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Sommario del 19/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: fede non è ideologia ma Gesù vivo e risorto

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“Gesù è qui, in Piazza, con noi: vivo e risorto”. Verte sull'annuncio gioioso della Risurrezione di Gesù, la catechesi di Papa Francesco all’udienza generale stamani in Piazza San Pietro. Circa 20mila i fedeli riuniti in una Piazza illuminata da un bel sole e dal calore della folla ma sferzata da un gelido vento di tramontana tanto che il Papa ha indossato il cappotto. Il cristianesimo non è un sistema filosofico ma nasce dall’avvenimento della Risurrezione, ricorda Francesco che prosegue la riflessione sulla speranza cristiana. Il servizio di Debora Donnini

“La nostra fede nasce il mattino di Pasqua”, con la Risurrezione di Gesù: tutto infatti poggia su questo presupposto. E' il cuore della catechesi di Papa Francesco nella prima udienza generale dopo la Pasqua. Sulle orme delle parole di San Paolo alla comunità di Corinto, il Papa sottolinea che il cristianesimo nasce da “un fatto”:

“Non è un’ideologia, non è un sistema filosofico, ma è un cammino di fede che parte da un avvenimento, testimoniato dai primi discepoli di Gesù. Paolo lo riassume in questo modo: Gesù è morto per i nostri peccati, fu sepolto, e il terzo giorno è risorto ed è apparso a Pietro e ai Dodici. Questo è il fatto. E’ morto, è sepolto, è risorto, è apparso. Cioè, Gesù è vivo! Questo è il nocciolo del messaggio cristiano”.

Centrale è soprattutto l’ultimo elemento del mistero pasquale: la Risurrezione. Gesù sarebbe infatti un esempio di “dedizione suprema” se “tutto fosse finito con la morte”, nota il Papa. Ma accettare che Cristo è morto crocifisso non è un atto di fede, mentre “credere che è risorto”, sì. La fede nasce infatti dalla Risurrezione.

Paolo da persecutore ad apostolo: fondamento della fede è vedere Gesù risorto
San Paolo fa poi un elenco delle persone a cui apparve Gesù risorto: da Pietro fino a lui stesso, ultimo della lista, come a un aborto. La sua storia personale è infatti drammatica: “non era un chierichetto”, era un persecutore della Chiesa e si sentiva un uomo arrivato, dice il Papa. E in questo quadro perfetto di vita, un giorno avvenne l’imprevedibile: l’incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco:

“E il persecutore diviene apostolo. Perché? 'Perché io ho visto Gesù vivo! Io ho visto Gesù Cristo risorto!'. Questo è il fondamento della fede di Paolo, come della fede degli altri apostoli, come della fede della Chiesa, come della nostra fede”.

Un cuore razionalistico non capisce cosa sia il cristianesimo
Il cristianesimo consiste non tanto nella nostra ricerca, tentennante, nei confronti di Dio  ma nella "ricerca di Dio nei nostri confronti” perché è Gesù che “ci ha afferrati” e “conquistati per non lasciarci più”, spiega Francesco. Per cogliere questo, serve però un cuore aperto:

“Il cristianesimo è grazia, è sorpresa, e per questo motivo presuppone un cuore capace di stupore. Un cuore chiuso, un cuore razionalistico è incapace dello stupore, e non può capire cosa sia il cristianesimo. Perché il cristianesimo è grazia, e la grazia soltanto si percepisce, di più: si incontra nello stupore dell’incontro”.

Andare al proprio sepolcro per sperimentare la risurrezione
Quindi “anche se siamo peccatori”, anche se nella nostra vita abbiamo sommato tanti insuccessi, il Papa invita ad andare al sepolcro di Gesù e vedere la pietra rovesciata anche nella propria vita:

"Andare al nostro sepolcro: tutti ne abbiamo un pochettino dentro. Andare lì, e vedere come Dio è capace di risorgere da lì. Qui c’è felicità, qui c’è gioia, e vita, dove tutti pensavano ci fosse solo tristezza, sconfitta e tenebre".

Gesù è qui, fra noi, vivo e risorto
Non bisogna quindi partire dalla morte ma dall’amore di Dio che ha sconfitto “la nostra acerrima nemica” e così fare proprio il grido di San Paolo: “Dov’è, o morte, la tua vittoria?”:

“E se ci diranno il perché del nostro sorriso donato e della nostra paziente condivisione, allora potremo rispondere che Gesù è ancora qui, che continua ad essere vivo fra noi, che Gesù è qui, in piazza, con noi: vivo e risorto”.

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I fedeli: la risurrezione è gioia da vivere nella quotidianità

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Ventimila fedeli hanno partecipato oggi in Piazza San Pietro alla prima udienza generale dopo la Pasqua. Il Papa, nella sua catechesi, ha esortato i presenti a testimoniare la gioia della Risurrezione di Cristo. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro

R. - La Risurrezione è vita e quindi è essere vivi dentro noi. E’ spargere questa vita col cuore puro e sincero intorno a noi. E' solidarietà, unione, fratellanza: questo è la risurrezione.

R.  -  La risurrezione è una vocazione di tutti noi, ogni giorno. Si comincia con le cose piccole, con i passi piccoli, con un sorriso dinanzi a tutto, nelle cose quotidiane che si fanno e poi ovviamente ognuno a seconda delle proprie possibilità può fare sempre di più.

R. - Risurrezione è una parola che significa vita. Un cristiano deve dare vita con la sua testimonianza. Io ho trovato in Lui il mio amore perché mi dà quella capacità di dire: Signore, io ti seguo. Penso che questo sia la risurrezione.

R. - E’ aiutare tutti i poveri, quelli che hanno bisogno, quelli che soffrono.

R.  - Vuol dire essere  uomini di pace, uomini che facciano vedere che essere cristiani è una gioia, e oggi c’è bisogno di questo.

R. – Il messaggio deve passare dalla quotidianità di tutti i giorni, nelle cose che facciamo, la ferialità, come essere un lievito nella pasta.

R. - Portare ovunque questo sorriso della Pasqua vuol dire essere annunciatori gioiosi del Vangelo in ogni ambiente e in ogni situazione. Penso che questo sia un po’ il messaggio che arrivato ai ragazzi che erano con noi, siamo qui con i preadolescenti della diocesi di Milano. E' bello che questi ragazzi nonostante le brutte notizie che sentono in giro, portino in giro questo sorriso bello.

D. – Siamo alla vigilia della festa della Divina Misericordia, cosa vuol dire oggi la misericordia, soprattutto verso i giovani?

R. – Significa anche aspettare i loro tempi e non essere ansiosi nei loro confronti, togliere quello sguardo di pessimismo che ogni tanto si sente sui giovani, essere attenti invece alle grandi notizie di Vangelo che portano con le loro vite.

R. – E’ una parola molto complessa. Bisogna davvero essere cristiani nel mettere in pratica il Vangelo ogni giorno e quindi non dire le parole vuote ma dirle col cuore. Spargere il bene, il buono e il bello. E anche andare incontro al nemico è essere misericordiosi, cercando di portarlo sempre al bene.

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Lettera del Papa al Presidente del Brasile

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La Sala Stampa della Santa Sede conferma che “qualche giorno fa il Santo Padre ha inviato una lettera personale” al Presidente brasiliano Michel Temer. La lettera “non è stata pubblicata perché ha carattere privato”. “Si tratta della risposta del Papa ad una lettera” in cui il Capo di Stato “invitava il Pontefice a recarsi in Brasile nel 2017 per il 300.mo anniversario di Aparecida”.

Il Papa ha risposto che “purtroppo non potrà andare perché altri impegni non glielo permettono”. Inoltre – conclude la Sala Stampa vaticana – “poiché lo stesso Presidente Temer nella sua lettera faceva riferimento al suo impegno per affrontare i problemi sociali del Paese, il Papa sottolinea tale aspetto e incoraggia a lavorare per la promozione dei più poveri”.

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Francesco e Bartolomeo insieme in Egitto per la pace

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Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo sarà al Cairo il 28 e 29 aprile, su invito del Grande Imam della Moschea di Al Azhar, negli stessi giorni della visita di Papa Francesco. Insieme prenderanno parte alla Conferenza internazionale sulla pace promossa nella capitale egiziana. Nonostante le difficoltà internazionali e i recenti attentati contro la comunità copta, il dialogo ecumenico e interreligioso prosegue con determinazione. Ancora ieri, un attacco ad un posto di blocco nei pressi del Monastero ortodosso di Santa Caterina, ai piedi del Sinai, ha provocato la morte di un poliziotto. L’azione è stata rivendicata dal sedicente Stato islamico. Sul significato della presenza di Francesco e Bartolomeo al Cairo, ascoltiamo l’archimandrita Athenagoras Fasiolo, delegato del Metropolita ortodosso d’Italia, intervistato da Stefano Leszczynski

R. – Credo che le due maggiori Chiese cristiane, le due famiglie maggiori del cristianesimo, siano testimoni comuni di un disegno di pace che va aldilà di quei vincoli politici, economici, anche delle superpotenze cosiddette cristiane che troppe volte, unitamente all’Occidente, restano in silenzio di fronte a questi fatti.

D. - C’è il rischio che questa unità e questa forza nel voler perseguire la pace possano provocare un intensificarsi delle reazioni opposte, di coloro che invece non vogliono la pace come è avvenuto per questi recenti attentati che hanno seguito l’annuncio della visita di Papa Francesco in Egitto?

R. - Credo che tutte le religioni abbiano come primo dovere quello di insegnare ai propri fedeli, ai propri discepoli, che cosa intendiamo come pace. Pace non è mai la supremazia di uno sugli altri; questa non è pace. Pace non è mai una pace imposta, non è mai una sottomissione ai voleri di alcuni sugli altri. Pace è coordinare, lavorare insieme per trovare una via comune, soddisfacente, giusta che possa garantire una vita giusta, cioè nella sua totalità. Ora non dobbiamo alle volte avere paura di dire che ci sono delle frange impazzite, però credo che come è avvenuto in duemila anni di storia cristiana in cui si è capito come si doveva vivere la fede, credo che altre famiglie religiose dovranno fare lo stesso. Non possiamo, secondo me, salvarci da soli; dobbiamo salvarci insieme, gli uni con gli altri: cristiani con i cristiani, cristiani insieme ai fedeli delle altre religioni.

D. - Riuscirà questo dialogo ecumenico e interreligioso a stabilire bene le distanze con chi vuole strumentalizzare la religione a fini politici o geopolitici?

R. - Credo di sì. Da uomo di fede credo di sì. Dobbiamo essere coraggiosi, però dobbiamo parlarci gli uni con gli altri anche delle cose che e gli uni e gli altri non abbiamo fatto per evitare tutto questo. L’Occidente sicuramente ha le sue cause nel sorgere di questi fondamentalismi; il mondo musulmano ha le sue cause per non aver saputo condurre a più saggi pensieri una teologia lasciata un po’ libera a se stessa. Credo che ognuno debba fare la sua parte, perché altrimenti siamo su una via senza ritorno. Dobbiamo incontrarci, dobbiamo avere il coraggio di parlarci, dobbiamo avere il coraggio di compiere anche questi viaggi difficili, perché io sono certo che questo viaggio, in questo momento, sia per Papa Francesco sia per il Patriarca ecumenico sia per tutti gli altri leader religiosi che saranno presenti, sia difficile. Non possiamo far finta di non vedere tutti i nostri fratelli di fede che soffrono in troppe parti del mondo; non possiamo non dire che la fede cristiana in questo momento è la fede più martoriata, ancora una volta, nel mondo. Ma questo non per voler affermare una supremazia o chissà che cosa, ma semplicemente per parlare come fratelli e per trovare insieme delle soluzioni.

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Tweet: meditiamo con stupore il mistero della Risurrezione

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Nuovo tweet del Papa sull’account @Pontifex in nove lingue: “Meditiamo con stupore e riconoscenza il grande mistero della risurrezione del Signore”.

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Oggi in Primo Piano



Regno Unito al voto anticipato: conservatori in testa nei sondaggi

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I veri negoziati tra Regno Unito e Unione Europea sulla Brexit inizieranno dopo le elezioni britanniche anticipate. Da Bruxelles si prende tempo dopo l’annuncio ieri della premier britannica Theresa May di ricorrere alle urne l’8 giugno prossimo. Dall’Unione Europea, comunque, si afferma che la consultazione non influirà sul processo della Brexit, mentre la May chiede col voto di rafforzare il Partito conservatore. Il servizio di Giancarlo La Vella

La premier britannica Theresa May vuole dare l’imprinting a questa importante fase della storia politica della Gran Bretagna, l’uscita dall’Unione Europea, chiedendo in anticipo che si formi un Parlamento che rispecchi più da vicino le sue posizioni. Quello delle elezioni anticipate è comunque un passo che potrebbe, in linea teorica, dare vita a qualche ostacolo sulla strada della Brexit. Ne abbiamo parlato con Riccardo Alcaro, responsabile ricerche dell’Istituto Affari Internazionali (Iai):

R. - Credo che nell’intero panorama politico britannico, con qualche eccezione, ci sia la consapevolezza che la Brexit sia ormai un processo avviato, che sia stata presa una decisione. E credo ciò sia ormai acquisito. In questo momento sappiamo che la Brexit succederà.

D. - Succederà anche se per caso in queste elezioni anticipate dovessero vincere i laburisti?

R.  - Naturalmente se dovessero vincere i laburisti si aprirebbero scenari nuovi. Al momento i laburisti si sono espressi a favore del rispetto del risultato referendario. Quindi oggi non vedo elementi per invertire la rotta, però vedremo quali saranno i contenuti della campagna elettorale e vedremo come la imposteranno i laburisti, anche con riferimento a quegli equilibri parlamentari che sono sempre stati a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.

D. - In che senso le elezioni anticipate possono accelerare o ottimizzare il percorso della Brexit?

R. - Credo che Theresa May abbia indetto le elezioni anticipate per rafforzare la sua posizione interna. E, nella misura in cui la posizione del leader che gestirà il processo della Brexit è più forte, il processo della Brexit potrà essere gestito meglio. Il Parlamento attuale, in particolar modo il Partito Conservatore rappresentato oggi in Parlamento è il Partito Conservatore del premier precedente, David Cameron. Theresa May, andando alle elezioni, vuole in primo luogo avere un’investitura diretta per gestire il più importante negoziato che ha visto coinvolto il Regno Unito negli ultimi 60 anni. C'è poi l’ultima questione: cioè che votando nel 2017 le prossime elezioni saranno spostate al 2022. Questo vuol dire che Theresa May ha più tempo, prima delle prossime elezioni, per dedicarsi al negoziato con l’Ue. La Brexit, infatti, deve concludersi entro il 2019, ma il negoziato che, invece, definirà la nuova relazione tra Regno Unito e Unione Europea può protrarsi per anni. Quindi, spostando in là il termine della prossima elezione, Theresa May si dà un po’ più di respiro.

Da Bruxelles si fa sapere che la decisione delle elezioni anticipate dell’8 giugno in Gran Bretagna non modificherà in alcun modo l’agenda della Brexit. Ma quale influenza il voto anticipato britannico avrà nei rapporti con Bruxelles? Ci risponde Antonio Varsori, docente di Relazioni internazionali all’Università di Padova:

R. – In prima battuta l’aspetto importante è quello di natura interna, però ha conseguenze anche sul piano politico esterno e quindi nei rapporti con l’Unione. E’ chiaro che anche per l’Unione Europea da un lato può essere più difficile negoziare con un primo ministro che si sente più forte, ammesso che le elezioni vadano in un certo modo; dall’altro lato però il primo ministro britannico stesso si può sentire anche legittimato magari a fare delle concessioni. Quindi questo è un aspetto che, a mio giudizio, si vedrà nel corso del negoziato, successivamente.

D. – Durante il processo della Brexit, in questa fase di interregno, come verranno regolati i rapporti con Londra, considerando che l’Unione Europea continuerà a prendere impegni con Paesi extraeuropei, insomma continuerà l’attività internazionale?

R. - Dobbiamo tener conto di una cosa: prima di tutto abbiamo davanti un periodo di alcuni mesi, non dico di stasi, ma di attività di ordinaria amministrazione, perché ci sono tutta una serie di scadenze elettorali: c’è la scadenza elettorale francese, c’è la scadenza elettorale in Germania. Quindi, fino a quando questa fase di elezioni non sarà completata, ho seri dubbi che l’Unione Europea possa assumere decisioni particolarmente importanti. Credo che invece nel periodo successivo molto dipenderà da come il governo di Londra vorrà gestire la questione della Brexit. La mia sensazione è che, pur difendendo interessi che vengono ritenuti importanti, non ci sia la volontà di rompere totalmente con l’Europa; i britannici non sono contrari a forme di collaborazione. Poi, è chiaro, bisognerà vedere anche i futuri equilibri in Germania, i futuri equilibri in Francia, che a loro volta determineranno gli equilibri all’interno dell’Unione Europea.

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Francia: l'ombra del terrorismo sulle presidenziali di domenica

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E’ allarme in Francia. Dopo l’arresto, ieri a Marsiglia, di due presunti terroristi pronti a colpire durante la campagna presidenziale, la polizia ha trovato, in un edificio sempre a Marsiglia, un esplosivo artigianale definito la “firma dell’Is in Europa”. Francesca Sabatinelli

A pochi giorni dalle elezioni, la Francia è in stato di massima allerta. L’arresto ieri di due presunti affiliati all’Is, entrambi di nazionalità francesi, conosciuti per la loro radicalizzazione, nonché il ritrovamento di esplosivi ha alzato il livello di tensione. Il primo turno del 23 aprile è dunque accompagnato da un imponente schieramento di misure di sicurezza, concentrate soprattutto su Francois Fillon, ritenuto primo obiettivo di un possibile attacco dopo la scoperta di un videomontaggio con l’ex premier come protagonista, seguito dalla candidata dell’estrema destra Marine Le Pen. Nell’appartamento perquisito dalle forze dell’ordine sono stati ritrovati armi, esplosivi, una bandiera nera dell’Is e materiale inneggiante alla vendetta. Gli arrestati, secondo il procuratore antiterrorismo, erano pronti a colpire e avevano “legami con reti in Belgio”. In un video, inoltre, i due prestano giuramento al sedicente Stato islamico. 

Un’incognita pesante grava sul primo turno delle elezioni di domenica prossima. Nelle ultime ore si assiste ad una flessione dei due favoriti, il centrista Macron e la leader del Front National Le Pen, a favore del repubblicano Fillon e di Mélenchon, il candidato più a sinistra di questo voto. Il governo non nasconde i timori per il rischio di una maxi-astensione. Su questa vigilia di voto, Francesca Sabatinelli ha intervistato Antonio Villafranca, responsabile del programma Europa dell’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: 

R. – E' una corsa all’Eliseo come non si vedeva da tantissimo tempo, con sorprese, cambi di guardia – devo dire – incredibili. Fino a qualche mese fa, tutti avremmo definito Fillon il promesso presidente, poi varie questioni riguardanti episodi di corruzione o di pseudo-corruzione riguardanti anche membri della famiglia, hanno praticamente azzoppato il candidato dei repubblicani. Per quanto riguarda gli altri candidati, invece, c’è stato un vero e proprio exploit: quello atteso dell’estrema destra della Le Pen, ma anche quello dell’estrema sinistra di Mélenchon, per non parlare poi ovviamente di Macron, che rappresenta la grande novità e che al momento sembra andare al secondo turno insieme alla Le Pen, anche se per quel 20 per cento di indecisi e soprattutto per il fatto che accanto a Macron troviamo Mélenchon con un Fillon che sta un po’ riacquistando terreno, qualsiasi risultato al momento è assolutamente non scontato.

D. – Al ballottaggio, quindi, potrebbe arrivare la Le Pen. La Francia è pronta a virare verso destra?

R. – Anzitutto prendiamo il dato di fondo. Se fosse davvero così, cioè Macron e la Le Pen, noi praticamente avremmo i due partiti principali – i repubblicani e i socialisti – che non riescono a portare, nessuno dei due, il loro candidato “principale” al secondo turno, che è un dato che è fondamentale. Non dimentichiamo che poi, dopo poche settimane, si vota per le parlamentari, e lì bisognerà vedere – appunto – quale sarà la tenuta dei due tradizionalmente principali partiti politici francesi. Se ci fosse il ballottaggio Macron-Le Pen, tutti i sondaggi dicono che al momento Macron dovrebbe risultare vincitore. Non si esclude comunque la possibilità che addirittura al secondo turno possano andare anche Mélenchon e Le Pen, che sarebbe un risultato ancora più sorprendente, dalla portata “rivoluzionaria”, per un Paese come la Francia.

D. – Al di là del risultato, un dato incontrovertibile è che il “Front national” della Le Pen è un partito di riferimento importante per molti francesi …

R. – C’è un’indubbia capacità da parte della leader, di Marine Le Pen, di comunicare. Lei sa articolare molto bene il proprio messaggio. Se vai in una regione relativamente povera del Nord della Francia, come la Piccardia, il suo messaggio è tutto orientato sul sociale e sulla difesa degli interessi dei lavoratori francesi, mentre quando va nel più ricco Sud, come per esempio in Costa Azzurra, il suo messaggio è un messaggio molto più orientato contro gli immigrati, per la sicurezza nazionale, contro il terrorismo e quindi anche per una maggiore presenza delle forze di polizia.

D. – L’allarme terrorismo e gli arresti delle ultime ore, quindi, in qualche modo sono campagna elettorale per la Le Pen?

R. – Sicuramente ci sono momenti di tensione, non c’è dubbio che qualcuno in Francia – o anche fuori dalla Francia – pensi di approfittare della situazione e incidere in qualche modo sulle elezioni. D’altra parte, non sarebbe neanche una novità, in Europa: tutti ricordiamo cosa è successo alla stazione di Atocha a Madrid proprio prima delle elezioni spagnole. Quindi, purtroppo può succedere; ovviamente questo andrebbe soprattutto a favore della destra e dell’estrema destra, cioè di chi propugna un pugno ancora più duro nei confronti della lotta al terrorismo e vorrebbe una politica molto più esigente e di chiusura nei confronti degli immigrati. Diciamo che il rischio che eventuali attentati, o comunque notizie di possibili attentati, possa influire sulle ultime ore della campagna elettorale, esiste e potrebbe appunto favorire soprattutto la destra e l’estrema destra.

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Biotestamento: ospedali cattolici chiedono libertà di coscienza

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In Italia, è tornato oggi all’esame del Parlamento il Disegno di Legge sul biotestamento. Un centinaio gli emendamenti da votare, sui quali il Governo “si è rimesso all’Aula”. Tra i punti controversi, le Disposizioni anticipate di trattamento, le Dat. Le istituzioni sanitarie cattoliche rivendicano la libertà di coscienza nelle proprie strutture. Roberta Gisotti ha intervistato padre Vincenzo Sorce, vice-presidente dell’Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari (Aris): 

Il paziente avrà comunque il diritto di abbandonare le terapie, anche contro il parere dei medici, lo stabilisce un emendamento approvato stamane. Padre Sorce, che cosa ritenete inaccettabile di questa legge?

R. – Rivendichiamo per le nostre strutture l’impegno di applicare rigorosamente la legge, salvo la facoltà di non assumerci la responsabilità di assistere pazienti la cui dichiarazione anticipata di trattamento faccia presumere un conflitto difficilmente sanabile con il nostro fermo orientamento etico. Rivendichiamo quindi l’autonomia di libertà e di coscienza, coscienza di operatori sanitari.

D. – Il punto più controverso è quello della sospensione dell’idratazione e della nutrizione artificiale …

R. – Sì, perché queste vengono considerate “cura” e non semplici elementi basilari di sostegno vitale. Questo lascia aperto un vastissimo campo di dissenso etico-antropologico che non può essere sanato da una norma di diritto positivo, per quanta considerazione e rispetto meriti il Parlamento e la funzione legislativa, che in virtù del suo titolo di rappresentanza popolare gli compete.

D. – Naturalmente, però, le Istituzioni sanitarie cattoliche sono contrarie all’accanimento terapeutico …

R. – Assolutamente! Noi non siamo per il dolore e la sofferenza, anzi: la missione proprio delle strutture cattoliche è quella di rispettare la libertà delle persone, di promuoverla, di sostenere nel cammino spesso doloroso della vita, nelle fasi terminali, ma non con un accanimento a qualunque costo, perché questo significherebbe veramente non rispettare la persona.

D. – Padre Sorce, nella pratica che cosa accade? Che voi non ricovererete più pazienti che hanno dato disposizioni anticipate?

R. – Sì. Sono scelte drammatiche, dall’una e dall’altra parte, ma è anche importante e centrale la coscienza e la libertà di coscienza.

D. – E’ pur vero che non sempre si potrà sapere se la persona che è stata vittima di un incidente, ad esempio, ha dato disposizioni o meno …

R. – Io penso che bisognerà lavorare con molta prudenza, con molta attenzione al di là dei moralismi, nel rispetto delle persone, del dolore e della sofferenza, ed accertarsi per quanto sia possibile sull’orientamento della persona.

D. – Prima di arrivare a questo punto ‘di rottura’ tra le istituzioni sanitarie cattoliche e tutte le altre strutture, che cosa vi augurate?

R. – Che possiamo continuare a dialogare per trovare giuste soluzioni nel rispetto del dolore della persona. Questo, indubbiamente. Ma senza nascondersi dietro falsi moralismi, dietro certe forme di rigidità, nel rispetto reciproco delle coscienze.

D. – Rispetto a chi pensa di non voler restare in qualche modo oggetto di una tecnologia che potrebbe anche forzare la natura dell’uomo, che cosa rispondere?

R. – Io penso che non può esserci una tecnologia che si ponga contro la natura dell’uomo, contro la legge naturale, contro la dignità della persona. La tecnologia è uno strumento, non è un assoluto.

D. – Quindi insieme alla tecnologia, però, progredisce il pensiero critico dell’uomo, sul modo di rapportarsi a questa tecnologia …

R. – Il pensiero critico significa confronto, significa dialogo. Siamo davanti a un nuovo rapporto fede-scienza-tecnologia. La tecnologia a servizio della persona e il rapporto con la scienza e la tecnologia nel rispetto di un orizzonte etico, morale, religioso.

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Brasile: in aumento omicidi legati a conflitti agrari

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In Brasile, nel 2016, sono state 61 le persone uccise in seguito a conflitti legati alla difesa della terra. Rispetto al 2015 si è registrato un incremento di 11 vittime. Si tratta del bilancio più pesante degli ultimi 13 anni. E’ questo il quadro che emerge dal rapporto intitolato “I conflitti agrari in Brasile nel 2016”. Il dossier, pubblicato nei giorni scorsi e ripreso dall'agenzia Sir,  è stato elaborato dalla Commissione pastorale della Terra della Chiesa brasiliana. I casi di conflitti per la terra sono stati nel 2016 quasi 1300.

Diritti di comunità indigene da mantenere e amplificare
“Questo rapporto – ha detto dom Leonardo Steiner, segretario generale della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) – non è un libro, vogliamo mostrare al Brasile non dati, ma persone”. Dom Enemésio Lazzaris, vescovo responsabile della Commissione pastorale della Terra (Cpt), ha ricordato, inoltre, l’allarmante situazione delle comunità indigene, degli agricoltori e dei pescatori. “Si devono moltiplicare gli sforzi – ha sottolineato - perché i diritti acquisiti da queste comunità siano mantenuti, confermati e addirittura amplificati”. (A.L.)

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Crisi in Venezuela: sacerdote muore per mancanza di medicine

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Il Venezuela continua a vivere una grave situazione per la mancanza di alimenti e di medicinali. Una delle ultime vittime è padre José Luis Arismendi, 35 anni. Per due giorni il sacerdote ha atteso i medicinali adatti a trattare una presunta meningite, presso l'Ospedale Universitario de Los Andes. Le medicine non sono arrivate in tempo e il religioso è morto lo scorso 15 aprile.

Antibiotici inviati dal card. Porras non arrivati in tempo
Purtroppo anche l'intervento del card. Baltazar Porras, arcivescovo di Mérida, è stato inutile. Il porporato era riuscito a reperire le medicine necessarie a Caracas. Ma gli antibiotici, indispensabili per curare la malattia, non sono arrivati in tempo. Padre José Luis Arismendi - riferisce l’agenzia Fides - era sacerdote da solo due anni e lavorava presso la diocesi di Cabimas, nello stato di Zulia.

La denuncia di Human Rights Watch
Ieri Human Rights Watch, nel suo rapporto sull'impatto dei numerosi venezuelani che si spostano verso la frontiera con il Brasile, ha esortato i Paesi latinoamericani ad intervenire presso il governo del presidente Maduro per risolvere questa profonda crisi. "Prima o poi - ha detto il direttore per le Americhe della Human Rights Watch, José Miguel Vivanco - il Brasile e altri Paesi della regione dovranno fare pressione sul governo del Venezuela perché smetta di negare la crisi e prenda misure per risolverla". (A.L)

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Vescovi polacchi: tristi per i tanti no all'accoglienza dei profughi

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Il responsabile per l’immigrazione dell’episcopato polacco, mons. Krzysztof Zadarko, si dice “profondamente rattristito” dall’ultimo dato che indica come solo il 4% dei polacchi siano “decisamente favorevoli” all’accoglienza dei profughi provenienti dal Medio Oriente in guerra.

In costante crescita i polacchi contrari alla ricollocazione dei profughi
Il sondaggio dell’istituto polacco Cbos (Centro di analisi dell’opinione pubblica) - riporta l’agenzia Sir - indica in costante crescita la parte della popolazione (oggi del 74%) contraria alla ricollocazione dei profughi arrivati nell’Unione europea dal Medio Oriente e dall’Africa. Da dicembre del 2015 il numero di polacchi che rifiutano gli immigrati mediorientali e africani supera stabilmente i favorevoli a dare loro l’ospitalità. Tuttavia, il 55% della popolazione polacca accetterebbe i profughi ucraini senza distinzioni di fede o etnia.

L’aiuto in loco alle popolazioni siriane non basta
“È necessaria una maggiore apertura verso il prossimo in difficoltà”, sottolinea mons. Zadarko che osserva quanto “inadeguato” nell’attuale situazione sia “l’aiuto in loco” proposto dal governo polacco come migliore soluzione per le popolazioni siriane che, come sottolinea il presule, “a decine di migliaia fuggono la guerra”.

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Croce Rossa: serve grande piano d'investimenti per il Sud del mondo

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Dal 9 al 12 aprile si è svolta nella città di Abidjan, in Costa D'Avorio, la Conferenza Panafricana di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. "Investimenti e speranza", chiede la Croce Rossa alla Comunità Internazionale. A distanza di pochi giorni dalla campagna di vaccinazione di massa contro il morbillo lanciata in Guinea da Medici senza Frontiere, Giorgio Saracino ha chiesto a Francesco Rocca, presidente di Croce Rossa Italiana, di cosa si è discusso maggiormente durante l'apppuntamento di quest'anno: 

R. – Sicuramente di come cercare di arginare il fenomeno delle emigrazioni di così tanti giovani che lasciano il continente perché senza speranza e senza punti di riferimento. Questo è un tema che, come al solito, da parte di alcuni dei Paesi occidentali, o se vogliamo più fortunati, viene spostato proprio sul tema “altrimenti emigrano”: qui c’è un problema di dignità dell’essere umano, di rispetto della vita che invece dovrebbe essere al centro. Non ci preoccupiamo del fatto che ci siano 20 milioni di persone a rischio della propria vita perché non hanno accesso al cibo e all’acqua, ma ci preoccupiamo che possano venire in Occidente. A me questo sembra il paradosso del mondo moderno di questi ultimi anni. C'è questa inversione di valori: ci si è spostati dal tema della dignità della persona al tema della nostra sicurezza.

D. – Qual è l’appello che Croce Rossa e Mezzaluna Rossa rivolge alla Comunità internazionale?

R. – Quello di fare un grande piano di investimenti: cibo e acqua potabile in molti di questi Paesi. Però non è questo soltanto che dà dignità alla persona, ma è offrire speranza. Se noi andiamo a guardare al continente africano non come un unicum indistinto ma come a un insieme di realtà, ce ne sono alcune che non generano umiliazione perché comunque anche se hanno economie difficili, sono piccole economie che crescono e dove i giovani, le madri, i padri, vedono che c’è un minimo di speranza, nessuno lascia la propria terra perché comunque c’è un radicamento; c’è un radicamento ai luoghi dove sono nati, ai loro affetti, alle proprie tradizioni. È un grande piano di investimenti quello che chiediamo ai governi occidentali: uscire dall’ipocrisia del tema della sicurezza, anche perché se si lavora sul tema della dignità si affronta anche il tema della sicurezza.

D. – Quali sono le malattie che più colpiscono il continente?

R. – Abbiamo ancora la malaria; abbiamo l’Hiv, che non si è fermato nonostante ci siano stati segnali di miglioramenti; abbiamo tutta una serie di patologie che da noi non esistono e che comunque continuano a impattare. Se a ciò si aggiungono la malnutrizione e la debilitazione delle persone, è ovvio che questo crea dei fenomeni devastanti in alcune aree geografiche.

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Anche la Lev a Milano alla Fiera dell'editoria "Tempo di libri"

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C’è anche lo stand della Libreria Editrice Vaticana alla prima edizione del Salone “Tempo di Libri” inaugurato oggi alla Fiera di Milano dal ministro della Cultura, Dario Franceschini. Cinquecento i titoli esposti dalla LEV con particolare attenzione ai volumi su Papa Francesco, agli scritti di Benedetto XVI e a testi dedicati alla Sacra Scrittura e alla Teologia. La manifestazione è organizzata da La Fabbrica del Libro”, di cui fa parte l’Associazione Italiana Editori, ha per tema “L’alfabeto” e prevede oltre all’esposizione dei testi, numerosi incontri con gli autori. Ci dice di più Chiara Valerio, curatrice del programma dell’evento, al microfono di Adriana Masotti

R. – “Tempo di Libri” è la prima Fiera italiana fatta, costruita e pensata interamente con gli editori italiani, perché nel mese di dicembre abbiamo dato agli editori un alfabeto che va dalla “A” di avventura alla “Z” di Zaha Hadid, una griglia che potesse definire i termini e le dimensioni di un campo in cui tutti, autori ed editori, piccoli e grandi, potessero giocare. Quindi siamo partiti tutti dalle stesse lettere, come partono i lettori perché è una Fiera pensata e costruita intorno al lettore, perché quest’ultimo quando entra in libreria vede un titolo, si lascia affascinare dal nome di un autore e la casa editrice viene vista solamente dopo. Quindi l’idea è esattamente questa: partire dai temi, partire dalle parole e poi passare agli editori. Ci sono più di 500 espositori. Ogni editore è qui con il suo catalogo, quindi dalla narrativa alla saggistica, alla varia, ai libri per bambini … È una Fiera pensata per i lettori che siamo e per i lettori che nemmeno immaginiamo di essere, perché la cosa interessante è questa: il libro dalla sua nascita è sempre rimasto lo stesso, ha sempre avuto la stessa forma, però i lettori sono cambiati. Quindi è cambiato anche il modo di leggere; se il libro è rimasto lo stesso e i lettori sono cambiati, così come è cambiato il modo di leggere, come si colma questa distanza? Questo sarà uno dei temi che verrà affrontato qui in questi giorni a “Tempo di Libri”.

D. - È già possibile dare una risposta? Quali prospettive ci sono per le case editrici?

R. – Se ci pensa, noi leggiamo tantissimo: leggiamo gli sms, leggiamo le istruzioni … Non si è mai letto tanto come oggi. Però questo non viene in qualche modo misurato come lettura, perché la lettura è rimasta legata al libro. Le case editrici cercano sempre di trovare una novità editoriale che in qualche modo incroci il tempo di chi legge e il tempo di chi racconta, quindi non cambia la loro missione. Certo, ci sono gli e-book, i siti, le app, ci sono cose che sono intorno al libro, però – appunto – è il libro con delle cose intorno. Penso che poi che questa sia la prima Fiera in cui l’editoria è declinata come disegno culturale. Quindi oltre agli editori, alle case editrici, ci sono ad esempio le riviste, i giornali, che curano interi pezzi di programma, perché ad esempio in paesi soprattutto del Sud, dove non ci sono né librerie né biblioteche, è l’edicola ad avere un ruolo fondamentale. Quindi, in fondo, questa Fiera è organizzata come un’edicola, dove insieme ai grandi classici della letteratura ripubblicati dai giornali, penso ad esempio a Dostoevskij o a Tolstoj, c’è la Settimana Enigmistica, ci sono i giornaletti di Topolino, oppure ci sono le riviste tipo Casabella ecc... C’è tutto! Quindi questa è una fiera pensata per accogliere chi legge e chi è curioso.

D. – Quale momento sta vivendo l’editoria, la produzione di libri in Italia?

R. – Anche a vedere l’inaugurazione qui oggi, sembra godere di ottima salute, ma quello che è importante è che il libro continui in qualche modo ad essere quello che è sempre stato, cioè la forma della nostra memoria. Quando mi viene un interrogativo e mi chiedo: “Ma che fine faranno i libri?”, penso ad esempio alle cose che fa Facebook e cioè il Libro di un anno: prende tutti i post che ognuno scrive ogni giorno e li trasforma in un libro che poi viene spedito a casa dell’utente Facebook. Questo significa che il libro, in effetti, è la forma della memoria umana e questo non cambierà mai. Noi non ricordiamo, come diceva Leibniz “in forma di casa”, forse noi ricordiamo “in forma di libro”. Questo significa che il libro non morirà mai.

D. - Ci dica una cosa in particolare, per cui dovrebbe venire tanta gente a vedere questa Fiera …

R. – Oggi cominciamo con Francesco Gabbani, l’ultimo vincitore del Festival di Sanremo, e quindi si discuterà della canzone italiana, dei testi della canzone italiana, dalla librettistica di Da Ponte, con Giulio Ferroni e Leonetta Bentivoglio. Ci sarà Roberto Saviano … É una fiera dove le cose si incrociano, perché appunto ci sono temi come l’avventura; ci sono tanti scrittori come Sophie Kinsella o Clara Sanchez o Simonetta Agnello Hornby; si parlerà della centesima tappa del Giro d’Italia con grandi scrittori italiani come Maurizio Maggiani e Fabio Genovesi. C’è tutta una linea su Totò, dove Diego De Silva sta scrivendo un testo inedito intitolato: “Totò e la morte”, e Maurizio di Giovanni leggerà “La Livella”. Ci sono cose che hanno incontrato la curiosità dei lettori di ogni età e spero che questo si riverberi in presenze in questa Fiera.

D. - Quindi stand con i libri esposti e presentazioni, incontri con gli autori …

R. - Sì, incontri. Non ci sono presentazioni di libri, sono incontri a partire dai libri. È qualcosa che va in scena; vanno in scena due persone che parlano secondo il principio della confidenza; nulla esiste se non in relazione. Mettiamo in scena, quindi, relazioni tra persone e tra libri e persone.

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Padre Luís Dri, quel “prete santo” di cui parla spesso il Papa

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Il padre cappuccino Luís Dri, compatriota di Papa Francesco anche per le sue origini italiane, è divenuto famoso per i riferimenti che gli ha riservato il Papa in varie occasioni: l’ultimo, lo scorso 2 marzo, all’inizio della Quaresima, quando ha regalato il libro che ne raccoglie l’esperienza ai sacerdoti di Roma, intitolato  “Non avere paura di perdonare”. Padre Dri vive a Buenos Aires, presso il Santuario di Nuestra Señora de Pompeya ed è conosciuto dalla gente come “il prete che sta sempre in confessionale”. E’ nato un giorno dopo il Papa emerito Benedetto XVI.

A  proposito degli elogi che gli ha rivolto Papa Francesco, ha detto: “Penso che sia un apprezzamento che non merito. Tutto è cominciato quando lui era cardinale qui: abbiamo parlato alcune volte e da allora la confidenza è andata crescendo. Io lo apprezzo moltissimo, ma vorrei che fosse chiaro che io non sono una persona altamente preparata con studi o altro: la mia scuola è stata solo e unicamente la vita. Confesso tutti i giorni e tutto il giorno, come Padre Pio a San Giovanni Rotondo e Padre Leopoldo a Padova. Dal Papa ho imparato il linguaggio dei gesti: quando ricevo un penitente gli bacio le mani perché desidero che si senta accolto, ascoltato e accompagnato".

"Ho conosciuto Papa Bergoglio nel 2000 - afferma padre Dri - quando venne in questo Santuario per la consacrazione dell’altare. Come sempre, venne con l’autobus: nessuno l’ha mai visto in taxi. Anche quel giorno non si riusciva a trovarlo: come sempre era in cappella a pregare la Madonna. So che molti lo criticano; allora io penso a Gesù e ai tanti che non lo amavano”. Padre Dri viene da una famiglia numerosa: 10 fratelli di cui nove religiosi. I maschi sono tutti cappuccini; le donne tutte Figlie della Mercede.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 109

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.