un percorso di avviamento al lavoro della durata di 9 mesi – divisi tra una formazione trasversale e una specifica – che mira a fornire a 30 giovani fra i 16 e i 30 anni gli strumenti necessari a progettare la propria attività. I più meritevoli tra quelli selezionati in Umbria potranno, poi, creare la loro piccola società "startup" imprenditoriale. Il progetto è promosso dall’Anspi, associazione San Paolo Italia Oratori e Circoli, ed è sostenuto dalla diocesi di Perugia-Città della Pieve. Ce ne parla Roberta Barbi: 

La sfida è chiara: imparare i lavori storici che fanno parte della tradizione artigianale italiana, per traghettarli, però, nel mercato di oggi, acquisendo, dunque, anche competenze trasversali come quella di redigere un business plan o di gestire le vendite on line. È questo l’obiettivo di “Forgiamo” il progetto di formazione che sta per essere avviato in tre Regioni italiane e che metterà in comunicazione i giovani che si affacciano al mercato del lavoro con le aziende del territorio, come spiega don Riccardo Pascolini, responsabile della Pastorale giovanile della diocesi di Perugia e del Coordinamento oratori umbri di Anspi:

“Il progetto cerca di entrare in un segno che la Chiesa vuole dare nel mondo del lavoro ai giovani. Quindi è un progetto che ha certamente il desiderio di produrre novità. Cerca di forgiare, creare, plasmare, costruire - partendo dai desideri e dalle competenze dei giovani - la possibilità lavorativa dei giovani. Quindi, cerca di creare fucine d’innovazione sociale e formare con metodi e strumenti nuovi un gruppo di giovani e prepararli al cambiamento”.

Il progetto opererà in tre contesti sociali – uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud – tra loro molto diversi: si comincia dall’Umbria, in cui si avvale della collaborazione dell’Istituto nazionale di design, per sbarcare nel distretto industriale di Verona, dove la formazione si svolgerà nei campi della falegnameria e del riuso dei materiali; per finire, in Sicilia, ad Agrigento, con una maggiore attenzione al settore del tessile e del cucito. Denominatore comune è la ricostruzione della speranza anche attraverso la concretezza e la riscoperta delle proprie potenzialità, per combattere il fenomeno dei “neet”, i giovani che non studiano, non lavorano e neppure cercano, che nella sola Umbria sono il 19%. Secondo don Pascolini, impegnato anche nella preparazione del Sinodo del 2018 sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, il problema è che le nuove generazioni sono affette dall’infelicità; infelicità che, però, non è mai la verità. Ascoltiamolo:

“Il rischio è proprio di spegnere questo desiderio di speranza dei giovani e questa infelicità genera ancora infelicità. Invece l’infelicità non è l’ultima parola: la parola vera è la speranza che noi cerchiamo di vivere, che per noi ha un nome – è Gesù Cristo – passa dal rigenerare e generare la speranza. E questa speranza necessariamente vince l’infelicità. Per far questo c’è bisogno di concretezza, di obiettivi; c’è bisogno di strade, di un accompagnamento che libera i giovani dal pensiero comune e cerca di dar loro una prospettiva concreta, ma senza illusione”.

“Forgiamo” si fonda, quindi, sul trinomio vincente “giovani-Vangelo-lavoro” e mira a calare nella società attuale la necessità di seguire la propria vocazione per mettere a frutto i talenti che il Signore ci ha donato e, dunque, incidere cristianamente nella società anche attraverso la ricostruzione delle comunità, come ci ricorda l’Enciclica “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Ma dunque, oggi, occuparsi di Pastorale giovanile significa anche occuparsi di lavoro? Ci risponde ancora don Pascolini:

“Credo che siamo chiamati a occuparci di tante cose. Vengo da nove anni, ormai, di esperienza in Pastorale giovanile e vedo che per quei giovani che abbiamo accompagnato prima nell’età adolescenziale e poi nel percorso universitario, adesso c’è bisogno proprio di accompagnarli anche in questo salto, che comunque definisce una parte di vita importante, perché li immette nel mondo degli adulti con una competenza, con delle decisioni e anche con delle definizioni importanti”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 95

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.