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Sommario del 18/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Mons. Toso: ascoltare Francesco, nonviolenza unica via di convivenza

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All’Urbi et Orbi di Pasqua, Papa Francesco ha rinnovato un accorato appello per la pace, come unica via da seguire per risolvere i tanti conflitti nel mondo, in particolare nella martoriata Siria. Proprio sul tema della pace, viene pubblicato in questi giorni il volume “La nonviolenza stile di una nuova politica per la pace” (Ed. Frate Jacopa, Roma 2017), scritto da mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana e già segretario del dicastero per la Giustizia e la Pace. Al microfono di Alessandro Gisotti, mons. Toso sottolinea la necessità di dare forza alla nonviolenza in un mondo sfigurato dai conflitti: 

R. - Nell’attuale contesto di molteplici focolai di conflitti nelle varie parti del mondo e, soprattutto, di forte tensione fra Stati Uniti e Corea del Nord, diventa sempre più palese l’urgenza di trovare serie alternative a quella che potrebbe essere una terribile disgrazia per l’umanità, e cioè una guerra nucleare. Ci dovrà essere un impegno deciso da parte delle istituzioni internazionali. Torna qui attuale il tema della loro riforma come anche dell’innalzamento di una vera ed autentica Autorità politica mondiale, costituita democraticamente, dal basso, sulla base del principio di sussidiarietà. La costituzione di una tale Autorità - non superpotere - appare inevitabile: sia che si pensi a por fine allo scandalo intollerabile dell’estenuante corsa agli armamenti; sia che si decida un disarmo nucleare generale, avente per obiettivo la totale eliminazione delle armi nucleari; sia che si accetti, secondo il principio di sufficienza, l’idea di possedere solo le armi necessarie per la legittima difesa, ma che non siano nucleari; sia che si debba procedere alla protezione di popoli o gruppi oppressi. Ma assieme all’azione delle istituzioni pubbliche, nazionali o internazionali, dev’esserci anche quella delle istituzioni culturali e religiose.

D. - Una riflessione proprio su queste ultime…

R. - Quest’ultime, forse, in questi tempi, non si sono pienamente dedicate ad un compito strategico di sensibilizzazione e di educazione alla nonviolenza, com’era richiesto dall’aumento della violenza nel mondo. Forse, si è sottovalutata la crescita della violenza da parte delle istituzioni e nelle istituzioni politiche, oltre che nell’economia, nei mass media e nei social network. Un calo di attenzione sembra esserci stato anche nel mondo cattolico. Bene ha fatto, dunque, Papa Francesco a richiamare alla non violenza attiva e creativa. Il cristiano, davanti ad una situazione che sembra così tanto più grande della possibilità del singolo deve, anzitutto, riscoprire la propria vocazione, in Gesù Cristo, alla nonviolenza. E, in secondo luogo, impegnarsi, ovunque operi, nella realizzazione di uno sviluppo integrale, sociale, solidale, inclusivo, aperto alla trascendenza.

D. - Qual è secondo lei una via privilegiata in questa direzione?

R.- Via privilegiata, che irrobustisce la propria azione è, senz’altro, l’adesione a quei movimenti che combattono la violenza e investono sistematicamente sulla pratica della nonviolenza, che non è passività. Tutt’altro. Bensì, forza che contrasta il male e l’ingiustizia. L’impegno dei laici è quello di svuotare la violenza dall’interno a vari livelli: psicologico-personale, etico e culturale, economico, sociale, politico e comunicativo. Non va dimenticato quanto ha suggerito, in particolare, Papa Francesco, e cioè la rifondazione della politica, partecipando ad essa con competenza, onestà e amore al bene comune.

D.- La "guerra mondiale a pezzi" di cui parla Papa Francesco sembra purtoppo sempre più una realtà. La voce dei popoli che soffrono sembra inascoltata. Qual è il ruolo specifico della Chiesa per favorire vie di pace?

R.- Per vocazione la Chiesa è chiamata, in quanto dedita all’annuncio e alla testimonianza di Cristo, ad essere causa esemplare della nonviolenza, costruttrice di pace, con i propri mezzi spirituali e culturali, proponendo in particolare, quale strategia di un’azione sociale giusta, inclusiva, le Beatitudini. Tra gli altri mezzi che la Chiesa ha a sua disposizione vi sono da annoverare l’accompagnamento dei credenti nella coltivazione della dimensione sociale della loro fede, la preparazione di nuove generazioni di cattolici in una politica alta, all’insegna della carità cristiana, capace di affrontare con visione e decisione la rimozione delle cause di povertà e di diseguaglianza, che sono fonte di violenza e di conflitti. Decisiva, a livello internazionale, è la presenza della Chiesa nelle istituzioni.

D.- Quanto è importante anche il compito di denuncia della Chiesa?

R.- Se compito essenziale della Chiesa è concorrere alla trasformazione delle persone, oltre che alla loro educazione, non va dimenticata la necessaria "denuncia" della pace falsa, della menzogna e dell’ingiustizia palese, come anche, ha ricordato con forza Papa Francesco, lo smascheramento della violenza, velata dietro le parvenze della legalità o della "ragion di Stato". Rientrano nell’insegnamento sociale della Chiesa l’invito a superare la semplice protesta, a praticare l’obiezione di coscienza che può essere civile o militare; la disobbedienza civile alle leggi ingiuste, la non cooperazione, col potere costituito, qualora gravemente offensivo della dignità della persona, la "lotta per la giustizia", la creazione, se è il caso, di un contropotere e di istituzioni parallele, l’uso della coercizione non violenta, - ossia senza impiego di mezzi di distruzione della vita degli uomini e delle cose -, la difesa civile nonviolenta.

D.- La nonviolenza richiama anche il tema della "cultura dell'incontro". Qual è secondo lei il contributo in questo senso che sta dando Papa Francesco anche con i suoi viaggi apostolici, pensiamo al prossimo in Egitto?

R. - La "cultura dell’incontro" è fondamentale per battere l’odio, la diffidenza, la violenza, per realizzare il bene comune. Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium propone di coltivarla su più livelli: quello degli Stati, delle società e con altri credenti che non fanno parte della Chiesa. Confermando il suo prossimo viaggio in Egitto, terra tormentata e straziata da attentati, come l’ultimo compiuto contro i cristiani Copti, Papa Francesco, desidera, per primo, di dare l’esempio, mettendo in pratica il suo stesso insegnamento. Chi crede in Gesù Cristo, il nonviolento per eccellenza, non esita a percorrere la sua via. Il pontefice non vuole essere da meno del Maestro. Pertanto, coraggiosamente, non rinuncia a portare la pace di Cristo in quella terra martoriata.

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Benedetto XVI: grato a Dio e alla Baviera per i miei 90 anni

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“Il mio cuore è pieno di gratitudine per i 90 anni che il Buon Dio mi ha donato”. Così il Papa emerito Benedetto XVI che ieri, all’esterno del Monastero Mater Ecclesiae nei Giardini Vaticani, ha festeggiato in un clima familiare i suoi 90 anni, compiuti domenica scorsa. Fra i partecipanti, suo fratello Georg, il governatore della Baviera, Horst Seehofer, il prefetto della Casa Pontificia e suo segretario particolare, mons. Georg Gänswein, e una trentina di Gebirgsschützen, i tradizionali fucilieri di montagna bavaresi. Era presente anche il nostro collega della redazione tedesca, Mario Galgano che ha raccolto l'intervento di saluto di Benedetto XVI ai partecipanti alla festa. Sentiamolo nel servizio di Debora Donnini

“Mein Herz ist erfüllt von Dankbarkeit für die 90 Jahre, die der Liebe Gott mir geschenkt hat…
Il mio cuore è pieno di gratitudine per i 90 anni che il Buon Dio mi ha donato. Ci sono state prove e tempi difficili, ma sempre Lui mi ha guidato e me ne ha tirato fuori, in modo che io potessi continuare il mio cammino e sono pieno di gratitudine soprattutto perché mi ha donato una così bella patria che ora voi (i Gebirgsschützen, fucilieri di montagna bavaresi) portate da me. La Baviera è bella dalla sua Creazione. Il Paese è bello per i suoi campanili, le case con i balconi pieni di fiori, le persone che sono buone. E’ bello, in Baviera, perché si conosce Dio e si sa che è Lui che ha creato il mondo e che questo è bene quando noi lo costruiamo insieme a Lui. Vi ringrazio tanto per aver portato la Baviera qui, quella Baviera aperta al mondo, vivace, felice, che può essere tale perché le sue radici affondano nella fede”.

Quindi Benedetto XVI ha proseguito il suo saluto ringraziando i presenti:

“Euch allen vergelt's Gott, vom Ministerpräsidenten angefangen bis zu euch allen…
A voi tutti un Vergelt’s Gott (Dio ve ne renda merito), a partire dal governatore della Baviera e a voi tutti. Sono contento che abbiamo potuto riunirci sotto questo bel cielo azzurro romano, che con le sue nuvole bianche ricorda la bandiera bianco-azzurra della Baviera – è sempre lo stesso cielo … Vi auguro la benedizione di Dio. Portate i miei saluti a casa, la mia gratitudine a voi e con quanto piacere, nel mio cuore, continuo a passeggiare e a vivere nei nostri paesaggi e spero, che tutto rimanga così. Vergelt’s Gott”.

Un momento di festa e di gioia, dunque, rallegrato da qualche boccale di birra, da alcuni doni provenienti dalla Baviera e dalla musica bavarese, suonata per il Papa emerito da una piccola banda.

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Tweet Papa: leggere brano del Vangelo sulla Risurrezione di Cristo

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“In questa settimana di Pasqua ci farà bene leggere ogni giorno un brano del Vangelo in cui si parla della Risurrezione di Cristo”. E’ il tweet di Papa Francesco pubblicato oggi sul suo account Twitter @Pontifex seguito da oltre 33 milioni di follower, in 9 lingue.

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Le nomine di Papa Francesco

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Le nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Oggi in Primo Piano



Minacce di guerra tra Usa e Nord Corea. Giappone auspica negoziati

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Continua a rimanere alta la tensione tra Corea del Nord e Stati Uniti dopo il fallito test missilistico dei giorni scorsi e la visita del vice presidente americano Mike Pence a Seul. Pyongyang evoca lo spettro della guerra nucleare, mentre gli Usa valutano ogni opzione. Il servizio di Michele Raviart

“Una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento nella penisola coreana”, ha dichiarato ai giornalisti l’ambasciatore della Corea del Nord alle Nazioni Unite, mentre il vice ministro degli Esteri nordcoreano ha detto di essere pronti “ad una guerra totale se gli Usa saranno così sconsiderati da usare mezzi  militari”. In questo clima, suggellato dall’invito di Trump a “comportarsi bene” rivolto al leader nordcoreano Kim Jong-Un continua la visita del vicepresidente Mike Pence in Corea del Sud. “E' finita l'ora della pazienza strategica”, gli Stati Uniti cercheranno di garantire la sicurezza nella zona “con mezzi pacifici, ma tutte le opzioni sono sul tavolo”, ha detto visitando la zona demilitarizzata al confine tra le due Coree. Intanto, mentre Washington e Seul hanno deciso di anticipare il dispiego dello scudo antimissile Thaad, ha parlato anche il premier giapponese Shinzo Abe, che sarà incontrato in questi giorni da Pence. Abe ha sottolineato l'esigenza di anteporre le trattative diplomatiche prima di pensare a ricorrere all'uso della forza.

Ma c’è ancora spazio per un negoziato traStati Uniti e Corea del Nord? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Luciano Bozzo, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Firenze: 

R. – Sì, spazio c’è ancora perché evidentemente un eventuale guerra non è sicuramente nell’interesse cinese e certamente non nell’interesse della Corea del Sud e neppure del Giappone. La situazione indubbiamente è tesa perché sia da parte nordcoreana sia da parte degli Stati Uniti si sono adottate delle posizioni rigide ed è difficile in questo momento deviare rispetto alla rotta intrapresa, senza perdere la faccia di fronte alla propria cittadinanza.

D. – Già in passato Pyongyang ha fatto leva sul discorso del nucleare per poi puntare ad avere aiuti umanitari: di fatto, è un Paese in grossa difficoltà. La situazione, secondo lei, anche questa volta potrebbe essere risolta in questo modo?

R. – La Corea del Nord ha optato per la scelta nucleare al fine di ottenere dei vantaggi sul tavolo negoziale; lo ha fatto anche per ragioni di prestigio internazionale e anche per mettersi possibilmente al riparo da attacchi esterni che potessero, appunto, portare a un “regime change”, per cui una grande potenza esterna – gli Stati Uniti – oserebbe intervenire come per esempio ha fatto in Iraq, di fronte a un avversario dotato di armi nucleari, per ovvi motivi. Però, probabilmente, oggi la situazione è mutata e per il regime nordcoreano ormai si è raggiunto un punto in cui è difficile tornare indietro e probabilmente si perseguono anche scopi più ambiziosi, volendo svolgere un ruolo di potenza – diciamo così – “regionale”.

D. – Protagonista indiretto di questa crisi è anche la Cina. Quanto la Cina è oggi coinvolta con il regime nordcoreano?

R. – La posizione della Cina è particolarmente interessante e direi anche critica, oggi. I cinesi, naturalmente, hanno nella Corea del Nord un alleato e la Corea del Nord ha sempre trovato nella Repubblica popolare cinese il proprio puntello alla sopravvivenza; d’altra parte, però, la Cina è preoccupata dal degenerare di una situazione che potrebbe coinvolgerla in un conflitto militare dalle prospettive “oscure”. Sicuramente la Repubblica popolare cinese è preoccupata da una possibile evoluzione che potrebbe vedere il crollo del regime nordcoreano e quindi una riunificazione del Paese sotto la bandiera della Repubblica coreana, un avvicinarsi non soltanto di un alleato degli Stati Uniti ma delle truppe americane al proprio territorio nazionale, e vedrebbe queste truppe arrivare in realtà ai confini del proprio territorio nazionale. Quindi, la Corea del Nord per la Cina rappresenta un problema in quanto – appunto – potrebbe trascinarla in un conflitto non voluto; d’altra parte, però, la Cina non può neppure permettersi di abbandonare un alleato, il che mette il Paese in una situazione critica: sostenere il regime nordcoreano per non far sì che esso crolli e, al tempo stesso però, far pressione sul regime affinché non si giunga a un confronto militare. Una posizione ambigua, non facilmente gestibile perché su essa poi si innesta il problema del rapporto con gli Stati Uniti …

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Erdogan 'superpresidente'. Trump si congratula, Osce boccia il voto

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In Turchia, il presidente Erdogan - vittorioso nel referendum di domenica scorsa che amplia i suoi poteri - incassa le congratulazioni della Casa Bianca. Ma questo non placa le polemiche sui presunti brogli e le opposizioni chiedono di annullare il voto referendario. Ma quali cambiamenti costituzionali, introduce la riforma, voluta dal capo di Stato in carica, che muta la Turchia da Repubblica parlamentare a Repubblica presidenziale? Il servizio di Roberta Gisotti

Non ha atteso il presidente Usa Trump - come era stato prima annunciato - il resoconto degli osservatori internazionali dell’Osce, per telefonare ieri sera al suo omologo turco e congratularsi della vittoria dei sì, pure di stretta misura con il 51,4%, al referendum costituzionale che lo incorona ‘super-presidente’ della Turchia. Si è vantato Erdogan - arringando la folla dei sostenitori ad Ankara - di aver combattuto “le nazioni potenti del mondo”, che lo avrebbero attaccato con “una mentalità da crociati”. Poi la decisione in serata di prorogare di tre mesi lo stato di emergenza, in vigore dal tentato colpo di Stato il 15 luglio scorso e in scadenza questa settimana, e che ora toccherà al Parlamento ratificare. Intanto infuriano le polemiche sulla regolarità del voto referendario. Per gli esperti dell’Osce "non è stato all’altezza degli standard del Consiglio d’Europa" - circa 2 milioni e mezzo le schede sospette - avvalorando le denunce delle opposizioni, che chiedono di annullare la consultazione. E, crescono le voci nelle cancellerie europee per uno stop anche formale alle trattative in corso per l’ingresso di Ankara nell’Ue. 

Ma quali sono i punti della riforma costituzionale, contestati e temuti per una possibile svolta autoritaria? Anzitutto un parlamento indebolito che potrebbe minare il bilanciamento dei tre poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, tutto a favore del capo di Stato, che oggi riveste un ruolo di garante formale dell’unità del Paese e che invece passa a guidare l’esecutivo, può nominare e licenziare ministri, emettere decreti sulla maggior parte delle questioni in capo al governo, nominare i vertiti dell’esercito e dei servizi segreti, i rettori delle università, i dirigenti della Pubblica amministrazione e alcuni vertici di istituzioni giudiziarie.

Erdogan da molti appellato con aggettivi forti per il suo temperamento decisionista, è stato sindaco di Istanbul dal ’94 al ’98, poi primo ministro per tre mandati dal 2003 al 2014, e in quello stesso anno è stato il primo presidente eletto direttamente dai cittadini anziché dal parlamento, con la possibilità di due mandati, fino al 2024. Ma con la sua riforma costituzionale, alle prossime elezione nel 2019, potrebbe essere rieletto presidente per altri due mandati fino al 2029. Una prospettiva che spaventa molti, in Turchia, in Europa e nel mondo.

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Migranti, ancora sbarchi. Don La Magra: chi salva è angelo in mare

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E’ arrivata a Vibo Valentia, in Calabria, una nave con a bordo circa 1.800 migranti, perlopiù minori non accompagnati e donne in stato di gravidanza. Sono di provenienza subsahariana e fanno parte del gruppo di circa novemila persone soccorse nei giorni scorsi al largo delle coste libiche e del canale di Sicilia. Per domani è atteso l’arrivo di altre 400 persone a Salerno. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Novemila in due giorni, sono le persone salvate nel Mediterraneo, dirette verso le coste italiane a bordo delle solite navi di fortuna. Arrivano dalla Nigeria, dal Senegal, da altri Paesi dell’Africa subsahariana, sono donne, bambini, anche di soli pochi mesi, uomini, se così si vogliono definire ragazzi poco più che ventenni. A Lampedusa il centro accoglienza è di nuovo al collasso, circa 400 i posti previsti, quasi mille le persone presenti in questo momento. La riflessione di Don Carmelo La Magra da ottobre è il nuovo parroco dell’isola:

“I migranti conoscono la comunità parrocchiale come un luogo di rifugio, quando riescono a uscire dal centro vengono qui anche solo per pregare o chiedere qualcosa di cui hanno bisogno. La gente è sempre molto sollecita, anche se spesso non riesce a fare tutto il necessario per un numero così grande di persone. La popolazione di Lampedusa è anche preoccupata nel vedere sempre bambini, donne, giovani uomini, vittime di violenze. Quando arrivano qui a Lampedusa raccontano le violenze subite in Libia, le torture, la detenzione, i soldi che vengono chiesti fino allo sfinimento, e la popolazione di Lampedusa assiste in prima linea a tutto questo, c’è molta preoccupazione anche per la sorte e la vita di queste persone. Spesso ci fanno vedere le ferite, le cicatrici, le bruciature, segno di queste torture che quasi tutti gli uomini subiscono, la gravidanza delle donne è spesso simbolo poi di un’altra violenza subita, anche donne molto giovani. Quindi, ormai, la Libia per loro non è un Paese sicuro e noi chiediamo che queste persone presenti in Libia vengano aiutate ad allontanarsi dalla Libia e non riportate lì come qualcuno magari pensa di fare. Riportare in Libia significa mettere muri, significa consegnare la gente a chi li ha torturati. A volte qualcuno riesce anche a farci arrivare delle foto dei luoghi di detenzione o dei posti di attesa che assomigliano molto ai lager nazisti”.

In Italia le polemiche in questo momento riguardano soprattutto il capitolo spese per soccorso e accoglienza contenute nel Def che, nel 2017, potrebbero salire fino a 4,6 miliardi di Euro. Un miliardo in più dell’anno scorso, cifra che ha suscitato le proteste della destra e della Lega. Intanto, mentre da una parte si chiede all’Europa di farsi carico degli arrivi dei migranti, un problema che non può essere affrontato solo dall’Italia, all'altra c’è anche chi chiede, all’Italia stessa, di revocare l’accordo con la Libia. Negli ultimi tempi, inoltre, si è molto discusso del ruolo delle organizzazioni impegnate nel salvataggio dei migranti ritenute da alcuni, seppur inconsapevolmente, fiancheggiatori dei trafficanti di uomini. Ancora don La Magra:

“Le organizzazioni umanitarie con le loro navi e la guardia costiera con la marina italiana sono quelli che più di tutti si spendono per salvare le vite. Già tante persone muoiono in mare, senza l’aiuto delle organizzazioni umanitarie certamente non  potrebbero diminuire le partenze, ma diminuirebbero gli arrivi di persone in vita. Sono angeli in mare che salvano vite umane ed è assurdo che si debba quasi giustificare e difendere da accuse chi salva le vite piuttosto che coloro che permettono che le persone muoiano. Venite a vedere a Lampedusa quello che non riescono a trasmettere i mezzi di comunicazione. Qui c’è una comunità che accoglie che condivide, a volte non può fare tanto a livello materiale, ma può stare vicino alle persone raccogliendo la sofferenza di moltissimi, tutti innocenti e, spesso, giovani; persone che cercano un futuro per loro e per le loro famiglie. Chiediamo che si cerchi di proteggere le persone più che proteggere i confini. Lo ribadiva anche il nostro vescovo: fino a quando l’Europa cercherà di mantenere la sicurezza non risolverà il problema”.

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Sud Sudan: uccisi tre operatori umanitari del Pam

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Tre operatori umanitari del Sud Sudan del Programma Alimentare Mondiale (Pam), la più grande organizzazione umanitaria di assistenza alimentare al mondo, sono stati uccisi la scorsa settimana mentre si recavano verso un magazzino dove lavoravano. Non è il primo episodio di violenza a scapito di operatori umanitari in Sud Sudan, territorio dilaniato da anni da conflitti interni. Giorgio Saracino ne ha parlato con Frances Kennedy, portavoce del Pam: 

R. – Il Programma Alimentare Mondiale è molto addolorato e scioccato per la morte di questi tre operatori nel Sud Sudan. Sono stati uccisi una settimana fa mentre stavano andando al loro luogo di lavoro. Aiutavano a fornire l'assistenza alimentare a tantissimi loro connazionali che ne hanno bisogno: siamo veramente molto rattristati dal fatto che questi operatori umanitari innocenti siano stati uccisi in modo molto brutale.

D. – Qual è la situazione attuale in un Sud Sudan dilaniato da anni da conflitti interni?

R. – La situazione varia a seconda delle diverse aree del Sud Sudan. Quello che sappiamo è che in quasi tutte le zone la situazione di quella che noi chiamiamo “food security”, la capacità delle persone di dare da mangiare ai loro figli e alle loro famiglie è scarsa, molto scarsa. Ci sono migliaia di sfollati, di persone che non hanno più accesso alla possibilità di avere allevamenti o di lavorare; e questa è un problema molto serio. Noi stiamo facendo tutto quello che possiamo per evitare che questo aumenti.

D. – Come interviene il Programma Alimentare Mondiale in questa regione dell’Africa?

R. – Quello che stiamo facendo è fare arrivare una squadra veloce – a volte in aereo – che possa identificare la situazione e fare arrivare il cibo il giorno dopo; assistenza umanitaria ed altro – anche per la salute, per l’acqua – per rifornire questo piccolo gruppo e poi andare: perché non si può lasciare a lungo termine, in questa situazione molto difficile, una presenza stabile. Quindi, questo è quello che noi chiamiamo accesso: accesso umanitario. È fondamentale che noi possiamo fare il nostro lavoro: arrivare alle persone più deboli, avvertire dove la fame dilaga sempre più. Nella capitale e dintorni stiamo fornendo aiuto anche con il denaro, non soltanto con il cibo. Abbiamo un’operazione logistica in atto, perché quando arrivano le piogge in Sudan del Sud tantissime zone non sono più accessibili via terra: solo via aerea. Quindi c’è la necessità di riposizionare oltre 100 mila tonnellate di cibo e prodotti nutrienti in 60 aree del Sud Sudan.

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Giordania: auguri di Pasqua del re Abdallah ai cristiani

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I giordani sono una “famiglia unita che partecipa attivamente alla costruzione del proprio Paese”. Con queste parole il primo ministro Hani Mulki ha portato gli auguri di Buona Pasqua del Re Abdallah di Giordania ai leader cristiani del Paese. L’incontro - riporta l’agenzia d’informazione giordana Petra - è avvenuto sabato nella sede della Chiesa ortodossa ad Amman. Ad accompagnare il premier giordano, diversi ministri e altre autorità. “Sotto la guida di Re Abdullah – ha detto – la Giordania è un Paese sicuro e stabile e i giordani, come una famiglia, cercano di raggiungere insieme i loro obiettivi di sviluppo socioeconomico, per rendere migliore il loro Paese e preservare i suoi successi”.

“Una vergogna” gli attentati contro i copti in Egitto
Mulki ha quindi espresso profondo rammarico per le vittime innocenti degli attentati della Domenica delle Palme contro i cristiani copti a Tanta e Alessandria, in Egitto. Attacchi che ha definito “una vergogna” e per i quali i responsabili saranno puniti.  

Orgogliosi dell’unità tra musulmani e cristiani in Giordania
Dello stesso tenore le parole del presidente del Senato, Faisal Al-Fayez. Durante l’incontro, Al Fayez ha detto che la Giordania è orgogliosa dell’unità tra musulmani e cristiani e ha affermato che il cristianesimo è una componente essenziale della società giordana. Anche lui ha quindi condannato i recenti attentati contro le chiese in Egitto e ha ribadito che il terrorismo non ha religione. Infine, ha espresso la solidarietà della Giordania a tutti i cristiani in Medio Oriente. (A cura di Alina Tufani)

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Rete ecumenica difende comunità sudamericane da industrie minerarie

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Centottantacinque vittime, tre persone uccise a settimana nel 2015. E’ il drammatico bilancio dei conflitti ancora in corso in America Latina tra le comunità locali e i grandi colossi del ferro che, spesso con la connivenza della politica, hanno sfruttato le miniere, deviato i corsi dei fiumi, costruito vicino le case altiforni senza alcun filtro per ridurre le emissioni. Al fianco delle comunità opera da anni “Iglesias y Mineria”, una rete ecumenica che offre sostegno e aiuto per la tutela dei loro diritti. Ce ne parla Benedetta Capelli

Non è solo la terra che, anni fa, le compagnie minerarie si prendevano per costruire i loro impianti. L’acqua usata per irrigare i campi veniva contaminata da sversamenti di liquidi con conseguenze nefaste per l’agricoltura della zona. Spesso anche l’aria si faceva irrespirabile e così si iniziava a morire. Un copione che in moltissime parti dell’America Latina si è ripetuto, mettendo in pericolo la vita delle comunità locali. Una violenza anche sul Creato che Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato si, ha esortato a rispettare, chiedendo di collaborare nella tutela della “casa comune”, contrastando le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei poveri e degli esclusi, lavorando per uno sviluppo integrale, inclusivo e sostenibile. Padre Dario Bossi è un missionario comboniano, da dieci anni in Brasile, responsabile della rete ecumenica “Iglesias y Mineria”:

“Sono conflitti che fanno violenza sui territori e sulle comunità e sono conflitti che si ripercuotono anche sulla sicurezza delle persone, dei leader locali che cercano di difendere i loro territori, si espongono e molte volte finiscono per essere uccisi. Il martirio di molti che difendevano i loro fiumi, le loro foreste, ci ha stimolato e provocato a mettere in piedi una rete per proteggerli. Oggi, soprattutto in America Latina, i conflitti socio-ambientali sono quelli che mietono più vittime, tra l’altro anche religiosi, a volte sacerdoti, suore o anche sindacalisti, professori, catechisti che cercano di difendere i loro territori. E, tra l’altro, è documentato che la maggioranza di queste vittime è esattamente quella che si oppone alle imprese minerarie. Quindi, è una sfida urgentissima molto attuale in cui la Chiesa deve mettersi in gioco e già lo fa, questa è la cosa bella”.

Nel 2015, in Vaticano, si tenne la Giornata di riflessione sul tema: “Uniti a Dio ascoltiamo un grido”. Almeno trenta rappresentanti di comunità colpite da attività minerarie provenienti da Asia, Africa e America fecero sentire la loro voce, il grido degli oppressi e della terra ma da allora solo poche cose sono cambiate. Ancora padre Bossi:

“Il modello economico che ancora vige nell’intera America Latina è il modello estrattivista: è un modello insostenibile, non ha futuro. Però, purtroppo, è il presente che la politica e l’economia hanno scelto oggi. E’ qualcosa che ci preoccupa molto perché passa sopra come un bulldozer alle comunità, ai loro diritti, alle loro stesse opinioni. Non c’è neppure la consulta delle comunità. La situazione non è cambiata, anzi secondo me è peggiorata. Quello che è migliorata è una capacità di organizzazione, di interazione tra le comunità e di costruzione di reti come la rete ‘Iglesias y Mineria’ e anche la nuova rete ecclesiale panamazzonica, che vuole difendere l’Amazzonia”.

Emblematica la vicenda della comunità brasiliana di Piquià del Baixo che ha vinto una causa contro gli impianti siderurgici della zona, ma che lotta per i risarcimenti e teme che il governo non rispetti la promessa di creare in un luogo più sicuro un nuovo villaggio:

“E’ una comunità su cui sono stati fatti parecchi studi, il più importante nel 2011, dalla Federazione internazionale dei diritti umani che ha dimostrato la gravità degli impianti. Più recentemente l’istituto dei tumori a Milano ha fatto uno studio in Piquià, in questa comunità, dimostrando che il 28 per cento dei suoi abitanti soffre problemi polmonari gravi, provocati dall’inquinamento. Quindi è una comunità che sta denunciando, che ancora soffre per l’inquinamento però che vede anche una via di uscita per il suo problema”.

Oggi il segreto è fare rete – confessa padre Bossi – perché solo insieme si può essere ascoltati:

“Insieme alla gente, camminando e cercando di capire, abbiamo compreso che forse la strategia più efficace per affrontare i problemi ambientali è quella di mettersi in rete, perché sono problemi che si scaricano in modo diverso, su diverse comunità; noi lavoriamo con comunità indigene, con comunità afrodiscendenti, con pescatori, con agricoltori, famigliari, con comunità di piccole periferie urbane. Quindi immaginatevi che sono situazioni anche molto diverse. Abbiamo compreso che quando queste diverse comunità si mettono assieme, si comprendono come vittime di un sistema e che questo sistema deve essere ripensato, come ben dice la Laudato si’, allora incominciamo ad avere forza perché abbiamo visibilità, intercambiamo strategie di azioni, abbiamo più solidità. Quindi credo che il segreto della rete, dell’ascolto dei piccoli che si mettono insieme, è stato quello che ci ha un po’ orientati in questo cammino. La gente dal basso può rifare la storia, essere ‘poeta sociale’, come diceva Papa Francesco”.

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Card. Maradiaga: tornare a Dio, basta corruzione in Honduras

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Porre fine alla violenza criminale e sconfiggere la corruzione in Honduras. È l’appello rivolto dal cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga nell’omelia della Messa del giorno di Pasqua celebrata nella cattedrale di Tegucigalpa. Il porporato – riporta il quotidiano La Prensa-  ha definito la violenza e la corruzione delle piaghe sempre più radicate nella società honduregna. “Non possiamo continuare a rimescolare sempre lo stesso marciume, non possiamo continuare nella violenza e nella corruzione”, ha detto alle centinaia di fedeli presenti alla celebrazione.

Cercare i beni del Cielo e non quelli di questo mondo
L’arcivescovo di Tegucigalpa li ha esortati a cercare solo i beni del Cielo e non quelli terreni,  “perché - ha detto - chi entra nella vita eterna non si porterà nulla di questo mondo”. La corruzione – ha poi sottolineato - è una delle cause della povertà in Honduras. E ancora una volta, il porporato ha esortato a tornare a Dio, perché altrimenti “si ritorna alla legge della giungla, all’odio, alla vendetta, alla morte”.

L’ultima parola non è il potere della morte ma quella del Dio della vita
“Cristo Risorto ha sconfitto la morte, il peccato e l’ingiustizia”, ha proseguito il cardinale Rodríguez Maradiaga, invitando i fedeli ad annunciare la Risurrezione. “L’ultima parola – ha detto - non è il potere della morte, del peccato, dell’egoismo, della corruzione, dell’esclusione, dell’annientamento dei poveri. È quella del Dio della vita, della misericordia, della speranza”.  “Il nostro compito – ha concluso - è di annunciare la luce nei luoghi dell’oscurità e Cristo Risorto lì dove sprofondano gli esclusi”. (A.T.)

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A Roma torna il "Villaggio per la Terra": al centro il dialogo

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Dal 21 al 25 aprile ritorna a Roma il Villaggio per la Terra: sulla terrazza del Pincio e al Galoppatoio di Villa Borghese, cinque giornate dedicate alla tutela del Pianeta. Tema centrale di quest’anno il dialogo interculturale. L’evento è organizzato dal Movimento dei Focolari e dall’associazione Earth Day Italia, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e prevede decine di tavole rotonde e focus su economia, educazione, scienza, arte, salute e sport, rapporti tra le religioni, testimonianze di impegno per la pace. Nella serata di sabato 22 aprile è in programma il “Concerto per la terra”. Adriana Masotti ha chiesto a Donato Falmi, uno dei responsabili del Movimento dei Focolari di Roma come mai per il secondo anno questo impegno condiviso tra i Focolari e l'associazione Earth Day Italia

R. – Intanto, sulla base dell’esperienza dell’anno scorso che è stata un po’ una sorpresa, sia per “Earth Day” che per i Movimenti Focolari: la sorpresa è stata di avere, comunque nella differenza delle nostre due associazioni, obiettivi molto simili, alla fine: l’obiettivo di far riscoprire alle persone il positivo, anche il positivo dei rapporti con l’ambiente che ci circonda. E quest’anno abbiamo aggiunto un obiettivo che ci sembra indispensabile in questo momento storico, quello di contribuire a riaffermare l’importanza della pace. La pace anche come la strada migliore per il rispetto della nostra terra.

D. – Al cuore dei tanti eventi organizzati nell’ambito del Villaggio, proprio il dialogo: il dialogo che trasforma i conflitti in opportunità, perché i conflitti ci sono …

R. – Sì: quello dei conflitti ci sembra un tema particolarmente importante. Come ci ha detto Papa Francesco e ci ricorda continuamente, i conflitti non vanno evitati, vanno affrontati per quello che sono, con realismo e con il coraggio di sapere che paradossalmente, proprio attraverso il conflitto si riesce a ottenere quell’armonia e quelle soluzioni che cerchiamo. Naturalmente, il conflitto va affrontato con l’atteggiamento del dialogo che è atteggiamento di ascolto, di valorizzazione di tutto il positivo che c’è nell’altro. Non a caso pensiamo che se c’è una "legge" in questo Villaggio, sia proprio quella che comunemente chiamiamo “la regola d’oro”, di fare all’altro quello che vorremmo fosse fatto a noi ed evitare di fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Ecco, questo ci sembra uno degli aspetti più rilevanti del dialogo.

D. – Il Papa è venuto proprio l’anno scorso, nella prima edizione di questo “Villaggio per la Terra”, e ha lanciato un invito: “Trasformate i deserti in foreste”. E’ passato un anno: immagino che si voglia proprio presentare anche le trasformazioni o almeno i processi messi in atto in questo senso …

R. – Sì: questa espressione di Papa Francesco ci sembra che abbia colto nel segno delle intenzioni che stanno alla base anche di questo evento e che stanno alla base anche del nostro agire. Questi deserti che sono anche molto vicini a noi: allora abbiamo cercato di proseguire anche quest’anno e gli abbiamo mandato una breve lettera di saluto e anche una lettera di conferma che non siamo rimasti fermi, siamo andati avanti sul fronte ad esempio della legalità e sul fronte dell’impegno nei confronti dell’azzardo; ma siamo andati avanti anche per sostenere persone – soprattutto minori – che vivono in disagio, e altro ancora. Proprio per cercare di dare un contenuto vero alla parola “pace”, perché la pace non sia soltanto un desiderio, ma qualcosa che riguarda la vita sociale di tutti i giorni. Senza dimenticare anche eventi catastrofici che ci hanno riguardato nei mesi scorsi, come il terremoto nelle province tra Lazio, Marche e Abbruzzo, creando proprio uno spazio più specifico che sia anche significativo della collaborazione che è iniziata con loro, per poter riprendere l’attività produttiva e per poter continuare anche la commercializzazione dei prodotti.

D. – Se dovesse richiamare l’attenzione su due dei tanti eventi in programma nei prossimi giorni al Villaggio per la Terra…?

R. – A me sembra si stia realizzando un interessante programma per i bambini, un villaggio nel villaggio. Parlo dei bambini perché tutto quanto noi stiamo dicendo è fondamentale che venga trasmesso alle nuove generazioni. L’altra cosa che vorrei sottolineare è poi anche l’attenzione che riserveremo, in una due giorni, all’economia: un’economia circolare, quindi un’economia del recupero, e anche un’economia responsabile e se possiamo dire di comunione, che è un’economia basata sull’etica dei rapporti e sull’etica delle produzioni.

Ma come si inserisce l'attenzione di Earth Day Italia per il Pianeta con il dialogo tra le culture? Ascoltiamo Pierluigi Sassi, presidente di Earth Day Italia

R. – Oggi più che mai è evidente il rapporto tra la questione ambientale e i disagi che questa comporta a livello climatico e anche nutrizionale per tante popolazioni, come da questo nasca l’enorme fenomeno degli eco-profughi e come questo si inserisca in un contesto di dialogo interculturale e interreligioso, spesso anche drammatico. Chiaramente, è nel dialogo che c’è la speranza di ricostruire quell’ecologia integrale alla quale Papa Francesco ci richiama con forza.

D. – Voi, attraverso tanti eventi, direte “no” ai muri e “no” allo sfruttamento indiscriminato e ingiusto delle risorse …

R. – Esatto. Quest’anno in particolare ricorre una delle date ufficiali per le celebrazioni dei 30 anni dell’“Erasmus”, e abbiamo voluto sottolineare come il sogno dei giovani europei, di fratellanza, di unità, non debba in alcun modo infrangersi contro i tanti muri che si alzano nel mondo. Come il Papa ha ricordato proprio nella celebrazione di Pasqua: “Non sono i muri che dobbiamo vedere, ma gli orizzonti che vanno oltre il muro”, e noi dedicheremo proprio il Concerto per la terra a questo meraviglioso titolo: “Over the Wall – mecenati della bellezza”, cioè  mostreremo ai nostri ragazzi che non ci sono solo persone che vogliono alzare muri, ma ci sono anche tanti testimoni ai quali dobbiamo ispirarci per costruire, tutti insieme, un futuro migliore.

D. – Parlare di clima in questo momento è difficile - è tornato difficile, dopo alcuni passi avanti - : mi riferisco in particolare alle decisioni di Donald Trump, di andare oltre i limiti, i paletti messi in precedenza. Come vedete voi questo momento e il futuro?

R. – Noi denunciamo con forza il comportamento irresponsabile dell’amministrazione americana che disinveste miliardi di Euro dalla questione ambientale dopo 23 anni di fatica per raggiungere il primo storico grande accordo internazionale sul clima, per investire le stesse identiche somme nelle armi. Ecco, questo è un comportamento – a nostro avviso – scellerato che purtroppo è foriero di gravissimi problemi a livello internazionale, e che soprattutto nega il futuro al nostro pianeta e alle future generazioni. Noi testimonieremo pacificamente in tutto il mondo, come “Earth Day”, come Giornata mondiale della terra, faremo una grande marcia per la scienza proprio perché le negazione scientifica dell’impronta umana sul cambiamento climatico è ormai anacronistica.

D. – Del Concerto già ha detto qualcosa; un altro momento importante che consiglierebbe ai romani e ai turisti all'interno del Villaggio per la Terra?…

R. – Ci sarà un grande concerto guidato da Fabrizio Frizzi nel quale si avvicenderanno artisti del calibro di Noemi, Ron, Soul System, Nero assoluto e anche con le prestazioni bellissime di Mezzancella; subito dopo, uno spettacolo suggestivo multisensoriale di luci, con Neri Marcoré e il maestro Cacciapaglia in Piazza del Popolo. Ma poi gli spettacoli della Terrazza del Pincio continueranno per tutta la cinque giorni e in particolare la grande, bella festa di chiusura che ci sarà nella giornata del 25 aprile, una giornata dedicata al dialogo interculturale – appunto – con l’Orchestra di Piazza Vittorio, con una grandissima biciclettata per sostenere anche il tema della mobilità sostenibile.

D. – Al Villaggio per la Terra si parlerà anche di sport e ci saranno i bambini e i ragazzi …

R. – Sì, con oltre 30 federazioni che offriranno gratuitamente la possibilità di praticare praticamente ogni tipo di sport e insieme ai grandi campioni, a medaglie d’oro del nostro mondo sportivo per una grande testimonianza.

D. – E possiamo dire che al Villaggio si mangerà, anche?

R. – Ma certamente! Tantissimo cibo, intrattenimento – anche culinario – e dimostreremo con uno chef come anche dagli avanzi si possa ricavare un eccellente pranzo.

D. – Tutto questo con la collaborazione di tante associazioni della città …

R. – Siamo a oltre 150 organizzazioni che partecipano a questa celebrazione: un Villaggio veramente "esplosivo". Crediamo che veramente si sia creata quella foresta che il Papa ci invitava a far crescere.

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 108

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