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Sommario del 11/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco al "Bambin Gesù": siete una famiglia dove la prima cura è l'amore

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“Caro Francesco, grazie perché ci dai speranza e coraggio per il domani. Ti vogliamo bene!”. Con queste parole  ieri pomeriggio un gruppo di bambini e ragazzi ricoverati all’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, accompagnati dai loro genitori e dai medici che li hanno in cura, hanno voluto ringraziare Papa Francesco che li ha incontrati nell’Auletta dell’Aula Paolo VI. I ragazzi - dai 5 ai 18 anni – sono i protagonisti della serie televisiva della Rai “I Ragazzi del Bambino Gesù”. Il progetto è patrocinato, dal Ministero della Salute e dall’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Erano presenti, tra gli altri, la Presidente dell’Ospedale Pediatrico, Mariella Enoc e il Direttore Generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro

“Mi chiamo Sabrina, faccio parte del Progamma “I ragazzi del Bambin Gesù”. Loro sono i miei amici Letizia, Klizia, Ginevra, Sara, Caterina, Alessia, Flavio, Giulia, Roberto e Simone”.

Sono loro i protagonisti della serie televisiva I ragazzi del Bambin Gesù che insieme ai lori genitori hanno voluto salutare il Papa e raccontargli le loro storie e la gioia di essere stati accolti in un ospedale dove si sono sentiti circondati dall’affetto di una vera famiglia, che li spronava ad andare avanti e non arrendersi alla malattia Ma ascoltiamo le parole di papa Francesco ai piccoli:

“Grazie per queste fotografie, per questo libro, anche per la dedica… Sono tante storie. Ognuno di voi è una storia. Non solo i bambini ammalati, ma anche i medici, gli infermieri, quelli che visitano, le famiglie… Io dirò due cose che mi vengono adesso. Una l’ho notata quando siete venuti… Due mesi fa?... Il 15 dicembre scorso. Ho salutato e c’era la dott.ssa Enoc che mi accompagnava nel saluto, con qualche medico, e mi presentavano le persone. Sapevano i nomi di tutti, di ognuno: “Questo sta lottando per questa malattia…”. Sapevano anche cosa succedeva nella loro vita. E io ho percepito – lo avete detto anche voi, e poi riprenderò quello che avete detto voi – ho percepito che più che un ospedale questo è una famiglia, che è una delle parole che voi averte detto. Era più importante il nome, la persona, e solo alla fine si diceva la malattia, ma come un incidente, una cosa secondaria. C’è famiglia, no?”

E il Santo Padre ha sottolineato come spesso l’ospedale può fare paura ai bambini,  e allora è necessario andare  oltre le medicine  perché la cura è soprattutto nelle carezze, nell’amore che i sanitari devono trasmettere a questi piccoli pazienti. Ascoltiamo ancora le sue parole:

“Perché c’è sempre la funzione, l’ospedale… si deve fare questo… e c’è il pericolo, il rischio di dimenticare la medicina più importante che soltanto una famiglia può dare: le carezze! È una medicina troppo costosa, perché per averla, per poterla fare tu devi mettercela tutta, metterci tutto il cuore, tutto l’amore. E da voi ci sono le carezze! Le carezze dei medici, degli infermieri, della Direttrice, di tutti. Il Bambin Gesù, in questo ultimo periodo, è cresciuto tanto, e diventa una famiglia… Il bambino, il malato lì trova una famiglia. Famiglia e comunità, due parole che voi avete detto e ripetuto, e per questo voglio ringraziarvi, perché il Bambin Gesù è una testimonianza, una testimonianza umana… Umana.”

E all’ incontro ha partecipato anche la presidente dell’ospedale Mariella Enoc che ha illustrato al Papa il nuovo progetto dell’ospedale che verrà realizzato in Siria, per la formazione di coloro che dovranno stare vicino ai ragazzi che devono superare i traumi della terribile guerra che stanno subendo. Ascoltiamo la sua testimonianza.

R- In fondo, bisogna recuperare in Siria una generazione, una generazione che andrebbe perduta, perché diventerebbero violenti. Allora noi abbiamo pensato di fare quello e quindi di cominciare questo lavoro. Io al più presto andrò in Siria … Ma Le vorremmo anche dire una cosa, tutti insieme. Le vorremmo dire che quando Lei ha qualche bella idea, qualche bel progetto, si ricordi che questo ospedale è lì pronto per fare delle cose… Noi non vorremmo soltanto essere l’ospedale di Roma, del Papa, che è stato donato… Insomma noi vogliamo essere un ospedale che sa guarire, che sa curare, che sa amare ed è convinto che quello che loro hanno ricevuto, hanno diritto di riceverlo anche tanti ragazzi in tante parti del mondo.

E alla fine dell’incontro i ragazzi hanno chiesto al Papa di fare un selfie con loro , che li salutati ricordando ancora una volta l’importanza di essere famiglia in ospedale:

“Siete una famiglia! Chi è più importante in una famiglia? La mamma, il papà, i fratelli più grandi, i nonni, i bambini…ognuno è più importante, e voi siete tutti importanti, ma sempre insieme. Adesso, prima di salutarvi uno per uno, chiederò al Signore che vi benedica.”

E al termine dell’Udienza con il Santo Padre, i ragazzi con le famiglie, hanno incontrato anche il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ringraziandolo per quanto l’ospedale pediatrico ha fatto per loro e fa ogni giorno per tanti bambini non solo italiani, ma provenienti da ogni Paese del mondo.

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Egitto: unità cristiani e musulmani è un bene irrinunciabile

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Continua a salire il bilancio delle vittime degli attacchi di domenica scorsa a due chiese copte in Egitto. L'ultimo bilancio ufficiale, e ancora provvisorio, parla di 46 morti, 29 a Tanta, 17 ad Alessandria. Oltre un centinaio i feriti. Ricordiamo che il sedicente Stato islamico ha rivendicato la responsabilità di entrambi gli attentati. Confermata, fin da subito, la visita a fine aprile di Francesco il cui motto sarà: “"Il Papa di pace nell’Egitto di pace”. Il servizio di Adriana Masotti

Gli attentati ai cristiani copti sono un attacco al dialogo e alla pace, ma non ci sono dubbi sull’intenzione del Papa di andare al Cairo. A confermarlo in un’intervista al Corriere della Sera, è lo stesso mons. Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato. "Ciò che è accaduto, ha detto, provoca turbamento e una grande sofferenza, ma non può impedire lo svolgimento della missione di pace del Papa".

Per mons. Becciu, Francesco si è sempre rifiutato di associare l'Islam come tale al terrorismo. Un atteggiamento che ha favorito i rapporti con i musulmani. Sentiamo il card. Jean-LouisTauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso:

"Et bien, je veux dire, quand j’ai lu les premières nouvelles …
"Quando ho letto le prime notizie, la parola che mi è venuta subito in mente è “abiezione”, perché siamo veramente dentro un abisso e non c’è alcuna filosofia o religione che possa giustificare cose così terribili. Nonostante questo, il Papa andrà comunque in Egitto, perché il dialogo islamo-cristiano ha bisogno di questa normalizzazione dei rapporti tra la Santa Sede e l’università al-Azhar e anche per visitare la comunità cristiana che sta attraversando momenti difficili. E credo che il suo messaggio sia questo: “E’ possibile vivere insieme”. Non ci sono cristiani e musulmani: loro possono vivere insieme nella misura in cui tutti i credenti sono cittadini - si è credenti e cittadini, non si è credenti o cittadini - e nella misura in cui si è credenti e cittadini si devono apportare alla società nella quale si vive, valori che fanno in modo che la società diventi un luogo dove possa fiorire l’uguaglianza".

"Gli attentati sono contro i cristiani e l'unità del paese" ha dichiarato mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto-cattolico emerito di Guizeh. E sull’unità insiste il Patriarca cattolico di Alessandria dei copti, mons. Ibrahim Sedrak. Ascoltiamo la sua voce:

R. - E’ evidente, mantenere l’unità del Paese, e non solo oggi, non solo nel futuro: ma è sempre, da sempre. Noi come Paese dobbiamo essere uniti, e poi rispettarci gli uni gli altri: e su questo non c’è da discutere, non c’è un dibattito su questa finalità di essere uniti, essendo diversi.

D. – Qual è la realtà quotidiana in Egitto, tra cristiani e musulmani?

R. – Siccome l’Egitto ha una popolazione molto numerosa demograficamente, ma anche molto diffusa nel Paese, questa realtà è diversa, dipende...  Nelle grandi città, tutto va bene, non c’è niente di particolare; in alcuni posti però, soprattutto dove ci sono i quartieri popolari, i villaggi, tutto dipende dalla presenza dei salafiti o dei fratelli musulmani che governano il villaggio e quindi ancora controllano la mentalità della gente … lì, allora, nascono questi problemi che sono quasi quotidiani.

D. – Ma dal punto di vista delle leggi – delle leggi nazionali – c’è equiparazione tra cristiani e musulmani, o ci sono diritti e doveri diversi?

R. – No: ufficialmente, non ci sono differenze. Però, il problema è nella mentalità di chi applica la legge, qui ci sono fanatici che applicano la legge e quindi bloccano tutto: se c’è un musulmano e un cristiano, allora cercano di favorire la parte musulmana e così via. Però, per esempio, per le chiese, per il permesso di qualsiasi cosa, per il lavoro, nei posti di lavoro, i giovani cristiani non sono messi al posto giusto.

D. – Quindi, poi, alcune differenze nella pratica, alcune discriminazioni esistono …

R. – Discriminazioni, sì …

D. – La visita – prossima, ormai – del Papa, di sicuro sarà un sostegno alla Chiesa copta, ma prima della visita del Papa ci saranno però la S.Pasqua, i riti del Triduo pasquale. Dopo l’attentato di domenica, i fedeli andranno in chiesa, vivranno in modo particolare questo momento?

R. – Tutti i copti, i cristiani dell’Egitto tengono molto alla loro fede e alla Chiesa. Quindi, subito dopo l’attentato la gente è venuta in chiesa: le chiese sono ancora piene! Perché loro ci tengono molto al fatto che queste vittime innocenti vengano riconosciute come martiri, come testimoni di Cristo Risorto. Abbiamo questa fede grande, forte, secondo cui la morte non ci separa da Cristo. Per questo continuano a pregare, a venire in chiesa … sono loro, i laici, che danno coraggio a noi, il clero. Speriamo bene che passi questo periodo e poi arrivi un giorno di maggiore bene per il popolo egiziano, che merita di essere trattato bene.

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Concistoro per la canonizzazione di alcuni beati, tra cui i fratellini di Fatima

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Il Papa ha indetto un Concistoro ordinario pubblico per il voto su alcune cause di canonizzazione, fissato per giovedì 20 aprile, nel Palazzo apostolico per la canonizzazione di alcuni Beati. In una nota per la stampa, sono indicati i nomi dei prossimi santi: Andrea de Soveral, Ambrogio Francesco Ferro, sacerdoti diocesani, Matteo Moreira, laico, e 27 Compagni, martiri; Cristoforo, Antonio e Giovanni, adolescenti martiri; Faustino Míguez, sacerdote scolopio, fondatore dell’Istituto Calasanziano delle Figlie della Divina Pastora; Angelo da Acri (al secolo: Luca Antonio Falcone), sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini; i fanciulli Francesco Marto e Giacinta Marto, che ebbero le apparizioni della Madonna a Fatima.

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Tweet del Papa: scegliere la via di Gesù, servizio e dono

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“Gesù viene a salvarci e siamo chiamati a scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé.”

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Messaggio di Papa Francesco per gli 80 anni di Radio Renascença

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Papa Francesco ha inviato un messaggio a Rádio Renascença (Radio Rinascimento) per gli 80 anni dell’emittente portoghese,  congratulandosi per il ruolo svolto “nell’immenso mondo lusofono”, servendo “la Chiesa attraverso il lavoro quotidiano di questo mezzo di comunicazione sociale”.

Nel messaggio - a firma di mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato - il Papa sottolinea che Rádio Renascença ha portato “il Vangelo di Gesu”, “seminando nel cuore dell’umanità l’aiuto reciproco fraterno e la misericordia di Dio”.

Francesco afferma che “nel ruolo del narratore della buona notizia”  Rádio Renascença “appare come un’artista d'eccezione" e “prega per la fecondità delle sue numerose iniziative di evangelizzazione”.

Il gruppo Renascença Multimedia ha celebrato il 10 aprile 80 anni di esistenza in una trasmissione congiunta di quattro radio del gruppo - Renascença, RFM, Mega Hits e Rádio SIM - con una Messa presieduta dal cardinale Patriarca di Lisbona, Manuel José Macário do Nascimento Clemente, ed un incontro con i dipendenti, che hanno festeggiato il 25mo nel gruppo multimediale.

Il messaggio di Papa Francesco è stato letto nei locali del Gruppo Renascença Multimedia dal nunzio apostolico in Portogallo, mons. Rino Passigato.

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Meditazioni Via Crucis: nella morte di Gesù, l'amore di Dio per l'umanità

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Le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo, che sarà presieduta dal Papa al Colosseo, non sono state scritte nelle 14 tradizionali stazioni. L’autrice, la biblista francese Anne-Marie Pelletier, le ha sviluppate tentando di spiegare l’estremo dell’amore di Dio che muore sulla Croce per sconfiggere il male e descrivendo i gesti di alcuni personaggi che figurano nella Passione. Nei temi affrontati risuonano le voci di Caterina da Siena e dell’ebrea Etty Hillesum, del teologo ortodosso Christos Yannaras e di Dietrich Bonhoeffer. Il servizio di Tiziana Campisi

Scrive Anne-Marie Pelletier: “Il cammino di Gesù sulle strade polverose della Galilea e della Giudea, incontro ai corpi e ai cuori sofferenti (…) si ferma (…) sulla collina del Golgota”. Ed è qui che “l’amore di Dio riceve (…) la sua piena misura, senza misura” e noi “non abbiamo più parole (…) siamo disorientati, la nostra religiosità è oltrepassata dall’eccesso dei pensieri di Dio”. La chiave di lettura delle meditazioni della biblista francese per la Via Crucis al Colosseo è questa. Nei suoi testi ci sono profonde riflessioni teologiche, ma sotto la croce “si tratta del nostro mondo, con tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti”.

Nella Passione di Cristo uomini, donne e bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati
Le 14 stazioni non sono quelle tradizionali, ma descrivono momenti della Passione dove si ritrova la cattiveria del mondo, il male che “lascia senza voce”, gli uomini, le donne e i bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati. Nello sconcerto di queste realtà c’è l’amore di Cristo verso la volontà del Padre e il suo desiderio di salvezza per tutti, c’è Dio che scende “nel profondo della nostra notte” umiliandosi per offrirci la sua misericordia. Ma c’è anche l’invocazione dei monaci uccisi a Tibhirine, che consapevoli della crudeltà umana, pregavano “Disarmali!” e “Disarmaci!”.

“Bisognava” che Cristo “entrasse in questa obbedienza e in questa impotenza”
Gesù muore sulla Croce e lascia sgomento e smarrimento, ma “era necessario che (…) Cristo portasse l’infinita tenerezza di Dio nel cuore del peccato del mondo”, perché “‘bisognava’ che (…) entrasse in questa obbedienza e in questa impotenza, per raggiungerci nell’impotenza in cui ci ha posti la nostra disobbedienza”.

La dolcezza di Dio, di Giuseppe di Arimatea e delle mirofore
Alla fine di tutto, con la morte di Gesù, resta sì il silenzio, ma si fa spazio la dolcezza della tenerezza e della compassione: è la “dolcezza di Dio e di coloro che gli appartengono”, di Giuseppe di Arimatea, che si prende cura del corpo di Gesù, e delle donne che Anne-Marie Pelletier descrive nell’ultima stazione, intente a preparare i profumi e gli aromi per rendere il loro ultimo omaggio. Ignare che, all’alba della domenica, avrebbero trovato la tomba vuota e che a loro sarebbe stato affidato l’annuncio della Resurrezione di Gesù.

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Oggi in Primo Piano



Usa frenano G7 energia. Greenaccord: serve governance mondiale

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Brusca frenata sul clima al G7 energia di Roma da parte degli Stati Uniti. Il cosiddetto "effetto Trump" ha reso impossibile una dichiarazione congiunta sul cammino per il rispetto degli impregni presi alla Conferenza di Parigi. Dal premier italiano, Gentiloni, il fermo avvertimento che l'Europa accoglie l'opinione di tutti ma non accetta passi indietro. "Italia e Ue non cedono di un millimetro". I particolari da Paola Simonetti

La revisione delle politiche sul clima da parte degli Stati Uniti è stato lo sbarramento che ieri ha impedito una dichiarazione congiunta al G7 dell'Energia di Roma. Il primo, concreto segnale del colpo di spugna messo in atto da Trump, rispetto alle posizioni dell'ex presidente Obama, in tema di emissioni delle industrie americane . A darne notizia è stato il ministro italiano dello Sviluppo economico e presidente di turno del summit Calenda che tuttavia ha ribadito che "L'impegno a implementare l'accordo di Parigi rimane forte e deciso per tutti i Paesi dell'Unione europea, si è trattato - ha aggiunto di un dibattito molto costruttivo con gli Usa: non c'è stata alcuna frizione". Una posizione diplomatica questa, che implicitamente, il premier italiano, Gentiloni ha lasciato intendere di non condividere: "l'Europa accoglie l'opinione di tutti - ha precisato - ma non accetta passi indietro rispetto agli impegni sulla lotta al cambiamento climatico". E se l'accordo non c'e' stati, tuttavia gli altri membri del G7 e l'Ue hanno confermato il proprio impegno "forte e deciso" a proseguire un cammino "pulito" sul fronte clima. Sullo sfondo le proteste degli attivisti di Greenpeace, che hanno consegnato ai ministri delle sette grandi potenze mondiali un gigantesco termometro, simbolo della temperatura del Pianeta che continua a salire.

Per un commento sul mancato accordo per una dichiarazione congiunta, Massimiliano Menichetti ha intervistato Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord: 

R. – Ci sono due considerazioni da fare. Intanto il presidente di uno Stato può, forse, decidere del futuro dei propri cittadini ma non del futuro del pianeta. E quando parliamo di cambiamenti climatici le emissioni di un singolo Paese riguardano il futuro di più di un miliardo di persone, che vedranno messa a rischio la loro sopravvivenza su questo pianeta. Questo ci induce a pensare che forse ci vorrebbe qualche strumento di governance più forte, come richiamato anche dall’Enciclica del Santo Padre, Laudato Si’, una governance internazionale che imponga il rispetto del diritto dei più poveri. Quindi forse è l’ora di considerare l’atmosfera come un bene comune e chi viola questo bene comune deve pagare delle sanzioni. Questa è la prima considerazione. La seconda guarda ai Paesi con i poveri, penso all’India che ha una grande quantità di carbone e che a fatica è stata convinta ad aderire all’Accordo di Parigi: come può sentirsi e procedere e di fronte al Paese più ricco del mondo che decide invece di usare il carbone a suo piacimento? C’è un fattore etico importante da considerare. Su tutto trovo estremamente deboli le reazioni del G7.

D. - Proprio su questo punto, è stato ribadito che non c’è stata alcuna frizione con gli Stati Uniti, si è parlato di dibattito costruttivo. Sembra un po’ un controsenso …

R. - Posso capire che per cerare di uscire da questa empasse sia necessaria prudenza e diplomazia, però è importante che ci sia una voce forte che richiami agli impegni presi, alle responsabilità globali questo grande Paese, gli Stati Uniti, e il suo presidente. Quindi mi sarei aspettato una voce aperta alla discussione, ma determinata, decisa al richiamo al rispetto degli impegni presi.

D. - Parigi segna uno spartiacque. Poi l’anno scorso Marrakech in Marocco ha pianificato la stesura degli accordi. Adesso l’effetto Trump …

R. - L’Accordo di Parigi ha nella sua forza l’adesione di tutti i Paesi del mondo e una certa attenzione nuova da parte del mondo della finanza. Siamo nella fase in cui vanno scritti i meccanismi di attuazione. Marrakech è stato un passaggio preliminare, adesso, prossimamente a Boston, si cominceranno a mettere nero su bianco i meccanismi per far funzionare l’accordo. In questo momento delicato ogni atteggiamento distruttivo del tirarsi fuori mette a rischio l’intero sistema. A poco serve che gli altri mantengano l’impegno se un solo Paese importante e grande come gli Stati Uniti si tira fuori. Non avremmo salvato il clima del pianeta che è l’unico obiettivo che abbiamo.

D. - Ma il rischio quindi è che adesso tutto si vanifichi?

R. - Penso di no. Però è molto importante tenere il punto con fermezza. Penso di no, perché l’accordo, comunque, è stato firmato dagli Stati Uniti e tirarsi fuori da un impegno del genere è complicato e  non si può dall’oggi al domani. Inoltre il sistema di governance degli Stati Uniti consente in questa materia ai singoli Stati di muoversi secondo i loro principi e secondo i loro impegni. Quindi probabilmente ci sarà anche una spaccatura interna al Paese; la cosa sarà molto lunga, non sarà così semplice distruggere in poco tempo quello che si è firmato soltanto un anno fa.

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Rapporto Astalli: sempre più ostacoli per i richiedenti asilo

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Sempre più spesso i richiedenti asilo e i rifugiati, in Italia, non hanno alternativa che divenire irregolari e invisibili. E’ da questo assunto che parte il Rapporto annuale 2017 del Centro Astalli, il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, presentato oggi a Roma. Francesca Sabatinelli

Nel 2016 ci sono stati 65 milioni di richiedenti asilo e rifugiati nel mondo, oltre 360mila arrivi via mare in Europa, di cui 181mila in Italia. E la risposta del Centro Astalli è stata per 30mila persone, metà delle quali a Roma. Sono alcuni dei numeri dell’impegno del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia accanto a chi chiede protezione, ai più vulnerabili. L’anno 2016, viene sottolineato, è stato caratterizzato da un clima culturale e politico in cui l’immigrazione è stata insistentemente associata ai concetti di controllo e deterrenza, il che non poco affatica il percorso di chi arriva in Europa. Padre Camillo Ripamonti, presidente del centro Astalli:

R. – Purtroppo, quello che abbiamo visto sono i rifugiati che fanno fatica, nel nostro Paese, a integrarsi, a essere accolti, a entrare nelle procedure. Dobbiamo uscire da questa difficoltà che in qualche modo noi stiamo creando loro.

D. – Quali sono le principali preoccupazioni, oggi, del Centro Astalli …

R. - … riguardano l’integrazione di queste persone e quindi la questione del lavoro, la questione della salute, perché molte volte questioni amministrative impediscono a queste persone di accedere a quello che è un loro diritto sanitario, e bisogna impegnarsi tutti a un cambio culturale.

D. – Voi avete sottolineato sin da subito la soddisfazione per quanto riguarda le scelte italiane sui minori non accompagnati e quindi la nuova legge; di contro, restano in piedi ancora tantissimi nodi, come quello sulla cittadinanza …

R. – Certamente, noi faremo in modo che non si chiuda questo governo finché non venga accettata e firmata questa legge che credo sia un esempio di civiltà di un Paese, perché queste persone, che di fatto sono cittadini italiani ma non vengono riconosciuti come italiani, credo sia un vulnus per tutta la società.

Tra le preoccupazioni del Centro Astalli, oltre al clima di chiusura che caratterizza la riflessione sull’asilo nell’Unione europea, c’è l’accordo con la Turchia, che blocca ormai del tutto l’ingresso all’Europa ai migranti forzati, soprattutto siriani. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana:

R. – Certi modi di risolvere i problemi io li ho chiamati, forse in maniera un po’ caustica, un subappaltare la mobilità, appaltare a Erdogan e semmai anche alla Libia questo flusso di immigrati vuol dire soltanto farci ricattare ancora una volta da queste persone.

D. – Lei ha detto: dare possibilmente un permesso di soggiorno alle persone che sono state diniegate…

R. – Sì, il motivo è sempre lo stesso. Lasciare persone nel limbo della incertezza, cioè non dire loro cosa devono fare, il tempo che devno rimanere in Italia, e così anche per  il tempo che passa dal giorno in cui sono arrivati a quando dovranno ritornare in patria, perché non ci sono le condizioni per l’accoglienza, in questo periodo, in questo tempo c’è bisogno che questa gente abbia una propria identità, abbia una propria dignità, abbia una propria possibilità di riconoscersi e di sapere che fine deve fare. C’è bisogno di buone leggi, c’è bisogno di una legalità osservata, di una legalità rispettata ma che soprattutto sia una legalità che non metta tra parentesi la dignità delle persone, le storie drammatiche delle persone.

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Rapporto Amnesty: nel 2016 meno esecuzioni nel mondo

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Piccoli passi avanti nel mondo verso l’abolizione della pena di morte. Secondo il Rapporto 2016 di Amnesty International, reso noto oggi. 1032 le esecuzioni  registrate in confronto alle 1634 del 2015. Tuttavia la pena capitale rimane una piaga, per l’eliminazione della quale la comunità internazionale deve ancora impegnarsi a fondo. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia: 

R. –Ogni anno ci troviamo a descrivere una situazione che presenta certamente dei dati positivi, perché ormai la pena di morte è un’emergenza limitata a pochi Paesi nel mondo. Nel 2016, l’87 percento delle esecuzioni note ad Amnesty è accaduto in quattro Paesi. Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan sono gli Stati in cui si eseguono più condanne a morte. Però le esecuzioni restano migliaia e dietro l’angolo c’è sempre il rischio che possano esserci nuove ondate di esecuzioni.

D. - Quali sono i Paesi in cui ci sono stati maggiori progressi, in cui la pena di morte è stata abolita, se ci sono?

R. - Benin e Nauru hanno abolito la pena di morte per tutti i reati nel 2016; la Guinea l’ha abolita soltanto per i reati ordinari, ma ad oggi sono 142 i Paesi che l’hanno abolita definitivamente, perché la mantengono solo in casi eccezionali come il tempo di guerra o perché comunque per prassi non vi ricorrono più. Insomma è una maggioranza schiacciante quella che non applica più la pena capitale. Anche all’interno di Paesi che invece continuano a farvi ricorso abbiamo registrato delle tendenze incoraggianti per il futuro. In Iran c’è stata una diminuzione del 42 percento rispetto al 2015; in Pakistan addirittura del 73 percento; negli Stati Uniti non si registrava un numero così basso di esecuzioni dal 1991. In questo Paese, soprattutto, ogni anno diminuisce il numero delle nuove condanne a morte, che, dunque, potranno anche non essere mai eseguite negli anni successivi.

D. - Ci sono Paesi in cui, invece, si rischia di reintrodurre la pena capitale, per esempio la Turchia?

R. - La Turchia ci preoccupa molto, così come le Filippine. Certamente, se la Turchia decidesse questo passo pericolosamente indietro, sarebbe un fatto grave: vorrebbe dire che non ci sarebbe più quell’eccezione unica che è la Bielorussia in Europa, ma avremo un altro Paese che potrebbe applicarla. È qualcosa su cui ovviamente noi esprimiamo profonda contrarietà e su cui i Paesi europei dovrebbero fare pressioni molto forti per evitare questa decisione.

D. - È importante ripeterlo: la pena di morte, oltre ad essere una pratica inumana, non ha alcun potere deterrente nei confronti del crimine ..

R. - No, questo ormai è dimostrato da tutti gli studi che sono stati fatti nei Paesi in cui il fenomeno è stato analizzabile ed è possibile studiarlo in modo pubblico. Non c’è prova che la pena di morte abbia un potere deterrente particolare rispetto ad altre sanzioni nei confronti del crimine. Fa parte di quegli strumenti della retorica dell’essere duri contro il crimine, che può far guadagnare consenso elettorale, ma non produce nulla in termini di sicurezza collettiva.

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Ad Amburgo plenaria dei vescovi scandinavi sull' "Amoris Laetitia"

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L’applicazione pastorale dell' "Amoris Laetitia", la formazione sacerdotale e l’analisi della situazione sociale con la preoccupazione per il diffondersi del populismo. Questi i principali argomenti al centro dell’Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale della Scandinavia, che riunisce i presuli di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. Quattro giorni di lavori che si sono tenuti in Germania, ad Amburgo, per rimarcare soprattutto il legame di solidarietà con la Chiesa tedesca. I cattolici delle diocesi di Amburgo e di Osnabrück, attraverso il lavoro dell’associazione Ansgar-werk, sostengono infatti da mezzo secolo la vita della piccola comunità cattolica — circa 350.000 fedeli — nei paesi nordici. Per questo, nella Mariendom di Amburgo si è svolta, nei giorni della plenaria, una celebrazione presieduta dal vescovo di Osnabrück, Franz-Josef Hermann Bode, che ha ricordato come per i cattolici vivere in un contesto fortemente secolarizzato «sia non solo una sfida», ma rappresenti anche “la possibilità di seminare”.

La riflessione sull'Amoris Laetitia
Al centro dei lavori,  - riporta L'Osservatore Romano - soprattutto la riflessione su "Amoris Laetitia". All’esortazione post-sinodale di Papa Francesco sull’amore nella famiglia è stata dedicata una giornata di studio con l’aiuto di due esperti teologi in ambito morale e pastorale con l’intento di analizzare - viene spiegato in un comunicato - le “questioni dell’attuazione pastorale”. Un lavoro di approfondimento che segue la riflessione che i vescovi avevano già avviato lo scorso anno, quando - parole del presidente della conferenza episcopale, il vescovo di Copenaghen, Czeslav Kozon - "Amoris laetitia" fu salutata come “un passo importante sul cammino dell’evangelizzazione della famiglia, proprio nei nostri paesi nordici”, perché “il Papa non lascia da parte i temi scottanti e molto discussi” ma “li affronta apertamente e con l’atteggiamento di un vero pastore”.

Formazione sacerdotale e pellegrinaggio delle reliquie di S. Teresa di Lisieux
I presuli hanno inoltre lavorato alla definizione delle “linee guida per la formazione al sacerdozio” e alla preparazione di un pellegrinaggio, previsto per il 2018, delle reliquie della carmelitana santa Teresa di Lisieux e dei suoi genitori, i santi Zèlie e Louis Martin. Spiega il comunicato: “La spiritualità carmelitana ha un grande seguito e in tutti e cinque i paesi ci sono comunità carmelitane di religiosi e di laici”. Un pellegrinaggio che sottolinea anche l’attenzione alla pastorale famigliare. I coniugi Martin sono stati infatti i primi sposi a raggiungere insieme la santità ufficialmente riconosciuta. La loro canonizzazione, come si ricorderà, è avvenuta nel corso del sinodo dei vescovi del 2015 che aveva a tema la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa, alla luce del quale Papa Francesco ha appunto scritto l’esortazione "Amoris Laetitia".

Analisi della situazione sociale

All’attenzione dei presuli anche l’esame della situazione sociale, terribilmente scossa negli ultimi giorni dal sanguinoso gesto terroristico che ha colpito la capitale svedese. In particolare, riferendosi alle sfide poste all’Europa minacciata da tendenze populiste e nazionaliste, i presuli hanno sottolineato l’importanza della “Chiesa popolo di Dio che va oltre ogni confine”. Un appello alla solidarietà e alla fraternità tra i popoli che rispecchia anche l’azione delle organizzazioni caritative cattoliche che da tempo sollecitano politiche più inclusive nei riguardi dei rifugiati. A questo proposito, si ricorderà, lo scorso anno le Caritas di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca siglarono un documento congiunto in cui si esprimeva preoccupazione per l’”inasprimento delle politiche di asilo”, e si chiedeva ai rispettivi governi di “fermare la gara a chi ha la politica più rigorosa in materia di asilo” e di “contribuire a trovare soluzioni europee”.

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Allarme della Caritas bulgara: non graditi i profughi

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In Bulgaria i migranti non sono benvenuti: una situazione drammatica per quanti fuggono dai loro paesi e sono alla ricerca di un luogo sicuro. I migranti sono visti come una minaccia, anche se si tratta di pochissime persone. E accettare una famiglia di profughi a volte diventa motivo di divisione per un’intera cittadina. È successo per esempio a Belene, dove il parroco padre Paolo Cortesi, italiano, arrivato nel paese nel 2010, voleva ospitare una famiglia di siriani: padre, madre e due figli. Si trattava di persone giunte in Bulgaria attraverso la Grecia, godevano del piano di ricollocamento dell’Unione europea e avevano tutte le carte in regola. Ma molti degli abitanti locali - ha spiegato il sacerdote - non li volevano nella loro città, perché temevano che dopo di loro ne sarebbero arrivati a migliaia, divenendo “concorrenti” nella ricerca di lavoro che in questa zona è particolarmente difficoltosa. Sono seguite delle proteste in piazza e alla fine il sindaco ha rifiutato di registrare la famiglia di migranti, che è stata quindi costretta a cercare alloggio in una grande città dove la loro presenza ha più possibilità di passare inosservata. Padre Cortesi ha ricevuto anche minacce di morte.

Caritas Bulgaria in prima linea nell’aiuto ai profughi
“La gente non li vuole nelle loro città”, spiega al Sir, Emanuil Patashev, segretario generale di Caritas Bulgaria. Già dall’inizio del conflitto in Kosovo l’ente caritativo è in prima linea nell’aiuto ai profughi; lo scorso febbraio a Sofia è stato aperto un nuovo centro di assistenza per i migranti. “Li aiutiamo in tutto, a ottenere i documenti, a trovare casa, a imparare la lingua bulgara, a cercare un lavoro. I bulgari - aggiunge il segretario generale della Caritas - hanno una paura infondata. E se abbiamo molti volontari, anche non cattolici, che aiutano i migranti, tuttavia nessuno vuole dare la casa in affitto ai profughi, persino nella capitale Sofia. E nelle piccole città la situazione in questo senso è anche peggiore”. A suo avviso, “in Bulgaria la questione migranti è a uno stallo. Sulla carta il Paese ha preso degli impegni per quanto riguarda l’accoglienza e l’integrazione dei profughi, ma in realtà le autorità non fanno niente, esaminano i documenti e lasciano alle associazioni non governative i profughi, sperando che ne arrivino sempre di meno. Per lo stato - conclude Patashev - è molto più importante costruire il muro alla frontiera turca”.

Bulgari delusi e con scarsa fiducia nel futuro
Eppure, circa 70 anni fa, il 9 marzo del 1943, i bulgari impedirono la deportazione degli ebrei verso i campi di concentramento. Venti anni prima, nel paese balcanico arrivarono migliaia di profughi armeni. Tutti furono accolti a braccia aperte dal popolo bulgaro, nel cui territorio da secoli convivono pacificamente ortodossi, musulmani, ebrei, cattolici. Ma oggi la situazione è totalmente diversa. Delusi dall’avvenire, con scarsa fiducia nel futuro, i bulgari non credono più di poter salvare neanche se stessi, spiegano gli operatori sociali. La questione dell’accoglienza dei migranti, nei Balcani, si presenta solo in Bulgaria, in quanto paese membro dell’Ue. In Serbia o in Macedonia i profughi sono solo di passaggio, ci sono poche migliaia di persone bloccate dalla chiusura della frontiera dell’Ungheria. Sofia, invece, ne ha accolti tredicimila. Nel paese ci sono sei campi profughi, ma una volta ottenuto lo status di protezione internazionale le persone devono affrontare le difficoltà, spesso proibitive, di trovarsi una casa.

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Africa Occidentale. I vescovi: allarme estremismo islamico e crisi politiche

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L’instabilità politica e l’estremismo islamico che provoca l’intolleranza religiosa: questi i due temi principali del quinto incontro del Comitato permanente della Recowa/Cerao (Conferenza episcopale regionale dell’Africa Occidentale), svoltosi dal 28 al 31 marzo ad Assinie, in Costa d’Avorio, sul tema “La nuova evangelizzazione e le sfide per la Chiesa, famiglia di Dio in Africa Occidentale: il ruolo dei vescovi nella prevenzione, mediazione, risoluzione e trasformazione dei conflitti”. Nel documento finale dei lavori, diffuso l’8 aprile, i vescovi dei Paesi membri dell’organismo scattano una fotografia accurata della regione Africa cui appartengono.

Occorre sviluppo olistico ed integrato della regione
In primo luogo, essi sottolineano l’importanza di “uno sviluppo olistico ed integrato” dal punto di vista economico, per l’intera regione. Quindi, i presuli si dicono soddisfatti della “transizione democratica del potere” avvenuta in alcuni Paesi della Cerao, con la conseguente situazione di pace che ne è derivata. Ciò non toglie, però, che siano ancora molte le sfide da affrontare.

In politica, no a pratiche “extra-democratiche”
Le Chiese dell’Africa Occidentale sottolineano, infatti, come in alcuni Paesi le crisi politiche abbiano provocato “il disgregamento delle leggi, la mancanza di spazi per la partecipazione politica dell’intera popolazione, la violazione dei diritti umani e casi di tortura”. Di qui, l’appello ai governi a “rispettare l’impegno preso” con i propri cittadini, senza ricorrere a pratiche “extra democratiche” per “restare a vita al potere”.

Estremismo religioso lede libertà di coscienza e di culto
Un’ulteriore preoccupazione dei presuli africani riguarda “l’intolleranza religiosa e l’estremismo”. “Il desiderio di alcuni gruppi religiosi estremisti di ‘islamizzare’ forzatamente i Paesi della regione pone una seria minaccia al diritto di ogni cittadino di scegliere e praticare liberamente la religione che vuole” ledendo, di fatto, “la libertà di coscienza e di culto”.

Risolvere dramma della disoccupazione giovanile
I vescovi dell’Africa Occidentale non dimenticano, poi, i giovani, che compongono il 65% della popolazione della regione: loro malgrado, essi finiscono per essere vittime di piaghe come “la disoccupazione, la tratta, la tossicodipendenza, la violenza, le migrazioni forzate, la criminalità”. Per questo, la Recowa/Cerao chiede che “si proceda urgentemente a risolvere tale situazione, attuando misure appropriate ed incentivi che creino opportunità lavorative soddisfacenti per i giovani”.

Allarme per cambiamenti climatici
Un altro problema - si legge ancora nel documento finale - deriva dai disastri naturali dovuti al cambiamento climatico, “divenuto una seria minaccia per la sopravvivenza degli uomini e del bestiame”. Non solo: i vescovi lanciano l’allarme sui mandriani che, “spesso armati pericolosamente, finiscono coinvolti in rapimenti, omicidi, distruzione di fattorie e conflitti”, mettendo a rischio “la libertà di movimento della popolazione all’interno della regione”.

Il contributo della Chiesa per la pace e la riconciliazione
Davanti a tutto questo, la Chiesa cattolica non cessa di dare il suo contributo per la pace e la riconciliazione: a tal proposito, i vescovi della Recowa/Cerao sono “totalmente impegnati a creare una struttura regionale per la prevenzione, la risoluzione e la trasformazione dei conflitti”, “in reciproco accordo” con  i governi e le politiche dei singoli Paesi, così da “promuovere pratiche di buona governance e di bene comune nella sfera pubblica”. (I.P.) 

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Sanità in Italia: cresce divario Nord-Sud. Aumentano malati cronici

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La “questione meridionale” in primo piano nel Rapporto Osservasalute 2016, presentato oggi presso il Policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma, presente il ministro della Salute Lorenzin. In oltre 500 pagine, disponibili anche on line, lo studio - giunto alla 14.ma edizione - illustra lo stato di salute degli italiani e l’efficacia delle strutture di assistenza sanitaria, distribuite sull’intero territorio, monitorate da 180 ricercatori di università ed enti del settore, oltre che dell’Istat. Roberta Gisotti ha intervistato Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, che ha redatto il Rapporto: 

Un esercito che aumenta di malati cronici. Sono loro, documenta il rapporto, il maggior carico per la Sanità pubblica, tra i settori più esposti alla crisi economica negli ultimi 15 anni. Professor Ricciardi, quanti sono questi pazienti?

R. – Quasi il 40 per cento della popolazione italiana, quindi stiamo parlando di 23 milioni di italiani e di questi il 20 per cento ha due malattie croniche e questi assorbono da soli il 55 per cento delle risorse del servizio sanitario nazionale. Siamo veramente di fronte a una sfida epocale: se non ci riorganizziamo significa che alcuni di questi ai servizi non accederanno più.

D. – E’ possibile ottimizzare le loro cure, ci sono forse sprechi?

R. – Da una parte non si investe abbastanza in prevenzione, nel senso che questi pazienti arrivano alla cronicità perché pesano troppo, perché non fanno attività fisica, perché bevono troppo e perché fumano. Questi sono quattro fattori di rischio tutti modificabili. E’ chiaro che bisogna cercare di organizzarsi, perché abbandonati a se stessi i cittadini italiani, soltanto in misura molto limitata, accolgono i suggerimenti che li indirizzano verso comportamenti più saggi. E poi, certamente, quando si ammalano bisogna intervenire, però bisogna intervenire in maniera appropriata, con l’uso dei farmaci giusti, con l’uso degli interventi giusti, senza sprecare risorse.

D. – C’è un dato che sembra contraddittorio, cioè abbiamo una popolazione che invecchia ma diminuiscono i centenari. Come mai?

R. – Già l’anno scorso avevamo evidenziato che non saliva più l’aspettativa di vita, anzi era scesa di due mesi. Adesso c’è una diminuzione dei centenari. Nello stesso tempo però abbiamo ancora una delle aspettative di vita più elevate al mondo. Per cui sono segnali di allarme, ci stanno dicendo: state attenti perché state scavallando un’area di rischio e se non intervenite in tempo, in futuro, questi eventi negativi si riprodurranno molto più frequentemente.

D. – C’è un altro dato importante nel rapporto, spia di un divario nord-sud, direi, inaccettabile in un Paese democratico: i trentini vivono in media tre anni in più rispetto ai campani?

R. – Quasi quattro anni addirittura, quindi significa che campani, siciliani, calabresi, in genere i meridionali che 15 anni fa avevano almeno un anno di aspettativa di vita in più dei settentrionali hanno perso tutti i guadagni di vita maturati nel secondo dopo guerra, soltanto negli ultimi 15 anni quando la Sanità è stata devoluta alle regioni. Questo significa che le regioni, soprattutto quelle meridionali, non fanno abbastanza prevenzione. Infatti, sono le regioni che hanno i maggiori carichi di sovrappeso, di obesità, di diabete, di ipertensione e contemporaneamente quando i cittadini si ammalano non riescono a curarli adeguatamente. Questo è veramente difficile da accettare.

D. – Quindi si conferma quel dato estremamente allarmante che documentò il Censis giusto un anno fa, cioè che oltre 10 milioni di italiani avrebbero rinunciato alle cure o per liste d’attesa troppo lunghe o perché impossibilitati a pagare ticket e prestazioni private…

R. - Sicuramente è un fenomeno crescente e sicuramente non sono distribuiti in maniera omogenea. Sono sicuramente molti di più - e questi sono numeri certi - al sud, dove c’è una migrazione sanitaria crescente: sono centinaia di migliaia oggi i pazienti che migrano dal sud al nord e non lo fanno soltanto per condizioni particolarmente gravi ma perché molto spesso non trovano assistenza sanitaria di base adeguata e questo è qualcosa che ci deve far riflettere.

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Azzardo: 2016, cresce il gioco on line. Allarme ludopatie

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Nel 2016 è cresciuto del 25% il mercato del gioco d’azzardo on line. Ad influire sono l’estensione dell’offerta e il contrasto delle situazioni irregolari, ma per le associazioni che si occupano di contrasto alle ludopatie il rischio è che sempre più persone cadano nella dipendenza. Secondo l’Osservatorio  Gioco on line del Politecnico di Milano sono un milione e 800 mila gli italiani che nel 2016  hanno fatto almeno una puntata. Alessandro Guarasci

Chi si aspettava un calo dell’azzardo è rimasto deluso. La spesa in giochi online regolamentati con vincita in denaro nel 2016 in Italia è stata pari a 1,03 miliardi di euro e raggiunge un’incidenza del 5,4% sul valore complessivo del gioco. Ad incidere l’estensione dell’offerta e il contrasto al gioco irregolare. Prosegue poi la crescita dei Casinò Games (+35%) con una spesa che raggiunge i 441 milioni di euro. Don Armando Zappolini, presidente del Coodinamento Comunità d’Accoglienza

“Nel 2016 la pubblicità è aumentata; questo vuol dire che per ora ciò che la politica ha fatto sul settore è stato come minimo ininfluente, quindi non ha toccato il cuore del problema. Quello che noi stiamo dicendo è proprio che questo Parlamento prima di finire la sua funzione possa dare almeno un segnale sostanziale di cambiamento di rotta perché qui i presupposti sono inefficaci”.

Lo Stato fa ancora poco per dissuadere dal gioco. Per esempio, lo stop alla pubblicità riguarda solo il prime time televisivo, ma ad oggi questo concetto quasi non esiste più, tra pay tv, tv on demand, internet. L’offerta on line d'altronde diminuisce la percezione di quanto si sta giocando. Matteo Iori, dell’associazione Papa Giovanni XXIII di Reggio Emiia:

“Sembra qualcosa di più leggero, di meno preoccupante, di meno visibile. Il gioco online è qualcosa che è possibile fare in ogni contesto, in ogni luogo con privacy maggiore e di conseguenza i ragazzi lo interpretano anche come una cosa molto più friendly, più facile meno pericolosa”.

L’Osservatorio Gioco Online del Politecnico di Milano assicura che sono aumentate le tutele per i giocatori. Il direttore Marco Planzi:

"In particolare i concessionari sono obbligati ad identificare ogni giocatore e a controllare in tempo reale se si tratta di un cittadino italiano maggiorenne. Lo fanno attraverso una maschera che obbliga il giocatore, in fase di registrazione del suo conto di gioco, a immettere tutti i propri dati e a condividere anche una scansione anche del proprio documento di identità. Non dimentichiamo che poi un giocatore che gioca deposita soldi attraverso uno strumento di pagamento e anche questo viene controllato attentamente, questo per prevenire rischi legati al riciclaggio".

Nel 2016, lo Stato italiano ha trattenuto, sotto forma di tasse, quasi 250 milioni di euro dal gioco on line, e sono sempre di più le aziende che decidono di investire nel settore. Ancora don Zapponini:

“Le aziende crescono perché lo Stato rafforza questo settore. Gli introiti dello Stato arrivano quasi a dieci miliardi per il 2016 per quanto riguarda il comparto del gioco. Non penso ci si possa limitare all’idea che ci lavorano centomila persone e quindi ci potrebbe essere un rischio di occupazione, perché queste risorse possono anche essere riconvertite in altre cose. Tutti questi soldi spesi nell’azzardo se fossero anche in parte messi nell’economia reale potrebbero creare sicuramente posti di lavoro senza far cose che fanno male alla salute delle persone”.

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Domani la Giornata di digiuno e preghiera per la Siria

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È politica l’unica soluzione possibile per il conflitto in Siria, il cui futuro, però, potrebbe non comprendere Assad al potere: questo quanto emerso dalla riunione a Lucca dei ministri degli Esteri del G7, allargata ai Paesi del Golfo e alla Turchia. Unanime l’idea anche di non isolare la Russia, bensì di coinvolgerla nel processo di pace: con queste istanze il segretario di Stato americano Tillerman domani incontrerà a Mosca il suo omologo Lavrov, ma il Cremlino non esclude anche un vertice con il presidente Putin. La Russia, infine, si aspetta un’indagine congiunta sulla strage di Idlib. E proprio dalla condanna di questi fatti nasce la Giornata di digiuno e preghiera per la Siria, promossa per domani da Caritas e Pax Christi. Al microfono di Roberta Barbi ne parla il direttore di Caritas italiana, don Francesco Soddu: 

R. - Abbiamo ritenuto fosse opportuno, insieme a Pax Christi, un momento di sosta, di riflessione, che abbiamo indicato con la Settimana Santa, in modo particolare prima del Triduo Pasquale, affinché l’attenzione nostra, dei cristiani, di chi comunque si ritiene essere coinvolto da tutto ciò che capita nel mondo - dandogli un significato, una chiave di lettura e di interpretazione cristiana - non possa correre il rischio di non cogliere tutto ciò che ci sta accadendo, in modo particolare quanto è successo in Siria la scorsa settimana, ma non solo: ricordiamo anche il Congo, il Sud Sudan, lo Yemen.

D. - Questa giornata di preghiera e digiuno “per non dimenticare” segna la vigilia in qualche modo del Triduo Pasquale, che significato assume nella luce della speranza della Pasqua?

R. - Certamente quello di essere insieme con Gesù, per esempio, anche nell’orto degli Ulivi, nell’orto del Getsemani quando Egli disse ai suoi discepoli: “Rimanete con me, vegliate, pregate”. Ecco: la veglia, la preghiera, che poi si manifesta in un gesto anche esteriore, quello del digiuno, cioè rinunciare a qualcosa per essere vicino a Dio, per glorificare Dio, approfondire la comunione con Lui nello spirito ed essere compartecipi delle sofferenze delle persone. Essere uniti a Cristo e ai fratelli che in questo momento sono la carne viva del Cristo.

D. - Nell’ispirazione della Giornata c’è anche una ferma condanna della strage di Idlib, che è costata la vita a 70 persone, tra cui 25 bambini. In che modo Caritas resta dalla parte delle vittime?

R. – Rimane dalla parte delle vittime perché come sempre la Chiesa ci ha insegnato che non si può testimoniare la carità se non si parte dagli ultimi. In questo caso gli ultimi sono queste persone ma non solo queste persone: tutti coloro che nel mondo vanno incontro alle medesime difficoltà, la medesima croce. Quindi una compartecipazione a quelle che sono le indicazioni che ci provengono dalla Chiesa, dalla voce autorevole del Papa che costantemente ci rende partecipi del suo essere sentinella nella Chiesa e nel mondo.

D. – Il Papa ha più volte parlato di una “terza guerra mondiale a pezzi” e ci invita a fare in modo che nel nostro cuore non sia scritto “A me che importa?”. Come costruire un futuro durevole di pace basato sulla cultura della non violenza?

R. – Facendoci promotori di una giusta informazione, attraverso l’organizzazione e anche il suggerimento di momenti come questi, a partire dalla propria persona. La preghiera del giusto sale a Dio e niente si perde nelle mani di Dio. Una grande fiducia, una grande carità coniugata alla fede che, come ci dice San Giacomo nella sua Lettera, messa nelle mani di Dio, ritorna a noi in benedizione. Chiediamo al Signore questa grazia: che ci doni la sua pace.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 101

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.