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Sommario del 15/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Via Crucis: la preghiera del Papa per le piaghe dell'umanità

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Pregando il Cristo crocifisso, al termine della Via Crucis ieri sera a Roma, al Colosseo, Papa Francesco ha enumerato i pesi che gravano sulla coscienza dell’uomo di oggi: per le devastazioni che subiscono diversi Paesi, per i naufragi di chi cerca nuova vita, per il sangue innocente di donne, bambini e immigrati e per chi trova la morte perché cristiano o per la propria etnia. Un lungo elenco quello del Pontefice, attorno al quale si sono radunati 20 mila fedeli. Il Papa ha anche presentato a Dio la “vergogna per tutte le volte” che “vescovi, sacerdoti, consacrati e consacrate” hanno scandalizzato la Chiesa. Al Colosseo, illuminato all’interno con oltre 300 fiaccole e dove è stata ricollocata una delle edicole ottocentesche che indicavano le stazioni della Via Crucis, c’era per noi Tiziana Campisi

“Torniamo a Te anche quest’anno con gli occhi abbassati di vergogna e con il cuore pieno di speranza”.

Con queste parole Papa Francesco ha idealmente deposto ai piedi della Croce ciò di cui deve vergognarsi l’uomo contemporaneo di fronte a Dio. Dopo aver ascoltato le meditazioni delle 14 stazioni della Via Crucis, il Pontefice ha parlato dei tradimenti e delle ingiustizie di cui ci macchiamo oggi, e di quanto c’è da riflettere:

“… per tutte le immagini di devastazioni, di distruzioni e di naufragio che sono diventate ordinarie nella nostra vita; … per il sangue innocente che quotidianamente viene versato di donne, di bambini, di immigrati e di persone perseguitate per il colore della loro pelle oppure per la loro appartenenza etnica e sociale e per la loro fede in Te”.

Tra i peccati più commessi, il Papa ha enumerato l’avidità, l’egoismo, la leggerezza nel compiere il male. Poi un mea culpa:

“… per tutte le volte che noi vescovi, sacerdoti, consacrati e consacrate abbiamo scandalizzato e ferito il tuo corpo, la Chiesa; e abbiamo dimenticato il nostro primo amore, il nostro primo entusiasmo e la nostra totale disponibilità, lasciando arrugginire il nostro cuore e la nostra consacrazione”.

Il Pontefice ha poi sottolineato che nel cuore dell’essere umano albergano desideri di bene, la speranza che la Croce di Cristo possa insegnare ad amare e perdonare. Quindi ha elevato a Dio un’ulteriore preghiera:

“Ti chiediamo di ricordarti dei nostri fratelli stroncati dalla violenza, dall’indifferenza e dalla guerra; Ti chiediamo di spezzare le catene che ci tengono prigionieri nel nostro egoismo, nella nostra cecità volontaria e nella vanità dei nostri calcoli mondani”.

Infine l’invocazione a non vergognarsi della Croce che è stata strumento della misericordia di Dio:

“O Cristo, ti chiediamo di insegnarci a non vergognarci mai della tua Croce, a non strumentalizzarla ma di onorarla e di adorarla, perché con essa Tu ci hai manifestato la mostruosità dei nostri peccati, la grandezza del tuo amore, l’ingiustizia dei nostri giudizi e la potenza della tua misericordia”.

Scritte dalla teologa francese Anne-Marie Pelletier, le meditazioni della Via Crucis hanno evidenziato che l’aspro cammino di Gesù verso il Golgota è il culmine dell’amore di Dio per gli uomini. Si è umiliato senza limiti il Cristo; condannato, deriso, martoriato, ha patito il peso della Croce, della crudeltà umana, delle nostre infedeltà, ma con la sua obbedienza è venuto a compiere ogni giustizia.

(Simona De Santis) Quinta stazione: Gesù porta la Croce.

(Francesca Fialdini) “Gesù cade, si rialza, poi ricade, riprende il cammino sfibrante …Fissiamo lo sguardo su Gesù. Attraverso di lui, l’Altissimo ci insegna che è al tempo stesso … il più Umile, pronto a scendere fino a noi, ancora più giù se necessario, così che nessuno si perda nei bassifondi della propria miseria”.

Nelle stazioni, tanti gli insegnamenti, come quello di Simone di Cirene, pronto ad aiutare quel Gesù di Nazaret - condannato a morte e a lui sconosciuto - a portare la Croce. Un richiamo a volgersi al prossimo, al povero, al prigioniero, dove si cela il mistero dell’incontro di Dio con l’umanità. Nel pianto delle donne di Gerusalemme, poi, una duplice lezione: l’invito alla compassione per gli altri e l’attenzione di Dio per chi versa lacrime di sofferenza.

(Orazio Coclite) “Signore … insegnaci, nei giorni felici a non disprezzare le lacrime dei poveri che gridano a te e che ci chiedono aiuto. Insegnaci a non passare indifferenti accanto a loro. Insegnaci ad avere il coraggio di piangere con loro. Insegnaci, anche, nella notte delle nostre sofferenze, delle nostre solitudini e delle nostre delusioni, ad ascoltare la parola di grazia che tu ci rivelasti sul monte: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”.

Lungo la via della Passione sono emerse anche le tragedie di oggi, lo strazio delle guerre, le vicissitudini dei migranti, e ancora le violenze subite da bambini, donne e uomini, “la follia dei torturatori e di chi li comanda”. Poi tutto tace. “Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre”: è il segno “della fedeltà invincibile di Dio alla nostra umanità”, è il mistero di un amore che ha inghiottito il male. Ed è questa la gioia del Vangelo. Ma “se il nostro sguardo non raggiunge questa verità”, se non comprendiamo che con i suoi patimenti Cristo ci ha redenti, “restiamo prigionieri delle reti della sofferenza e della morte. E rendiamo vana per noi la Passione di Cristo”.

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Cantalamessa: la Croce è il sì definitivo all'amore e il no all'odio

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“La croce non sta immobile in mezzo agli sconvolgimenti del mondo come ricordo di un evento passato o un puro simbolo ma come una realtà in atto, viva e operante”. Così padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nell’omelia pronunciata nella Basilica di San Pietro durante la celebrazione della Passione del Signore presieduta da Papa Francesco. Il servizio di Cecilia Seppia

La morte di Gesù ha cambiato il volto della storia
Una morte violenta quella di Cristo, come le tante notizie di morti che affollano quotidiani e telegiornali, come quella dei bimbi siriani straziati dalle armi chimiche, come quella brutale dei 38 cristiani copti uccisi in Egitto la domenica delle Palme. Eppure, diversamente da quanto accade con i fatti di cronaca, subito dimenticati per l’eco di qualche altra tragedia, la morte di Gesù, viene ricordata ancora dopo 2 mila anni, come fosse accaduta ieri e questo perché ha cambiato per sempre il volto della storia, il senso della morte stessa. Così padre Raniero Cantalamessa nell’omelia  pronunciata in San Pietro durante la celebrazione della Passione del Signore, presieduta da Papa Francesco che all’inizio della liturgia sosta in preghiera, prostrato a terra. 

La Croce è il No definitivo e irreversibile all'odio 
Nel suo discorso, il predicatore della Casa Pontificia ripercorre il senso di quella salvezza annunciata dai profeti e incarnata dal Figlio di Dio, l’Agnello immolato, trafitto, ma in piedi, risorto e vivo, descritto come “cuore del mondo”. Poi si sofferma sul significato profondo della croce, protagonista di questo Venerdì Santo:

“Essa è il No definitivo e irreversibile di  Dio alla violenza, all’ingiustizia, all’odio, alla menzogna, a tutto quello che chiamiamo 'il male'; ed è contemporaneamente il 'Si' altrettanto irreversibile all’amore, alla verità, al bene. 'No' al peccato, 'Sì' al peccatore. È quello che Gesú ha praticato in tutta la sua vita e che ora consacra definitivamente con la sua morte. La ragione di questa distinzione è chiara: il peccatore è creatura di Dio e conserva la sua dignità, nonostante tutti i propri traviamenti; il peccato no; esso è una realtà spuria, aggiunta, frutto delle proprie passioni e della invidia del demonio”.

La Croce dà senso a tutta la sofferenza della storia
La Croce – afferma padre Cantalamessa – non sta dunque contro il mondo ma per il mondo, per dare senso a tutta la sofferenza che c’è stata e ci sarà nella storia umana, essa è proclamazione vivente che la vittoria finale non è di chi trionfa sugli altri ma su se stesso, non di chi fa soffrire ma di chi soffre:

“La croce non sta immobile in mezzo agli sconvolgimenti del mondo come ricordo di un evento passato, o un puro simbolo; vi sta come una realtà in atto, viva e operante”.

La Croce è l'unica speranza del mondo
E questo è vero sempre, trasversale in tutte le epoche e le società  del mondo, ancora di più in quella attuale, frantumata, “liquida” senza più punti fermi e valori indiscussi sintetizzata alla perfezione dal crocefisso dipinto da Salvador Dalì, sospeso tra cielo e acqua, elemento liquido del mondo:

“Questa immagine tragica, c’è anche, sullo sfondo, una nube che potrebbe alludere alla nube atomica, contiene però anche una consolante certezza: c’è speranza anche per una società liquida come la nostra! C’è speranza, perché sopra di essa 'sta la croce di Cristo'. È quello che la liturgia del Venerdì Santo ci fa ripetere ogni anno con le parole del poeta Venanzio Fortunato: 'O crux, ave spes unica', Salve, o croce, unica speranza del mondo”.

Gesù non è venuto a spiegare le cose ma a cambiarle
L’avvertimento di padre Cantalamessa è però di non fermarci, come fanno i sociologi all’analisi della società in cui viviamo guardando solo al cuore duro, di pietra e tenebre che può ammassarsi in seno all’umanità, ma di seguire l’esempio di Cristo che non è venuto a spiegare le cose piuttosto a cambiarle, a mettere in ciascuno un cuore di carne, attento al grido di chi soffre:

“Cuore di pietra è il cuore chiuso alla volontà di  Dio e alla sofferenza dei fratelli, il cuore di chi accumula somme sconfinate di denaro e resta indifferente alla disperazione di chi non ha un bicchiere d’acqua da dare al proprio figlio; è anche il cuore di chi si lascia completamente dominare dalla passione impura, pronto per essa ad uccidere, o a condurre una doppia vita. Per non restare con lo sguardo sempre rivolto all’esterno, agli altri, diciamo più concretamente: è il nostro cuore di ministri di Dio e di cristiani praticanti se viviamo ancora fondamentalmente 'per noi stessi' e non per il Signore”.

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L’Ora della Madre: con Maria in attesa della Resurrezione

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Nell’attesa della gioia della Veglia pasquale, oggi è la giornata del silenzio trepidante, che la Chiesa vive unitamente a Maria. Dal 1987 questo silenzio e questa attesa vengono ripercorsi nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma con una speciale celebrazione mariana denominata “L’Ora della Madre”, che questa mattina è stata presieduta dall’arciprete della Basilica papale, il cardinale Stanisław Ryłko. Un momento di preghiera da vivere in intimità, come spiega al microfono di Roberta Barbi il padre servita Salvatore Perrella, esperto mariologo: 

R. – Oggi, Sabato Santo, la Chiesa è in silenzio, è in preghiera, è in cordoglio, è in attesa. Questi stati d’animo sono conformi allo stato d’animo di Colei che è la Madre del Crocifisso, dell’umiliato che risorgerà secondo le promesse di Dio. Celebrando questa “Ora della Madre”, nel giorno in cui la Chiesa liturgicamente è silente, la Liturgia sarà quella della notte, quella pasquale, nella quale noi celebriamo Colui che è stato ucciso, Colui che è disceso agli inferi e che, di sua sponte, risorgerà per essere speranza per tutti.

D. – Questa celebrazione è in qualche modo preparatoria alla Veglia della Notte Santa. Possiamo definirla un ponte tra la morte e la Risurrezione del Signore?

R. – Sì. Questa celebrazione dell’Ora della Madre in cui la Chiesa, i credenti hanno lo stesso cuore della Vergine, c’è il cordoglio per la morte, c’è la speranza per la promessa di risurrezione. Ecco perché si celebra l’Ora della Madre. La Chiesa la celebra nella speranza che Dio porterà a compimento l’opera che ha iniziato nel suo Cristo e lo facciamo con il cuore della Madre.

D. – Come il Venerdì Santo è “l’Ora di Cristo” che muore sulla Croce, la mattina del sabato è l’Ora della Madre che assieme all’umanità crede e spera nella Risurrezione. Maria, dunque, è un esempio della forza della fede contro ogni evidenza?

R. – L’Ora della Madre diventa l’Ora della Chiesa, l’Ora del credente, che come Maria attende il compimento delle promesse di Dio. Perciò la Chiesa non ha migliore esempio di come si attende la Risurrezione se non quello della Madre di Gesù, affidata a noi e noi abbiamo accolto Maria nell’esperienza di fede, soprattutto per imparare a credere e a vivere di fede.

D. – In questo momento di silenzio e raccoglimento, come si coniugano le tradizioni latina e bizantina da cui deriva questa celebrazione?

R. – Perché unica è la Madre, unica è la Maria di Nazareth, unica è la Theotókos. Pur nelle differenze rituali e nelle differenti sensibilità ecclesiali, la Chiesa di Oriente e la Chiesa di Occidente si uniscono nel nome dell’unica Madre che è Madre del Nato incarnato, che è Madre del Messia che viaggiava con il suo Vangelo, che è Madre dell’umiliato, Madre dell’esaltato, Madre di Colui che donerà lo Spirito Santo che rifarà nuova la Chiesa e la rifà ogni giorno.

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Benedetto XVI compie 90 anni: la testimonianza di mons. Gänswein

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Il 16 aprile, proprio nel giorno di Pasqua, Benedetto XVI compie 90 anni. I festeggiamenti sono stati spostati al Lunedì dell’Angelo e avranno una forma molto semplice e riservata: nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano sarà presente una piccola delegazione della Baviera. Per questa occasione, vi proponiamo la testimonianza di mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, che segue ancora da vicino Benedetto XVI, e che ci racconta come vive le giornate del Papa emerito. L’intervista è dei colleghi di Radio Horeb, emittente cattolica tedesca: 

R. – Das Leben ist sehr geordnet: Papst Benedikt liebt auch die Ordnung, es ist kein …
La vita nel Monastero è molto ordinata: non è un mistero per nessuno che Papa Benedetto ami l’ordine. Lo svolgimento della giornata è molto strutturato, molto chiaro e questo aiuta anche a viverla bene. Una delle affermazioni di Papa Benedetto, alla fine del suo pontificato, è stata che non si sarebbe ritirato “a vita privata”, quindi per fare quello che gli sarebbe piaciuto fare, ma che “sarebbe salito sul monte” – un’immagine che richiama Mosè; che si sarebbe ritirato per pregare – secondo le sue forze e le sue convinzioni e le sue capacità – per il suo successore, per la Chiesa e per il mondo. E proprio questo è quello che fa. La vita è un intreccio di preghiera, studio, visite, ascolto della musica, la Messa, passeggiate, meditazioni, riposo e la preparazione anche all’incontro con il Signore. Vedo che Benedetto vive molto serenamente questa sua decisione.

D. – Si muove bene, ancora?

R. – Das ist die schwächste Stelle seines Körpers …
Questo è il lato più debole del suo corpo. In realtà, ha difficoltà a camminare e per questo da qualche tempo si aiuta con un deambulatore: così trova maggiore stabilità, maggiore sicurezza e si muove meglio.

D. – Come gestisce Papa Benedetto gli anni che passano?

R. – Ich habe bisher noch keine Klagen gehört …
Finora, non l’ho sentito lamentarsi … a volte dice: “Certo, prima facevo molto più velocemente, riuscivo a fare questo e questo in tale tempo; oggi per fare le stesse cose mi serve molto, molto più tempo”. Ma questo lo dice più in tono scherzoso …

D. – Cosa ha imparato, lei, da Papa Benedetto?

R. – Ich habe vor allem gelernt dass der Glaube ein Geschenk ist, dass der Glaube …
Ho imparato soprattutto che la fede è un dono, che è un dono che dona gioia; che la fede è un aiuto per portare meglio il peso che devo portare, e che non devo sentirla come il peso che porto sulle mie spalle …

D. – Ci si chiede: ma Papa Francesco continua a chiedere consiglio a Papa Benedetto?

R. – Es ist kein Geheimnis dass beide ein sehre gutes Verhältnis zueinander haben …
Non è un segreto per nessuno che i due abbiano un buon rapporto e che Papa Francesco venga regolarmente a trovare Benedetto; i due si ritirano a quattr’occhi, si parlano … Le visite non hanno una cadenza fissa. Normalmente succede in occasione di ricorrenze personali o prima di un viaggio o dopo un viaggio, che Papa Francesco venga in visita oppure si sentono al telefono o arriva una lettera … non c’è quindi una struttura prestabilita, è piuttosto un evento “carismatico” …

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Oggi in Primo Piano



Nord Corea pronta a guerra totale. Cina: guerra è possibile

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Nel pieno delle tensioni con gli Stati Uniti per il rischio di una nuova guerra nucleare, la Corea del Nord ha avviato le celebrazioni per il 105° anniversario della nascita del padre fondatore Kim Il-sung, nonno dell’attuale leader Kim Jong-un. Mostrati dalla tv nazionale anche prototipi di missili intercontinentali. Il servizio di Giada Aquilino

Una parata che si ripete negli anni: migliaia di soldati in marcia sulla piazza di Pyongyang intitolata al capostipite della dinastia Kim, carri armati, razzi e stavolta anche prototipi di missili intercontinentali trasportati su camion in sfilata, sotto lo sguardo vigile di Kim Jong-un. Nell’anniversario della nascita del nonno dell’attuale leader nordcoreano la cerimonia militare con l’ostentazione di missili - che, secondo gli analisti, potrebbero un giorno essere in grado di colpire pure gli Stati Uniti - assume un carattere particolare. Il regime si è detto infatti pronto alla “guerra totale” e ad un “attacco nucleare” per rispondere a quelle che ha definito provocazioni di Washington. Non escluso un possibile nuovo test atomico: in molti pensano possa essere proprio oggi o domani. La situazione nella penisola coreana è “pericolosa”, ha detto la Cina che teme un conflitto “in ogni momento”, dal quale peraltro - afferma - “non ci saranno vincitori”. Dopo le dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump secondo cui Pyongyang “è un problema” di cui Washington si occuperà, l’emittente Nbc ha rivelato che gli Usa sono pronti a raid con armi convenzionali contro la Corea del Nord nel caso di esperimenti nucleari. Quanto è alto allora il rischio di un conflitto? Risponde Fulvio Scaglione, esperto di geopolitica di Famiglia Cristiana:

R. – Quando la tensione si alza così tanto e anche in maniera così improvvida, i rischi ovviamente ci sono. Non credo, onestamente, si rischi un vero conflitto e tantomeno nucleare, perché non tutti i protagonisti della situazione sono su un pari livello di agitazione. A me pare che gli elementi più pericolosi in questa fase siano due. Da un lato, la follia del regime della Corea del Nord e, dall’altro, l’improvvisazione dell’amministrazione americana, che è ancora più pericolosa perché Donald Trump ha fatto una specie di svolta a “U”, a 180 gradi, nella sua politica ed è passato ad una politica che è esattamente opposta a quella che aveva promesso durante la campagna elettorale. Trump è diventato una specie di “Donald Bush” o di “Trump-bama”.

D.  – Perché proprio adesso è successo?

R. - Perché l’avvio della sua presidenza non è certo stato ricco di successi, pensiamo al caso dell’Obama-care, cioè della riforma sanitaria di Obama che lui voleva eliminare, abrogare, e non è riuscito a farlo per mancanza di voti. Questo ci dice che patisca una fronda fortissima interna, sia sul lato del partito democratico ma anche sul lato di quel partito repubblicano che invece dovrebbe sostenerlo. Questa è la situazione che vive Trump. Per uscirne, ha deciso di sposare le posizioni, in politica estera, dei suoi critici.

D. - In questo quadro vanno letti anche i bombardamenti in Siria e la superbomba in Afghanistan?

R. – Secondo me sì, perché c’è molto teatro in queste azioni. Nel bombardamento sulla Siria, quei 50 missili per quasi metà sono finiti fuori bersaglio, quelli che sono arrivati hanno fatto poco danno in realtà all’apparato militare siriano e i russi erano stati avvertiti. Stessa cosa per la superbomba in Afghanistan, dove l’atto è perfino più cinico perché la superbomba era destinata a fare spettacolo. Nessuno crede che con questa superbomba si sia riusciti a mettere un freno alla ribellione dei talebani e di altri gruppi in Afghanistan, così come nessuno può credere che non ci siano state vittime civili come gli americani proclamano.

D. – La Corea del Nord aveva già mostrato al mondo le sue parate militari: perché quest’anno Kim Jong-un ha deciso di far sfilare anche i prototipi di missili intercontinentali?

R. – La Corea del Nord fa quello che altri Paesi, per esempio l’Iran, hanno cercato di fare. Se uno Stato sa che una superpotenza come gli Stati Uniti può decidere dall’oggi al domani di invaderti, come è successo in Iraq, o di smantellare il tuo Paese, come è successo in Libia, oppure di aiutare coloro che vogliono smantellare il tuo Paese, come succede in Siria, ovviamente cerca di proteggersi. E la Corea del Nord, che è considerato un cosiddetto Stato “canaglia”, cerca di proteggersi con la bomba atomica e con i missili che possono portarla molto lontano. Non c’è nulla di particolarmente nuovo in tutto questo se non fosse che la Corea del Nord è un Paese che ha spesso fatto morire di fame i propri cittadini per pagarsi il lusso di questa superprotezione nucleare.

D. – Qual è il ruolo di Russia e Cina?

R. – Mi sembrano due Paesi che sono pienamente coinvolti in tutte queste crisi. Certamente non sono guidati da filantropi o da personaggi disinteressati o privi di cinismi politici e non solo politici. Però nella situazione odierna sono due elementi di moderazione. Ultimamente ho letto dei rapporti di generali americani e, tra questi, anche un ex capo di Stato maggiore delle forze armate americane che - secondo me molto saggiamente - invitavano i politici americani a considerare che il vero sistema per disinnescare la minaccia della Nord Corea non è tentare della avventure militari, ma è instaurare un vero dialogo politico con la Cina, che è ovviamente non solo il Paese più interessato a che quell’area sia stabile e pacifica ma anche il Paese che su quell’area ha il maggior controllo politico e non solo.

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Russia, Iran e Siria chiedono indagini sulla strage di Idlib

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Segnali di distensione fra Russia e Stati Uniti sul fronte del confltto siriano. Mosca si è detta pronta a ripristinare l’intesa sulla sicurezza nei cieli con gli Usa, a patto che le azioni imprevedibili di Washington non verranno ripetute. Intanto, Russia, Iran e Siria chiedono un’indagine indipendente sulla strage del 4 aprile scorso con presunte armi chimiche nella provincia di Idlib, che gli Stati Unti hanno attribuito al governo siriano. Il servizio di Paola Simonetti: 

L’infuocato dibattito sulla gestione del conflitto siriano continua a tenere Russia e Stati Uniti su sponde diverse, una distanza resa più ampia dalla strage del 4 aprile scorso nella provincia di Idlib, con presunte armi chimiche, attribuita da Washington all’esercito siriano appoggiato dalla Russia. Un massacro smentito dal presidente siriano Assad, che punta il dito contro gli Stati Uniti per aver inventato la notizia. Qualche spiraglio arriva da Mosca, con la proposta di riattivare l’intesa con Washington, sottoscritta nel novembre del 2015, per contenere i rischi di incidenti fra gli aerei militari della coalizione anti-Is a guida americana, a patto che gli Usa non ripetano "azioni imprevedibili". Un passo strategico e lungimirante questo, come spiega Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata:

“Sia la Russia che agli Stati Uniti sanno benissimo che, al di là delle divergenze, un’escalation eccessiva sarebbe praticamente un gioco a somma zero, quindi un’autodistruzione totale. E’ il caro vecchio gioco dell’equilibrio di potenza, quindi gli Stati Uniti hanno dimostrato alla Russia di non voler cedere in alcun modo la propria egemonia in Medio Oriente e di voler continuare ad essere i gendarmi del mondo. E la Russia dovrà in qualche modo fare i conti  con questa nuova posizione americana ed accettare questo aggiustamento degli equilibri in Medio Oriente. Quindi, da questo punto di vista, questo disgelo, se così vogliamo chiamarlo, era quasi prevedibile”.

Intanto, però Russia, Iran e Siria, hanno chiesto una inchiesta rapida e indipendente sulla strage del 4 aprile con presunte armi chimiche, nel nord della Siria. Una operazione quasi obbligata per Mosca, spiega ancora Mercuri:

“Io credo che da questo punto di vista la Russia voglia cercare in qualche modo di mettere all’angolo gli Stati Uniti, anticipandoli in un certo qual modo. Voglio solo ricordare che la Russia nel 2013 si era fatta garante della distruzione dell’arsenale chimico di Assad. Ora, se fosse accertata la responsabilità di Damasco nell’attacco chimico recente la Russia dovrebbe ammettere che non è riuscita ad onorare l’impegno di controllare Assad. In secondo luogo, se dovessero emergere le colpe di Assad, il regime potrebbe finire e la Russia in questo momento non può permetterlo. Quindi credo che sia soltanto un modo di gettare fumo negli occhi, e le verità difficilmente in questo modo potrebbero venire a galla.

Il nodo della possibile destituzione di Assad resta, tuttavia, il capitolo sul quale Stati Uniti e Russia rimangono su posizioni opposte, con gli Usa che spingono per l’abbandono della carica da parte del presidente siriano e Mosca che, invece, si oppone fermamente a questa possibilità, per motivazioni molto concrete, come conclude Michela Mercuri:

“La Russia ha interessi vitali in Siria, nelle famosi basi di Lataki e Tartous, zona controllata da Assad, e che sono praticamente l’unico sbocco sul mare della Russia. Quindi, per Putin è praticamente impossibile lasciare andare Assad fintantoché Assad avrà un ruolo importante nel controllare queste zone. D’altra parte, però, chiaramente l’America ha fatto capire bene che non ci potrà essere un futuro del Paese con Assad alla sua guida. Forse - e dico forse - la Russia potrà essere disposta a cedere questo alleato di ferro soltanto in cambio di garanzie di ferro da parte degli Stati Uniti di poter mantenere il suo controllo sulla Siria e in modo particolare su queste aree.

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Venezuela: attacchi alle chiese e minacce contro i sacerdoti

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La comunità internazionale, con in testa l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), è in attesa di una risposta chiara del governo venezuelano di Nicolas Maduro perché trovi i meccanismi democratici necessari per rispondere alle richieste della popolazione che, da due settimane, manifesta ogni giorno sulle strade di tutto il Paese. Ad oggi, la violenta repressione delle proteste ha causato la morte di cinque giovani vite, un centinaio di feriti e oltre 250 detenuti. Ma la popolazione non demorde e chiede elezioni libere, il rispetto del potere legislativo rappresentato nell’Assemblea Nazionale, la tutela dei diritti umani, la liberazione dei prigionieri politici e l’apertura di un canale umanitario per sopperire alla mancanza di alimenti e medicine.

“Il problema è la rottura della filo conduttore democratico”
Il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Padrón, intervistato dall’agenzia SIR, ha spiegato che il problema fondamentale è la “rottura del filo conduttore democratico costituzionale” attuato dallo stesso governo e dalla Corte suprema di giustizia. “È stato considerato – continua il presule - come un golpe di Stato giudiziario che porta alla concentrazione di tutti i poteri in mano all’esecutivo, insieme a una forte repressione contro ogni forma di manifestazione e dissenso”. “La Chiesa – ha detto mons. Padrón - continuerà l’accompagnamento della popolazione per una protesta pacifica e non violenta nonostante le intimidazioni”.

“Pressione internazionale e appoggio alla popolazione”
L’arcivescovo di Cumaná ha indicato la strada di una maggiore “pressione internazionale e appoggio alla popolazione”. Infatti mons. Padrón ritiene che la pressione esterna sia in sintonia con la resistenza interna e con l’atteggiamento interno di rifiuto di queste modalità del governo. Il presidente dell’episcopato ha affermato, tuttavia,  che il governo di Maduro ha i mezzi per mantenersi nel potere. “Ha molto denaro, tutti i poteri nelle mani - compreso quello giudiziario - e può contare su una parte della popolazione armata, i così detti “colectivos”, e sui militari”. Quindi,  mons. Padrón  è dell’avviso che il governo non ha intenzioni di aprire la strada elettorale e  non ci sono le condizioni per aprire un nuovo tavolo di negoziazioni come il tentativo sostenuto dalla Santa Sede, e poi fallito alcuni mesi fa. 

Settimana di “passione” anche per i fedeli
Le chiese non sono state risparmiate dalla violenza e dalla polarizzazione sociale che vive il Paese. Negli ultimi giorni, militanti governativi del Partito Socialista Unito del Venezuela hanno scritto minacce di morte contro sacerdoti sui muri di alcune chiese dello Stato Táchira. Gruppi violenti simpatizzanti del governo sono entrati in chiesa gridando slogan politici, imprecando e provocando risse. Cosi è stato il Mercoledì Santo nella basilica di Santa Teresa, durante la celebrazione del Gesù Nazareno presieduta dall’arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa,  che è dovuto uscire dal luogo di culto, scortato da fedeli e sacerdoti. Nei minuti prima, durante l’omelia, il porporato aveva manifestato il rifiuto alla “violenza politica” ed esortato il governo a “fermare la repressione delle manifestazioni ed evitare gli eccessi dei corpi di sicurezza dello Stato”. “Dobbiamo – aveva detto nell’omelia - ritrovare il rispetto e la convivenza, e concentrarci sui Comandamenti, sulla Costituzione Nazionale”.

“Il Paese cammina per una strada di vetri a piedi nudi”.
“La Settimana Santa dovrebbe diventare un impegno ad aprire le porte della convivenza nel pluralismo, dove tutti abbiano il diritto di esprimersi, dove si rispettino le istituzioni e le autorità elette. Non si può cadere in una dittatura che tenta di azzittire tutti, che impone un pensiero unico. Abbiamo bisogno di un regime democratico, istituzionale e libero”.  Queste le parole di mons. Ovidio Pérez, vescovo emerito de Los Teques, dove ieri sera si sono verificati episodi di violenza, saccheggi nei negozi e incendi. “Si sta distruggendo il Paese - ha detto mons. Ovidio ai microfoni di Union Radio - senza produzione, senza alimenti, senza medicine, senza convivenza, le proteste scaturiscono anche dalla disperazione”. Il vescovo emerito ha chiesto ai fedeli di pregare il Signore perché tenda “il suo braccio potente” verso il popolo venezuelano. “Il Paese non può continuare a camminare su una strada di vetri a piedi nudi, un Paese convulso perché sono state chiuse le porte ad una soluzione democratica, pacifica e costruttiva”. (A cura di Alina Tufani)

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Pasqua in Centro Italia: con noi i vescovi di Norcia, Rieti e Ascoli

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Una Pasqua difficile, ma anche tempo di speranza e resurrezione, quella che si celebra nelle regioni del centro Italia colpite dal terremoto che, dal 24 agosto, continua a far tremare le popolazioni, ancora in situazioni di grave precarietà. Ad Ascoli Piceno, proprio per la Pasqua, ha riaperto la cattedrale di Sant’Emidio. Giorgio Saracino ha intervistato mons. Giovanni D’Ercole, vescovo della città: 

R. – La situazione attuale dopo alcuni mesi dal terremoto continua ad essere molto precaria. Credo che il bisogno più grande che la gente ha in questo momento sia quello di speranza, di prospettive, perché il tempo passa e forse le promesse fanno fatica a diventare realtà. Di conseguenza guardano al futuro con una certa diffidenza e paura. Hanno bisogno di qualche certezza, che qualcuno sia accanto a loro. Le istituzioni sono state presenti, non me la sento assolutamente di dire che sono mancate, anzi, hanno fatto il possibile, ma credo che l’intervento da porre in atto sia stato tanto vasto che non si arriva a tutto. 

D. – La Pasqua è risurrezione, una risurrezione necessaria per i terremotati …

R. – Io posso solo esprimere un grande auspicio: quello che la Pasqua possa compiere veramente un miracolo che noi tutti auspichiamo e per il quale preghiamo, ovvero che possa essere una rinascita soprattutto spirituale, perché non serve a nulla ricostruire le chiese, a nulla servirebbe ricostruire le case se prima non si ricostruiscono i cuori. Spero tanto che la Pasqua possa rimettere la pace nel cuore, possa aiutare queste popolazioni a riprendere fiducia in loro stesse, nelle istituzioni e, soprattutto, fiducia in Dio.

D. – Quanto la gente sta facendo leva sulla fede e sulla speranza?

R. – Devo dire che in questi giorni vedo tanta gente che si riavvicina dopo qualche passaggio un po’ faticoso e dopo qualche attitudine di rivolta verso Dio dopo il terremoto. Si riavvicinano, e sentono che hanno avuto persone accanto a loro, persone che hanno fatto sentite la tenerezza di Dio, l’amore di Dio.

Una Pasqua diversa, dura, perché le ferite del sisma sono ben visibili, quelle materiali e quelle spirituali. Mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, racconta  così l’Umbria  e al microfono di Giorgio Saracino spiega le necessità della popolazione: 

R. – C’è la necessità di sicurezza, di tranquillità e di fiducia. Sicurezza e tranquillità nel senso che ci vogliono le case, sono arrivate alcune casette di legno, ne mancano altre, ci sono delle abitazioni multiple fatte con i container, dunque la gente piano piano ritrova un po’ di normalità, però certamente ci vuole la stabilità data da una struttura sicura e da un ritmo di vita tranquillo. C’è la necessità che le chiese ritornino ad essere utilizzabili. Purtroppo tante sono state distrutte o danneggiate gravemente. Dunque adesso, con l’aiuto di Caritas Italiana, stiamo cercando di procurare deli luoghi di culto stabili. Credo che l’emergenza sia per tutti, quindi anche le istituzioni devono far fronte ad una situazione particolarmente grave. Qualche ritardo c’è e questo giustifica un po’ l’amarezza e la frustrazione della gente.

D. –Che ruolo ha la fede in questa situazione?

R. – Direi che la fede aiuta a pensare, a ritrovare i punti cadine dell’esistenza, che cosa rimane veramente e che cosa invece può essere perduto in qualche secondo.

D. – Il Venerdì Santo è la Passione, la Domenica di Pasqua è la Risurrezione. Le popolazioni colpite possono partire da qui per una ‘loro’ risurrezione?

R. – Direi che i due temi sono strettamente legati, così come lo sono nelle celebrazioni liturgiche di questi giorni e la memoria della Passione non è slegata dalla Risurrezione, e la celebrazione della Risurrezione necessariamente prevede e considera la Passione. Dunque, anche per la gente della Val Nerina, dei territori di Norcia, la Passione apre alla Risurrezione.

D. – Sono previste iniziative per questi giorni di festa?

R. –Le celebrazioni liturgiche avranno luogo nelle tensostrutture, che attualmente fungono da chiese, in attesa di poter utilizzare i centri di comunità che sono in costruzione. Ci saranno momenti di condivisione, di fraternità organizzati dalle parrocchie, qualche momento di festa, qualche incontro dopo le celebrazioni liturgiche proprio per ritrovare, seppur con fatica, una qualche forma di vita normale, momenti di incontro, di dialogo, di condivisione e, nello stesso tempo, di consolazione reciproca.

In quei luoghi “ogni giorno è Venerdì Santo”, “da quando è stata piantata una croce”, in quella terra. Così mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, in chiusura  di Via Crucis. Alla sua diocesi appartengono molti dei territori toccati dal sisma, tra i quali  Accumoli e Amatrice , totalmente distrutte. Giorgio Saracino lo ha intervistato: 

R. – Rispetto alle cose che restano da fare direi che siamo all’inizio. Sicuramente c’è bisogno del contributo di tutti, perché senza una comunità partecipe non basta l’aiuto dello Stato, seppur tempestivo e concreto. Perciò sono persuaso che soltanto attraverso l’integrazione di quello che è il compito delle istituzioni e quello che è invece il compito di ogni persona si possa pensare di riprendere il cammino.

D. – In che modo la fede aiuta la popolazione?

R.  – La fede, cioè la fiducia, è essenziale perché senza questo presupposto non si va da nessuna parte e si diventa facile preda della rassegnazione e del vittimismo. Perciò è importante che come cristiani si sia dentro questo processo che sarà lungo e complicato. Però vedo che i tanti gesti di solidarietà, che non sono mancati, rappresentano un sforzo a far sì che non si disperdano queste energie positive. Credo che la gente, se vede dei segni, anche piccoli ma concreti, è disposta a scommettere sul futuro.

D. – Come verranno vissuti questi giorni di festività pasquali?

R. – Saranno giorni in cui questi momenti della fede cristiana avranno un riverbero particolare sulle persone che vivono, in un certo senso, dal 24 agosto, una sorta di prolungato Venerdì Santo e, tuttavia, proprio la fiducia che nasce dal Crocifisso, e non semplicemente dalla Croce, diventa uno stimolo a sperare e andare avanti, oltre le difficoltà che permangono, perché si tratta di far ripartire la vita. Mi sembra che sicuramente il fatto della Pasqua sia per tutti un invito ad andare oltre il Venerdì Santo.

D. – Se dovesse rivolgere un appello alla popolazione e alle istituzioni, cosa direbbe?

R. – Semplicemente di camminare insieme cercando di mettere davanti sempre il “noi” della comunità, rispetto a quelli che pure possono essere i diritti legittimi di ciascuno, perché senza uno sguardo più ampio è difficile affrontare tutte le difficoltà che sono legate ad una devastazione come quella a cui abbiamo assistito in questi mesi.

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Cambogia: a Pasqua, il battesimo di 300 fedeli

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Sono 300 i fedeli cambogiani battezzati durante la celebrazione della Veglia pasquale. 128 i battesimi amministrati nel solo vicariato apostolico di Phnom Penh, mentre i restanti sacramenti riguardano i fedeli delle prefetture apostoliche di Battambang e di Kompong Cham. Una buona notizia, dunque, per il Paese asiatico in cui i cattolici sono circa 23mila, vale a dire lo 0,2% degli oltre 15 milioni di abitanti complessivi.

L’impegno della Chiesa cattolica nell’evangelizzazione integrale
“I battezzandi – spiegano i sacerdoti locali all’agenzia Eglise d’Asie – riflettono la realtà sociologica del Paese: si tratta principalmente di giovani adulti di origine khmer e di cultura buddista. La loro conversione è dovuta, soprattutto, all’impegno della Chiesa nella società khmer, in particolare nei settori della sanità, dell’educazione e della formazione professionale”. In effetti, come sottolinea P. Vincent Sénéchal, missionario nel Paese fino al 2016, “in Cambogia, la Chiesa sviluppa un’evangelizzazione integrale che guarda allo sviluppo dell’uomo in tutte le due dimensioni: socio-economiche, educative, professionali, spirituali e familiari”.

I programmi di integrazione sociale
Infatti, mons. Olivier Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh, ha lanciato, fin dal 2015, dei programmi di imprenditoria sociale, denominati “Il villaggio della pace”, che permettono ai malati di Aids o ai disabili di avere una certa indipendenza ed autonomia sociale.

Beatificazione di 35 martiri del regime di Pol Pot
Ulteriori segnali di vitalità di questa piccola Chiesa si riscontrano anche dai passi avanti nell’inchiesta diocesana per la beatificazione di 35 martiri morti sotto il regine di Pol Pot. Si tratta del vescovo cambogiano Joseph Chhmar Salas e di 34 compagni, tra preti, laici, catechisti, missionari, tra i quali alcuni membri della congregazione delle Missioni Estere di Parigi (Mep).

Costruzione di nuovi luoghi di culto
In crescita anche il clero locale: lo scorso dicembre, ad esempio, è stato ordinato un sacerdote autoctono, padre Stéphane Se Sat. Infine, si procede nella costruzione di nuovi luoghi di culto, tra cui la Cappella di Santa Teresa del Bambin Gesù nella zona di Takeo, all’interno del vicariato apostolico di Phnom Penh. (I.P.)

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Messaggio pasquale del Patriarca Bartolomeo

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Il Signore Gesù è “il solo che ha calpestato la morte con la morte”, il solo che vince le “croci quotidiane” e i “lamenti” degli uomini. Risuona nel tradizionale messaggio di Pasqua del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo l’annuncio della speranza che non tramonta: “Cristo è risorto!”. Un annuncio di grazia che dona consolazione, perché Cristo “è il portatore della gioia, colui che allieta ogni cosa”.

Le croci quotidiane del mondo contemporaneo
Il primate ortodosso fa riferimento alle tante situazioni di crisi. “Viviamo — ricorda, citato da L’Osservatore Romano — in un mondo nel quale i mezzi di comunicazione diffondono continuamente incresciose informazioni su azioni terroristiche, guerre, fenomeni naturali catastrofici, problemi a motivo del fanatismo religioso, fame, profughi, malattie incurabili, povertà, oppressioni psicologiche, senso di insicurezza”. Sono le “croci quotidiane”, afferma, che “noi uomini portiamo con lamenti”.

Cristo, unica certezza
Tuttavia, di fronte a tutte queste drammatiche situazioni, la Chiesa non si stanca di “rammentarci che possiamo essere felici, poiché il nostro principe Cristo è il loro vincitore” e “la nostra gioia si regge sulla certezza della vittoria di Cristo”. È “l’assoluta certezza, che il bene prevale, poiché Cristo è venuto nel mondo “e uscì vittorioso per vincere” (cfr. Apocalisse, 6, 2). Il mondo nel quale vivremo eternamente è Cristo: la luce, la verità, la vita, la gioia, la pace”.

L’uomo di oggi cammini con Cristo
In tale prospettiva, aggiunge, “la santa e grande madre Chiesa di Cristo, al di là delle croci quotidiane e delle afflizioni, vive esclusivamente e solamente l’evento della gioia. Vive qui, nella vita presente e dalla vita presente, il Regno di Dio. Dobbiamo ascoltare tutti questo messaggio, lo ascolti l’uomo contemporaneo e lasci se stesso vedere il Cristo camminare insieme a lui”.

Persecuzione dei cristiani in Medio Oriente
Concetti sviluppati da Bartolomeo anche in un’intervista al Sir: “Questa è precisamente la nostra visione della risurrezione e la nostra rassicurazione di pace di fronte alle persecuzioni cristiane nel Medio oriente, ma anche in tante altre parti del mondo: in Europa, nell’Africa del Nord e in Asia. Cristo ha promesso che non avrebbe lasciato orfani i suoi discepoli, che sarebbe rimasto con noi “tutti i giorni della nostra vita”. Questa è la nostra unica speranza e la nostra unica fonte di ottimismo”. 

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Card. Tagle: non dimenticare le sofferenze dei migranti

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È un messaggio davvero particolare quello che il card. Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis, ha diffuso in occasione della Pasqua: incentrato sulla questione dei migranti, il documento riporta infatti alcune fotografie personali della famiglia del porporato, anch’essa migrata dalla Cina alle Filippine. Scatti in bianco e nero che mostrano il futuro card. Tagle neonato in braccio ai nonni e poi giovane sacerdote, nel giorno della sua ordinazione presbiterale.

Migrazione è una possibilità di crescere
Immagini d’impatto, dunque, a sottolineare un messaggio molto forte: “La migrazione dà la possibilità, alle persone, di crescere come essere umani, di creare una vita migliore per se stesse e le generazioni future”. In pratica, scrive il card. Tagle, “la migrazione ci mostra la nobiltà dello spirito umano”.

I diritti dei migranti
Di qui, il discorso del porporato si amplia e si sofferma sulla necessità di “non dimenticare che i migranti hanno il diritto di migrare e di scegliere” dove andare, ma anche “il diritto di non migrare e di vivere in modo dignitoso nella loro patria”. Non solo: pensare ai migranti significa anche non dimenticare “le sofferenze che gli esseri umani possono infliggersi gli uni con altri”. “Guerre e conflitti – spiega il presidente della Caritas Internationalis – sono diventati sistematici in alcune parti del mondo, distruggendo vite e comunità umane”.

Tutelare dignità umana di ogni persona
Per questo, è quanto mai primario “non dimenticare mai la dignità inalienabile ed il valore di ogni persona”, perché ognuno “è chiamato a promuovere il bene comune dell’intera famiglia umana”. Ancora il card. Tagle sottolinea che “i migranti ci richiamano ad essere custodi della creazione ed a cambiare quei sistemi ingiusti provocati da cambiamenti climatici, povertà e disuguaglianza nella distribuzione delle risorse”.

Ripensare al sistema di valori del mondo
Il presidente di Caritas Internationalis evidenzia anche “la bellezza” di compiere opere di carità nei confronti degli immigrati”, per promuovere valori fondamentali come “la dignità umana, la vita, la famiglia”. “Spero – scrive – che la migrazione globale e la situazione dei rifugiati possa portare il mondo intero ad un esame di coscienza e del proprio sistema di valori”.

Migrazione non è mero fenomeno, ma riguarda gli esseri umani
Quanto ai Paesi che “si chiudono agli stranieri”, il card. Tagle li esorta a ricordare “come essi stessi, in passato, sono stati accolti da altre nazioni”. “In questo tempo di Pasqua – scrive ancora il porporato – invito i cristiani cattolici e non cattolici ad entrare in contatto con i migranti”, perché “la migrazione non è un mero fenomeno, ma ha a che fare con l’essere umano”.

A settembre, campagna globale Caritas Internationalis
Infine, il porporato annuncia che a settembre “la Caritas Internationalis lancerà una campagna globale per invitare le persone ad incontrare i migranti, a condividerne storie ed esperienze ed a riconoscersi in un’umanità comune”. (I.P.) 

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A Pasqua Chiese europee in preghiera per i cristiani perseguitati

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Preghiamo per i cristiani che vengono perseguitati ed ai quali viene impedito di celebrare la Resurrezione in libertà ed in pace”: è uno dei passaggi-chiave del messaggio congiunto diffuso dal Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) e dalla Kek (Conferenza delle Chiese europee) in questa Settimana Santa di avvicinamento alla Pasqua.

Vita umana costantemente violata e minacciata
Una solennità, spiega il messaggio, il cui significato si riassume in “Cristo che  trionfa sulla morte, la speranza sulla disperazione e la pace sul conflitto”. Soprattutto perché “la crocifissione è, oggi, una realtà costante: la vita umana viene violata, minacciata, distrutta da guerra, avidità, ingiustizia, mentre il mondo viene spesso segnato da violenza e paura”.

Lavorare per rispetto e dialogo reciproco
Il pensiero delle Chiese cristiane si allarga, poi, ai “tanti fratelli e sorelle in Cristo, morti a causa della loro fede” ed a “tutti coloro che continuano a testimoniare ed a lavorare per il rispetto reciproco ed il dialogo in situazioni difficili”. “Sono un esempio per tutti noi – si legge nel messaggio – perché dimostrano il coraggio della fede con la testimonianza gioiosa e convinta dell’amore infinito di Dio”. Non solo: questi cristiani sostengono anche i più bisognosi “senza distinzione di nazionalità o di religione”.

Camminare nell’unità
Per questo, il Ccee e la Kek sottolineano che “le attuali divisioni tra cristiani feriscono il corpo di Cristo” e che è quindi importante “rinnovare l’impegno a camminare nell’unità”, affinché i cristiani diano “un segno di gioia nella fede, di amore disinteressato e di speranza per un mondo chiamato a riconciliarsi con se stesso e con Dio”. (I.P.)

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Nota dei vescovi brasiliani: no a legalizzazione dell'aborto

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“L’aborto non può mai essere considerato un diritto della donna o dell’uomo sulla vita dei non nati”: è quanto si legge nella nota intitolata “Per la vita, contro l’aborto”, firmata dal presidente della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), il cardinale arcivescovo di Brasília, Sérgio Da Rocha, e dagli altri membri del Consiglio di presidenza.

Vita umana inviolabile. La società è in debito con le donne
Nel testo – riferisce L’Osservatore Romano . i presuli riaffermano la posizione della Chiesa “in difesa dell’integrità, inviolabilità e dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale” e condannano “ogni e qualsiasi iniziativa che pretenda di legalizzare l’aborto in Brasile”. In questo senso, “il diritto alla vita rimane, nella sua interezza, per gli anziani non autosufficienti, per i malati terminali, per chi è disabile, per il bambino che è nato e per chi non è ancora nato”. I vescovi sottolineano, inoltre, che “il rispetto per la vita e per la dignità delle donne deve essere promosso per superare le violenze e le discriminazioni da loro subite. La Chiesa vuole accogliere con misericordia e assicurare cura pastorale alle donne che hanno sofferto la triste esperienza dell’aborto”. E aggiungono: “La società è in debito con le donne, in particolare nell’esercizio della loro maternità.

Approvare al più presto uno “Statuto del nascituro”
In questo momento di grave crisi politica ed economica — prosegue la nota  ripresa dall’Osservatore Romano — la Conferenza episcopale brasiliana è stata impegnata nella difesa dei più vulnerabili della società, in particolare di coloro che sono caduti nella povertà. Il bambino non ancora nato è tra i più indifesi e bisognosi di protezione. Con lo stesso slancio e impegno etico e cristiano, rifiutiamo atteggiamenti antidemocratici che, calpestando il Congresso, chiedono al Supremo tribunale federale di esercitare una funzione che non gli compete, quella di legiferare». Perciò la Chiesa in Brasile ritiene che il progetto di legge relativo allo “Statuto del nascituro”, presentato ancora nel 2007, testo che prevede il diritto alla vita dal concepimento, “va con urgenza discusso, approvato e applicato”. E alle comunità è chiesto di “mobilitarsi, promuovendo attività per il rispetto integrale della vita umana”. 

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Sri Lanka. Via Crucis per le vittime della guerra civile

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Una Via Crucis proprio nei luoghi dove migliaia di tamil persero la vita, per non dimenticare le loro sofferenze e l’attuale difficile situazione delle vittime della guerra civile. Questa l’iniziativa di un centinaio di cattolici provenienti da Colombo e Negombo che in questi giorni si sono recati a Mullivaikal, nel nord dello Sri Lanka. Qui, nel 2009 nelle fasi finali dello scontro tra forze governative e ribelli delle tigri tamil sono stati feriti e uccisi più di quarantamila civili. In quei luoghi pregni di significato e dolore donne, bambini e anziani hanno deciso di svolgere gli esercizi spirituali in vista della Pasqua.

Sofferenza alimentata dalla ricerca di denaro e potere
“La sofferenza delle vittime di guerra — ha affermato padre Jeewantha Pieris, che ha guidato la Via Crucis — non è un volere di Dio. Non è stata colpa della sfortuna, della cattiva sorte o di altre ragioni. Questa sofferenza si è abbattuta su di loro a causa di un altro gruppo di persone che le volevano opprimere per denaro e potere. E ora la loro vita è nella sofferenza. Dobbiamo pregare per loro e lavorare insieme per la loro libertà”. Il percorso della processione, accompagnata da canti e inni per ricordare la passione di Cristo — riferisce l’agenzia AsiaNews — ha preso il via dal ponte di Wattuwakkal che porta alla laguna di Nandikadal. Sulle sponde di questo bacino circa trecentomila persone tentarono di trovare rifugio. Al contrario, migliaia di loro trovarono la morte, intrappolati nel fuoco incrociato. I cattolici della capitale hanno anche deciso di tornare in questi luoghi il mese prossimo, durante la festività buddista di Wesak Pohoya, per portare sostegno ai tamil ed essere, ancora una volta, spiritualmente più vicini alla passione di Gesù Cristo. 

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica di Pasqua

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Nel giorno di Pasqua, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Pietro e Giovanni corrono verso la tomba di Gesù. Pietro entra per primo nel sepolcro e osserva i teli posati là e il sudario – che era stato sul suo capo – avvolto in un luogo a parte. Poi entra anche Giovanni:

“E vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.

Sulla Pasqua di Resurrezione ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Dio ci ha dato un appuntamento in questa notte, diversa da tutte le altre, invitandoci a stare svegli nella” Madre di tutte le veglie”, perché Egli viene, nella celebrazione solennissima della Risurrezione di suo Figlio, a sbaragliare i nostri nemici spirituali. Cerchiamo di partecipare a questo evento proprio nella notte, se possibile, perché il nostro cuore è trasformato più efficacemente e anche noi veniamo risorti con Lui ad un nuovo modo di vivere. La Pasqua di Gesù Cristo non è solo il ricordo del passato, ma un “memoriale”, dove il braccio potente di Dio opera, ancora una volta mirabilmente in nostro favore, mettendo in fuga il demonio che, senza posa tenta di intristirci e di scoraggiarci. La Parola proclamata nell’assemblea dei credenti, torna a compiersi in favore di chi la crede viva ed efficace; correndo al sepolcro in questa liturgia e scoprendolo vuoto, anche la fede di ognuno viene corroborata e trasmessa alla nuova generazione dei credenti, e dal fonte battesimale nascono nuovi figli di Dio. Chi fa esperienza della potenza del Risorto non può tacere: l’Alleluja sgorga nel canto e il desiderio di far conoscere il Signore tornato dai morti, prevale su ogni timore, rinnovando lo slancio della missione e dell’Annuncio: “La nostra morte è vinta! Cristo è veramente risorto!”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 105

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.