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Sommario del 09/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa prega per l'Egitto: sanguinosi attacchi a chiese copte

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L’odierna Domenica delle Palme, in cui il Papa ha celebrato la Messa solenne in piazza San Pietro, è stata funestata da violenti attacchi contro i cristiani in Egitto, che hanno causato almeno 25 morti e una cinquantina di feriti a Tanta e, dopo, almeno 11 morti e 35 feriti ad Alessandria. Gli attentati sono stati rivendicati dal sedicente Stato Islamico. A conclusione dell’Angelus, Francesco ha pregato per le vittime ed ha espresso la propria vicinanza all’Egitto e alla Chiesa copta per quanto accaduto. Ascoltiamo le parole del Pontefice nel servizio di Roberta Barbi: 

“Al mio caro fratello, Sua Santità Papa Tawadros II, alla Chiesa copta e a tutta la cara nazione egiziana, esprimo il mio profondo cordoglio, prego per i defunti e per i feriti, sono vicino ai familiari e all’intera comunità. Il Signore converta il cuore delle persone che seminano terrore, violenza e morte e anche il cuore di quelli che fanno e trafficano le armi”.

È ancora provvisorio il bilancio dell’attentato di questa mattina contro la chiesa copta di San Giorgio a Tanta, città egiziana a nord del Cairo, ma conta già 25 morti e 42 feriti, come confermato dalle autorità locali. Secondo le prime indagini, una bomba – forse azionata a distanza – sarebbe esplosa all’interno dell’edificio, dove circa duemila fedeli stavano partecipando alla celebrazione della Domenica delle Palme e le forze dell’ordine sarebbero ancora al lavoro, per verificare l’eventuale presenza di altri ordigni nelle vicinanze. È l’ennesimo attacco alla comunità cristiana di un Paese con 10 milioni di fedeli, che rappresentano il 10% della popolazione, e dove il Papa si recherà in visita il 28 e 29 aprile prossimi. Subito dopo le parole di Francesco, si è avuta notizia di un altro attacco, alla chiesa di San Marco ad Alessandria dove si registrano morti e feriti. Ma nelle preghiere del Pontefice, anche le 4 vittime e i 15 feriti di venerdì scorso a Stoccolma, in Svezia, dove un camion è stato lanciato sulla folla. Per l’accaduto è stato arrestato ieri un cittadino uzbeko di 39 anni già noto alle forze dell’ordine. Francesco ha pregato affinché il Signore converta i cuori di quanti seminano violenza e morte:

“Al Cristo che oggi entra nella Passione e alla Vergine Santa affidiamo le vittime dell’attentato terroristico avvenuto venerdì scorso a Stoccolma, come anche quanti sono ancora duramente provati dalla guerra, sciagura dell’umanità”.

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Domenica delle Palme. Francesco: riconosciamo Gesù nei sofferenti

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“Gesù è presente in tanti nostri fratelli e sorelle, che oggi patiscono sofferenze come Lui”. Queste le parole del Papa nella Messa della Domenica delle Palme, presieduta in una Piazza San Pietro affollata di fedeli di ogni continente e soprattutto di giovani, che oggi  celebrano la 32.ma Giornata Mondiale della Gioventù a livello diocesano. Francesco nell’omelia, partendo dal trionfale ingresso di Gesù in Gerusalemme, ha ripercorso i significati della Settimana Santa. La liturgia solenne è stata aperta dalla processione e dalla benedizione papale delle palme e degli ulivi. Il servizio di Giancarlo La Vella

Con la Domenica delle Palme inizia la serie di celebrazioni, che si concludono con la Passione del Signore e poi la Pasqua di Resurrezione, e che costituiscono il cuore della fede cristiana. Essa – ha detto il Papa – “ha un doppio sapore, dolce e amaro: in essa celebriamo il Signore, che entra osannato in Gerusalemme e, nello stesso tempo, viene proclamato il racconto evangelico della sua Passione”.

“Per questo il nostro cuore sente lo struggente contrasto, e prova in qualche minima misura ciò che dovette sentire Gesù nel suo cuore in quel giorno, giorno in cui gioì con i suoi amici e pianse su Gerusalemme”.

L’accoglienza entusiasta da parte dei discepoli e della folla di Gerusalemme, tuttavia non fa di Gesù un leader, un trascinatore:

“Questo Gesù non è un illuso che sparge illusioni, un profeta ‘new age’, un venditore di fumo, tutt’altro: è un Messia ben determinato, con la fisionomia concreta del servo, il servo di Dio e dell’uomo che va alla passione; è il grande Paziente del dolore umano”.

Gesù, dunque, è il Re, che però in questa Settimana dovrà patire calunnie, oltraggi, tradimenti, l’abbandono, il giudizio iniquo, e poi le percosse, i flagelli, la corona di spin; infine la via crucis e la crocifissione.

E Gesù stesso non ha mai promesso ai suoi discepoli onori e successi, ricorda il Papa, citando il Vangelo di Matteo, “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Egli ha sempre avvertito i suoi amici che la sua strada era quella, e che la vittoria finale sarebbe passata attraverso la passione e la croce. E anche per noi vale lo stesso, sottolinea Francesco “Sopportiamo con pazienza la nostra croce – esorta – guardando a Lui, accettando di portarla giorno per giorno” e guardando al prossimo sofferente:

“Questo Gesù, è presente in tanti nostri fratelli e sorelle che oggi, oggi patiscono sofferenze come Lui: soffrono per un lavoro da schiavi, soffrono per i drammi familiari, per le malattie… Soffrono a causa delle guerre e del terrorismo, a causa degli interessi che muovono le armi e le fanno colpire. Uomini e donne ingannati, violati nella loro dignità, scartati”.

In ognuno di loro – ha detto il Pontefice – c’è Gesù che chiede di essere guardato, di essere riconosciuto, di essere amato. Non è un altro Gesù: è lo stesso che è entrato in Gerusalemme tra lo sventolare di rami di palma e di ulivo.

“E’ lo stesso che è stato inchiodato alla croce ed è morto tra due malfattori. Non abbiamo altro Signore all’infuori di Lui: Gesù, umile Re di giustizia, di misericordia e di pace”.

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I giovani: guardiamo alla Gmg di Panama con le parole del Papa nel cuore

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E questa mattina il papa ha ricordato la celebrazione a livello diocesano della XXXII Giornata Mondiale della Gioventù, sia durante l’omelia che nell’Angelus, dando appuntamento ai tantissimi giovani presenti in piazza,  a Panama nel gennaio del 2019. Ma come si prepareranno a questo nuovo incontro? Ascoltiamo i loro commenti raccolti da Marina Tomarro: 

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Veglia Gmg. Francesco: al Sinodo i giovani saranno protagonisti, nessuno escluso

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La Chiesa vuole ascoltare tutti i giovani, nessuno escluso. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Veglia di preghiera, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, in occasione della 32.ma Giornata Mondiale della Gioventù. L’avvenimento è stato anche il primo momento nel cammino di preparazione al prossimo Sinodo – in programma nell’ottobre del prossimo anno – che, per volere del Papa, sarà proprio dedicato ai giovani. La celebrazione è stata presieduta da una serie di testimonianze di ragazzi di diverse parti del mondo. Il servizio di Alessandro Gisotti

Una Veglia con i giovani alla vigilia della Gmg diocesana, sotto lo sguardo di Maria Salus Populi Romani, “concreta realizzazione del progetto di Dio”. Nella Basilica di Santa Maria Maggiore, la “più antica casa della Madonna nella città di Roma e dell’Occidente”, i giovani di Roma e del Lazio hanno pregato assieme, offerto le loro testimonianze e, spiritualmente uniti con i loro coetanei di tutto il mondo, hanno iniziato il cammino che li porterà alla Gmg di Panama del gennaio 2019.

Le testimonianze toccanti di due giovani, segno di gioia e speranza
Il Papa ha ascoltato la testimonianza di Maria Lisa, giovane suora di origini pugliesi, che ha sottolineato la gioia di essere una consacrata, di vivere la sua vita pienamente per il Signore, nonostante dubbi iniziali, cadute e difficoltà. In particolare, la religiosa ha parlato dei ragazzi di strada, a cui si dedica oggi:

“Tutti possiamo sognare e tutti siamo accomunati da un’unica cosa: il bisogno di amare e di essere amati. E per questo amore non conta chi sei o a chi appartieni, l’onore, il rispetto … L’unica legge che conta, appunto, è quella dell’amore. E allora, io sono tanto grata al Signore, perché con questi figli e fratelli posso sperimentare tutto questo”.

Francesco ha quindi ascoltato con attenzione la testimonianza di Pompeo, un giovane che da bambino ha vissuto la tragica esperienza del crollo della sua scuola di San Giuliano di Puglia, a causa del terremoto. Una tragedia che lo ha costretto alla sedia a rotelle e, nonostante un’altra terribile malattia, che si è aggiunta negli anni, non si è dato per vinto:

“Quella sofferenza, questa sedia a rotelle, mi hanno insegnato a vedere la bellezza nelle piccole cose e mi ricordano ogni giorno la fortuna che ho e ogni giorno mi insegnano nuovamente a superare momenti di sconforto e a ringraziare Dio per quello che ho: ho la mia famiglia, i miei amici e anche la passione per il nuoto, grazia alla quale oggi sono campione italiano di nuoto. E ho un sogno: partecipare alle Paralimpiadi. Quel crollo ha cambiato la mia vita e quella di tantissime persone a San Giuliano. Ma da quel giorno non ho più paura del futuro e di quello che la vita mi riserverà”.

Nel prossimo Sinodo, nessun giovane dovrà sentirsi escluso
Toccato dalle due testimonianze, Papa Francesco ha lasciato il testo preparato per l’omelia ed ha parlato a braccio, mettendo subito l’accento sull’importanza del prossimo Sinodo, sui giovani che si trovano nel cammino dalla Gmg di Cracovia a quella di Panama:

“Da Cracovia a Panama. Ma, in mezzo il Sinodo, un Sinodo dal quale nessun giovane deve sentirsi escluso. 'Ma, facciamo il Sinodo per i giovani cattolici …ma anche i giovani che appartengono alle associazioni cattoliche, così è più forte …'. No. Il Sinodo è il Sinodo per e di tutti i giovani! I giovani sono i protagonisti. 'Ma anche i giovani che si sentono agnostici? – 'Sì!' – 'Anche i giovani che hanno la fede tiepida?' – 'Sì!' – 'Anche i giovani allontanati dalla Chiesa?' – 'Sì!' – 'Anche i giovani che – non so se qualcuno, ma magari ci sarà qualcuno – si sentono atei?' – 'Sì!'. Questo è il Sinodo dei giovani e noi tutti vogliamo ascoltarci. Ogni giovane ha qualcosa da dire agli altri, ha qualcosa da dire agli adulti, ha qualcosa da dire ai preti, alle suore, ai vescovi e al Papa. Tutti abbiamo bisogno di sentire voi!”

Troppi giovani si sentono scartati, non possiamo più tollerarlo
Il Papa ha quindi riconosciuto che oggi per tanti giovani ci sono gravi difficoltà nella loro vita. Giovani che non riescono a “mettersi in cammino”, perché “spesso sono scartati” dalla società:

“Non hanno lavoro, non hanno un ideale da seguire, manca l’educazione, manca l’integrazione … tanti giovani devono fuggire, emigrare in altre terre … i giovani, oggi – è duro dirlo – ma spesso sono materiale di scarto. E questo noi non possiamo tollerarlo, e noi dobbiamo fare questo Sinodo per dire ‘noi giovani siamo qui, e noi andiamo a Panama’, per dire: ‘noi giovani siamo qui, in cammino! Non vogliamo essere materiale di scarto’! Noi abbiamo un valore da dare’. Ho pensato mentre Pompeo parlava: per due volte lui è stato quasi al limite di essere materiale di scarto, a 8 anni e a 18 anni. E ce l’ha fatta. E ce l’ha fatta”.

Una missione per i giovani: parlare con gli anziani
Ancora il Papa - dopo aver ribadito l’importanza del Sinodo, che, ha evidenziato, non è un “parlatoio”, e della Gmg di Panama, entrambe sotto il segno di Maria - ha consegnato uno speciale compito per i giovani di oggi, “parlare con i nonni”:

“Questo è il compito che io vi do in nome della Chiesa: parlare con gli anziani. 'Ma è noioso, sempre dicono lo stesso …'. No. Senti l’anziano. Parla, domanda le cose. Fa che loro sognino e da quei sogni prendi tu per andare avanti, per profetizzare e per fare concreta quella profezia. Questa è la vostra missione oggi, questa è la missione che vi chiede oggi la Chiesa”.

A Panama, il Papa vi chiederà se avete parlato con gli anziani
Il Papa ha dunque concluso la sua omelia, allargando l’orizzonte fino a Panama, dove – ha sottolineato – saranno protagonisti non solo i giovani, ma pure gli anziani in dialogo con loro:

“Non so se sarò io, ma ci sarà il Papa: il Papa, a Panama, e vi farà la domanda: ‘Avete parlato con i vecchi? Avete parlato con gli anziani? Avete preso i sogni dell’anziano e li avete trasformati in profezia concreta?’. Questo è il vostro compito. Che il Signore vi benedica. Pregate per me e prepariamoci tutti insieme per il Sinodo e per Panama”.

La testimonianza di un giovane afgano sfuggito alla guerra
Nell’animazione, che ha preceduto la Veglia, è stata particolarmente toccante la testimonianza di Dawood, un giovane afghano, che ha lasciato la sua patria a causa dei conflitti ed è stato accolto in Italia, dopo un lungo e pericoloso viaggio:

“Ho compiuto i miei 18 anni per strada, alla Stazione Ostiense; ho conosciuto la Comunità di Sant’Egidio, che mi ha accolto e che mi ha insegnato a vivere. Ho iniziato una nuova vita e un nuovo futuro. Oggi lavoro come assistente educativo culturale in una scuola elementare con gli alunni disabili e cerco di parlare, dialogare e lavorare per la pace. Sogno la pace per il mio Paese e per tanti che ancora soffrono per la guerra. Il mio pensiero va anche al popolo siriano”.

Un giovane, dunque, che ha sofferto per la guerra. E, durante la celebrazione, che ha visto anche i momenti simbolici dell’intronizzazione della Croce delle Gmg e dell’offerta floreale all’icona di Maria Salus Populi Romani, si è pregato per tutti i giovani sofferenti, affinché il dolore non li porti “alla disperazione” ma li “apra alla consapevolezza” che Dio è sempre accanto a loro.

Una preghiera perché il Sinodo rafforzi nella Chiesa l’attenzione verso i giovani
Si è pregato anche per i genitori e gli educatori, affinché “siano responsabili dell’educazione umana e cristiana dei loro figli con generosità ed entusiasmo”. Un pensiero speciale, infine, è stato rivolto proprio al prossimo Sinodo, affinché “rafforzi in tutti l’attenzione verso i giovani, presente e futuro della Chiesa e della società”.

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Anne-Marie Pelletier: Via Crucis, l'amore è più forte del male

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E’ una Via Crucis non tradizionale quella di Anne-Marie Pelletier, la biblista francese autrice delle meditazioni del Venerdì Santo di quest'anno al Colosseo. Le stazioni rispecchiano i momenti che l’autrice ha ritenuto più significativi nel cammino di Gesù verso il Golgota: il rinnegamento di Pietro, la sofferenza di Cristo, in cui oggi si riconoscono uomini, donne e persino “bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati”, il silenzio del sabato. Anne-Marie Pelletier ha voluto dare particolare spazio alle donne nella sua Via Crucis, cita Caterina da Siena ed Etty Hillesum e, fra i testimoni del nostro tempo, ricorda i monaci di Tibhirine. Tiziana Campisi le ha chiesto come ha sviluppato le sue riflessioni: 

R. - Direi che non ho pensato a quello che volevo dire o a quello che volevo trasmettere. La mia idea è stata, piuttosto, quella di ritrovarmi in questo cammino, di cercare di mettermi sui passi di Gesù che sale sul Golgota. Si tratta di una dimensione del pensiero di Dio e non del nostro, quindi ho cercato di avere un atteggiamento di ascolto e di silenzio per arrivare, per me stessa e per gli altri, allo straordinario paradosso che si realizza nell’ora della Passione, quello che le Scritture definiscono l’inaudito dell’ora di Dio e che tocca intensamente e profondamente tutto l’agire del nostro mondo contemporaneo.

D. - Le sue 14 stazioni non sono quelle tradizionali. Come mai questa scelta?

R. - Ho preso spunto dal fatto che la Via Crucis ha diversi riferimenti e che non ha uno schema vincolante e ho scelto quei momenti che mi sembravano particolarmente significativi. Così ho deciso di inserire il rinnegamento di Pietro e la scena in cui Pilato, consultato dalle autorità ebraiche, dichiara anche lui che Cristo doveva essere crocifisso. Per me era molto importante voler ricordare, in questa circostanza, ebrei e pagani uniti nella complicità della condanna a morte di Gesù. Sappiamo che nel corso dei secoli i cristiani sono stati tentati di attribuire la responsabilità della morte di Cristo solo al popolo ebraico. I testi, però, così come sono scritti, ci aiutano a capire che, in realtà, ci si trova dinanzi a un enorme dramma spirituale, nel quale ebrei e pagani sono uniti nello stesso rifiuto di Cristo, nella stessa violenza che porta alla sua condanna a morte.

D. - A che cosa si è ispirata per le sue meditazioni?

R. - Direi, fondamentalmente, sulla mia esperienza di credente, sull’esperienza della lotta della fede. Perché quando ci si trova - come nel caso della Passione di Gesù - di fronte a questo estremo del pensiero di Dio, ciascuno di noi si sente smarrito e ha difficoltà ad entrare nella logica delle Scritture, del “doveva essere così”.

D. - C’è un messaggio che vuole dare attraverso i suoi testi?

R. - Direi che fondamentalmente ho cercato di sensibilizzare sul fatto che i tragici eventi della Passione hanno dell’umano: Cristo è condannato a morte, sottoposto alla violenza degli uomini. Tali avvenimenti ci insegnano che dobbiamo riuscire a raggiungere ciò che Papa Francesco chiama l’Evangelii gaudium, “la gioia del Vangelo”. Siamo di fronte ad un grande paradosso, perché quello che abbiamo sotto gli occhi è la realtà di un fallimento, della sofferenza trionfante, del regno della morte. E’ molto importante riprendere coscienza sul fatto che essere cristiani è l’opposto di questo ricatto della violenza, della morte, e che l’amore è più forte. L’amore che viene da Dio ha la vittoria su tutto. Penso sia compito dei cristiani di oggi essere testimoni di ciò.

D. - Nell’ultima stazione lei sottolinea la presenza delle donne…

R. - Ho voluto che la XIV stazione fosse dedicata al Sabato Santo. Il Vangelo offre su tale giorno solo poche parole e queste riguardano delle donne. Sono quelle donne che, tornate dalla tomba dopo l’inumazione di Gesù, andarono a preparare i teli per poterne avvolgere il corpo dopo lo Shabbat. Anche se la nostra liturgia non gli riserva una grande risonanza, penso che il Sabato Santo sia un momento fondamentale. E’ un momento di raccoglimento, di silenzio; ci prepara a riconoscere la resurrezione. Ed è anche un momento femminile, che ci mostra le donne sottoposte alla prova della morte di Gesù, ma che allo stesso tempo continuano ad avere un atteggiamento di vita: preparano i teli con i quali andranno ad onorare il corpo di Cristo e hanno un comportamento molto diverso da quello dei discepoli di Emmaus. Questi sono delusi e disorientati, le donne, invece, non si mostrano così; semplicemente, sobriamente, preparano i teli e si dispongono così a ricevere la grande sorpresa dell’annuncio della Resurrezione.

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Oggi in Primo Piano



Patriarca Sako: marcia per la pace in Iraq è per tutto un popolo

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“Sarà un’occasione di speranza per tutto l’Iraq e il Medio Oriente”. Così Il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, parlando della marcia della pace interreligiosa al via questa Domenica nella Piana di Ninive. L’iniziativa, aperta anche ai musulmani, parte da Erbil e si concluderà, dopo una settimana di cammino, ad Alqosh. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso Patriarca Sako:  

R. - È una marcia per la pace per dire alla gente che c’è un’esigenza di pace. Penso che avrà un impatto molto forte sulla popolazione. In questa iniziativa, tanti troveranno un momento di meditazione, di analisi. Questa marcia durerà una settimana e sarà lunga 140 chilometri. Finirà il sabato, quando arriveremo a Qaraqosh per partecipare alla Messa della notte.

D. - La marcia di fatto attraversa la Piana di Ninive dove c’è stata tanta sofferenza. Ma l’Iraq soffre ancora. Pensiamo anche a quello che accade e non solo a Mosul …

R. – E’ per tutto l’Iraq! Loro incontreranno più musulmani che cristiani, perché in tutti questi villaggi ci sono musulmani curdi, arabi, yazidi. È una marcia per tutti. Ci saranno anche musulmani per promuovere l’unità. Vogliono dire: basta guerre, basta conflitti, basta morte!

D. - Anche lei prenderà parte alla marcia …

R. – Mercoledì andrò a Erbil e Giovedì Santo celebrerò la Messa in un villaggio cristiano. Laverò i piedi di alcune persone di questo villaggio e poi pranzeremo insieme.

D. - Lei nel suo messaggio per la Quaresima ha avviato una raccolta fondi per aiutare tutti senza alcuna distinzione …

R. - La settimana scorsa sono andato a Mosul. Mi sono recato in due campi profughi per portare cibo, medicine, latte per i bambini, per quattromila famiglie. Erano tutti musulmani non c’era nessun cristiano fra loro. Ho detto loro che ero andato per portare la nostra solidarietà, vicinanza e amicizia.

D. - Che cosa le hanno detto questi profughi fuggiti da Mosul sotto lo Stato islamico?

R. - Loro hanno detto che Mosul senza cristiani non sarà Mosul…

D. - Il volto dell’Iraq è stato tanto ferito. Quanto ci metterà a tornare ciò che era?

R. - Ci vuole tempo. Hanno bisogno di uscire da questa mentalità di vendetta e imparare a perdonare, perché chi perdona è più forte. Sempre ripeto questo. Quando Gesù ha detto: “Bisogna perdonare 70 volte sette”, vuol dire fine alla fine. Dobbiamo perdonare  e aver fiducia e speranza nell’uomo che può cambiare.

D. - Qual è il messaggio in questa Quaresima verso la Pasqua?

R. - Per noi è un passaggio: c’è difficoltà, c’è la Croce, abbiamo sperimentato la Croce e la sofferenza. Ma l’ultima parola non è di guerra, di morte: è di vita, di risurrezione. I nostri sono già ritornati nei villaggi. Piano piano la gente ritorna.

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Usa-Corea del Nord. Trump pronto a opzione militare

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Navi militari americane – tra cui la portaerei Carl Vinson – sono già in viaggio verso la penisola coreana, dopo aver cambiato la loro destinazione dall’Australia, ma si potrebbe arrivare anche al posizionamento di testate nucleari in territorio sudcoreano. Non esclude, insomma, l’opzione militare, il governo Trump, dopo le dichiarazioni della Corea del Nord che ha ribadito di proseguire il proprio programma militare in seguito al bombardamento Usa in Siria di qualche giorno fa.

La Cina ribadisce impegno per la denuclearizzazione della penisola coreana
Il via libera al bombardamento era arrivato da Trump proprio mentre stava ricevendo in Florida il presidente cinese Xi Jinping – storico alleato di Pyongyang – al quale avrebbe intimato di “tenere a bada la Corea del Nord”. Da parte sua, il presidente cinese ha assicurato di poter risolvere la situazione “attraverso il dialogo e le consultazioni”, ribadendo anche il proprio impegno verso la denuclearizzazione della penisola. Intanto anche Stati Uniti e Giappone, con una telefonata tra il presidente Trump e il primo ministro Shinzo Abe, sono tornati a stringere la propria collaborazione contro il programma nucleare nordcoreano. Anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato l’ultimo lancio missilistico effettuato questa settimana da Pyongyang in aperta violazione alle sanzioni Onu. 

Pyongyang potrebbe costruire un vettore con una testata atomica
Secondo l’intelligence americana, la Corea del Nord starebbe progettando un nuovo test missilistico intorno al 15 aprile prossimo, per celebrare l’anniversario del compleanno di Kim Il-sung, considerato il padre della Patria nordcoreana, e non avrebbe alcuna intenzione di rinunciare alla costruzione di un vettore balistico intercontinentale, sul quale montare una testata atomica miniaturizzata. (R.B.)

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Norvegia. Fatto brillare pacco esplosivo al centro di Oslo

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Sventato attentato a Oslo
È stato fatto brillare dalla polizia norvegese, il pacco di 30 cm di lato ritrovato ieri nel centro di Oslo, all’indomani dell’attentato in Svezia. Secondo quanto riferito dalle forze dell’ordine, il pacco sospetto, abbandonato nei pressi della stazione della metropolitana di Groenland, avrebbe contenuto esplosivo e non un ordigno rudimentale, come temuto in precedenza. L’esplosione è stata chiaramente avvertita in tutto il centro della città.

Centro cittadino isolato dalla polizia
Il pacco “con un potenziale esplosivo limitato”, come riferito dagli artificieri che vi hanno lavorato sopra, era stato ritrovato ieri sera ed è circolata anche la voce dell’arresto di un uomo. Il centro cittadino di Oslo è stato immediatamente isolato. Bar, ristoranti e negozi sono stati chiusi ed è stato intimato alla popolazione di restare in casa per motivi di sicurezza. (R.B.)

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Allarme siccità in Somalia, aumentano casi di colera

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A causa della siccità, in Somalia i casi di colera sono in forte aumento, anche tra i bambini. 200 mila i minori che rischiano di morire a causa di gravi forme di malnutrizione, mentre il Paese va verso la carestia. A lanciare l’allarme Save the Children, che chiede alla Comunità internazionale di intervenire, stanziando urgentemente fondi per salvare vite umane. Il servizio di Elvira Ragosta

Sono più di 8400 i casi di colera, di cui 200 mortali, registrati in Somalia dall’inizio dell’anno. Secondo i dati raccolti sul territorio da Save the Children, la scorsa settimana ci sono stati 400 casi in un solo giorno. Epicentro dell’emergenza la zona centrale e meridionale del Paese. Marco Guadagnino, portavoce dei progetti internazionali dell’Ong:

“Ovviamente l’emergenza è dovuta principalmente alla scarsità di acqua, che purtroppo comporta l’uso di liquido contaminato da parte sia di persone, che di animali, che utilizzano le stesse fonti d’acqua. Il livello di disponibilità idrica per servizi igienici si sta abbassando in maniera molto preoccupante. Le strutture sanitarie, già in grande difficoltà, in queste settimane sono a dura prova e anch’esse hanno carenza di acqua potabile disponibile per i pazienti”.

Una situazione particolarmente allarmante per i bambini, aggiunge Guadagnino:

“Per i bambini c’è bisogno di cure e assistenza, di portare acqua e dare una risposta immediata a bisogni in questo momento negati. In molte parti della Somalia, in questo momento mancano attrezzature di base per dare assistenza sanitaria immediata. Il 50% delle famiglie, che abbiamo intervistato in queste aree, dichiara di avere almeno un componente che si è ammalato nelle ultime settimane”.

Il team sanitario di Save the Children sta cercando di rispondere alle necessità della popolazione. Ancora Guadagnino:

“Stiamo provvedendo a trasportare potabilizzatori d’acqua, stiamo cercando di rifornire i centri sanitari di trattamenti per la diarrea, stiamo lavorando sulla diffusione di messaggi e sulla sensibilizzazione. Abbiamo disposto l’arrivo della nostra unità di emergenza sanitaria nell’area e stiamo facendo il possibile, perché è importante intervenire immediatamente prima che l’epidemia si diffonda”.

Il colera non è l’unico fattore di forte rischio per i bambini somali. I medici della Ong, impegnati in 72 cliniche, riferiscono di gravi infezioni respiratorie e numerosi casi di polmonite:

“Nel Puntland ci sono al momento almeno 250 mila persone, che sono dovute fuggire e vivono in campi o abitazioni di fortuna. Ovviamente, mancando servizi di base, acqua e servizi sanitari, stiamo registrando casi di polmonite e alcuni casi di morbillo. In un contesto normale questo tipo di malattie sarebbe gestibile, ma in un contesto di grave emergenza umanitaria - perché stiamo parlando di una zona in cui ci sono oltre sei milioni di persone, quasi la metà della popolazione, che hanno urgente bisogno di aiuto a causa dell’insicurezza alimentare - l’incidenza di queste malattie accresce il problema”.

Per questo Save the Children lancia un appello alla Comunità internazionale:

“Noi chiediamo ai donatori, ai Paesi del G7, all’Onu di stanziare urgentemente fondi per la Somalia. Serviranno oltre 800 milioni di dollari per salvare la vita alle persone coinvolte in questa emergenza. Chiediamo con urgenza alla Comunità internazionale di agire per aumentare i finanziamenti, perché quest’emergenza, la siccità e tutto ciò che la siccità comporta, inclusa questa epidemia di colera, non si trasformi in un disastro umanitario, come avvenne nel 2011”.

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Le speranze dei vescovi sud sudanesi per una visita del Papa

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“Una visita di Papa Francesco in Sud Sudan rappresenterebbe la speranza per restaurare la pace nel Paese”. Così si esprime l’arcivescovo di Juba, mons. Pauilino Lukudu Loro, in un’intervista rilasciata al portale “News Amecea”, il sito dell’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale. Devastato da una drammatica guerra civile esplosa nel dicembre 2013, il Sud Sudan cerca da tempo di trovare la via della riconciliazione dopo l’indipendenza dal Sudan del Nord, faticosamente conquistata nel luglio del 2011.

Papa Francesco: “Viaggio allo studio”
Le speranze dei vescovi sud sudanesi non sono vane: lo scorso 26 febbraio, infatti, Papa Francesco, in visita alla Comunità Anglicana nella Chiesa All Saints’ di Roma, ha riferito di avere allo studio un viaggio in Sud Sudan, da compiere insieme ai vescovi cattolici, anglicani e presbiteriani. che “insieme vogliono la pace e lavorano insieme per la pace”. Vedere, quindi, il Pontefice nel Paese africano, sottolinea mons. Loro, “darebbe un grande sostegno morale all’intera popolazione” che “ha nostalgia della pace”.

“Avviare dialogo inclusivo”
“La nostra gente, i leader politici, i combattenti sono tutti pronti ad ascoltare il Papa – ribadisce l’arcivescovo di Juba – Egli è la nostra ultima speranza”. Di qui, le priorità elencate dal presule per arrivare alla riconciliazione: in primo luogo “fermare le violenza e smettere di combattere, poi dialogare tutti insieme, intorno a un tavolo di pace”. Per questo, mons. Loro ricorda che sia gli esponenti della Chiesa cattolica, sia gli altri leader religiosi del Paese sono disposti a dare il loro contributo, per avviare un dialogo che sia davvero “inclusivo” di tutta la società.

Un conflitto di natura etnica, non religiosa
Altro punto essenziale è il richiamo al fatto che “il conflitto in Sud Sudan è principalmente di natura etnica – nel Paese, infatti, sono presenti 65 tribù - perché se fosse politico, il Parlamento lo avrebbe già regolamentato”. Allo stesso modo, tale conflitto “non è religioso, perché in Sud Sudan cristiani e musulmani vivono in pace”. “Tuttavia – conclude mons. Loro – non tutte le speranze sono perse. Sono sicuro che i leader ascolteranno la voce del Santo Padre e lavoreranno per riportare la pace in Sud Sudan per un futuro migliore”. (I.P.)

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Stallo politico Irlanda del Nord. Le preghiere dei presuli

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Stallo politico per la formazione di un governo di coalizione in Irlanda del Nord. Dopo diverse settimane di incontri, unionisti e nazionalisti non sono ancora riusciti a trovare un accordo, a causa di profonde divergenze sulla Brexit: gli unionisti, infatti, sono favorevoli all’uscita dall’Europa, mentre i repubblicani dello Sinn Fein temono il ritorno della frontiera con l’Irlanda.

Mons. Martin: colloqui siano guidati da saggezza e coraggio
Per questo, l’arcivescovo Eamon Martin, Primate di Irlanda, ha diffuso una nota in cui si dice “consapevole che questo è un momento critico nel processo di pace” e invita tutti “a pregare, affinché, in questa Settimana Santa, i colloqui politici siano guidati dalla saggezza, dal coraggio, dal giusto giudizio e da uno spirito di cooperazione e d’intesa”. Il presule aggiunge, poi, una preghiera, con cui chiede al Signore di “scacciare la paura e portare l’unità” nel Paese.

Crisi istituzionale iniziata a gennaio
Da ricordare che la coalizione obbligatoria fra nazionalisti e unionisti è frutto degli accordi di pace del 1998: l’attuale crisi istituzionale, invece, è cominciata a gennaio, con le dimissioni da vicepremier del leader storico dello Sinn Fein, Martin McGuinness - poi deceduto - seguite dalle elezioni del 2 marzo. (I.P.)

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Attaccato convento in Madagascar. Vescovi: violenza inaudita

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“Un crimine contro l’umanità”. Così la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale del Madagascar, guidata da mons. Roger Victor Rakotondrajao, definisce l’efferato attacco perpetrato, il 1° aprile scorso, contro il convento delle Suore di Notre Dame de la Salette, situato ad Antsahatanteraka Antsirabe.

Commesse violenze e furti
Durante la notte la struttura è stata assaltata da sette uomini armati, che sono riusciti a forzare le porte d’ingresso. Una volontaria tedesca, una religiosa malgascia e tre ospiti hanno subito violenza sessuale. Un inserviente della comunità, che ha cercato di difendere le donne, è stato severamente picchiato. Oltre alle violenze, i banditi hanno fatto razzia di denaro e telefoni cellulari, dandosi poi alla fuga. Ieri la polizia locale ha fermato 26 persone: sette di esse sono accusate di aver preso parte all’assalto, mentre le altre sono state ascoltate in qualità di testimoni.

Vescovi locali: atti disumani
Condannando con fermezza quanto avvenuto, i vescovi malgasci ribadiscono che si è trattato di “un attacco che ha violato i diritti e la dignità dell’uomo”, poiché “i banditi hanno commesso atti disumani”. Quindi, esprimendo apprezzamento per “gli sforzi compiuti dalla polizia per l’arresto dei colpevoli di tali crimini”, i vescovi chiedono alle autorità di “assumersi la responsabilità di fare luce sull’accaduto”. “La corruzione non pregiudichi la verità – conclude la nota episcopale – e i responsabili siano definitivamente ed efficacemente puniti”. (I.P.)

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Vocazioni: in aumento in Asia e Africa, in calo altrove

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Vocazioni sacerdotali e religiose sempre più in calo e aumento dei diaconi permanenti. È questa la fotografia a livello mondiale scattata dal nuovo Annuario statistico della Chiesa Cattolica da poco pubblicato. Uniche eccezioni positive in Africa ed Asia dove complessivamente il numero dei sacerdoti nel 2015 è aumentato del 30%. Federico Piana ne ha parlato con mons. Domenico Dal Molin, direttore dell’Ufficio pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale: 

R. – La realtà è scoraggiante se noi andiamo a verificare la realtà europea e comprensibilmente anche dell’Oceania che, vediamo, sono le realtà più insofferenti; quella europea, poi, anche in maniera abbastanza evidente. Però, quello che in realtà rimane in ogni caso un dato importante è che la Chiesa sta dimostrando una notevole vitalità nei continenti in cui sta avendo anche un impatto nuovo a livello di persone e di conversioni, ma anche a livello di comunità cristiane che hanno una notevole vivacità e creatività nel manifestarsi. Quindi credo che comunque la Chiesa mostri che è una realtà viva, dinamica e guidata comunque della grazia dello Spirito del Signore.

D. – Secondo lei, come mai ci sono questi punti forti di criticità in Europa, negli altri continenti e non in Asia e Africa?

R. – Credo che cis ia un dato di fatto: il continente africano e il continente asiatico stanno avendo un approccio che è un po’ quello non dico delle prime Chiese della realtà cristiana, ma certamente con un entusiasmo e una modalità che fanno molto pensare a quello che era la Chiesa quando ha incominciato la sua divulgazione, la sua espansione anche nel continente europeo, a partire dalla realtà di Gerusalemme o dalle Chiese di Antiochia … Però, quello che a me sembra importante è innanzitutto vedere che queste realtà sono vive; secondo, la realtà europea risente di tanti aspetti che sono di carattere certamente culturale, certamente sociale però anche, forse, una forma di ripiegamento su di sé a livello dell’essere Chiesa che poi nel contatto con la gente – lo dico da prete italiano che ha vissuto e vive da tanti anni nella realtà con la gente: noi abbiamo una qualità di preti che è veramente alta, Papa Francesco spesso lo sottolinea, questo aspetto … Rimane però il fatto che l’impatto vocazionale, ora per motivi di denatalità o per motivi legati anche a questa criticità nelle scelte della vita che è un po’ tipica della nostra cultura, in realtà l’aspetto vocazionale sembra avere meno forza d’urto.

D. – Come si può colpire i giovani, cercare di proporre loro una vocazione affascinante? Come si può fare?

R. – Ci sono due vie che noi dovremmo ripercorrere: le abbiamo percorse, in passato, ma forse le abbiamo un po’ abbandonate. La prima è di tornare ad essere annunciatori della bellezza della vocazione. Lo si fa con la vita, prima di tutto, e lo si fa anche rivolgendo qualche appello, perché io ricordo che molti preti, in passato, lo facevano in maniera decisa, convinta, senza fare pressione. Quindi talvolta è anche una crisi di chiamanti e non solo di chiamate. Bisogna tornare ad essere convinti della bellezza della nostra scelta di vita. Il secondo aspetto è proprio di farsi vicini, cioè quell’accompagnamento – personale, spirituale – che in fondo è anche l'obiettivo del Sinodo: i giovani, la fede e il discernimento vocazionale lo si attua passando attraverso questa prossimità, questo stare accanto da adulti, cosa che talvolta i nostri giovani non hanno proprio vicino, perché gli adulti sembrano sfuggire alla loro responsabilità. Credo che abbiamo uno spiraglio interessante su cui lavorare.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 99

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.