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Sommario del 06/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Giovedì Santo, Papa nel Carcere di Paliano. Cappellano: grande commozione

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Papa Francesco conferma la sua grande vicinanza al mondo carcerario. Oggi l’annuncio che in apertura del Triduo Pasquale si recherà nella Casa di reclusione di Paliano, dove giovedì prossimo 13 aprile celebrerà la Messa in Coena Domini, con il rito della lavanda dei piedi ad alcuni detenuti. Roberta Gisotti ha intervistato il cappellano del carcere, don Luigi Paoletti:

D. - Don Luigi come ha accolto oggi questa notizia, che sappiamo anche per lei è una sorpresa?

R. – Sì, una sorpresa! Ancora sono commosso. A parte che i detenuti me lo chiedevano insistentemente da anni, che il Papa andasse da loro! Hanno scritto tante volte, lo desideravano veramente con un’immensa gioia.

D. – Quali frutti potrà portare la presenza del Papa a Paliano, dopo la recente e commovente visita di Francesco al Carcere di San Vittore a Milano? Lì, il Papa ha detto: “Mi sento a casa con voi”…

R. – Penso che l’accoglienza sarà veramente straordinaria anche perché, ripeto, sono innamorati di questo Papa e vorrebbero da lui una parola di conforto per loro e per i loro familiari.

D. - Il mondo del carcere ancora oggi è un mondo estraniato dalla realtà esterna e questo Papa sta indicando che non deve essere così…

R. – Sì ma è così, questo è vero, molto vero.

D. - Don Luigi, quanti sono i detenuti nel carcere di Paliano e che tipo di reati stanno scontando?

R. - C’è un reparto dedicato ai malati di tubercolosi, il sanatorio: la maggioranza sono stranieri, ci sono anche italiani che hanno contratto questa malattia - e noi lo sappiamo - attraverso disagi, quindi sono anche persone con tantissime difficoltà. Poi, c’è un bel gruppo, oltre 50, che sta scontando pene abbastanza lunghe: sono quasi tutti collaboratori di giustizia, quindi con pene molto lunghe. Poi c’è un reparto delle donne, che sono 4 al momento.

D. – In tutto quanti sono?

R. – Circa 60-70, ma qui le presenze sono in continua evoluzione in quanto i detenuti si alternano, cambiano ma il numero è sempre questo: una cinquantina gli uomini, poi altri 10-15 nel sanatorio e 5, 6, 7 donne.

D.  – Don Luigi, lei ha detto che i detenuti amano questo Papa, che gran parte dei detenuti lo ama, lo sente vicino…

R. – Lo sente vicino per il fascino che riesce ad emanare, soprattutto nella sua compassione per chi soffre, per chi ha sbagliato, per chi è caduto e chi ha soprattutto il coraggio di rialzarsi. E la maggioranza - almeno dalla mia esperienza - ha intrapreso un cammino abbastanza lento, lungo, faticoso, ma c’è questa esigenza, questo senso di misericordia, di amore, di attenzione, di accoglienza che qualcuno veramente e umanamente si interessi anche alla loro situazione, questo dà loro tanta speranza.

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Papa: fermiamoci un po' per scoprire l'amore di Dio nella nostra storia

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Dio è sempre fedele alla sua alleanza: è stato fedele con Abramo e alla salvezza promessa in suo Figlio Gesù. Così il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco esorta a fermarsi oggi, per dieci minuti, e pensare alla propria storia per scoprire la bellezza dell’amore di Dio, anche nelle prove. Il servizio di Debora Donnini:

Abramo, al centro della liturgia odierna, è la figura attorno alla quale si snoda l’omelia di Francesco. Nella Prima lettura si narra, infatti, dell’alleanza che Dio fece con Abramo, chiamato “padre” da Gesù e dai farisei, nel Vangelo di oggi, perché è colui che iniziò a generare “questo popolo che oggi è la Chiesa”. Abramo, si fida, obbedisce, quando viene chiamato ad andarsene in un’altra terra che avrebbe ricevuto in eredità.

Abramo, uomo di fede, sperimenta che Dio non lo aveva ingannato
Uomo di fede e di speranza, crede quando gli viene detto che avrebbe avuto un figlio “a 100 anni”, con “la moglie sterile”, "credette contro ogni speranza". “Se qualcuno cercasse di fare la descrizione della vita di Abramo, potrebbe dire: ‘Questo è un sognatore’”, nota il Papa. E qualcosa del sognatore aveva, ma di “quel sogno della speranza”, non era un pazzo, spiega:

“Messo alla prova, dopo avere avuto il figlio, figlio ragazzo, adolescente, gli viene chiesto di offrirlo in sacrificio: obbedì e andò avanti contro ogni speranza. E questo è nostro padre Abramo, che va avanti, avanti, avanti, e quando Gesù dice che Abramo vide il suo giorno, vide Gesù, fu pieno di gioia. Sì: vide in promessa quello e quella gioia di vedere la pienezza della promessa dell’alleanza, la gioia di vedere che Dio non lo aveva ingannato, che Dio – come abbiamo pregato nel cantico interlezionale – è sempre fedele alla sua alleanza”.

Lo stesso Salmo responsoriale invita a ricordare i Suoi prodigi. Questo per noi, stirpe di Abramo, è come quando pensiamo a nostro padre che se ne è andato, e ricordiamo “le cose buone di papà” e pensiamo: “Ma è grande papà!”.

Abramo obbedisce e crede contro ogni speranza
Il patto, da parte di Abramo, consiste nell’aver obbedito “sempre”, prosegue Francesco. Da parte di Dio, la promessa è di renderlo “padre di una moltitudine di nazioni”. “Non ti chiamerai più Abram ma Abramo” gli dice il Signore. Poi in un altro dialogo, sempre nel libro della Genesi, Dio gli dice che la sua discendenza sarà numerosa come le stelle del cielo e la sabbia che è sulla riva del mare. E oggi noi “possiamo dire”: “Io sono una di quelle stelle. Io sono un granello della sabbia”.

Guardare la storia: siamo un popolo
Fra Abramo e noi, c’è quindi l’altra storia, dice il Papa, la storia del Padre dei Cieli e di Gesù. Questo è il grande messaggio e la Chiesa oggi invita proprio a fermarsi e a guardare le “nostre radici”, “nostro padre” che “ci ha fatto popolo, cielo pieno di stelle, spiagge piene di granelli di sabbia”:

“Guardare la storia: io non sono solo, sono un popolo. Andiamo insieme. La Chiesa è un popolo. Ma un popolo sognato da Dio, un popolo che ha dato un padre sulla Terra che obbedì, e abbiamo un fratello che ha dato la sua vita per noi, per farci popolo. E così possiamo guardare il Padre, ringraziare; guardare Gesù, ringraziare; e guardare Abramo e noi, che siamo parte del cammino”.

Fermarsi per scoprire, anche in mezzo alle cose brutte, la bellezza dell'amore di Dio
Francesco invita dunque a fare di oggi “un giorno di memoria”, evidenziando che “in questa grande storia, nella cornice di Dio e Gesù, c’è la piccola storia di ognuno di noi”:

“Vi invito a prendere, oggi, cinque minuti, dieci minuti, seduti, senza radio, senza tv; seduti, e pensare alla propria storia: le benedizioni e i guai, tutto. Le grazie e i peccati: tutto. E guardare lì la fedeltà di quel Dio che è rimasto fedele alla sua alleanza, è rimasto fedele alla promessa che aveva fatto ad Abramo, è rimasto fedele alla salvezza che aveva promesso in suo Figlio Gesù. Sono sicuro che in mezzo alle cose forse brutte – perché tutti ne abbiamo, tante cose brutte, nella vita – se oggi facciamo questo, scopriremo la bellezza dell’amore di Dio, la bellezza della sua misericordia, la bellezza della speranza. E sono sicuro che tutti noi saremo pieni di gioia”.

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Udienze e nomine

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Per le udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Francesco: come Martin Luther King, scegliamo sempre la nonviolenza

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“Percorrere il cammino della pace non è sempre facile, ma è l’unica vera risposta alla violenza”. È l’esortazione di Papa Francesco - in una lettera al cardinale Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago - in occasione di una campagna sulla nonviolenza, promossa dalla diocesi nella grande metropoli statunitense. L’iniziativa è stata lanciata ieri, 4 aprile, 49.mo anniversario dell’uccisione di Martin Luther King. Il servizio di Alessandro Gisotti

Papa Francesco cita le parole di Martin Luther King, secondo cui l’umanità è chiamata a “sviluppare per tutti i conflitti umani un metodo che rifiuti la vendetta, l’aggressione e la rappresaglia. Il fondamento di un tale metodo è l’amore”. Si tratta di “parole profetiche”, sottolinea il Pontefice nella lettera all’arcivescovo di Chicago, che esortano tutti, in particolare i giovani, ad essere consapevoli “che una cultura della nonviolenza non è un sogno irrealizzabile, ma un cammino che ha prodotto risultati importanti”.

La nonviolenza infrange le barriere, siate costruttori di pace
“La pratica coerente della nonviolenza – prosegue la lettera – ha infranto barriere, fasciato ferite, guarito nazioni, e può guarire Chicago”. Di qui – riferisce l’Osservatore Romano, la preghiera del Pontefice rivolta al cardinale Cupich, “affinché gli abitanti della sua bella città non perdano mai la speranza, perché lavorino insieme per diventare costruttori di pace, mostrando alle generazioni future la vera forza dell’amore”. Francesco rivolge il pensiero alle vittime della criminalità. “So che molte famiglie – scrive – hanno perso i propri cari a causa della violenza. Sono loro vicino, partecipo al loro dolore e prego affinché possano sperimentare la guarigione e la riconciliazione per mezzo della grazia di Dio”.

No alla discriminizazioni, impegnarsi contro la violenza fin da giovani
Purtroppo, aggiunge, “persone di origini etniche, economiche e sociali diverse oggi subiscono discriminazione, indifferenza, ingiustizia e violenza”. Ecco allora, è il suo ammonimento, che “dobbiamo respingere questa esclusione e questo isolamento e non pensare a un gruppo come fossero altri, piuttosto come nostri fratelli e sorelle”. Un impegno, ribadisce, del cuore e della mente che deve partire dalle famiglie e dalle scuole. Il Pontefice conclude la lettera assicurando la sua vicinanza spirituale all’iniziativa, in particolare quando, il Venerdì Santo, percorrerà la Via Crucis a Roma. Un momento, scrive, durante il quale ricorderà tutti coloro che hanno subito violenza.

 

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Papa: vicino agli argentini colpiti dalle inondazioni

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Papa Francesco ha espresso la sua "vicinanza spirituale" e ha inviato la sua benedizione a tutte le persone colpite dalle piogge torrenziali, cominciate mercoledì scorso in Argentina, e ha incoraggiato le autorità religiose e i cittadini a dare "testimonianza di solidarietà fraterna" alle vittime delle inondazioni. Più di settemila persone sono state evacuate e, solo nella località di Comodoro Rivadavia, nel Sud del Paese, più di duemila case sono state distrutte.

Attraverso una Lettera a mons. Josè María Arancedo, arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz e presidente della Conferenza episcopale argentina, Francesco manifesta “dispiacere” per “i gravi danni che le forti piogge degli ultimi giorni hanno causato a numerose province".
 
Il Santo Padre ha chiesto, quindi, al presule di trasmettere la sua vicinanza “a tutte quelle migliaia di persone che sono state evacuate, molte di loro assistendo in un attimo alla perdita di tutto quello che avevano: la casa, i beni, i ricordi di famiglia ... frutto di tanti anni di sacrificio e lavoro".
 
Il Papa esprime quindi la volontà di accompagnare, con le sue preghiere e il suo incoraggiamento, “i fratelli vescovi, i sacerdoti e i fedeli delle numerose parrocchie che in questo momento di bisogno si spendono per stare vicino al loro popolo, ed anche le autorità, le istituzioni e i volontari, perché collaborando tra loro con spirito di unità portino a tutte le persone colpite una testimonianza di solidarietà fraterna". (A cura di Anna Poce)

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Cattolici nel mondo: cresce il peso dell'Africa

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Sono stati pubblicati in questi giorni l’Annuario Pontificio 2017 e l’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2015, la cui redazione è stata curata dall’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa mentre la stampa è stata a carico della Tipografia Vaticana.

I cattolici nel mondo sono 1 miliardo e 285 milioni
I dati statistici dell’Annuario Statistico, riferiti all’anno 2015 forniscono un quadro di sintesi dei principali andamenti che interessano l’evolversi della Chiesa Cattolica nel mondo. Il numero di cattolici battezzati è venuto accrescendosi a livello planetario, passando da 1.272 milioni nel 2014 a 1.285 milioni nel 2015, con un incremento relativo dell’1%. Questo ammonta al 17,7% della popolazione totale. La dinamica di tale incremento risulta diversa da continente a continente: mentre, infatti, in Africa si registra un aumento del 19,4%, essendo il numero dei cattolici passato, nello stesso periodo, da 186 a 222 milioni, in Europa invece si manifesta una situazione di stabilità (nel 2015 i cattolici ammontano a quasi 286 milioni e sono poco più di 800 mila rispetto al 2010 e 1,3 milioni in meno rispetto al 2014). Tale stasi è da imputare alla ben nota situazione demografica, la cui popolazione è in lieve aumento e anzi è prevista in netto declino per i prossimi anni. Situazioni intermedie tra le due sopra descritte sono quelle registrate in America ed in Asia, dove la crescita dei cattolici è certamente importante (rispettivamente, +6,7% e +9,1%), ma del tutto in linea con lo sviluppo demografico di questi due continenti. Stazionarietà, su valori assoluti ovviamente inferiori, anche per quanto riguarda l’Oceania.

Cresce il peso dell’Africa
Risulta anche confermato l’accresciuto peso del continente africano, i cui fedeli battezzati salgono dal 15,5% al 17,3% di quelli mondiali, e del netto calo, invece, di quello europeo, per il quale l’incidenza scende dal 23,8% del 2010 al 22,2% del 2015; l’America invece rimane il continente cui appartiene quasi il 49% dei cattolici battezzati. L’incidenza del continente asiatico si mantiene attorno all’11% dei cattolici del pianeta nel 2015. Stabile rimane il peso dei cattolici in Oceania, anche se con una consistenza che non raggiunge lo 0,8% della popolazione cattolica mondiale.

Il Brasile è il Paese col maggior numero di cattolici
Approfondendo il dettaglio territoriale per singolo Paese e osservando i dati relativi al 2015, si rileva che il Brasile, nell’insieme dei dieci Paesi al mondo con maggiore consistenza di cattolici battezzati, si posiziona al primo posto (con 172,2 milioni o con il 26,4% del totale dei cattolici dell’intero continente americano). Il Brasile è seguito, in ordine, da Messico (110,9 milioni), Filippine (83,6 milioni), USA (72,3), Italia (58,0), Francia (48,3), Colombia (45,3), Spagna (43,3), Repubblica Democratica del Congo (43,2) e da Argentina (40,8).

In calo i sacerdoti nel mondo
Le statistiche relative al 2015 indicano anche che il numero dei sacerdoti nel mondo è pari a 466.215, con 5.304 vescovi, 415.656 sacerdoti e 45.255 diaconi permanenti. Il 2015 segna un calo del numero dei sacerdoti rispetto all’anno precedente, invertendo così il trend crescente che ha caratterizzato gli anni dal 2000 al 2014. La diminuzione tra il 2014 e il 2015 è di 136 unità ed interessa in particolare il continente europeo (-2.502 unità), dato che per i rimanenti continenti si registrano, da un anno all’altro, variazioni positive: +1.133 unità per Africa, +47 per America, +1.104 per Asia e +82 per Oceania.

Sacerdoti in crescita in Africa e Asia
Se Africa e Asia mostrano una dinamica sostenuta (rispettivamente, +17,4% e +13,3%) e l’America si mantiene pressoché stazionaria (+0,35%), Europa e l’Oceania registrano, invece, nello stesso periodo, i tassi di variazione decisamente negativi e pari, rispettivamente, al -5,8 e al -2,0 per cento. Se poi si guarda alla distinzione tra diocesani e religiosi, i primi registrano un aumento dell’1,6%, passando così da 277.009 unità nel 2010 a 281.514 nel 2015, i secondi sono in costante flessione  (-0,8% nel periodo sotto esame), attestandosi a poco più di 134 mila nel 2015.

Aumentano i diaconi permanenti
La popolazione dei diaconi permanenti mostra una significativa dinamica evolutiva: aumentano, nel 2015, di 14,4% rispetto al dato di cinque anni prima, passando da 39.564 a 45.255 unità. Il numero dei diaconi migliora in tutti i continenti a ritmi significativi.

In contrazione i religiosi non sacerdoti
Il gruppo dei religiosi professi non sacerdoti costituisce una compagine a livello planetario in contrazione: se ne annoveravano 54.665 unità nel 2010 e sono diventati 54.229 nel 2015. La flessione è da ascriversi, in ordine di importanza, al gruppo europeo, a quello americano e a quello oceanico, mentre in Africa questi operatori si sono incrementati e così come in Asia seppure in misura minore.

Diminuiscono anche le religiose
Le religiose professe costituiscono una popolazione di una certa consistenza: nel 2015 superano del 61% il numero dei sacerdoti di tutto il pianeta e sono attualmente in netta diminuzione. A livello globale, esse passano da 721.935 unità, nel 2010, a 670.320 nel 2015, con una flessione relativa del 7,1%. L’Africa è il continente con l’incremento maggiore delle religiose, che sono passate da 66.375 nel 2010 a 71.567 nel 2015. Segue l’area dell’Asia del Sud-Est, dove le religiose professe sono passate da 160.564 nel 2010 a 166.786 nel 2015. Il sud e l’area centrale dell’America, fra l’inizio del periodo e la sua fine, mostrano un calo: si passa da 122.213 religiose nel 2010, a 112.051 nel 2015. Infine, si annoverano tre aree continentali accomunate da una evidente contrazione: si tratta dell’America del Nord (-17,9% sull’intero periodo e il -3,6% come tasso di variazione medio annuo), dell’Europa (-13,4% e -2,7%) e dell’Oceania (-13,8% e -2,7%).

Calano le vocazioni sacerdotali
Prosegue il calo che già da qualche anno caratterizza l’andamento delle vocazioni sacerdotali: nel 2015 i seminaristi maggiori sono pari a 116.843 unità, contro i 116.939 del 2014, i 118.251 del 2013, i 120.051 del 2012, i 120.616 del 2011 e i 118.990 del 2010. In Africa il numero dei seminaristi maggiori nel quinquennio sotto esame è costantemente aumentato, realizzando nell’intero periodo un incremento del 7,7%. In tutte le partizioni dell’America si è assistito ad una continua diminuzione delle vocazioni che si è concretizzata in una variazione di -8,1%. Nel Medio Oriente, la diminuzione è stata accentuata fino al 2013 e il successivo andamento non mostra tendenze univoche; viceversa nell’Asia Sud Orientale, alla crescita iniziale terminata nel 2012 (+4,5% rispetto al 2010), ha fatto seguito una accentuata diminuzione che ha portato il numero dei seminaristi maggiori nel 2015 ad un livello inferiore di 1,6% a quello massimo del 2012. In Europa dal 2010 al 2015, il numero dei seminaristi è diminuito del 9,7%. In Oceania, la consistenza più alta è stata registrata nel 2012; il successivo andamento è in continuo calo e il numero dei seminaristi nel 2015 risulta inferiore del 6,9% rispetto a quello del 2012.

L’Asia ha il maggior numero di seminaristi
Dei 116.843 seminaristi di tutto il mondo, nel 2015, il continente che manifesta il maggior numero di seminaristi è l’Asia con 34.741 unità. Ad esso seguono l’America con 33.512 unità, l’Africa con 29.007, l’Europa con 18.579 ed infine l’Oceania con 1.004 seminaristi. 

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P. Lombardi: Benedetto XVI, 90 anni nel segno della preghiera per la Chiesa

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Padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Ratzinger, presenta oggi a Roma, presso l’Istituto Patristico Augustinianum, il volume “Cooperatores Veritatis. Scritti in onore del Papa emerito Benedetto XVI per il 90.mo compleanno”, da lui curato insieme a Pierluca Azzaro e pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. L’opera riunisce i contributi dei 13 studiosi che dal 2011 ad oggi sono stati insigniti con il Premio Ratzinger. Il titolo del libro, “Cooperatores Veritatis”, richiama il motto episcopale di Benedetto XVI che il 16 aprile prossimo compirà 90 anni. Ascoltiamo padre Federico Lombardi al microfono di Alessandro Gisotti:

R. – Questo motto esprime molto bene l’identità del suo impegno come teologo e come servitore della teologia nella Chiesa. Quindi, una visione del proprio servizio che è assolutamente lontana dal mettere se stessi al primo posto, ma si mette al centro il servizio della verità, la Verità che – per chi vive nella fede e nella Chiesa – è poi impersonata da Gesù Cristo stesso, evidentemente: la Verità divina, il Logos che ci illumina per avere la visione del mondo, della vita, della corretta via per raggiungere la salvezza. Questo motto mi sembra che si applichi bene anche a tutti coloro che, alla scuola di Ratzinger, cioè seguendo il suo esempio, desiderano impegnarsi nella vita e anche nella ricerca, in particolare anche nella ricerca teologica, nello studio, per servire la verità nella Chiesa per il bene dell’umanità.

D. – Come ha trovato Benedetto XVI negli ultimi incontri che ha potuto avere con lui?

R. – Benedetto XVI è una persona che, come sappiamo, sta per compiere 90 anni. Ha una lucidità di mente, di memoria, di dialogo con le persone che incontra, con i suoi visitatori, assolutamente ammirabile, meravigliosa. Quindi è molto bello, molto piacevole e sempre molto arricchente incontrarlo, ascoltarlo, poter dialogare con lui. Le forze, naturalmente, sono quelle di una persona che ha 90 anni e quindi c’è un po’ la fragilità che consegue all’età e al procedere della stessa. Però, la persona è perfettamente in grado di svolgere ogni attività di relazione con gli altri, vivendo discretamente questo tempo di ritiro, di vita riservata di preghiera e di riflessone nella casa.

D. – Cosa sta donando, secondo lei, questa età della vita a Joseph Ratzinger?

R. – Quello che lui ci aveva in qualche modo annunciato già prima della sua rinuncia o in occasione della sua rinuncia, quindi un tempo di vita più raccolta, di vita di più intensa preghiera, di riflessione e anche di dialogo con le persone con cui può entrare in contatto, anche se in questa forma più riservata, ma un dialogo sempre molto concentrato, ormai, verso i temi essenziali della vita, del senso della vita, della storia, perché è chiaro il clima di preparazione all’incontro con il Signore.

D. – Per i 90 anni di Papa Benedetto ci sono tante manifestazioni di affetto, e anche molte nuove pubblicazioni, quindi anche un nuovo interesse, in questo senso. Si può dire che, in qualche modo, dopo la rinuncia al ministero petrino, quindi in questi anni, tanti hanno riletto e anche compreso meglio il suo pontificato, quello che Papa Benedetto voleva testimoniare?

R. – Sì, certamente: si vede la grande coerenza, la linearità e la coerenza di questa vita dedicata al servizio della Chiesa in modi, con funzioni diverse, ma sempre con questo atteggiamento del cercare la verità dell’esercizio dell’intelligenza della fede e nella fede, al servizio della Chiesa, del popolo di Dio, di una comprensione più profonda del rapporto tra fede e ragione, anche in dialogo con la cultura odierna e con il mondo che ci sta attorno.

D. – Da ultimo: lei è stato tra i più stretti collaboratori di Benedetto XVI; oggi è il presidente della Fondazione Ratzinger – Benedetto XVI. Quale è l’augurio che si sente di fare al Papa emerito per i suoi 90 anni?

R. – Che possa vivere in piena serenità questo tempo, con tutto il frutto e la gioia dell’unione con Dio che uno può desiderarne, e che questo messaggio di gioia e di pace nella preparazione all’incontro con Dio venga colto dalla comunità della Chiesa come una ricchezza e che la comunità della Chiesa senta la sua attenzione e la sua preghiera come ricca, fruttuosa per il suo successore, ma per tutti noi che continuiamo a camminare – almeno per ora – nel tempo, sentendo però la sua presenza come una presenza di servizio spirituale.

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Santa Sede: Paesi ricchi non condizionino aiuti a controllo nascite

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Il rispetto della vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale, anche di fronte alla grande sfida demografica, deve sempre ispirare le politiche di aiuti internazionali perché tengano conto delle reali priorità della nazione ricevente e non della volontà imposta dai Paesi donatori. E’ questo uno dei passaggi più significativi dell’intervento, lunedì scorso, dell’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico e osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu di New York, durante i lavori della Commissione Popolazione e Sviluppo sul tema “Cambiamenti delle strutture demografiche e sviluppo sostenibile”. Il servizio di Paolo Ondarza:

E’ un richiamo al rispetto della vita in tutte le sue fasi, soprattutto se debole e indifesa come nel caso del concepito, dell’anziano o del disabile, quello lanciato all’Onu di New York dall’arcivescovo Auza parlando di sviluppo sostenibile e crescita demografica. 

 Controllo della popolazione spesso visto come soluzione a bomba demografica
“Per decenni – rileva il nunzio apostolico – il discorso di un’imminente bomba demografica ha portato alcuni governi ad adottare politiche, anche severe, che favoriscono misure di controllo della popolazione”, ritenendole “la risposta più facile per fugare il rischio di una scarsità di risorse e del sottosviluppo”. La questione è complessa. Lo ammette mons. Auza, tenendo però a sottolineare la necessità di considerare le diverse situazioni specifiche regionali e anche nazionali. Occorre distinguere le popolazioni di alcuni Paesi che continueranno ad aumentare nel breve termine da altre che si stanno stabilizzando intorno alla crescita zero e altre ancora che hanno iniziato a sperimentare la spirale del declino demografico.

Crescita demografica è compatibile con lo sviluppo sostenibile
“Se è vero che una distribuzione ineguale della popolazione e delle risorse crea ostacoli allo sviluppo ed ad un uso sostenibile dell'ambiente - nota l’osservatore della Santa Sede all’Onu - si deve anche riconoscere che la crescita demografica è pienamente compatibile con una condivisione della ricchezza. I moderni metodi contraccettivi non sono la risposta: mons. Auza infatti rileva come il declino demografico nei Paesi sviluppati sia avvenuto a prescindere.

Risorse pianeta sono sufficienti, ma mal distribuite
Le risorse del pianeta “sono sufficienti, ma sono spesso utilizzate in modo inefficace ed impropriamente distribuite”. Da qui la denuncia: “il mondo sviluppato, con elevati livelli di consumi e bassi livelli di povertà, è spesso responsabile degli squilibri nel commercio, della distribuzione iniqua delle risorse e del degrado ambientale. Nei Paesi in via di sviluppo invece l’ingiustizia e la povertà sono alimentate da corruzione, protrarsi di conflitti e altri disastri causati dall'uomo, che ostacolano la crescita sana della popolazione.
 
Occorre politiche centrate su uomo e rispetto vita in tutte le sue fasi

Quali dunque le risposte? L’arcivescovo Auza ne suggerisce tre: solidarietà, pace e sicurezza. Per conseguirle invoca un drastico cambiamento nelle politiche - occupazionali, sociali, assistenziali - sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo. Occorre cioè un approccio allo sviluppo sostenibile centrato sull’uomo, sull’inclusione e partecipazione di tutti, non in base a criteri di produttività o efficienza, ma partendo dal valore intrinseco di ogni persona sia essa giovane o anziana. Questo il monito: Nessuno sia lasciato indietro, i fardelli devono essere condivisi.

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Oggi in Primo Piano



Attacco chimico in Siria: è scontro all'Onu tra Usa e Russia

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Non cala l’attenzione internazionale sull’attacco chimico di martedì in Siria. All’Onu è scontro tra Usa e Russia, su una risoluzione di condanna contro il regime di Damasco, mentre vengono rivelati nuovi particolari sulla strage nella provincia di Idlib, che ha causato almeno 86 vittime, tra cui 30 bambini. Il servizio di Giada Aquilino:

Per la Turchia, l'uso di armi chimiche nel raid di martedì sul villaggio di Khan Sheikhun è indubbio. Lo proverebbero i risultati delle autopsie su tre vittime dell'attacco, effettuate – secondo Ankara – alla presenza di esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità. Damasco continua a negare ogni addebito di responsabilità, di fronte alle accuse dell’opposizione al regime di Bashar al Assad.

La riunione all'Onu di New York
Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, intanto, si consuma lo scontro tra Russia e Stati Uniti. Mosca ha bloccato una risoluzione di condanna presentata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, facendo circolare un documento alternativo finalizzato – riferiscono fonti russe – a far partire una inchiesta “piuttosto che a indicare i colpevoli prima che siano stati stabiliti i fatti”: Washington, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, non ha informazioni “obiettive” sull’accaduto. Gli Usa però si sono già detti pronti ad intervenire in Siria da soli se al Palazzo di Vetro non si trovasse una soluzione definitiva al conflitto, iniziato a marzo 2011.

Marchetti: evento difficilmente spiegabile
Per un’analisi, ascoltiamo Raffaele Marchetti, docente di Relazioni internazionali all’Università Luiss – Guido Carli di Roma:

R. - La situazione è difficile perché questo è un evento difficilmente spiegabile. Ci sono state un paio di occasioni di uso di armi chimiche durante il conflitto siriano, ma negli ultimi tempi non si erano più verificate. Da un lato, ovviamente, sarebbe auspicabile un’investigazione che riuscisse effettivamente ad accertare i colpevoli, anche se in una situazione di conflitto come quella siriana ciò è molto difficile; dall’altro c’è una partita più generale, cioè quella su come stabilizzare la Siria. Si era raggiunto un accordo, anche se di massima, ad Astana e quello che è successo rimette tutto in discussione. Anche gli Stati Uniti, che ultimamente con Trump si erano dichiarati disponibili a pensare ad una soluzione che includesse almeno in una fase transitoria Assad, dopo quest’ultimo evento hanno rilasciato dichiarazioni su un’uscita di scena di Assad. Quindi ci ritroviamo nella situazione che, in qualche modo, ha caratterizzato il conflitto siriano durante tutti questi anni: cioè la Russia vuole mantenere un ruolo importante per Assad e gli Stati Uniti vogliono liberarsene.

D. - Perché non si è trovato l’accordo sulla prima bozza di risoluzione, quella presentata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti?

R. - Perché era una bozza che ‘criminalizzava’ il regime di Assad e questo non è qualcosa che la Russia può accettare, perché porterebbe poi ad una maggiore difficoltà a tenere dentro Assad nel processo di transizione.

D. - C’è quindi il rischio che si continui ad assistere ad uno scontro di forze in gioco sia sul terreno, sia al Palazzo di Vetro?

R. - Penso che lo scontro andrà avanti. La partita, appunto, si gioca molto tra gli Stati Uniti e la Russia. Visti gli ultimi fatti siriani, che hanno rimescolato le carte, direi che è ancora presto per capire quale sarà il punto di compromesso che verrà trovato tra gli Washington e Mosca.

D. - Da diverse parti si dice che la popolazione siriana ormai non creda più nell’Onu. In cosa le Nazioni Unite hanno fallito e in cosa possono essere risolutive?

R. - Hanno fallito nel portare attorno al tavolo tutti gli attori, per contribuire a disegnare un passaggio di transizione e poi un futuro per il Paese. Quello che oggi le Nazioni Unite possono fare è esattamente questo: creare le condizioni perché si raggiunga un accordo e poi naturalmente contribuire a mantenere, almeno nelle parti più pacificate, una situazione di stabilità.

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Venezuela: non si fermano proteste e scontri anti-Maduro

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Non si fermano le proteste e gli scontri in Venezuela contro il presidente Maduro. La scorsa settimana la Corte suprema ha prima esautorato il parlamento e poi ha ritirato la decisione. I vescovi hanno già denunciato il rischio dittatura, mentre il Paese sprofonda in una crisi economico-alimentare pesantissima. Massimiliano Menichetti ha intervistato Maria Rosaria Stabili, ordinario di Storia dell'America latina presso l’Università di Roma Tre:

R. - Il quadro è molto grave, è una crisi che si trascina da tempo e che ha anche a che vedere con le scelte di politica economica portate avanti da Chavez. Le cose sono via, via precipitate con la presidenza di Maduro ma è tutta la compagine governativa che in questi anni si è rivelata incapace di gestire la crisi e contenere la conflittualità sociale.

D. - Alcuni dicono: è un problema che nasce dal controllo delle risorse petrolifere e il ruolo della Russia e della Cina nelle imprese miste venezuelane. C’è anche un aspetto fortemente economico?

R. - Questa faccenda di dare la responsabilità alla Russia, la Cina e ancora prima agli Stati Uniti, è sempre scaricare sugli altri delle responsabilità che magari ci sono ma io credo sia importante anche guardare le dinamiche interne a una cattiva gestione o una cattiva amministrazione delle risorse in un’epoca di espansione, quando ancora le imprese petrolifere garantivano la disponibilità finanziaria. Faccio riferimento alle dinamiche con cui si è gestita la nazionalizzazione di queste imprese e soprattutto l’organizzazione interna. Non c’è stato un piano di riorganizzazione razionale efficiente e messa nelle mani di gente competente.

D. – Poi, il Venezuela galleggia sul petrolio?

R. – Infatti, quello che fa molta rabbia è che è un Paese con grandi potenzialità ma all’origine della crisi c’è la cattiva gestione del processo di nazionalizzazione e di controllo da parte dello Stato delle imprese petrolifere. Non sono state prese delle misure che favorissero un reale sviluppo e quindi una utilizzazione in chiave populista degli introiti, in chiave clientelare.

D. – La popolazione del Venezuela è alla fame, ci sono le proteste di piazza, gli scontri con i filo-governativi: si rischia il colpo di Stato?

R. – Certo. La decisione del tribunale di esautorare il parlamento andava in quella direzione. Maduro resisterà fino all’ultimo. Credo che un ruolo fondamentale giochi il contesto internazionale. Io confido sui Paesi dell’America Latina e la loro capacità di fare pressioni e contenere e contrastare il pericolo di golpe. Bisogna capire che cosa si muove all’interno delle forze armate.

D. – Ma i militari non sono tutti dalla parte di Maduro?

R. - Questo non è chiaro. C’è un settore che è in crisi però non riesco a valutare, sulla base delle informazioni che ho, quanto grande è il settore che ancora lo appoggia e quanta forza abbia un settore che è critico nei confronti di Maduro. Non è che tutte le forze armate appoggiano Maduro, questo è certo.

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Religiosi del Venezuela: si ascolti grido di dolore del popolo

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Si ascolti il grido del popolo sofferente. E’ quanto esorta la Conferenza dei religiosi e delle religiose del Venezuela, che in un comunicato esprime forte preoccupazione per la situazione che si vive nel Paese. Nel documento si denuncia, in particolare, “l’indolenza del governo nazionale”, interessato solo a mantenere il potere. Non viene considerato, invece, il prezzo pagato dal popolo che necessita di cibo, medicine, sicurezza, pace. Nel comunicato si lancia inoltre un accorato appello affinché vengano garantiti, per il bene del Venezuela, i processi democratici. I poteri dello Stato – ricordano i religiosi e le religiose del Venezuela - devono essere indipendenti l'uno dall'altro.

Proteste dopo voto della Corte Suprema
Negli ultimi giorni, lo Stato sudamericano è stato scosso da proteste innescate dalla decisione del 30 marzo della Corte suprema. Un voto controverso con cui il Parlamento è stato esautorato da ogni funzione. In seguito l'Assemblea Nazionale, dove l’opposizione ha la maggioranza, ha approvato l’apertura del procedimento di rimozione dei magistrati responsabili della sentenza, poi annullata, con cui si attribuivano all’Alta Corte le funzioni del potere legislativo.

Paese scosso da una grave crisi
Momenti di grande tensione si sono vissuti in particolare martedì scorso a Caracas, quando gruppi paramilitari legati al governo hanno aperto il fuoco contro i dimostranti. La polizia ha impedito ai manifestanti, tra i quali anche il presidente dell’Assemblea nazionale Julio Borges, di raggiungere la sede del Parlamento. Intanto, la situazione generale del Venezuela resta gravissima. Secondo diversi esperti, la crisi mondiale, il crollo dei prezzi del petrolio e la corruzione hanno gravemente danneggiato l’economia del Paese, dove tra l’altro si registra l’inflazione più alta del mondo (475% lo scorso anno).

L’intervento dell’Organizzazione degli Stati Americani
In questo scenario, segnato anche da forti tensioni regionali, l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), ha inoltre adottato “a maggioranza”, nei giorni scorsi , una dichiarazione in cui si esprime grande preoccupazione per “l’erosione dell’ordine democratico” nel Paese latino americano. Nel documento, duramente condannato dal presidente venezuelano Nicolas Maduro, l’organizzazione internazionale che comprende 35 Stati indipendenti delle Americhe, ha anche chiesto il ripristino dell’ordine costituzionale. Per Borges, in Venezuela è in corso un “golpe continuo” dal 6 dicembre del 2015, ovvero da quando il chavismo ha perso la maggioranza in Parlamento. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Ecuador, i vescovi: no alla violenza, la pace è in pericolo

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"L’Ecuador sta vivendo momenti difficili a causa delle grandi manifestazioni sia di vittoria che di protesta per il risultato delle elezioni, che minacciano l'unità del nostro Paese. La pace è davvero in pericolo!": è quanto si legge nel comunicato della Conferenza episcopale dell’Ecuador (Cee), ripreso dall’agenzia Fides, e riferito al contesto post-elettorale.

Garantire trasparenza e verità del processo elettorale
"Di fronte ai risultati controversi espressi dai seggi domenica scorsa - si legge nel testo - i vescovi della Conferenza episcopale incondizionatamente riconoscono il diritto del popolo ecuadoriano a conoscere la verità". "L'autorità elettorale, sostenuta dal governo nazionale - proseguono - ha il dovere di garantire la trasparenza e mostrare le prove della verità dei risultati”. Di qui, il forte appello del presuli: "Mai la violenza, sia da parte del potere che dall'opposizione, ma il cammino verso la pace, lo sviluppo e la democrazia".

Avviare dialogo per tornare alla pace
Infine,  il documento della Cee conclude: "È essenziale avviare immediatamente un dialogo per chiarire pienamente la verità e quindi tornare immediatamente alla calma e alla tranquillità per le strade delle nostre città".

Momento difficile per il Paese
Alle elezioni di domenica 2 aprile, dopo le prime notizie sulla vittoria di Lenín Moreno  - vincitore con il 51,16% rispetto al 48,84% dello sfidante Lasso - l’opposizione ha accusato di brogli il conteggio finale dei voti. Successivamente, la tensione è salita perché manifestanti dell’opposizione hanno chiuso le strade e dato alle fiamme cassonetti e pneumatici per bloccare il transito dei veicoli a Quito, Guayaquil e Ambato, chiedendo un nuovo conteggio delle schede di voto. La polizia ha dovuto intervenire per fermare i manifestanti e, in qualche caso, evitare gli scontri con i sostenitori del vincitore.

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Vescovi domenicani: combattere corruzione diffusa

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Combattere la corruzione e l'impunità a tutti i livelli. È quanto auspica il presidente della Conferenza episcopale dominicana, mons. Gregorio Nicanor Peña, che in una nota saluta con favore l'indagine avviata dal Procuratore generale della Repubblica sullo scandalo Odebretch, il colosso brasiliano delle costruzioni accusato di aver corrotto politici e funzionari pubblici di diversi Paesi dell’America Latina. Una “Tangentopoli” partita dal Brasile e che ha coinvolto almeno dieci Stati latino-americani (più due africani): oltre al Brasile, Venezuela, Panamá, Argentina, Ecuador, Perù, Guatemala, Colombia, Messico e appunto la Repubblica Dominicana, con 92 milioni di tangenti.

Corruzione diffusa a tutti i livelli nella società dominicana
Nella nota, ripresa dall’agenzia Fides, mons. Nicanor Peña  afferma che una volta identificati i responsabili devono pagare per le loro azioni, sottolineando che la richiesta della società di combattere la corruzione e l'impunità dovrebbe essere estesa a tutti i livelli. "Nella famiglia e nella società in generale c'è molta corruzione. Di solito viene attribuita solo al Governo, tuttavia se ci guardiamo intorno c'è molta corruzione vicino a noi, e anche noi siamo colpevoli", ha dichiarato il presule in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi a margine della Giornata Nazionale del Giornalista promossa dalla Conferenza episcopale e dalla Pontificia Università “Madre y Maestra” (PUCMM) di Santo Domingo.

Le manifestazioni di protesta nel Paese
Domenica 26 marzo migliaia di dominicani hanno marciato a Santiago de los Caballeros, la seconda città più grande del Paese, per chiedere azioni concrete contro le persone coinvolte nello scandalo. I manifestanti hanno anche chiesto la sospensione delle attività del colosso brasiliano nell’isola. (L.Z.)

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Rdc: si aspetta la nomina del premier, si temono scontri

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Nelle prossime ore il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, dovrebbe nominare il nuovo premier, incaricato di dirigere la transizione nel Paese. Ad oggi però la nomina sembra quanto mai lontana per la mancanza di un accordo tra governo e opposizione. Le elezioni presidenziali, previste entro la fine del 2017, rischiano di slittare, l’accordo tra governo e opposizioni, firmato il 31 dicembre scorso, con la mediazione dei vescovi del Paese, è di fatto disatteso, e il Paese è ormai preda di una gravissima violenza: nella regione del Kasai continuano i massacri e si scoprono fosse comuni. Di pochi giorni fa, durante la visita a Carpi, le parole di Papa Francesco che aveva lanciato un appello e invitato alla preghiera perché cessino i "sanguinosi scontro armati" in Congo. Francesca Sabatinelli ha intervistato Raffaello Zordan, giornalista di Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani:

R. - Siamo di fronte a un gigante che avrebbe bisogno di essere governato in maniera seria, ma non lo è mai stato. E’ una realtà enorme, otto volte l’Italia, 26 province, con un’economia da sistemare quasi dappertutto, con possibilità di sviluppo notevoli ma, naturalmente, se il presidente attuale, Kabila, pur avendo finito i due mandati previsti dalla costituzione, non accetta di spostarsi, è chiaro che questo rende la situazione ancora più complicata. Il punto focale qual è? Che adesso questa nomina del capo del governo è una nomina che rischia di essere unilaterale, mentre l’accordo prevedeva che il presidente del Consiglio fosse condiviso, una figura che non rispondesse direttamente a Kabila. Ad oggi siamo a uno stallo che può essere pericoloso.

D. – E pur vero che di fronte a Kabila, a opporsi c’è una coalizione che comincia a dividersi al suo interno…

R. – In realtà è sempre stata un po’ divisa. Anche durante i colloqui per arrivare all’accordo del 31 dicembre, c’era una parte dell’opposizione che sembrava disponibile a trattare con Kabila anche senza il punto focale dell’accordo, cioè: Kabila rimane in carica fino a che si svolgeranno le prossime elezioni previste entro quest’anno, ma non potrà presentarsi al voto perché la Costituzione, che non è cambiata, prevede due mandati e poi basta. Una parte dell’opposizione sembrava dire: poi vediamo… E’ chiaro che un’opposizione unita direbbe: arriviamo al voto, comunque non si presenta Kabila, nel frattempo noi troviamo una figura di riferimento, o più figure di riferimento, e cerchiamo di giocarcela alle presidenziali in maniera seria. La cosa non è così, o comunque non è semplicemente così. Quindi, c’è la possibilità seria che l’opposizione fatichi ancora - una parte dell’opposizione - a trovare un nome di riferimento. Non dimentichiamoci che un mese e mezzo fa è morto Étienne Tshisekedi, che era il capo riconosciuto di una fetta importante dell’opposizione. I nomi ci sono, ma sono quasi sempre persone che sono mischiate con gli affari, il che certo non è un “peccato originale”, però potrebbero essere dei candidati che poi, una volta eletti, rischiano di farsi gli affari loro.

D.  – Resta il fatto che sul terreno ci si sta ammazzando, e chi muore sono i civili. Non più tardi di qualche giorno fa, proprio la Conferenza episcopale congolese si è espressa allarmata per l’alto tasso di violenza e per l’uso eccessivo della forza da parte dei governativi, e poi si continua a scavare e a trovare fosse comuni…

R. – Bisogna valutare episodio per episodio. E’ chiaro che se le forze di polizia non vengono tenute entro certi limiti, possono anche spingersi oltre, in una situazione in cui la popolazione risponde, crea manifestazioni, attacca caserme, commissariati, come è avvenuto nel Kasai a marzo. E’ chiaro che è una situazione che non può reggere in nessun Paese, anche se questo è un grande Paese. Rimangono situazioni di conflitto nella periferia di Kinshasa, la capitale, situazioni di conflitto molto serie nel nord Kivu e lì c’è il problema dell’interferenza di milizie che prendono gli ordini molto spesso sia dal Rwanda che dall’Uganda. Quindi, sul terreno, c’è tutto questo, il punto qual è? Che il governo di Kabila, o il governo che Kabila riuscirà a mettere insieme, potrebbe dire tra qualche mese: non ci sono le condizioni per fare le elezioni perché le elezioni prevedono l’iscrizione alle liste elettorali, preparazione dei seggi, allestimento dei materiali, funzionari che si spostano in ogni area del Paese. Potrebbe, quindi, trovare il pretesto da questi scontri, da questa instabilità per dire: non si vota neanche nel 2017. Questo cosa vorrebbe dire? Che in questo caso Kabila potrebbe cercare di giocare un’altra partita e cioè non andare a votare, rinviare ancora oltre il 2018 e, nel frattempo, creare le condizioni per rimaneggiare la Costituzione per poter correre per un terzo mandato presidenziale. Questa è una cosa che molti presidenti in Africa hanno fatto negli ultimi anni, vuole provarci anche lui probabilmente. Non siamo sicuri, ma è un’ipotesi.

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L'Aquila ricorda il terremoto. Il vescovo: città non perda l'anima

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Ieri sera all'Aquila hanno sfilato le popolazioni colpite dal terremoto nell'Italia centrale. Non solo il capoluogo abruzzese, alla marcia silenziosa per ricordare la calamità del 6 aprile 2009, ma anche le comunità degli altri centri della Regione e dei territori colpiti dal sisma negli ultimi mesi. Alessandro Guarasci:

Le popolazioni del Centro Italia hanno voluto ricordare tutte le vittime dei terremoti. Il 6 aprile del 2009 furono 309 i morti del sisma che colpì L’Aquila. Da quel giorno la città ancora non è rinata. Mons. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila:

“Se la città – per ipotesi – venisse perfettamente rifatta nelle sue strutture architettoniche, ma perdesse la sua anima cristiana e culturale – io ho detto – diventerebbe una sorta di termitaio urbano, un semplice aggregato di persone. Di conseguenza, occorre che la grande tradizione spirituale e culturale che L’Aquila ha venga non solo custodita ma potenziata”.

Quella che è andata in tilt è anche l’economia della città, fatta da micro-imprese, spesso a conduzione familiare. Nell’area centrale prima del 2009 ce n’erano un migliaio legate al commercio, dice il direttore di Confcommercio dell’Aquila Celso Cioni:

“Nella stessa zona sono state riaperte poco meno di 50 attività; oltre 250, purtroppo, hanno dovuto chiudere perché non hanno trovato né le forze né ci sono stati finora sostegni di nessun tipo – purtroppo – e quindi hanno dovuto abbassare la saracinesca. Le altre si sono ricollocate in un perimetro più ampio del Raccordo anulare di Roma”.

Il problema è che tutto il Centro Italia continua ad essere colpito dal terremoto. Sono migliaia le scosse che si sono succedute da agosto scorso ad oggi, e il loro effetto sugli abitanti dell’Aquila è stato devastante, dice mons. Petrocchi:

“Questa ri-edizione di un evento traumatico ha prodotto sconquassi interiori: io parlo di faglie non solo geologiche, ma anche psicologiche, sociali … Solo chi sta sul posto capisce come l’evento terremoto possa determinare problemi profondi di rapporto con sé e con il mondo che circonda. C’è bisogno di mobilitare tutte le energie per dare risposte forti e capaci di ricostruire un futuro carico di speranza”.

Appunto, L’Aquila cerca di rinascere, riprogettando anche il futuro. Ancora Cioni di Confcommercio

“Abbiamo sollecitato la politica e finalmente nelle prossime settimane dovrebbe uscire un bando che si chiama ‘Fare centro’, che dovrebbe consentire – con dei sostegni economici e delle agevolazioni di natura fiscale – di far rientrare, come noi ci auguriamo, 200-300 imprese nei prossimi 24 mesi. Noi abbiamo detto sempre che non volevamo grano, ma volevamo avere le zappe e le sementi per far rifiorire la città. Su questo stiamo ancora lavorando”.

Un lavoro non facile ma che va fatto velocemente se vogliamo arginare lo spopolamento di questi territori.

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Vicariato Roma: pillola abortiva nei consultori lascia donna sola

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«Profondo sconcerto e forte preoccupazione». La Diocesi di Roma reagisce così alla notizia dell’imminente sperimentazione della distribuzione della pillola abortiva Ru-486 nei consultori familiari della Regione Lazio» e alle motivazioni che si adducono per giustificarla. «Tale decisione - si legge in una nota diffusa questa mattina - «veicola il messaggio dell’aborto facile in un contesto di finta umanizzazione e rappresenta un passo ulteriore nella diffusione di una cultura della chiusura all’accoglienza della vita umana e della deresponsabilizzazione etica».

Dal Vicariato si mette l’accento sul fatto che «i consultori sono ormai quasi privi di personale e molti versano in stato di abbandono». Sono pertanto «ben lontani dall’offrire la dichiarata “assistenza multidisciplinare”» e «faticano ad assolvere al loro compito di sostegno, informazione e presa in carico della donna di fronte a una decisione sempre drammatica». Con questa scelta proposta dalla giunta Zingaretti «verranno ridotti a uffici di mera distribuzione di farmaci abortivi, acuendo nel loro personale le questioni relative all’obiezione di coscienza», prosegue la nota, evidenziando la contraddizione con uno degli obiettivi della legge 194/78: quello della tutela sociale della maternità e della pianificazione di strategie di prevenzione che agiscano sulle cause culturali, economiche e psicologiche del ricorso all’aborto. «Strategie che proprio nei consultori dovrebbero trovare un luogo elettivo di realizzazione».

La preoccupazione riguarda anche «i rischi sanitari e la mortalità connessi all’utilizzo della pillola abortiva, notevolmente superiori a quello dell’aborto con procedura chirurgica». La stessa legge 194 prevede all’articolo 8 che l’aborto avvenga in regime di ricovero a tutela della salute della donna. Non si tratta quindi di una scelta ideologica ma di una necessità «per la sicurezza della donna». Viene definito come “ideologico” invece «spacciare come “riorganizzazione della rete sanitaria della Regione Lazio” l’introduzione della Ru-486 nei consultori, distraendo l’attenzione mediatica dalle reali priorità della sanità laziale quali l’assistenza domiciliare che non decolla, i pronto soccorso intasati, le infinite liste di attesa, la mancata presa in carico degli anziani e dei disabili».

L’aborto - afferma la nota del Vicariato - «rappresenta sempre una sconfitta per tutti, e nella solitudine delle pareti domestiche questa esperienza, che viene propagandata come facile e sicura, diventa ancor più devastante e dolorosa». Di qui la richiesta alle autorità regionali di «riconsiderare tale decisione che avrebbe come vero risultato, da una parte, apportare un ulteriore danno alla percezione del valore della vita umana come bene comune e, dall’altra, lasciare una volta di più la donna sola ad affrontare il dramma dell’aborto».

 

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India: Goa si appresta a festeggiare centenario di Fatima

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Anche la Chiesa di Goa, in India, si appresta a festeggiare il centenario delle apparizioni di Fatima, in occasione del quale Papa Francesco si recherà in pellegrinaggio al santuario portoghese il 12 e 13 maggio. 

In programma una serie di celebrazioni speciali e iniziative
L’arcidiocesi, in collaborazione con la sezione locale dell’Apostolato mondiale di Fatima (Waf), ha organizzato una serie di celebrazioni speciali e iniziative, in particolare nelle cinque date che ricordano le apparizioni ai tre pastorelli Lucia, Giacinta e Francisco, tra il 13 maggio e il 13 ottobre 1917.

Cinque sabati di Comunione di riparazione
Tra queste,  la cosiddetta “Comunione di riparazione” ogni primo sabato del mese,  un percorso comprendente momenti di penitenza e preghiera, la confessione, la comunione, la recita delle cinque decine del Rosario. In tutto cinque sabati per ricordare - spiega Celcio Dias, vice presidente di Waf Goa -  le “cinque offese e blasfemie contro la Madonna: contro l’Immacolata Concezione; la sua verginità; la sua maternità divina; e la blasfemia di coloro che incoraggiano apertamente l’oltraggio al suo cuore e alla sua immagine sacra”.

L’apparizione della Madonna di Fatima, la più profetica dei tempi moderni
L’arcivescovo di Goa e Daman  Filipe Neri Ferrao sottolinea che le apparizioni della Madonna alla Cova da Iria sono “senza dubbio le più profetiche tra quelle moderne”.  “Fatima – afferma una nota dell’arcidiocesi ripresa dall'agenzia Asianews - mostra alla società moderna il bisogno di conversione del cuore umano“ e di preghiera. La mancanza di preghiera, infatti, è “la causa della crisi spirituale e morale che assale il mondo di oggi”. Ma la preghiera – prosegue la nota - non basta, serve anche la penitenza: “È possibile essere santi vivere la gioia di Dio e la pace sulla terra attraverso l’offerta quotidiana dei nostri doveri al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria. Questa è la via per santificare le nostre vite e offrire la testimonianza della nostra fede cristiana al prossimo”, conclude la lettera. (A cura di Lisa Zengarini)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 96

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.