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Sommario del 17/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: gesti di solidarietà e accoglienza, alimentare il desiderio di pace

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“Gesti di solidarietà e accoglienza”. Li ha chiesti il Papa nel Regina Caeli per il Lunedi dell’Angelo, in cui la Chiesa ricorda l’annuncio della Resurrezione. Francesco ha affermato che siamo chiamati ad essere uomini e donne nuovi secondo lo Spirito. In un tweet, ha ricordato: "Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto". Alessandro Guarasci: 

Il Papa esorta i fedeli a “fare presto”, ad “andare” ad annunciare agli uomini e alle donne del nostro tempio il messaggio di speranza che la resurrezione  di  Gesù porta con sé. Dunque, “l’ultima parola non è più della morte, ma della vita!”. Francesco ricorda che “in forza di questo evento, che costituisce la vera e propria novità della storia e del cosmo, siamo chiamati ad essere uomini e donne nuovi secondo lo Spirito, affermando il valore della vita. C'è la vita, Questo è già incominciare a risorgere!”:

"Saremo uomini e donne di risurrezione, uomini e donne di vita, se, in mezzo alle vicende che travagliano il mondo - ce ne sono tante oggi -, in mezzo alla mondanità che allontana da Dio, sapremo porre gesti di solidarietà  e, gesti di accoglienza, alimentare il desiderio universale della pace e l’aspirazione ad un ambiente libero dal degrado". 

Il Papa nota che “si tratta di segni comuni e umani, ma che, sostenuti e animati dalla fede nel Signore Risorto, acquistano un’efficacia ben superiore alle nostre capacità”. E questo “perché – mette in luce ancora Francesco - Cristo è vivo e Cristo è operante nella storia per mezzo del suo Santo Spirito: riscatta le nostre miserie, raggiunge ogni cuore umano e ridona speranza a chiunque è oppresso e sofferente”:

"La Vergine Maria, testimone silenziosa della morte e della risurrezione del suo figlio Gesù, ci aiuti ad essere segni limpidi di Cristo risorto tra le vicende del mondo, perché quanti sono nella tribolazione e nelle difficoltà non rimangano vittime del pessimismo e della sconfitta, della rassegnazione, ma trovino in noi tanti fratelli e sorelle che offrono loro sostegno e consolazione"

Francesco quindi auspica che la “nostra Madre ci aiuti a credere fortemente nella risurrezione di Gesù, Gesù è risorto, è vivo qui, fra noi e questo è un mirabile mistero di salvezza, e nella sua capacità di trasformare i cuori e la vita. E interceda in modo particolare per le comunità cristiane perseguitate e oppresse che sono oggi in tante parti del mondo, chiamate a una più difficile e coraggiosa testimonianza”.

Anche oggi piazza San Pietro era piena di fedeli, gruppi parrocchiali, famiglie, associazioni arrivati da tutta Italia. A loro, il Papa ha chiesto di “cogliere ogni buona occasione per essere testimoni della pace del Signore risorto”. Ed ancora:

“Buona e Santa Pasqua a tutti! Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci”.

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I 90 anni di Benedetto XVI: un libro lo racconta attraverso le immagini

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Benedetto XVI ha compiuto 90 anni, ieri, proprio nel giorno di Pasqua. Tanti gli auguri che ha ricevuto. Ma i festeggiamenti sono stati spostati a oggi. Nel pomeriggio il Papa emerito riceve nella sua residenza in Vaticano, il Monastero Mater Ecclesiae, una piccola delegazione della sua terra natale, la Baviera. Un momento di festa semplice e familiare. Della testimonianza di fede e umanità di Josef Ratzinger parla un libro uscito in questi giorni, intitolato “Benedetto XVI, immagini di una vita”, edito dalla San Paolo e firmato dalla giornalista Maria Giuseppina Bonanno e dal responsabile dell’ufficio stampa della Fondazione Joseph Ratzinger, Luca Caruso. Al microfono di Alessandro Gisotti, Caruso si sofferma sull’idea di raccontare il Papa emerito attraverso le immagini: 

R. – L’idea nasce un po’ rifacendoci a un passo del Siracide: “Se trovi un saggio, va’ presto da lui, il tuo piede logori i gradini della sua soglia”. Il desiderio mio e di Maria Giuseppina Buonanno era quello di far conoscere in maniera semplice a chiunque voglia la vita di un grande testimone della fede di questo secolo. Questa narrazione nasce dall’incontro sinergico tra il testo e l’immagine: quello che uno legge nel racconto testuale lo vede a fianco tradotto in immagine.

D. – Nella prefazione padre Lombardi, presidente della Fondazione Ratzinger, scrive che "gli occhi di Benedetto XVI sono quelli di un uomo che cerca la verità e che la intuisce"...

R. - Questo è vero, è uno sguardo che va oltre che già pregusta la luce, il fulgore della Risurrezione! Joseph Ratzinger è nato di Sabato Santo ed è stato battezzato con quell’acqua: vive le difficoltà, le gioie i dolori di ogni giorno ma già pregusta qualcosa che va oltre, il fulgore della Risurrezione.

D. – Il capitolo conclusivo è dedicato al rapporto tra Papa Francesco e quello che da 4 anni è il Papa emerito. Anche qui tante immagini belle di questo rapporto inedito e soprattutto straordinario di fraternità tra Bergoglio e Ratzinger…

R.  – Sì, loro sono un modello di fraternità episcopale ma anche - in un periodo tormentato di guerra, di violenza - sono un modello splendido di amicizia, di fraternità per ogni uomo. Per Papa Francesco, Papa Benedetto è il "nonno saggio in casa" e Papa Benedetto è colpito dall’entusiasmo, dalla gioia, dall’allegria, dalla gioia della fede trasmessa da Papa Francesco.

D. – Nel libro è contenuto anche un breve testo di Georg Ratzinger, il fratello del Papa emerito che sottolinea come molte persone trovino nelle parole di Benedetto XVI "forza e orientamento". Abbiamo parlato molto di immagini ma certamente il tema della parola è fondamentale ed è un’eredità feconda e con un lungo ampio orizzonte nel caso di Joseph Ratzinger…

R. – Sì, Papa Benedetto è stato un grandissimo intellettuale, frutto della tradizione mitteleuropea più alta. E questa sua ricerca ininterrotta del volto di Dio attraverso lo studio della teologia è il suo patrimonio più grande che ha arricchito tutta la riflessione di chi lo ha ascoltato e continuerà a seminare frutti a lungo nella vita della Chiesa.

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Il messaggio di Fatima. Francesco e Giacinta Marto tra i 36 nuovi santi

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Giovedì prossimo in Vaticano Papa Francesco presiederà la celebrazione dell’Ora Terza e il Concistoro ordinario pubblico per la canonizzazione di 36 nuovi santi. Tra loro anche i fratelli Francesco e Giacinta Marto che insieme a Suor Lucia Dos Santos ebbero a Fatima le apparizioni della Vergine, di cui quest’anno cade il 100.mo anniversario. Per capire l’importanza della canonizzazione di questi due pastorelli Federico Piana ha intervistato Antonino Grasso, mariologo, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘San Luca’ di Catania ed esperto di Fatima: 

R. - E’ tutto collegato con il mistero e le apparizioni e il messaggio di Fatima. Quando i veggenti testimoniano con la loro vita che seguono le indicazioni del messaggio della Vergine e raggiungono le più alte vette della santità è chiaro che sono una testimonianza concreta della veridicità delle apparizioni che hanno affermato. Quindi è importante sotto questo aspetto la canonizzazione dei due pastorelli perché essi, ricevuto il messaggio della Vergine, lo hanno praticato nella loro brevissima vita, seguendo le indicazioni soprattutto della Vergine che indicava loro di pregare per la pace ma soprattutto di sacrificarsi per i peccatori.

D. - Questo fu chiesto direttamente dalla Madonna in un’apparizione…

R. - In una delle apparizioni la Vergine affermò che molte anime andavano all’inferno facendo vedere loro la drammaticità di quella realtà. E quindi i pastorelli offrirono la loro vita e tutti i loro sacrifici e le sofferenze delle loro malattie perché si salvassero il numero più alto di anime possibile. Quindi esse hanno testimoniato con la santità della loro vita la veridicità del messaggio e delle apparizioni della Vergine.

D. - Qual è la spiritualità di questi due pastorelli?

R. - Giacinta coltivava tre amori: l’Eucaristia, il cuore immacolato di Maria e il Santo Padre. Era molto volenterosa nel mortificarsi. Usò una corda cinta ai fianchi per penitenza fino a quando, temendo che fosse scoperta, pochi giorni dopo essersi ammalata, la consegno a Lucia che la bruciò. Si sedeva per terra o su una pietra e assorta cominciava a ripetere: “Quanto dispiacere ho per le anime che vanno all’inferno”. E per questo piangeva, pregava e si sacrificava continuamente per loro. Per i peccatori Giacinta accettò la malattia, gli alimenti e le medicine che tanto le ripugnavano, il sacrificio di separarsi dalla famiglia, di andare nei vari ospedali e perfino ciò che più la terrorizzava: l’idea di morire sola, cosa che di fatto avvenne. Francesco fu molto colpito spiritualmente dalla compassione per la sofferenza degli altri. Non di rado fu sorpreso dai cuginetti dietro a una parete o una siepe dove di nascosto si era rifugiato in ginocchio a pregare o a pensare a Gesù, triste, come diceva, a causa dei tanti peccati. E facendo preghiere e penitenze per la salvezza delle anime che offendono Dio Francesco si sentiva attratto dall’amore divino e sua grande preoccupazione era soprattutto quella di consolare nostro Signore. Possiamo quindi concludere come abbiamo affermato all’inizio che la santità dei due pastorelli è stata una conferma anche della vitalità salvifica e dell’attualità del messaggio loro trasmesso dalla Vergine.

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Mons. Paglia: Amoris laetitia accolta con entusiasmo dai fedeli

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E' trascorso un anno dalla pubblicazione dell'Amoris laetitia, l'Esortazione apostolica di Papa Francesco sulla pastorale familiare. In molte Chiese locali sono state avviate iniziative per riflettere sul testo e consentirne un'applicazione concreta. Per una valutazione sull'accoglienza che ha ricevuto il documento, Fabio Colagrande ha sentito l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere dell'Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: 

R. – C’è una grandissima recezione da parte del popolo di Dio, ovunque nel mondo. E’ un testo che viene accolto con entusiasmo, che la gente sente pieno di grande simpatia per le famiglie, anche di grande speranza. A un anno di distanza, i frutti sono notevoli ma ovviamente la complessità delle situazioni richiederà ancora applicazioni più legate ai diversi contesti culturali. C’è bisogno, per esempio – è una cosa che noto un po’ dovunque – di ripensare in maniera abbastanza profonda la preparazione al matrimonio e ancor più – e qui siamo davvero indietro – l’accompagnamento delle giovani coppie nei primi anni della loro esperienza matrimoniale e familiare.

D. – Ci sono elementi chiave di questo testo che secondo lei sono rimasti in secondo piano, rispetto al dibattito sul discernimento nelle situazioni irregolari?

R. – Sì, non c’è dubbio. La “Amoris laetitia” richiede un cambiamento di stile e di concezione della stessa Chiesa locale. La Chiesa essa stessa deve diventare familiare, deve affinare lo sguardo materno se vuole comprendere, accompagnare, discernere e integrare le famiglie. E qui c’è tantissimo ancora da fare. Ci troviamo di fronte a delle famiglie – in genere – poco ecclesiali e a delle comunità parrocchiali – in genere – poco familiari. C’è una sorta di nuova alleanza da ritrovare. La Chiesa di “Amoris laetitia” è una Chiesa che deve riscoprire appunto l’amore nella sua profondità. Una parte che spesso è poco frequentata ma è – penso – il pilastro di tutta l’Esortazione apostolica, è il capitolo 4, dove l’amore non risuona con corde romantiche – ‘due cuori, una capanna’ - ma l’amore, come il Papa lo descrive, è un amore che costruisce, che edifica, che è paziente, che perdona, che sopporta, che scusa e che spera anche contro ogni speranza. Ecco perché è un amore robusto e non un amore legato unicamente ai sentimenti: che è uno dei grandi equivoci della cultura contemporanea.

D. – Cosa rispondere a chi sottolinea invece i dubbi pastorali causati dal capitolo ottavo?

R. – Non c’è nessun dubbio sulla dottrina. C’è un ridare spazio ampio alla pastorale. Certo, questo richiede pastori che tornino a fare i pastori, cioè che sappiano – appunto – discernere, che sappiano accompagnare, che sappiano ascoltare e che sappiano via via integrare i fedeli – anche quelli più problematici – con la pazienza e la pedagogia di Dio, verso l’incorporazione a Gesù, al suo Corpo. E io ribadisco che il primo incontro con il Corpo di Cristo, in questo caso delle famiglie ferite, problematiche, avviene toccando la comunità cristiana, partecipando alla sua vita ed è di qui che poi si intraprende un nuovo cammino di crescita e di conversione. E qui c’è una responsabilità enorme. Potrei dire: i preti devono fare i preti, devono fare i padri spirituali e questo anche alcuni laici. Bisogna aiutare coloro che hanno difficoltà a rimettersi in piedi e a camminare con l’aiuto della grazia di Dio.

D. – In questo senso si capisce anche qual è il messaggio dell’“Amoris laetitia” in chiave di resurrezione pasquale …

R. – La resurrezione è un dinamismo d’integrazione al Cristo risorto che ci aiuta a guarire le ferite, a irrobustire il nostro cuore e il nostro spirito per andare incontro a chi ha più bisogno. Insomma, la resurrezione è la vittoria su ogni peccato, su ogni male. In questo senso, il messaggio di Cristo risorto è l’annuncio gioioso più forte che tutte le famiglie del mondo debbono ascoltare. E spetta a tutti i cristiani – pastori, laici, religiosi, sacerdoti e chiunque – di immettere la scintilla della resurrezione in tutte le situazioni: Gesù è venuto per salvare, non per condannare.

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Oggi in Primo Piano



Turchia, Erdogan vince il referendum. Più poteri al presidente

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Recep Tayyip Erdogan ha vinto il referendum costituzionale che concede maggiori poteri alla figura del presidente della Turchia, sebbene il Paese nei fatti è spaccato in due . Il 'si'' vince con circa il 51,2%, con un margine di circa 1,3 milioni di voti di scarto. L'opposizione denuncia brogli e chiede l’annullamento dell’esito della consultazione.  Reazioni negative dall’Europa, preoccupata anche per le aperture ad un possibile ritorno della pena di morte come annunciato dallo stesso Erdogan. Il servizio di Marco Guerra

I risultati definitivi arriveranno tra 10 – 11 giorni precisa la commissione elettorale, ma in Turchia emergono già alcuni dati essenziali. Ovvero che il Paese è spaccato in due, con le grandi città contrarie al cosiddetto super-presidenzialismo proposto da Erdogan: a Istanbul e nella capitale Ankara il ‘no’ è sopra il 51%, mentre a Smirne, terza città del Paese e storica roccaforte laica, sfiora il 70%. Anche le aree a maggioranza curda si sono espresse contro la riforma costituzionale, mentre la spinta decisiva per il ‘sì’ è arrivata dall’Anatolia profonda, rurale, e dal voto delle comunità turche all’estero.  

L'Osce parla di un voto referendario in Turchia "non e' stato all'altezza" degli standard internazionali. Le opposizioni contestano il risultato, in particolare la decisione della Commissione elettorale suprema (Ysk) di conteggiare anche le schede senza il suo timbro ufficiale, una disposizione che però era già stata seguita in altre consultazioni. Il Chp, il principale partito di opposizione, chiede l’annullamento del referendum.

Erdogan ha parlato di vittoria storica e ha intimato i Paesi stranieri a rispettarla nel suo primo discorso dopo il referendum. Poi, arringando la folla di sostenitori radunatasi ad Ankara, il presidente turco ha promesso di discutere con gli altri leader politici la reintroduzione della pena di morte in Turchia, che potrebbe essere oggetto di un nuovo referendum.

In Europa, il ministro degli Esteri austriaco ha chiesto di interrompere le trattative per l'ingresso di Ankara nella Ue. Di colpo alla democrazia parlano diversi deputati del Parlamento Europeo e chiedono di sospendere la membership con la Turchia. La Francia critica l’apertura alla pena capitale  che costituirebbe "una rottura con i valori" dell'Ue. Più cauta la Germania. La cancelliera Merkel riconosce il referendum ma invita Erdogan ad un “dialogo rispettoso” con l'opposizione, sottolineato che lo stretto margine con cui ha vinto il ‘sì’ "dimostra come la società turca sia profondamente divisa".

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Siria: attacco agli sfollati ad Aleppo. Bilancio sale a 126 morti

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È salito a 126 morti il bilancio dell’attentato che sabato ha colpito un convoglio di pullman che stava evacuando profughi, in gran parte sciiti, in fuga dalla città siriana di Aleppo. La fortissima esplosione ha ucciso almeno 68 bambini e 13 donne. Colpisce l’efferatezza dell’attacco, che secondo le ricostruzione sarebbe stato condotto da un pick-up bomba guidato da un attentatore suicida che si è scagliato contro un assembramento di civili che stavano ricevendo viveri e aiuti umanitari.

Per soccorrere i numerosi feriti sono state usate anche ambulanze messe a disposizione per completare l'evacuazione dalle varie città assediate, tra cui mezzi di soccorso affidati all'ala siriana di al Qaida, che è parte integrante dell'accordo raggiunto con gli Hezbollah e con la mediazione di Iran e Qatar.

Le operazioni di evacuazione dei civili sono riprese oggi: almeno 3000 siriani saranno trasferiti da Foua e Kfarya, mentre altri 200, in maggioranza combattenti, saranno evacuati da Zabadani e Madaya.

 

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Migranti, card. Montenegro: l'Europa continua a chiudersi

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Più di 1700 migranti sono sbarcati o stanno per sbarcare in Sicilia, soccorsi ieri in diverse operazioni di recupero nel canale di Sicilia e davanti alle coste libiche. Tra loro anche numerosi minori non accompagnati. Almeno 8 i morti, e alcuni migranti presentano segni di tortura e delle sofferenze subite in Libia o durante il tragitto. Ma di fronte a queste notizie, quali sono i sentimenti dell'arcivescovo di Agrigento, il cardinale Francesco MontenegroAlessandro Guarasci lo ha sentito: 

R. - Di vergogna perché l’uomo dimostra di non avere il coraggio di guardare a determinate realtà e ad affrontarle; di sofferenza perché vedere che il povero è costretto a pagare la sua vita con la morte…Vorrei anche sentimenti di speranza che davvero qualcosa possa cambiare perché è impossibile andare avanti così, non possiamo, l’ho detto tante volte, misurare il tempo contando morti. Il mondo ha bisogno di quella Pasqua che significa vita e togliere le pietre dalle tombe, non mettere le pietre sulle tombe, ancora.

D. – Eminenza, l’Europa è alla finestra, ci sono stati degli accordi per esempio tra l’Italia e alcuni Paesi del Nordafrica per evitare nuove partenze, però il vecchio continente come si sta comportando secondo lei?

R. – Ma non credo che stia dimostrando segnali di cambiamento, di inversione di rotta. Sta continuando a parlare di muri, di chiudersi… Il problema dell’immigrazione è solo problema di sicurezza e l’Europa sta dimostrando la sua povertà. Questa grande Europa poi si è dimostrata piccola e il gigante Golia viene abbattuto e sarà abbattuto perché è impossibile che il mondo si debba misurare con i muscoli, soprattutto con chi è povero.

D. - Ci sono però movimenti populisti purtroppo in Europa che spingono per la costruzione di ulteriori muri: come poter convertire questi cuori, secondo lei?

R. – Io credo che dovremmo essere noi credenti a incominciare a prendere posizione capovolgendo quello che i forti e i potenti stanno dimostrando. Se noi col Vangelo in mano - io penso a noi cristiani - incominciamo davvero a vivere ciò che il Vangelo ci dice, tutti quelli che ieri sono stati a messa, se tutti col Vangelo in mano incominciamo a sentire ciò che il Signore Gesù ci chiede qualcosa cambierà. Ma in questo “tsunami” di morte alcune volte anche noi ci lasciamo travolgere: gli interessi personali prendono il sopravvento sul pensiero di Dio e questo non è possibile.

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Corea del Nord, Pence: "Finita la pazienza”. Seul dispiega lo scudo

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“E' finita l'ora della pazienza strategica”, gli Stati Uniti cercheranno di garantire la sicurezza nella zona della Corea del Sud “con mezzi pacifici, ma tutte le opzioni sono sul tavolo”. Così il vice presidente americano Mike Pence in visita presso la zona demilitarizzata tra Corea del Nord e del Sud, all’indomani del fallito test missilistico di Pyongyang, definito da Pence una “provocazione”.

Il numero due della Casa Bianca ha detto poi che Trump spera che la Cina userà le sue "leve straordinarie" per fare in modo che il regime di  Kim Jong-un abbandoni il suo programma missilistico e nucleare. Il vicepresidente Usa ha visitato una base militare vicino alla Zona demilitarizzata coreana (Dmz), una striscia di terra 'cuscinetto' istituita nel 1953 in accordo con le Nazioni Unite che attraversa la penisola coreana per i 250 km del confine tra il Nord e il Sud. Subito dopo, in una conferenza stampa con Pence, il premier sudcoreano Hwang Kyo-ham, che svolge funzioni presidenziali dopo l’impeachment della presidente Park Guen-hye, ha annunciato che Seul e Washington hanno deciso di anticipare il dispiego dello scudo antimissile Thaad.

Intanto il premier giapponese Shinzo Abe sottolinea l'esigenza di anteporre le trattative diplomatiche prima di pensare a ricorrere all'uso della forza. Davanti alla Commissione parlamentare della Dieta Abe ha ricordato che "malgrado Pyongyang abbia scelto di mostrare i muscoli è importante continuare a proteggere la pace tramite gli sforzi diplomatici e aumentare le sollecitazioni per un maggior dialogo".

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Pasqua in carcere per Asia Bibi: il suo appello a Papa Francesco

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Asia Bibi, la donna cristiana pakistana accusata di blasfemia e condannata a morte, ha trascorso anche questa Pasqua nel carcere di Multan. Al suo tutore Joseph Nadeem ha affidato una preghiera accorata in cui risuona forte un appello a Papa Francesco. Intanto in Pakistan si allunga la lista delle condanne di chi è accusato di offendere Maometto, ma il governo di Sharif prosegue nella volontà di una revisione della legge sulla blasfemia. Cecilia Seppia 

“Ti prego Gesù di donarmi la libertà, spezza le mie catene, fa’ che il mio cuore possa librarsi al di là di queste sbarre”. E’ un passaggio della preghiera scritta da Asia Bibi, dal carcere di Multan dove è rinchiusa da otto anni per l’accusa di blasfemia. Nella sua cella, giovedì scorso, ha celebrato la Pasqua in compagnia di suo marito Ashiq e del tutore della sua famiglia, Joseph Nadeem: una cena frugale, lo scambio di auguri e poi Asia ha voluto scrivere la sua supplica a Dio su un pezzo di carta dove invoca la resurrezione e chiede al Padre di rimuovere gli ostacoli, alleviando le sue sofferenze indicibili. Poi prega di nuovo, come aveva fatto già a Natale, per i suoi nemici e perdona coloro che le hanno fatto del male. Infine rivolge un appello al Papa chiedendogli di non dimenticarsi di pregare per lei. Paul Bhatti, ex ministro federale pakistano per l’Armonia Nazionale e fratello del ministro cattolico Shahbaz Bhatti ucciso nel 2011 da un estremista islamico:

“Questo, il Papa lo fa sempre, non solo per Asia Bibi ma per tutti i cristiani, anche per i musulmani che sono vittime di ingiustizia. Perché Papa Francesco più volte ha detto che la nostra fede onora la dignità dell’uomo. Quando un uomo soffre, per noi non conta che sia cristiano o musulmano; quello che conta è la giustizia per quell’uomo e la sua libertà. Per questo io credo che il Vaticano e il Santo Padre abbiano fatto il possibile: è sempre stato aperto al dialogo, lo ha promosso e appoggia anche noi, in tutti i sensi; e poi il Papa appoggia quelle persone, in maniera particolare i cristiani, che sono perseguitati per la loro fede”.

2.860 giorni in cella, alcuni in isolamento in attesa del giudizio finale della Corte Suprema pachistana che tra rinvii e dimissioni dei giudici sembra non arrivare più mentre la fondazione che cura il caso di Asia sta finendo i soldi per le spese legali. Ancora Paul Bhatti:

“Nessuno purtroppo può interferire finché la Corte non lo decide, anche se noi siamo convinti che prima o poi la decisione sarà favorevole. Purtroppo ci dispiace che è ancora in carcere e soffre ancora persino in questa Santa Pasqua. Questo caso si è complicato per vari motivi, nazionali, internazionali e di conseguenza lei non ha trovato giustizia. Ma noi siamo convinti che prima o poi la troverà”.

Intanto in Pakistan si allunga la lista delle esecuzioni extragiudiziali motivate da presunta blasfemia: 66 negli ultimi 27 anni. L’ultimo sconcertante episodio è avvento all’Università di Mardan dove, nei giorni scorsi, Mashal Khan, studente musulmano di giornalismo, è stato torturato e ucciso a colpi d’arma da fuoco da compagni che lo accusavano di aver offeso Maometto. Il governo del premier Nawaz Sharif, ha promesso una revisione della legge, tirata in ballo per risolvere le controversie private o per colpire le minoranze religiose ma nel frattempo continua a lanciare segnali contrastanti, ordinando di rimuovere i contenuti “blasfemi” su siti web e social media e di punire duramente chi pubblica tale materiale, siano aziende o privati. Sentiamo Bhatti:

“Purtroppo in Pakistan esiste ancora quella mentalità estrema, di chiusura e violazioni dei diritti umani. Questa restrizione sui media, su Youtube, su Internet, non è altro che un modo per portare il Pakistan indietro, da molti anni… La gente però capisce questo. Alcune cose si dicono, poi si fanno ma il governo attualmente sta affrontando una serie di problemi di stabilità, di continuità perciò ci sono alcune cose che non si riescono a capire. Ma questo è dovuto all’instabilità del potere”.

“Non è lontano il tempo in cui il Pakistan sarà riconosciuto come un Paese amico delle minoranze” ha detto Sharif, ribadendo che i credenti di tutte le religioni, dovrebbero avere pari diritti, e che il suo primo obiettivo è salvaguardare l’unità nazionale, ma intanto la legge sulla blasfemia continua a mietere vittime. L'augurio di Paul Bhatti:

“Io faccio tantissimi auguri ad Asia Bibi e a tutti quelli che sono stati perseguitati per la stessa situazione. Noi tutti crediamo che la nostra fede cattolica, cristiana considera che sia che siamo in Pakistan, in Africa o in qualunque altra parte, siamo una famiglia. E una famiglia, chiaramente, prima di tutto, si unisce in particolare in questo momento della nostra attesa di Pasqua. Inoltre lancia questo messaggio di pace perché il nostro obiettivo è che tutti quelli che sono nel mondo possano vivere in pace senza avere timore di un’altra religione, di un’altra persona e possono professare... Per noi non è importante che qualcuno sia cristiano o cattolico, è importante che sia libero di professare che non danneggi gli altri, che non minacci gli altri.

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Usa: terrore a Cleveland, uccide e posta video su Facebook

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Paura e sconcerto a Cleveland, negli Stati Uniti, dopo il video di un omicidio in strada postato su Facebook da un 37enne che sostiene di aver già ucciso altre 15 persone. La polizia sta cercando Steve Stephens, un afroamericano che sarebbe disperato per la fine di una relazione e per aver perso tutto quello che aveva al gioco. Le forze dell’ordine hanno invitato la popolazione a fare attenzione poiché il fuggitivo è considerato "armato e pericoloso" e in cerca di nuove vittime.

La vicenda interroga e sconvolge per l’uso sconsiderato che è stato fatto del noto social network. Stephens infatti aveva scritto sul suo account di Facebook, prima di commettere l’omicidio, che voleva uccidere e nel messaggio accusava la ex fidanzata delle atrocità che si apprestava a commettere. Qualche ora dopo il 37enne ha colpito una vittima a caso: un uomo di 74 anni, Robert Godwin, padre di nove figli e nonno di 14 nipoti, che ha avuto la sventura di incrociare il folle mentre passeggiava tranquillamente nel quartiere di Glenville. Il tutto è stato ripreso e poi postato su Facebook in un video intitolato 'Massacro del giorno di Pasqua'.

In altri video, Stephens ha sostenuto di aver commesso altri 15 omicidi e ha promesso di continuare a uccidere fino a quando non lo prenderanno. Tuttavia la Polizia, che lavora al caso coadiuvata dall’Fbi, ha detto che ma non vi è alcuna traccia di altre persone uccise.

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Centrafrica. Don Bondobo: cresce la pace nel Paese

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La situazione in Centrafrica è sempre precaria. La pace ancora fatica ad arrivare definitivamente, con sacche di violenza che persistono in alcune zone del Paese. I fedeli cattolici hanno comunque potuto celebrare la Pasqua in modo sereno e festoso. Ascoltiamo don Mathieu Bondobo, vicario generale dell’Arcidiocesi Bangui, al microfono di Sergio Centofanti

R. – La capitale Bangui è tranquilla, è in sicurezza. Però da alcune zone del Paese, ci arrivano notizie di gruppi ribelli che si scontrano, si combattono tra di loro. Tutto questo ha delle conseguenze sulle popolazioni che scappano, vanno nella foresta o in alcuni Paesi vicini come Sudan e Ciad per rifugiarsi.

D. - A Bangui come va la convivenza tra musulmani e cristiani?

R. - La convivenza tra musulami e cristiani procede passo dopo passo e ogni passo compiuto è un successo, perché per questa crisi che abbiamo avuto non si può trovare una soluzione così immediata e veloce, perché una soluzione di questo tipo non arriverebbe fino in fondo al problema. É per questo che il passo può essere lento, però un passo compiuto, a mio parere, è un passo compiuto bene. Questo è quello che stiamo facendo ora a Bangui. Ci sono delle zone dove era impossibile andare sia per i cristiani che per i musulmani. Ora questo non si verifica più, quindi questi, a mio parere, sono dei segni positivi di questa convivenza che piano piano sta ritrovando una situazione di normalità.

D. - C’è il pericolo che l’estremismo islamico penetri anche in Centrafrica?

R. – No, non c’è questo pericolo perché in Centrafrica nessuno è pronto a vivere di nuovo quello che abbiamo vissuto. Pian piano c’è anche questa presa di coscienza da parte della popolazione, perché, diciamo la verità, tante persone sono state manipolate, dicono di essere state ingannate e quindi questa presa di coscienza, per me, è la chiave per evitare ogni pericolo.

D. - Si vedono ancora gli effetti positivi della visita del Papa in Centrafrica?

R. - Gli effetti positivi continuano. Si parla ancora di questa visita del Santo Padre che è stata veramente una chiave che ci ha aperto una porta e tutti stiamo passando attraverso questa porta di speranza, di pace, di non violenza. Ci sono tanti lati positivi: ci sono incontri tra musulmani e cristiani,  poi c’è anche questo progetto del complesso pediatrico a Bangui, il villaggio di Papa Francesco, nella zona “Chilometro 5” c’è la possibilità di ricostruire la chiesa distrutta, di costruire anche una scuola che i bambini musulmani e quelli cristiani potranno frequentare, insieme ai professori, anche questi musulmani e cristiani. Ci sono delle belle prospettive per il futuro di questo Paese grazie a questo dono: la visita del Santo Padre.

D. - Come intendete vivere questo periodo pasquale?

R. - Questa Pasqua secondo me è un Pasqua missionaria. Io parto dal Vangelo stesso; è Gesù stesso che dice: “Andate a dire ai miei fratelli che io vi precedo in Galilea”. Cristo chiama fratelli i suoi discepoli che lo hanno abbandonato, che lo hanno tradito e rinnova loro la sua fiducia, questo è molto importante. Quindi anche noi, risorti con Cristo, siamo chiamati a vivere non solo per noi stessi questa gioia pasquale,  ma ad andare alle periferie  - come dice Papa Francesco  -, nelle zone dove manca la pace della Pasqua per annunciare questa Buona Notizia: Cristo è risorto e ci chiama fratelli. Quindi non ci sono più nemici: una Pasqua missionaria in Centrafrica.

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Vescovo Rouen: causa beatificazione di p. Hamel, segno di speranza

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E’ ancora grande a Rouen, in Francia, la gioia per la notizia data alla vigilia della Pasqua sull’avvio della causa di beatificazione di padre Jacques Hamel, il sacerdote ucciso lo scorso 26 luglio nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in un attentato di matrice islamista. Hélène Destombes ha sentito il vescovo di Rouen, Dominique Lebrun, che ha dato questo annuncio in Chiesa durante la Messa Crismale: 

R. – L’assemblée a été touché de ce choix ; on l’attendait, d’une certaine manière. …
L’assemblea è rimasta colpita per questa decisione, che però si aspettava. Avevo detto che sarebbe accaduto e ora vedo che ci sono delle reazioni che vanno oltre la comunità cristiana. La vicenda di padre Jacques Hamel continua a coinvolgere, non è stato dimenticato; anzi, a poco a poco diventa luce, speranza, e ne abbiamo tanto bisogno.

D. – Il dolore è sempre molto vivo per la sua morte …

R . – La douleur pour les plus proches, en particulier, je pense à sa famille et puis …
Il dolore è per i più vicini, in particolare penso alla sua famiglia e ai suoi parrocchiani che veramente gli erano molto legati. Ma c’è anche preoccupazione perché gli attentati continuano, come è successo recentemente in Svezia e in Egitto; queste manifestazioni di violenza sembrano non finire mai, in particolare contro i nostri fratelli cristiani. Penso ai copti in Egitto: ci sentiamo molto uniti a loro.

D. – Quali saranno i primi passi di questo processo di beatificazione?

R. – Donc, maintenant que le procès est ouvert, nous allons entrer dans la première …
Adesso che il processo è aperto entriamo nella prima grande fase, che è l’inchiesta diocesana: è la fase in cui raccogliamo tutti i documenti che saranno esaminati dai teologi, per quanto riguarda gli scritti di padre Jacques Hamel, tra cui le sue omelie … Poi c’è l’ascolto dei testimoni, i testimoni della sua morte e quelli della sua vita: la sua famiglia, gli altri preti, i parrocchiani … Alla fine di questa inchiesta diocesana redigeremo un rapporto che invieremo a Roma, con tutti gli allegati; sarà poi la Congregazione delle Cause dei Santi a scegliere un relatore che raccoglierà tutta la documentazione e la sottoporrà al Papa per la decisione finale sul riconoscimento del martirio di padre Jacques Hamel.

D. – L’annuncio dell’apertura del processo di beatificazione di padre Hamel è stato dato proprio in prossimità della Pasqua: un vero segno di speranza…

R. – Oui … j’ai été très touché de voir des pretres qui m’ont dit: “Ah, ça nous fait …
Sì, mi ha molto commosso sentire i preti che mi hanno detto: “Questa notizia mi fa proprio bene!”. Certo, la ferita rimane. I preti mi hanno detto: “Potevo essere io al posto suo …”: non è piccola questa ferita psicologica e spirituale. E allo stesso tempo, sono felici di avere questo compagno di strada, che era stato molto discreto, ma che ora è diventato un segno di speranza per tutti noi.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 107

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