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Sommario del 16/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Urbi et Orbi. Francesco: Cristo non si stanca di cercarci nei deserti del mondo

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“Con la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte e ci ha aperto il passaggio alla vita eterna”. Con la luce della speranza che ha cambiato la storia, il Papa ha scandito, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana, il messaggio prima della benedizione "Urbi et Orbi". Guardando alle violenze e al male che in “diverse forme” opprimono il cuore dell’uomo ha ribadito che il “Signore non si stanca” di cercarci “nei deserti del mondo”: Massimiliano Menichetti

E’ portando tutto nella Verità che ha cambiato il volto del mondo che Francesco ha aperto il messaggio "Urbi et Orbi":

"Oggi, in tutto il mondo, la Chiesa rinnova l’annuncio pieno di meraviglia dei primi discepoli: Gesù è risorto! – E’ veramente risorto, come aveva predetto!”.

Gesù libera dalla schiavitù del peccato
“Con la sua risurrezione - ha detto Francesco - Gesù ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte e ci ha aperto il passaggio alla vita eterna”. “Quando ci lasciamo dominare dal peccato - ha proseguito - perdiamo la strada buona e andiamo errando come pecore smarrite”:

"Attraverso i tempi, il Pastore Risorto non si stanca di cercare noi, suoi fratelli smarriti nei deserti del mondo. E con i segni della Passione – le ferite del suo amore misericordioso – ci attira sulla sua via, la via della vita. Anche oggi Egli prende sulle sue spalle tanti nostri fratelli e sorelle oppressi dal male nelle sue diverse forme".

I labirinti della solitudine
“Il Pastore Risorto - ha detto - va a cercare chi è smarrito nei labirinti della solitudine e dell’emarginazione” attraverso persone che “sanno avvicinarsi” portando “rispetto”, “tenerezza” e quella voce “che richiama all’amicizia con Dio”:

“Si fa carico di quanti sono vittime di antiche e nuove schiavitù: lavori disumani, traffici illeciti, sfruttamento e discriminazione, gravi dipendenze. Si fa carico dei bambini e degli adolescenti che vengono privati della loro spensieratezza per essere sfruttati; e di chi ha il cuore ferito per le violenze che subisce entro le mura della propria casa”.

I migranti
Il Papa non ha dimenticato i migranti ribadendo che Cristo è vicino a quanti “sono costretti a lasciare la propria terra” per le guerre, il terrorismo, le “carestie”, o i “regimi oppressivi”. Ha fatto appello affinché “il Signore Risorto guidi i passi di chi cerca la giustizia e la pace; e doni ai responsabili delle Nazioni il coraggio di evitare il dilagare dei conflitti e di fermare il traffico delle armi”.

Siria, Terra Santa, Medio Oriente, Iraq, Yemen
Poi il cuore è andato alla popolazione siriana, affinché il Risorto sostenga chi si adopera per portare “conforto” e “sollievo” a chi soffre:

“L'amata e martoriata Siria, vittima di una guerra che non cessa di seminare orrore e morte. E’ di ieri l’ultimo ignobile attacco ai profughi in fuga che ha provocato numerosi morti e feriti”.

Il Signore “doni pace a tutto il Medio Oriente - ha sottolineato - a partire dalla Terra Santa, come pure in Iraq e nello Yemen".

Africa
Quindi ha invocato la vicinanza di Cristo per le popolazioni dell’Africa, ferite da conflitti e carestia, ha citato il Sud Sudan, Sudan, Somalia e Repubblica Democratica del Congo. Poi la preghiera è andata al continente americano.

America Latina
Gesù risorto sostenga gli sforzi di quanti, specialmente in America Latina, si impegnano a garantire il bene comune delle società, talvolta segnate da tensioni politiche e sociali che in alcuni casi sono sfociate in violenza.

Ucraina
Francesco ha auspicato la costruzione di “ponti di dialogo” e la lotta “contro la piaga della corruzione”, quindi ha guardato al conflitto in Ucraina:

"Il Buon Pastore aiuti l’Ucraina, ancora afflitta da un sanguinoso conflitto, a ritrovare concordia e accompagni le iniziative volte ad alleviare i drammi di quanti ne soffrono le conseguenze".

Giovani Europei
Parlando specialmente della grande mancanza di lavoro per i giovani europei, il Papa ha evidenziato che “Il Signore risorto, che non cessa di colmare il continente” “della sua benedizione” ed ha invocato il dono della speranza, per quanti “attraversano momenti di crisi e difficoltà”.

Decorazioni floreali
Al termine il “ringraziamento speciale” per “le decorazioni floreali” - provenienti dai Paesi Bassi - che hanno adornato il sagrato della Basilica di San Pietro e l’augurio di Buona Pasqua a tutti:

“Possiate sentire ogni giorno la presenza del Signore Risorto, e condividere con gli altri la gioia e la speranza che Lui ci dona”.

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Francesco: Gesù mistero della pietra scartata fondamento della nostra esistenza

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“Il senso della vita è dato dalla fede in Cristo risorto”. Così in sintesi il Papa nella Santa Messa di Pasqua presieduta in Piazza San Pietro davanti a migliaia di fedeli arrivati sin dalle prime ore dell’alba. Francesco ha sottolineato che la Risurrezione di Gesù “è il mistero della pietra scartata che finisce per essere il fondamento della nostra esistenza”. Massimiliano Menichetti:

“Oggi la Chiesa ripete, canta, grida: Gesù è risorto!”. Francesco parte dalla gioia della luce e subito contrappone il “cuore chiuso dalla tristezza” della prima ora di  Pietro, Giovanni e le donne che andarono al “Sepolcro” che era vuoto, con l’annuncio dell’Angelo che dice: “Non c’è qui, è risorto”.

La Croce via di conoscenza
Condividendo una conversazione telefonica, avuta ieri, con un ragazzo gravemente malato, Francesco, ha mostrato la morte in Croce di Cristo, via di fede per comprendere “disgrazie”, “malattie”, “guerre”, “distruzioni”, “odio”. La Chiesa continua a dire: “Fermati, Gesù è risorto”.

La Pietra scartata fondamento di vita
Questa “non è una fantasia - ha ribadito il Papa - la Risurrezione di Cristo non è una festa con tanti fiori”, anche se bello, “è di più”: è “il mistero della pietra scartata che finisce per essere il fondamento della nostra esistenza”.

“In questa cultura dello scarto - ha proseguito - dove quello che non serve prende la strada dell’usa e getta”, quella pietra scartata “è fonte di vita”.

L'orizzonte in Cristo
“E noi, anche noi, sassolini per terra, in questa terra di dolore, di tragedie, con la fede nel Cristo Risorto abbiamo un senso, in mezzo a tanta calamità. Il senso di guardare oltre, il senso di dire: "Guarda non c’è un muro; c’è un orizzonte, c’è la vita, c’è la gioia, c’è la croce con questa ambivalenza. Guarda avanti, non chiuderti. Tu sassolino, hai un senso nella vita perché sei un sassolino presso quel sasso, quella pietra che la malvagità del peccato ha scartato”.

La scommessa dell'uomo
Francesco ha dunque guardato all’umanità come “sassolini” frammenti della pietra viva che è Cristo e ha esortato a mettersi alla presenza di Dio con tutte le paure, le domande, le incertezze i “problemi quotidiani” o “tragedie umane”, dicendo: “Non so come va questo ma sono sicuro che Cristo è risorto e io ho scommesso su questo”. “Tornate a casa oggi - ha concluso - ripetendo nel vostro cuore: Cristo è risorto”.

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Benedetto XVI compie 90 anni. Cei: continua a fecondare tutta la Chiesa

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Oggi, proprio nel giorno di Pasqua, il Papa emerito Benedetto XVI ha compiuto 90 anni. Per lui si è pregato nella Messa presieduta da Papa Francesco in San Pietro questa mattina. Tanti i messaggi di auguri che sono giunti a Sua Santità. In un messaggio la Conferenza episcopale italiana lo ha ringraziato per la sua opera, "che continua a interrogare e fecondare tutta la Chiesa". I festeggiamenti che si terranno domani, Lunedì dell’Angelo, avranno una forma molto semplice e riservata, presso nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano.

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Il Papa nella Veglia pasquale: donare a tutti la speranza di Cristo risorto

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Il dolore delle Marie in visita al Sepolcro è il dolore di chi conosce le ingiustizie. Papa Francesco, nell'omelia della Veglia pasquale, richiama al pianto delle donne, in lacrime per la morte del Signore che, con la sua resurrezione, regala agli uomini nuova speranza. Francesca Sabatinelli

E’ nel volto di Maria di Magdala e dell’altra Maria in visita al Sepolcro che si possono ritrovare i “volti di tante madri e nonne, il volto di bambini e giovani che sopportano il peso e il dolore di tanta disumana ingiustizia”. Nei “volti pallidi, bagnati dalle lacrime” di due donne che piangono la morte del Signore, donne “capaci di non fuggire, capaci di resistere, di affrontare la vita così come si presenta e di sopportare il sapore amaro delle ingiustizie”, si vedono riflessi i volti di “tutti quelli che, camminando per la città, sentono il dolore della miseria, il dolore per lo sfruttamento e la tratta” e “vedono crocifissa la dignità”:

“In loro vediamo anche i volti di coloro che sperimentano il disprezzo perché sono immigrati, orfani di patria, di casa, di famiglia; i volti di coloro il cui sguardo rivela solitudine e abbandono perché hanno mani troppo rugose. Esse riflettono il volto di donne, di madri che piangono vedendo che la vita dei loro figli resta sepolta sotto il peso della corruzione che sottrae diritti e infrange tante aspirazioni, sotto l’egoismo quotidiano che crocifigge e seppellisce la speranza di molti, sotto la burocrazia paralizzante e sterile che non permette che le cose cambino”.

Come le due donne davanti al sepolcro, incapaci di accettare che tutto debba finire così, anche i fedeli possono sentirsi “spinti a camminare”, a non rassegnarsi. Però, spiega il Papa, sebbene il cuore sappia che “le cose possono essere diverse”, ci si può abituare, quasi senza accorgersene, “a convivere con il sepolcro, a convivere con la frustrazione”. Ci si può convincere che questa sia “la legge della vita” e quindi anestetizzarsi “con evasioni che non fanno altro che spegnere la speranza posta da Dio nelle nostre mani”. Ed ecco che l’andare può essere come quello delle due donne, “tra il desiderio di Dio e una triste rassegnazione”, e in questo caso “non muore solo il Maestro: con Lui muore la nostra speranza”. Dio, però, riserva una sorpresa al suo popolo fedele, quella di scoprire che la vita “nasconde un germe di risurrezione”:  

“Il palpitare del Risorto ci si offre come dono, come regalo, come orizzonte. Il palpitare del Risorto è ciò che ci è stato donato e che ci è chiesto di donare a nostra volta come forza trasformatrice, come fermento di nuova umanità. Con la Risurrezione Cristo non ha solamente ribaltato la pietra del sepolcro, ma vuole anche far saltare tutte le barriere che ci chiudono nei nostri sterili pessimismi, nei nostri calcolati mondi concettuali che ci allontanano dalla vita, nelle nostre ossessionate ricerche di sicurezza e nelle smisurate ambizioni capaci di giocare con la dignità altrui”.

Il Papa chiede quindi ai fedeli di “annunciare la notizia” nei luoghi “dove sembra che il sepolcro abbia avuto l’ultima parola e dove sembra che la morte sia stata l’unica soluzione”. Chiede di annunciare, condividere e rivelare che il “Signore è Vivo” e che “vuole risorgere in tanti volti che hanno seppellito la speranza, hanno seppellito i sogni, hanno seppellito la dignità”:

“E se non siamo capaci di lasciare che lo Spirito ci conduca per questa strada, allora non siamo cristiani”.

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Assisi: lettera del Papa per il nuovo Santuario della spogliazione

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“Una nuova perla nel panorama religioso di Assisi”. Con queste parole Papa Francesco definisce il nuovo Santuario della Spogliazione, che verrà inaugurato il 20 maggio prossimo. Nell’occasione il Pontefice ha inviato al vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, una lettera, dei cui contenuti ci riferisce Giancarlo La Vella

La conversione come spogliazione dai beni terreni
Il Papa benedice il nuovo Santuario e tutti i pellegrini che sosteranno in preghiera, laddove il “giovane Francesco, si spogliò, fino alla nudità, di tutti i beni terreni, per donarsi interamente a Dio e ai fratelli”. Ricordando l’emozione della sua prima visita ad Assisi, nel 2013, il Papa evidenzia la forza evocativa del luogo in cui San Francesco, “si svincolava dall’incantesimo del dio-denaro, che aveva irretito la sua famiglia, in particolare il padre Pietro di Bernardone. Certamente il giovane convertito non intendeva mancare del dovuto rispetto a suo padre, ma si ricordò – scrive il Santo Padre – che un battezzato deve mettere l’amore per Cristo al di sopra degli affetti più cari”. Il quel luogo, ricorda ancora Papa Francesco della sua visita, l’incontro con una rappresentanza di poveri, “testimonianza della scandalosa realtà di un mondo ancora tanto segnato dal divario tra lo sterminato numero di indigenti, spesso privi dello stretto necessario, e la minuscola porzione di possidenti, che detengono la massima parte della ricchezza e pretendono di determinare i destini dell’umanità”.

La condivisione contro le iniquità dell’economia
L’iniquità globale, l’economia che uccide, sottolinea il Papa, oggi come allora colpiscono i più deboli: i migranti ora, ieri gli ammalati di lebbra. Il nuovo Santuario assisano, dunque, nasce come auspicio di una società più giusta e solidale. La Chiesa stessa – scrive il Papa – deve spogliarsi della mondanità e rivestirsi dei valori del Vangelo. Riprendendo le parole pronunciate ad Assisi, Papa Francesco sottolinea che “tutti siamo chiamati a essere poveri, a spogliarci di noi stessi; e per questo dobbiamo imparare a stare con i poveri, condividere con chi è privo del necessario, toccare la carne di Cristo! Il cristiano non è uno che si riempie la bocca coi poveri, no! E’ uno che li incontra, che li guarda negli occhi, che li tocca”. E, di fronte al fenomeno dell’allontanamento dalla fede, sottolinea, siamo chiamati a una nuova evangelizzazione, che si basi non tanto sulla forza delle parole, ma sul “fascino della testimonianza sostenuta dalla grazia”.

La spogliazione, mistero d’amore
San Francesco ha, dunque, fatto della povertà il segno più evidente di penitenza, di rinnovamento e – ricorda il Papa – di ispirazione a Cristo, che è “il modello originario della spogliazione”. Gesù assunse una condizione di servo, diventando simile agli uomini, facendosi obbediente fino alla morte di Croce. L’Onnipotenza, in qualche modo, si eclissa, affinché la gloria del Verbo fatto carne si esprima soprattutto nell’amore e nella misericordia. La spogliazione – conclude – è, dunque, “un mistero di amore!” ma spogliazione – mette in evidenza Francesco – non è disprezzo per il mondo, ma fruizione sobria e solidale delle cose materiali: è amore, non egoismo. E questa è in pratica la gioia evangelica del cammino cristiano, che può trovare vie d’uscita alla tristezza individualista del nostro mondo. A conclusione dell’epistola, un accenno alla società del domani: i giovani. Essi – scrive il Papa – vanno accompagnati alla luce di questi valori. Il nuovo Santuario della Spogliazione – questo l’auspicio del Papa – sia luogo di incontro tra giovani e adulti: un’ideale famiglia, dove questi aiutino i ragazzi nel discernimento della loro vocazione.

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Oggi in Primo Piano



Pasqua 2017 in Terra Santa: in festa cristiani ed ebrei

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La Pasqua in Terra Santa, luogo sacro, meta nei secoli di pellegrinaggi di milioni di persone ogni anno di fedi diverse, ma anche teatro di guerre di religione e non solo. Quest’anno in particolare le date della Pasqua cristiana coincidono per cattolici e protestanti, che seguono il calendario gregoriano, per gli ortodossi che seguono il calendario giuliano. E coincidono anche con i giorni della Pasqua ebraica. Roberta Gisotti ha intervistato il padre gesuita David Neuhaus, vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme: 

R. – Quest’anno, siamo benedetti tre volte. Per prima cosa, è sempre una grande benedizione celebrare la Pasqua sulla terra di Gesù, dove Lui ha versato il Suo sangue per noi, ha dato la Sua vita per noi. Questa è una benedizione di cui noi dobbiamo essere molto, molto consapevoli, e noi qui viviamo quello che credo sognino tutti i cristiani del mondo. Quest’anno poi, in particolare, siamo veramente benedetti perché festeggiamo questa festa tutti insieme, specialmente con gli ortodossi, che sono i nostri fratelli, in un periodo in cui il nostro Santo Padre dà un’importanza enorme all’unità cristiana. Dobbiamo dire che certamente l’unità non è ancora compiuta: sarà compiuta quando noi potremo celebrare in armonia, e non uno accanto all’altro, ma noi dobbiamo sperare – sognare! – che questo giorno verrà. E infine, la terza benedizione è che lunedì gli ebrei hanno incominciato anche loro la festa di Pasqua. E, certamente, senza comprendere il senso della Pasqua ebraica, i cristiani non possono celebrare veramente la Pasqua cristiana, perché Gesù – ebreo – ha celebrato la Pasqua e ha scelto la Pasqua perché in quei giorni si compisse la sua vita. Quindi, quando Lui ha versato il Suo sangue noi dobbiamo capire che questo è il sacrificio dell’agnello pasquale: dobbiamo passare dalla schiavitù alla liberazione, alla libertà dei figli di Dio. Quindi, tutto questo insieme dà un senso profondo alla nostra celebrazione di quest’anno, e noi siamo felicissimi quando questo succede: che noi possiamo essere qui e celebrare insieme.

D. – Padre Neuhaus, la preghiera tanto intensa che risuona in Terra Santa riesce a mettere fuori dai cuori dei fedeli l’odio che invece, purtroppo, si respira nelle violenze e nei venti di guerra che soffiano ancora in gran parte del Medio Oriente?

R. – Veramente, quest’anno noi abbiamo celebrato all’ombra di questo odio: con tanto dolore abbiamo saputo ciò che è successo nella Domenica delle Palme in Egitto, ai nostri fratelli egiziani. E quest’anno – devo aggiungere – ci sono tantissimi egiziani che sono venuti in Terra Santa per celebrare la Pasqua con noi. Quindi qui c’è anche la violenza, il dolore, l’odio, la guerra che entrano nella celebrazione di questi giorni. Sì, perché noi siamo convinti che malgrado tutto, malgrado tutto l’odio, tutta la morte, tutta la violenza, Gesù ha già vinto e noi dobbiamo essere testimoni di questa vittoria, specialmente in questi giorni. Anche se intorno a noi ci sono veramente pochi segni di questa vittoria, noi siamo chiamati a essere gioiosi nella fede, ché lui veramente è vittorioso!

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Pasqua di guerra in Siria. Mons. Audo: Chiesa cruciale per la gente

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Quella di oggi è la settima Pasqua che la Siria celebra da quando nel Paese infuria la guerra, iniziata a marzo 2011. In un clima di violenza continua, aggravata dall’attacco chimico del 4 aprile a Khan Sheikhun, nella provincia nord-occidentale di Idlib, e da nuovi bombardamenti, la piccola comunità cristiana si ritrova nella speranza che - come ha auspicato più volte Papa Francesco - la Risurrezione di Cristo favorisca nei cuori e nelle coscienze “di quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale” un sentimento di pace per porre fine alla tragedia. Lo testimonia mons. Antoine Audo, vescovo di tutti i caldei della Siria e presidente della Caritas nazionale, raggiunto telefonicamente ad Aleppo da Giada Aquilino

R. - La situazione è sempre tragica, ogni volta che abbiamo una celebrazione come quella di oggi, la festa di Pasqua, siamo veramente in un atteggiamento di fede: malgrado tutto, nella gioia. Sentire di essere in comunione, in comunità, ritrovandosi insieme: è molto importante per noi come cristiani dell’Oriente sentirsi in famiglia, nella comunità ecclesiale.

D.  – Come la popolazione ha vissuto la Settimana Santa?

R. – Per noi la Settimana Santa e poi la domenica di Pasqua sono momenti molto forti. Si vivono con molte preghiere. In particolare il Venerdì Santo, soprattutto nel quartiere dei cristiani, tutte le famiglie vanno da una chiesa all’altra, in pellegrinaggio in almeno sette chiese, per compiere un cammino di penitenza, di conversione e anche di solidarietà. Nonostante tra i cristiani ci si renda conto che stiamo diminuendo come numero nella società, facciamo di tutto per essere insieme, per attraversare e superare queste violenze. Malgrado tutto, c’è davvero una speranza in Siria che la pace sia possibile.

D. - Dalla Risurrezione che senso di rinascita può venire per la Siria? Cosa le hanno detto i fedeli?

R. - Quando si celebra la Risurrezione si dice che è possibile riprendere la convivenza, il vivere insieme, la prosperità.

D. – Di fronte alla tragedia dell’attacco chimico nella provincia di Idlib, ai bombardamenti, alle violenze, cosa dice la gente dell’emergenza umanitaria? Come si vive oggi in Siria?

R. – Dicono che senza l’aiuto delle Chiese, degli organismi internazionali, della Caritas, del sostegno del Santo Padre non sarebbe stato possibile vivere. Sarebbe veramente soltanto una grande tragedia. Tanti dicono che col supporto della Chiesa e della comunità internazionale la gente può vivere: almeno mangiare, andare a scuola, avere medicine.

D. – Per questa Pasqua ci sono stati contatti anche con le altre comunità religiose del Paese?

R. - In questo giorno di Pasqua sono venuti alcuni leader musulmani da noi e in tutte le chiese per presentare i loro auguri, per esprimere solidarietà, fratellanza. E’ molto importante. Un altro esempio è che dalla Domenica delle Palme fino ad oggi, il Patriarca siro-cattolico Ignace Joseph III Younan è venuto ad Aleppo per visitare la zona ed è andato anche nella grande moschea della città, che in parte è distrutta, per incontrare il Muftì di Aleppo. Sono gesti importanti che continuano. E questa è la direzione della Chiesa: il Santo Padre dà un messaggio di mutuo rispetto, di ascolto, di pazienza, che ci aiuta molto.

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Egitto: alte misure di sicurezza per la Pasqua copta

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Si sono svolte in un clima di tensione e di massima sicurezza le celebrazioni pasquali della comunità copta in Egitto, dopo gli attentati della domenica delle Palme, che hanno ucciso 45 fedeli in due chiese. Il Patriarca copto ortodosso Tawadros II aveva annullato ogni celebrazione per i fedeli, tranne la Messa pasquale. Tawardros II l’ha celebrata ieri notte nella cattedrale di San Marco al Cairo, alla quale i fedeli hanno potuto accedere solo superando tre punti di controllo. “Sogno un Egitto in cui ognuno possa pregare per l’altro”, ha detto il Patriarca copto nell’omelia, appellandosi alla pace in tutto il Medio Oriente.

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Colombia. P. Echeverri: con Pasqua riconciliazione è realtà

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La Pasqua in Colombia assume quest’anno un significato particolare: a settembre il Paese accoglierà la visita di Papa Francesco, in un momento davvero cruciale. Si aspetta la fine di oltre quattro anni di negoziati di pace, tra il governo di Bogotà e la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), dopo un sanguinoso conflitto che si protrae dal 1964. L’accordo di riconciliazione è stato dapprima bocciato da un referendum nell’ottobre scorso, successivamente l'intesa è stata rivista, in particolare sulle restrizioni della libertà per i condannati e sui risarcimenti per i familiari delle vittime: ora il testo, già approvato dal Parlamento, attende i decreti di attuazione e implementazione. In questo quadro, le celebrazioni pasquali sono occasione di sperimentare l’amore e la misericordia del Signore in un contesto ancora difficile. Giada Aquilino ha intervistato padre Darìo Echeverri, parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Bogotà e segretario della Commissione di riconciliazione nazionale: 

R. - In Colombia abbiamo il bisogno di sentire che questa celebrazione della Pasqua ci dia la forza per andare avanti e superare il ricordo di un passato molto triste, con una guerra davvero lunga. Noi abbiamo bisogno di sentire che la Risurrezione del Signore Gesù ci porta al perdono e alla riconciliazione. Questo è molto importante; senza questo la vita dei cristiani qui non ha senso e non ha senso nemmeno l’accordo tra il governo e la guerriglia delle Farc. Abbiamo il bisogno di sentire che la riconciliazione è una realtà della nostra vita.

D. - Per il Paese e anche per la Chiesa della Colombia cosa ha significato questo accordo di pace?

R. - Siamo arrivati all’accordo dopo tanti anni – più di quattro – di trattative tra il governo e la guerriglia più antica del continente. Per tale motivo, è vero, ci sono delle cose troppo difficili da accettare, ma è meglio questo che continuare una lotta che ci ha lasciato più di otto milioni di vittime. Non si può continuare così. Tanti sono rimasti colpiti e non sono d’accordo con l’accordo, ma è meglio questo che continuare una lotta senza senso che ha lasciato delle ferite profonde, soprattutto nella povera gente.

D. – Com’è cambiato il Paese in oltre 50 anni di guerra?

R. - A Bogotà e nelle grandi città non si sente il conflitto armato, ma nelle province c’è una situazione molto difficile proprio per la gente più povera, per gli indigeni, per i contadini.

D. - Che cosa manca per una vera riconciliazione del Paese? Abbiamo parlato dell’accordo con le Farc, ma ci sono altri gruppi ribelli…

R. - Penso che per una riconciliazione vera, ci sia bisogno della verità e anche di mettere nell’accordo altri gruppi della società. Tante gente, forse una maggioranza di colombiani, non era d’accordo con queste trattative, non ha conosciuto queste trattative tra il governo e la guerriglia e per questo - quando l’accordo è stato reso noto - la gente ha detto: “Noi non lo conosciamo questo, non siamo d’accordo”. La Chiesa allora ha esortato ad avvicinarsi, a dare ognuno il meglio di sé perché la Colombia possa essere in pace e riconciliata. In questo momento, per esempio, la guerriglia delle Farc e la guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) si trovano insieme all’Avana per vedere come governo e Farc siano arrivati all’accordo: può essere un punto di riferimento per l’Esercito di liberazione nazionale.

D. - A settembre la visita del Papa, che più volte ha espresso vicinanza al Paese nel processo di pace e non solo: ricordiamo la preghiera per le vittime della recente valanga di fango a Mocoa. Che significato avrà la visita di Francesco?

R. - È molto importante. Il Papa può parlare con i colombiani, nella nostra lingua, può guardarci negli occhi, perché lui conosce molto bene la nostra realtà, può chiamare tutti i colombiani ad essere fratelli, per la costruzione di una pace stabile e duratura.

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Pasqua in India: la Chiesa tra gli ultimi e gli scartati

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La Pasqua in India. In questo Paese la Chiesa è in prima linea per aiutare gli ultimi e gli scartati. L'India è il Paese più popolato dopo la Cina, con oltre 1 miliardo e 300 milioni di abitanti. Oltre un terzo sono in condizioni di estrema povertà, nonostante il grande sviluppo negli ultimi anni. Qui la comunità cristiana è una piccola minoranza, poco più del 2%. Roberta Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Mumbay padre Vijaya Kumar Rayarala, superiore regionale del Pime in India.  

R. - La Pasqua per i cristiani è sempre un momento di testimonianza dell’amore nei confronti dell’odio, quindi anche i cristiani in India vivono questa testimonianza dell’amore, di come Gesù è vissuto ed è morto sulla Croce e ha riconciliato il mondo. I nostri cristiani in India naturalmente cercano di mettere in pratica questi grandi sentimenti di Gesù nella loro vita e si adattano alle tradizioni indiane perché la maggior parte proviene dalla tradizione indù. Inoltre, vivono in mezzo alle comunità induiste, quindi ci sono alcune abitudini, costumi tradizionali indiani che vengono accolti anche dalla tradizione cristiana. Questo per noi è un bel segno. Per esempio, durante la Quaresima molti cristiani fanno un tipo di pellegrinaggio. Il simbolo di questo cammino è indossare una collana benedetta dal parroco e quando mettono questa collana durante la Quaresima rinunciano alle abitudini cattive, ad esempio chi fuma rinuncia a fumare, chi beve rinuncia a bere. Mentre camminano per la strada si tolgono anche le ciabatte, i sandali e camminano per questi 40 giorni a piedi nudi. Si vestono con una stoffa di colore arancione, simbolo di rinuncia a qualcosa di piacevole per loro per essere uniti a questo grande sacrificio, che verrà il Venerdì Santo. Infine, arrivano alla Pasqua, naturalmente, con una certa conversione della loro vita, per essere degni di celebrare la Risurrezione del Signore.

D. – Dunque, una comunità cristiana che vive bene la propria identità indiana, considerato che l’India appare come un Paese di contrasti, di contraddizioni. Quale ruolo gioca la Chiesa cattolica in questo tipo di società?

R. - La Chiesa cattolica fa parte della società marginale, cioè ‘scartata’, sempre cerca di aiutare tanti bambini che hanno bisogno di andare a scuola e di altri sostegni materiali perché abbiano una vita dignitosa nella società. Noi del Pime aiutiamo quasi 10 mila bambini all’anno. E anche tante altre congregazioni, tante altre società, settori della Chiesa cattolica cercano di stare vicino alle persone che hanno bisogno. E questo è proprio vedere Gesù sofferente nei volti di sofferenti. Noi facciamo tutto quello che è possibile tramite la nostra Chiesa indiana.

D. – I rapporti con le autorità dello Stato, con le autorità pubbliche, sono sempre buoni?

R. – Cerchiamo di tenere sempre buoni rapporti con l’autorità pubblica. A Pasqua e quando ci sono le festività maggiori, andiamo a fare gli auguri a loro e portiamo qualche segno di Pasqua e invitiamo, per alcuni festeggiamenti, dei ministri o qualche autorità civile, alcuni partecipano anche alle Messe di Pasqua. Questa è una cosa abbastanza bella da sottolineare perché la Pasqua è per noi sempre un ponte di amicizia, di rapporti umani e anche di dialogo interreligioso. Loro magari non credono però come segno di amicizia vengono a passare con noi qualche momento.

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Centrafrica. P. Trinchero: una Pasqua figlia dell'effetto Bergoglio

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Era il 29 novembre del 2015 e Papa Francesco apriva la Porta Santa della Cattedrale di Bangui, in Centrafrica, inaugurando di fatto l’Anno Santo della Misericordia in una terra che - disse il Pontefice - soffriva già da diversi anni “la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace”. Un conflitto, nato a fine 2012 col successivo rovesciamento dell’ex presidente François Bozizé e gli scontri tra gruppi armati Seleka e milizie anti-Balaka, che proprio dalla visita del Pontefice vive un momento di pausa, nonostante scontri armati ancora in corso in alcune zone del Paese. Proprio la celebrazione della Pasqua è un segno di continuità col passato, ma anche di cambiamento verso un futuro di pace, come testimonia padre Federico Trinchero, missionario carmelitano scalzo che opera al Convento di Nostra Signora del Monte Carmelo di Bangui, dal 2009 in Centrafrica. L’intervista è di Giada Aquilino

R. – Anche quest’anno abbiamo celebrato la Santa Pasqua e come sempre le celebrazioni sono molto partecipate, soprattutto nella capitale, dove di fatto da un anno e mezzo ci sono una certa tranquillità e una certa sicurezza. Quindi è stato possibile tenere le celebrazioni anche in orari diversi da quelli imposti dal coprifuoco negli anni scorsi. Poi la gente qui in Centrafrica, soprattutto nella capitale, ma anche nella provincia, partecipa a questi riti in modo molto sentito. Le chiese sono sempre strapiene di gente, soprattutto di giovani e di bambini. Lo si è visto già durante la Domenica delle Palme e ancora nelle altre celebrazioni della Pasqua e del Triduo Sacro.

D. - C’è stata una celebrazione, anche nei giorni scorsi, particolarmente significativa proprio per la situazione nel Paese?

R. - La celebrazione della Messa Crismale, che è stata celebrata mercoledì pomeriggio. È stato un momento molto intenso, perché è veramente una celebrazione di popolo, nella quale la gente vuole manifestare anche la propria gratitudine verso i sacerdoti. Nella cattedrale c’era il popolo di Dio e tutta la diocesi venuta per ringraziare i sacerdoti per il lavoro che svolgono. Bisogna tener conto che quello centrafricano è un clero molto giovane, anche se ridotto nei numeri, però la gente è riconoscente e sostiene molto l’opera dei sacerdoti anche perché, durante tutta questa guerra, i sacerdoti - religiosi, diocesani, autoctoni, missionari - hanno comunque dimostrato grande sollecitudine e solidarietà alla popolazione, spesso accogliendo profughi nelle loro parrocchie, nei conventi, nei seminari.

D. - Negli ultimi mesi è stato chiuso il campo sfollati di Mpoko, all’aeroporto di Bangui, e anche quello sorto al convento di Nostra Signora del Monte Carmelo. Che segnali sono questi per il Paese?

R. - Sono segnali molto positivi, anche se in città c’è ancora qualche piccolo gruppetto di profughi. Ci sono poi due segnali importanti. Uno positivo e uno negativo. Il segnale positivo è il ritorno in capitale di una etnia di Peuls, un gruppo di nomadi che si occupa soprattutto di allevamento, di religione musulmana. Tutto questo gruppo nel 2013 era letteralmente scomparso dalla capitale e da altre zone del Paese, per spostarsi anche all’estero. Proprio nelle ultime settimane sta ritornando e sono anche riprese delle attività di allevamento. Ho rivisto volti che pensavo proprio di non rivedere. Ci sono storie molto belle di amicizia. Si è ritornati come prima e si lavora insieme. Invece il segnale negativo è la presenza di tensioni nella zona settentrionale e orientale del Paese. Di fatto, non bisogna dimenticarlo, il 60 percento del Paese è ancora occupato, direi quasi ‘governato’, dalla Seleka o da gruppi che da essa sono nati. Questi gruppi fanno ancora delle azioni di disturbo e a volte scontri tra di loro.

D. - A novembre 2015 la visita di Papa Francesco. Cosa rimane di quel messaggio di pace portato dal Pontefice? Come sono risuonati i suoi appelli alla riconciliazione anche nel giorno di Pasqua?

R. - L’effetto delle visita di Papa Francesco nel novembre 2015 è stato a dir poco miracoloso. E certo, ogni tanto, quando c’è qualche problema, quando ritornano gli scontri, si dice: “Non dobbiamo sprecare il lavoro che abbiamo fatto fino a qui e non dobbiamo sprecare l’effetto Bergoglio”, cioè il sentimento di pace insperato generato da quella visita.

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Turchia: oggi il referendum sul presidenzialismo

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Turchia oggi al voto per il referendum sul presidenzialismo fortemente voluto da Recep Tayyp Erdogan, che in caso di successo potrebbe restare al potere fino al 2024. La riforma prevede la trasformazione del Paese in una repubblica presidenziale, che abolisce la figura del primo ministro e accentra sul capo dello Stato il potere di scogliere il parlamento e di nomina di importanti cariche giuridiche. Chiamati alle urne 55 milioni di cittadini per una consultazione il cui esito non appare scontato. Secondo i sondaggi il “si” è leggermente avanti e decisivo potrebbe essere il voto dei turchi all’estero, che stanno votando in massa. Per Erdogan il voto è “per il futuro della Turchia”, mentre sono contrari i kemalisti del Chp, che vuole mantenere il sistema parlamentare e il partito filo curdo Hdp, i cui rappresentanti di lista, secondo l’Osce, sono stati rimossi d’ufficio e non potranno assistere allo spoglio. Imponenti le misure di sicurezza, con 380 mila agenti sparsi in tutti il Paese, mentre negli ultimi tre giorni sono state arrestate 47 persone accusate di terrorismo e di legami con lo Stato Islamico. (M.R.)

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Corea del Sud: fallito un nuovo test missilistico

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La Corea del Nord ha tentato e fallito un nuovo test missilistico, lanciato dalla base di Simpo, sulla costa orientale del Paese. Un unico missile che è scoppiato poco dopo il lancio, in un’area già nota per altri episodi analoghi. E’ in corso di verifica da parte delle intelligence statunitensi e sudcoreane se il razzo abbia o meno portata intercontinentale. Il presidente americano Trump è stato avvertito dell’episodio e non ha rilasciato dichiarazioni. Intanto questa mattina è arrivato in Corea del Sud il vicepresidente Mike Pence, dove incontrerà il premier Hwang Kyo-ham, che svolge funzioni presidenziali dopo l’impeachment della presidente Park Guen-hye. Pence sarà in Asia dieci giorni e incontrerà i governi di cinque Paesi dell’area, proprio per discutere delle crescenti tensioni con la Corea del Nord. La situazione è stata discussa telefonicamente anche dal segretario di Stato Rex Tillerson e dal ministro degli Esteri cineseYang Jiechi. Il fallito test arriva il giorno dopo la grande parata militare che nella capitale Pyongyang ha ricordato la nascita di Kim Il-sung, fondatore del Paese e nonno dell’attuale leader Kim Jong-un. (M.R.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 106

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.