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Sommario del 20/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa nel Concistoro: pastorelli di Fatima santi il 13 maggio

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I pastorelli di Fatima, Francesco e Giacinta Marto, saranno proclamati santi il 13 maggio prossimo. Lo ha annunciato Papa Francesco nel Concistoro ordinario pubblico per il voto su alcune cause di canonizzazione, tenutosi stamani nel Palazzo Apostolico Vaticano. La canonizzazione quindi avverrà durante il viaggio apostolico del Papa a Fatima nel centenario delle Apparizioni della Vergine. Gli altri 35 beati saranno invece canonizzati il 15 ottobre prossimo. Il servizio di Debora Donnini

"Beáti Francíscus et Hyacíntha Marto die tértio décimo mensis Máii anno bis millésimo séptimo décimo..."

Papa Francesco annuncia l’attesa canonizzazione il 13 maggio prossimo di due dei tre veggenti di Fatima, beatificati nel 2000. La Vergine apparve ai fratellini Francesco e Giacinta Marto nel 1917, la prima volta proprio il 13 maggio, e alla loro cugina, Lucia Dos Santos, morta a 98 anni nel 2005. Francesco e Giacinta, invece, morirono da bambini a causa dell’epidemia di influenza “spagnola”, rispettivamente a 11 e 10 anni. Bambini praticamente analfabeti, pastorelli, la cui breve vita fu ricca di fede, amore e preghiera, ha spiegato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che ha presentato le figure dei nuovi futuri santi.

E’ invece nel Brasile del 1645 che si snoda la vita dei 30 martiri, massacrati durante l’occupazione olandese del Nord Est del Paese. Andrea de Soveral, Ambrogio Francesco Ferro, sacerdoti diocesani, il laico Matteo Moreira e 27 Compagni, furono trucidati dai soldati olandesi per non aver abiurato la fede cattolica e non essersi convertiti al calvinismo.

In Messico nella prima metà del 1500, si inscrive la vita degli adolescenti martiri Cristoforo, Antonio e Giovanni. Educati dai francescani, si allontanarono dal culto locale degli idoli. E proprio il contrasto all’idolatria dei culti locali, provocò la loro morte, quella di Cristoforo per mano del proprio padre.

E fra i nuovi futuri santi, cinque sono bambini e adolescenti, ha ricordato nella presentazione il cardinale Angelo Amato:

“Non senza una particolare commozione ricordiamo che cinque dei beati sono bambini e adolescenti. Nella storia dei nostri giorni, nei quali i piccoli non di rado diventano oggetto di sfruttamento e di mercificazione, questi ragazzi eccellono come testimoni di verità e di libertà, messaggeri di pace, di una nuova umanità riconciliata nell’amore”.

Più vicina a noi in ordine temporale, la vita di Faustino Míguez, sacerdote scolopio spagnolo. Vive a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento. Per poter dare istruzione anche alle bambine povere e abbandonate, fonda l’Istituto Calasanziano delle Figlie della Divina Pastora.

Infine, Angelo da Acri, al secolo Luca Antonio Falcone, frate cappuccino. La sua vita si dipana fra il 1600 e il 1700 nel Regno di Napoli. Fu un instancabile divulgatore della Parola di Dio e difese i deboli dagli abusi dei potenti.

Vite diverse, ha sottolineato il porporato, unite dal comune annuncio del volto tenero e misericordioso di Dio.

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P. Roggio: pastorelli di Fatima, responsabili per gli altri in nome di Dio

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Il Concistoro di stamattina ha reso noto che i pastorelli veggenti di Fatima, i fratelli Francisco e Giacinta, saranno proclamati santi il prossimo 13 maggio, in occasione del viaggio di Papa Francesco in Portogallo, per il centenario delle apparizioni della Madonna del Rosario. Padre Gian Matteo Roggio, docente alla Pontificia Facoltà teologica Marianum, esperto di apparizioni mariane, commenta la notizia al microfono di Fabio Colagrande: 

R. - Questa canonizzazione dimostra come la santità sia qualcosa che riguarda tutti. Dio riguarda tutti, anche chi è piccolo, anche chi è ragazzo. Anche chi è bambino viene guardato da Dio e ha bisogno di cose che riguardino Dio. Questa canonizzazione va accolta così, riconoscendo che Dio è vicino a tutti e Dio è capace di fare santi anche dei bambini, lasciandoli bambini.

D. – Qual è stata la testimonianza di santità dei due giovanissimi veggenti?

R. - Essenzialmente la loro testimonianza è stata quella del sentirsi responsabili in nome di Dio per gli altri. Loro sono vissuti in un tempo di guerra, in un tempo di inimicizia, durante la grande tragedia della Prima Guerra Mondiale. Quindi in un tempo dove essere responsabili per gli altri poteva risultare quasi offensivo, come un gesto disfattista per la mentalità comune impegnata a vincere la guerra su tutti e due i fronti. Questi ragazzi invece ricevono da Dio la chiamata e il dono di sentirsi responsabili degli altri, perché è nel diventare responsabili degli altri che l’essere umano cresce come persona, come figlio di Dio, ed è solo così che si possono trovare le basi per una civiltà diversa rispetto a quella che porta alle guerre.

D. – Quale significato spirituale ha la vita d’intensi sacrifici, spesso auto-inflitti, e di preghiera per i peccatori, condotta dai due fratelli dopo le apparizioni?

R. - In quei tempi la penitenza era concepita essenzialmente come una mortificazione di se stessi: un infliggersi delle privazioni però a beneficio degli altri, perché questa privazione potesse portare qualcosa di buono negli altri. Ed è ciò che i due ragazzi hanno fatto. Trasponendolo nella nostra vita, potremmo dire che questa penitenza, oggi, assume i caratteri del voler accogliere l’altro, anche quando l’altro è problematico perché fa il male, perché mi fa del male. Forse oggi noi abbiamo bisogno di trovare vie di penitenza che ci portino a costruire un dialogo con l’altro educando noi stessi a togliere di mezzo le realtà che impediscono l’accoglienza e alla fine fomentano l’indifferenza, la paura, il conflitto e la guerra.

D. – Ancora oggi colpisce che la Madonna sia apparsa ed abbia lasciato il suo messaggio a giovanissimi pastori di famiglia umile, analfabeti. Che senso ha questa circostanza, padre Roggio?

R. – La Vergine dona quello che lei stessa ha ricevuto; non dimentichiamo che Maria è stata raggiunta da Dio in età molto giovane. Con questo, Maria forse vuole lasciare alle giovani generazioni la certezza che Dio li raggiunge. Le giovani generazioni spesso vivono nell’ignoranza di Dio, non pensano che Dio li possa raggiungere; ma in realtà la Vergine ci mostra che Dio raggiunge le giovani generazioni e, attraverso queste, vuole portare avanti una storia di salvezza, una storia diversa.

D. – Qual è infine l’attualità del messaggio delle apparizioni della Madonna di Fatima un secolo dopo?

R. – L’essere umano non è fatto solo per questo mondo: è fatto per raggiungere il mondo di Dio. E il messaggio di Fatima insiste molto su questa dimensione dell’aldilà; ma l’aldilà lo si raggiunge quanto più i nostri piedi camminano nell’aldiquà e quanto più le nostre mani - ricordando proprio quello che San Giovanni Paolo II disse a Fatima - sono in grado di rendere questo aldiquà un giardino e non un cumulo di macerie o un deserto senza vita.

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Il Papa ai Maristi: società ha bisogno di educatori appassionati

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Educate con amore, facendo emergere le potenzialità che ha ogni ragazzo. E’ l’esortazione che Papa Francesco rivolge ai Fratelli Maristi in occasione del bicentenario della fondazione della Congregazione e del prossimo Capitolo generale che si terrà in Colombia il prossimo settembre. In un Messaggio indirizzato al superiore generale dei Fratelli Maristi, Emili Turú Rofes, il Pontefice mette l’accento sul carisma dell’educazione proprio dei Maristi ed evidenzia che la società di oggi ha bisogno di testimoni credibili per costruire un mondo migliore. Il servizio di Alessandro Gisotti

Educare è “espressione della bontà e della misericordia di Dio”. Papa Francesco ha sottolineato così l’importanza dell’educazione dei giovani, al centro della vocazione dei Fratelli Maristi fin dalla nascita della Congregazione due secoli fa. Il Papa rammenta le parole del Fondatore, Marcellino Champagnat: “L’educazione è per il bambino quello che la coltivazione è per la terra. Per quanto buono sia il terreno, se non lo si ara, non produce che rovi ed erbacce”. Compito dell’educatore, osserva dunque Francesco, “è una dedizione costante che richiede sacrificio”. Tuttavia, soggiunge, “l’educazione è una questione di cuore e questo la rende differente e sublime”.

Nell’educazione si veda l’amore e l’impronta di Dio
Innanzitutto, si legge nel messaggio, “il religioso educatore” deve “coltivare” se stesso. “Dovete essere coscienti – scrive – che il terreno che lavorate e modellate è sacro, vedendo in esso l’amore e l’impronta di Dio”. Il Papa si sofferma dunque sul tema a lui caro del discernimento. “Discernere – afferma – è riconoscere con obiettività e carità la situazione attuale, confrontandola con lo spirito fondazionale”. Né manca di incoraggiare i Maristi ad aprirsi “con speranza al futuro, camminando con spirito rinnovato”. La società di oggi, è la sua esortazione, “ha bisogno di persone solide nei loro principi che diano testimonianza di quello in cui credono e così costruire un mondo migliore per tutti”.

Buon educatore religioso segua l’esempio di Maria
Il Papa incoraggia i Fratelli Maristi a lasciarsi guidare da Maria ricordando il loro motto “Tutto a Gesù per mezzo di Maria, tutto a Maria per Gesù”. Umiltà, prontezza, servizio: le attitudini di Maria, sottolinea Francesco, devono caratterizzare anche il “buon religioso educatore”. Così, conclude il Papa, i giovani riconosceranno nel vostro modo di essere e di agire che c’è qualcosa di straordinario e capiranno che vale la pena non solo imparare questi valori, ma soprattutto interiorizzarli e imitarli”.

Udienza del Papa con il Superiore dei Maristi
Sul sito dei Maristi, è stata inoltre pubblicata una intervista a Fratel Emili Turú Rofes, che racconta la sua udienza con Papa Francesco, avvenuta il 10 aprile scorso in Vaticano. Il superiore generale della Congregazione racconta che con il Papa si è parlato del carisma dei Maristi e del rischio che il clericalismo annulli la vocazione dei laici. Ancora, riferisce Fratel Emili Turú Rofes, il Papa ha ringraziato i Fratelli Maristi per l’impegno nell’educazione dei giovani. Quindi, ha espresso ammirazione per l’impegno dei Maristi in aree come l’Iraq e la Siria, dove sono particolarmente impegnati nell’educazione dei bambini e dei giovani che hanno dovuto lasciare la loro casa a causa della guerra.

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Messaggi di Papa Francesco e Benedetto XVI a Simposio in Polonia

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Si è tenuto ieri a Varsavia, presso la sede della Conferenza dell’Episcopato polacco, il Simposio “Il concetto di Stato nella prospettiva dell’insegnamento del Cardinal Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”. L’iniziativa, promossa in occasione del 90.mo compleanno del Papa emerito, ha avuto il patrocinio dei vescovi polacchi, della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, del presidente polacco e dell’Agenzia d’informazione cattolica Kai.

Il messaggio di Papa Francesco
In un messaggio ai partecipanti, Papa Francesco esprime “apprezzamento per l’iniziativa volta a riconoscere la benemerita opera del Suo amato Predecessore” e “auspica che l’incontro susciti rinnovato impegno per un dialogo rispettoso e fecondo tra Stato e Chiesa in vista della costruzione della civiltà dell’amore”.

Messaggio del Papa emerito
Ha inviato un messaggio anche Benedetto XVI. “Il tema scelto - scrive il Papa emerito - porta Autorità statali ed ecclesiali a dialogare insieme su una questione essenziale per il futuro del nostro Continente. Il confronto fra concezioni  radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici - spiega - conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi esigono urgentemente  che noi sviluppiamo una concezione convincente dello Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle.  Nel travaglio dell’ultimo mezzo secolo, con il Vescovo-Testimone Cardinale  Wyszyński e con il Santo Papa Giovanni Paolo II, la Polonia - conclude Benedetto XVI - ha donato all’umanità due grandi figure, che non solo hanno riflettuto su tale questione, ma ne hanno  portato su di sé la sofferenza e l’esperienza viva, e perciò continuano ad indicare la  via verso il futuro”.

Intervento di padre Lombardi
Il presidente della Fondazione Ratzinger, padre Federico Lombardi, ha tenuto l’intervento introduttivo del Simposio sottolineando che la profonda convinzione di Benedetto XVI è che “il vero fondamento, la garanzia più solida di un ordinamento capace di tutelare la dignità e il valore della persona umana stia nel riconoscimento da parte della ragione umana della verità di un ordine morale oggettivo, basato ultimamente sulla ragione creatrice di Dio, e che quindi la negazione di Dio o il suo oblio, la emarginazione della religione dalla vita pubblica e di ogni prospettiva di trascendenza dalla cultura, siano in realtà cause di un processo molto negativo e di gravi rischi per la vita della società e per la difesa della dignità di ogni persona umana”.

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Udienze e nomine

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Per le udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Santa Sede: difendere diritti, libertà e dignità dei migranti

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L’Accordo Globale sulle Migrazioni darà alla comunità internazionale l'opportunità di rispettare gli impegni assunti con l’adozione dell'Agenda 2030, il programma per lo sviluppo sostenibile sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu. E’ quanto ha sottolineato mons. Bernardito Auza, nunzio apostolico e osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, intervenendo martedì scorso a New York ad un dibattito internazionale incentrato sui flussi migratori.

L’Agenda 2030 è un segno di speranza
Mons. Auza ha ricordato che Papa Francesco ha definito l’adozione di questa Agenda “un importante segno di speranza”. La Santa Sede - ha spiegato il presule - ritiene che questa speranza si tramuterà in realtà solo se l’Agenda sarà veramente, in modo equo ed efficace, implementata per tutti, inclusi i migranti.

E’ urgente rispondere ai bisogni fondamentali di tutti
Mons. Auza ha anche rammentato che il Santo Padre ha esortato tutti i leader di governo ad adottare misure immediate, efficaci e concrete per porre fine, il più rapidamente possibile, al fenomeno dell’esclusione sociale ed economica. L’impossibilità di un accesso ad una istruzione di qualità, la mancanza di opportunità di lavoro e l’assenza di un’assistenza sanitaria adeguata sono tra le cause che spingono le persone ad emigrare.

L’instabilità globale determina gravi conseguenze negative
Queste esigenze senza risposte – ha affermato mons. Auza – sono alla base di una instabilità globale. E sono molteplici le negative ripercussioni provocate da tale instabilità. Tra queste, il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, forme di schiavitù legate al lavoro, la prostituzione, il commercio di droga, di armi e il terrorismo. Per questo - ha detto il nunzio - il primo e principale impegno deve essere quello di rispondere alle esigenze fondamentali di tutti i popoli.

Sempre più preoccupante il dramma dei minori non accompagnati
Un ulteriore ambito di grave preoccupazione riguarda i bambini migranti non accompagnati. Ancor prima di raggiungere importanti obiettivi come la riunificazione familiare, si deve guardare all’origine di tale problematica. La comunità internazionale - ha affermato mons. Auza - si impegni per far cessare conflitti e violenze. Sono queste – ha osservato – le piaghe che spingono le persone a far emigrare i loro figli nella speranza che possano trovare le condizioni per una vita migliore.

Per governare il fenomeno delle migrazioni serve un approccio globale
La governance, per quanto riguarda le migrazioni, non può essere relegata ad un ministero o ad un singolo dipartimento. E’ necessario – ha sottolineato mons. Auza in un secondo intervento sullo stesso tema – un approccio di governo globale, che rifletta la natura integrale della persona umana. E’ dunque indispensabile una risposta comune alle migrazioni, che tenga conto della complessità di tale fenomeno. E’ anche urgente uno sforzo coordinato che includa, oltre alle attività di governo, anche la comunità politica, la società civile, le organizzazioni internazionali e le istituzioni religiose.

Nessuno si può esimere dal difendere i diritti dei migranti
Mons. Auza ha infine ricordato le parole rivolte da Papa Francesco, lo scorso 21 febbraio, ai partecipanti al Forum “Migrazioni e pace”. Il Pontefice in quell’occasione si era soffermato sulla situazione di milioni di lavoratori e lavoratrici migranti, tra cui anche profughi, richiedenti asilo e vittime della tratta. “La difesa dei loro diritti inalienabili, la garanzia delle libertà fondamentali e il rispetto della loro dignità - aveva detto - sono compiti da cui nessuno si può esimere”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

 

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Oggi in Primo Piano



Venezuela: imponenti proteste anti-Maduro in tutto il Paese

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Il Venezuela ha vissuto ieri un'altra giornata di proteste contro il presidente Maduro. Negli scontri sono rimasti uccisi due giovani e un poliziotto. I vescovi chiedono che le manifestazioni siano pacifiche, ma accusano il governo di aver cancellato gli elementi principali di una democrazia. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza ieri in numerose città del Venezuela in quella che è stata definita la “madre di tutte le proteste” per reclamare le dimissioni del presidente socialista Maduro, accusato di aver instaurato un regime autoritario.

Negli scontri con la polizia sono stati uccisi a colpi di pistola un ragazzo di 17 anni e una giovane 23enne. Ha perso la vita anche un militare. In tre settimane di manifestazioni sono morte 8 persone, centinaia gli arresti.

Immagine simbolo delle dimostrazioni è una donna avvolta in una bandiera venezuelana, ferma davanti  a un blindato, costretto a indietreggiare.

Maduro accusa l'opposizione di tentare un golpe fomentato dagli Stati Uniti.  La Casa Bianca respinge le accuse ed esprime grande preoccupazione per quanto sta accadendo. Le opposizioni hanno organizzato per oggi nuove imponenti proteste.

Intanto, si fa sempre più acuta la crisi economica nel Paese, amplificata dal ribasso del prezzo del petrolio, principale ricchezza del Venezuela: per tanti mancano cibo e medicine. Un sacerdote di 35 anni colpito da meningite è morto perché non è arrivato in tempo il farmaco trovato dal cardinale Porras.

I vescovi hanno lanciato un nuovo appello perché le proteste siano pacifiche, ma accusano il governo di aver perso la sua legittimità perché non rispetta più i diritti dei cittadini: ci sono fattori che negano la democrazia - dicono - come la concentrazione dei poteri pubblici nelle mani di un solo potere.

Ma quale situazione nell’immediato futuro è immaginabile per il Venezuela? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Maria Rosaria Stabili, ordinario di Storia dell’America Latina all’Università Roma Tre: 

R. – La mia percezione è che l’agonia sarà ancora lunga. Credo che Maduro non cederà così facilmente e quindi questa instabilità e questa conflittualità sociale dureranno ancora un po’. Mi pare una situazione di tragico stallo.

D. – L’emergenza umanitaria in Venezuela ha ormai superato da tempo i livelli di guardia e proprio su questo punto il presidente Maduro non riesce a dare risposte risolutive …

R. – Non può dare risposte risolutive, perché già le riserve valutarie sono state calcolate a meno di dieci miliardi di dollari, per cui non ha la disponibilità per importare tutto quello che occorre. Non si può rivolgere al Fondo Monetario internazionale, perché questo esigerebbe il rispetto della Costituzione, esigerebbe riforme. L'Fmi non dà aiuti senza avere delle garanzie, cosa che Maduro non ha intenzione di fare. Quindi abbiamo l’incapacità assoluta dell’attuale presidente a fare fronte alle situazioni: incapacità politica e impossibilità economica.

D. - Con questo tipo di governo è anche impensabile che una grande potenza come gli Stati Uniti venga in soccorso del Venezuela?

R. - Trump ha espresso il suo disappunto rispetto alla situazione venezuelana, però è anche troppo recente il ricordo degli interventi americani nella regione in appoggio alle dittature degli anni ’60 e ’70. Personalmente non me lo augurerei. D’altra parte gli altri Paesi latinoamericani hanno anche delle grosse difficoltà ad intervenire.

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Vescovi Venezuela: se Stato non rispetta diritti non è democratico

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"La protesta civile e pacifica non è un crimine. E' un diritto”. E’ quanto si legge nel comunicato della Conferenza episcopale del Venezuela, dove continuano le manifestazioni contro il presidente Maduro. Durante le proteste almeno tre persone sono rimaste uccise. Secondo l'opposizione, sei milioni di persone hanno manifestato in tutto il Paese, 2 milioni e mezzo solo a Caracas. La polizia è intervenuta con i gas lacrimogeni per disperdere la folla e si sono registrati violenti scontri.

Democrazia è rispettare i diritti dei cittadini
"La democrazia – si legge nel documento ripreso dall’agenzia Fides - è caratterizzata, soprattutto, dal rispetto e dalla protezione dei diritti dei cittadini. Quando lo Stato (o il governo) li ignora oppure non li rispetta, cessa di essere uno Stato democratico, perde legittimità, perché la sua funzione è quella di difendere tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro ideologia politica. Ci sono altri fattori che negano la democrazia, come la concentrazione dei poteri pubblici nelle mani di un unico potere. Questa è la situazione attuale in Venezuela".

I vescovi esortano ad agire secondo coscienza
"Difendere i diritti fondamentali, la vita, la libertà, la salute e altri diritti dei cittadini - sottolineano i presuli - è un dovere di ogni essere umano. E' anche un diritto e un dovere della Chiesa e di tutti i credenti, perché i diritti umani e civili non appartengono esclusivamente alla sfera socio-politico, ma anche religiosa". "La Conferenza episcopale venezuelana – si legge infine nel comunicato - invita tutti i cittadini, credenti in Cristo e uomini e donne di buona volontà, ad agire secondo coscienza, secondo i principi democratici e le leggi del Paese, così come ad esercitare il diritto di protestare e di manifestare pubblicamente nel rispetto delle persone e dei beni e in modo responsabile e pacifico". (A.L.)

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Haiti. Saint Damien l'ospedale pediatrico più grande dei Caraibi

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“Salvare i bambini di Haiti e non solo” è la sfida dell’ospedale Saint Damien, il più grande nosocomio pediatrico dei Caraibi. La struttura - voluta da padre Richard Frechette, sacerdote e medico in prima linea da 28 anni - è stata realizzata nel 2006 su un progetto tecnico italiano e grazie al determinante contributo della Fondazione Francesca Rava. Massimiliano Menichetti ha raggiunto nella capitale Port au Prince, Chiara Vermiglio della Fondazione Rava: 

R. – L’ospedale si trova a Tabarre, quartiere della capitale, a Port-au-Prince, a circa 10 - 15 minuti di macchina dall’aeroporto. L’ospedale è una struttura fondamentale per il Paese, è l’unico punto di riferimento ed arriva ad assistere fino a 80 mila bambini l’anno. In tutta l’isola, nove milioni di abitanti, ci sono solo tre chirurghi pediatrici e attraverso l’Associazione Italiana di Chirurgia Pediatrica stiamo formando nuovi dottori e stiamo ampliando il reparto di oncologia per i bambini e per la popolazione haitiana perché non ci sono altre strutture pubbliche nella capitale.

D. – Ricordiamo che nel terremoto del gennaio 2010 morirono oltre 230 mila persone, 300 mila rimasero ferite. Fondamentale fu anche in quella circostanza l’attività dell’ospedale…

R. -  L’ospedale anche in questo caso è stata l’unica struttura a non crollare. Le uniche sale operatorie attive in tutta l’isola erano proprio all’interno del Saint Damien. Questo ha fatto sì che la maggior parte degli aiuti convergessero all’interno dell’ospedale,  abbiamo per questo iniziato delle collaborazioni intense anche con la Protezione Civile e la Marina Militare, che ci hanno sostenuto. Nel 2010 la situazione era drammatica,  purtroppo continua a esserlo, ma il Saint Damien è un ospedale dove si può trovare tutto quello di cui le persone, i bambini, hanno bisogno.

D.  – I Caraibi sono spesso associati alle vacanze, ad Haiti si lotta però contro la miseria la fame, le malattie… Qual è adesso la situazione della Repubblica?

R. – Vanta le statistiche tra le peggiori del mondo: un bambino su tre muore prima dei 5 anni. La situazione non è migliorata, non sta migliorando, c’è stato anche il terribile uragano nel 2016, che ha fatto altri morti, ha distrutto le coltivazioni e gli aiuti sono sempre di meno come sempre accade quando c’è un’emergenza: nell’immediato tutti cercano di aiutare il Paese e poi ci si dimentica, ci si allontana.

D. – Lei ha portato un gruppo di volontari in una delle più grandi baraccopoli di Port-au-Prince, cosa avete visto?

R. – Citè soleil è una baraccopoli terribile dove vivono 300 mila persone, si cammina in mezzo a fiumi di spazzatura, alle baracche di lamiera mezze crollate, si vedono centinaia di migliaia di bambini mezzi nudi, che camminano scalzi tra i vetri, tra la sporcizia, che fanno i loro bisogni insieme ai maiali che sono accanto a loro… Si vedono però anche i sorrisi di questi piccoli che quando ci vedono riempiono il cuore perché hanno voglia di giocare, di abbracci, di affetto… Lì c’è caldo, un caldo torrido,  soffocante, caraibico, e si è colpiti da una sete costante, solo che la nostra giornata dura, a Citè soleil, cinque ore e poi torniamo a casa; lì invece per la sete i bambini, le persone muoiono davvero.

D. – Siete impegnati sul fronte dell’ospedale e anche nelle cosiddette scuole di strada…

R. – Per decenni i governi passati hanno messo a pagamento le scuole. La fondazione ha 30 scuole di strada, che consentono l’istruzione a 12 mila bambini e ragazzi, perché la scuola è fondamentale, veramente attraverso l’istruzione si può combattere la povertà.

D . - Come aiutarvi?

R. – Il 5 x mille può essere un aiuto che non costa niente a nessuno, può essere un grandissimo modo per sostenerci. Ma anche venire in fondazione, telefonarci, contattarci, andare sul nostro sito, che è www.nphitalia.org per vedere i nostri progetti, come l’adozione a distanza che è un mezzo semplice per sostenere qualcuno e creare rapporti meravigliosi con i bambini che accogliamo nelle nostre case, per bambini che non hanno genitori.

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Bolivia, i vescovi: non si manipolino elezioni giudiziarie

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Le elezioni giudiziarie che si terranno il prossimo 22 ottobre in Bolivia "non siano politicamente manipolate". E’ quanto chiede la Conferenza Episcopale del Paese latinoamericano in un breve messaggio rivolto alla comunità civile e al governo. Per la seconda volta nella storia del Paese, si svolge questo tipo di elezioni con le quali vengono elette, tra l’altro, le più alte autorità della Corte Suprema e del Consiglio della Magistratura. Le prime elezioni si erano tenute il 16 ottobre del 2011.

I vescovi: la giustizia sia indipendente
Nel comunicato – ripreso dall’agenzia Fides - i vescovi ricordano che nel 2011 la Conferenza episcopale boliviana aveva messo in guardia su una serie di errori legati al processo elettorale, osservazioni che non furono ascoltate. In quella occasione, la maggioranza votò scheda bianca. "In uno Stato democratico – ha detto il segretario dei vescovi, padre  José Fuentes - la giustizia deve essere indipendente”. “Ogni elemento che collabora con questo tipo di giustizia – ha concluso - sia benvenuto, perché così sarà più sana la nostra democrazia". (A.L.)

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Camerun: sfollati al confine con la Nigeria, ma riaprono scuole

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Fonti mediche della Nigeria lanciano l’allarme per un’epidemia di meningite esplosa nel Nord del Paese, con oltre 750 morti dallo scorso dicembre. Nella zona è già critica la situazione umanitaria: proseguono infatti in particolare nell’area settentrionale e orientale della Nigeria le violenze tra Boko Haram e forze di sicurezza, con condizioni drammatiche per la popolazione locale costretta ad abbandonare la propria terra in cerca di sicurezza altrove. Nei giorni scorsi nuovi attacchi degli estremisti islamici si sono registrati anche nel Nord del Camerun, nella zona di Kolofata. Sulla situazione al confine tra Nigeria e Camerun, ci riferisce fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, intervistato da Giada Aquilino

R. – C’è uno spostamento dei vari sfollati da una zona verso l’altra. Il problema grande è che la situazione, pur migliorando gradualmente, non è ancora sotto controllo, quindi c’è ancora una grande presenza militare da una parte e persistono gli attacchi di kamikaze o situazioni di insicurezza importanti dall’altra.

D. – Proprio nelle ultime ore nell’estremo Nord del Camerun c’è stato un altro attentato attribuito ai Boko Haram nigeriani. Perché gli estremisti islamici colpiscono anche fuori dai loro confini, fino al Camerun?

R. - Quella di Kolofata, dove c’è stato l’attacco, è sempre stata la zona più debole dell’impianto di sicurezza del Camerun perché è molto vicina alla frontiera e c’è sempre un via vai di gente. Ogni settimana, più o meno, abbiamo purtroppo notizie di attacchi di questo genere, con morti. Credo che lo scopo principale sia quello di creare insicurezza nella zona, in modo che la gente non possa ricominciare a vivere serenamente. A causa di questo stato di cose, ad esempio, le scuole nella zona non sono state riaperte. In altre zone più a Nord, dove noi interveniamo, vicino al Lago Ciad, le scuole invece stanno riaprendo, non tutte, ma una buona parte. Si tratta di strutture che non sono ancora ben equipaggiate per poter fornire tutti i normali servizi, perché erano state occupate in precedenza dai militari o dagli sfollati o rifugiati. Quindi sono aule fatiscenti, però almeno la scuola è cominciata.

D. - Ma queste scuole che hanno riaperto possono essere frequentate anche dai piccoli sfollati?

R. – Sì, dagli sfollati interni e da tutta la popolazione camerunense. Mentre per i rifugiati, per il momento, funzionano solo le scuole al campo profughi di Minawao, gestito dall’Unhcr.

D. - Voi operate nella zona come Caritas diocesana. Di cosa vi occupate?

R. – Stiamo sostenendo alcune di queste scuole affinché tornino ad essere operative soprattutto nella zona sul confine. In particolare a Fotokol, dove ci sono 2500 alunni che hanno ripreso la scuola ma sono costretti in otto aule, quindi in media 300 ragazzi per aula. Lì stiamo cercando di vedere come poter ripristinare altre aule. Inoltre ci stiamo occupando dei bambini fino a 59 mesi, meno di sei anni, in modo che - secondo gli standard fissati dall’Onu - si possa intervenire contro la malnutrizione.

D. - Ci sono alcune organizzazioni umanitarie internazionali che riferiscono come gruppi di rifugiati di nigeriani dal Camerun siano stati costretti a tornare nel loro Paese. Che conferme ci sono?

R. – Si sa che mille, duemila persone sono state rinviate in Nigeria. Il governo, inizialmente, ha negato e attualmente è in corso un’inchiesta per valutare la situazione. Credo che di fondo ci sia la paura che i terroristi si infiltrino tra i rifugiati. Bisogna dire che di questo fatto, comunque, ne hanno parlato anche i mezzi di comunicazione sociali qui in Camerun.

D. - Ci sono notizie lì in Camerun a proposito di una epidemia di meningite che avrebbe colpito il Nord della Nigeria, al confine col Niger?

R. – Posso parlare della situazione in Camerun: quello delle vaccinazioni contro la meningite è un elemento su cui stiamo lavorando ormai da più di anno, perché ci sono spesso dei casi isolati nelle regioni dell’estremo Nord del Camerun. Il nostro impegno è stato quello di fornire vaccini, oltre che personale, per arrivare attualmente a circa 95 mila vaccinazioni.

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Etiopia: grazie alla Cei apre primo corridoio umanitario dall’Africa

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Aprire il primo corridoio umanitario dall’Africa, in base al protocollo siglato a Roma il 12 gennaio del 2017. E’ lo scopo di una missione operativa congiunta di Caritas Italiana e Comunità di Sant’Egidio che si sta svolgendo in questi giorni ad Addis Abeba, in Etiopia. Il Protocollo di intesa con lo Stato italiano – riferisce l’agenzia Sir - è finanziato con fondi della Conferenza episcopale italiana. E’ previsto, nell’arco di due anni, il trasferimento dai campi etiopici di oltre 500 profughi, in prevalenza eritrei, somali e sud sudanesi.

Operazione umanitaria per aiutare i più vulnerabili
Il vice ministro degli Esteri etiope, Hirut Zemene, ha sottolineato la generosità di questa operazione umanitaria rivolta alle persone più vulnerabili. Grande soddisfazione è stata espressa anche da Caritas Etiopia e dall’arcivescovo metropolita di Addis Abeba, card. Berhaneyesus Souraphiel, presidente della Conferenza episcopale di Etiopia ed Eritrea.

Prosegue l’impegno dell’Etiopia nell’accoglienza dei profughi
Le agenzie dell’Onu impegnate nella gestione dei rifugiati, Unhcr e Oim, hanno inoltre offerto la loro collaborazione. Pieno sostegno è stato assicurato anche dall’Arra, l’agenzia di Stato che si occupa degli oltre 850.000 rifugiati presenti in Etiopia. L’Etiopia si conferma Paese leader, in Africa, per quanto riguarda l’accoglienza di profughi. La missione prosegue in questi giorni con una prima ricognizione nei campi in Tigrai, al confine con l’Eritrea. (A.L.)

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Conferenza sui detriti spaziali: 750mila oggetti in orbita

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E' in corso a Darmstadt, in Germania, la settima “Conferenza europea sui rischi dei detriti spaziali”. Si svolge presso il Centro Operazioni Spaziali dell’Esa, l'Agenzia spaziale europea. Scienziati, ingegneri, responsabili politici e rappresentanti del mondo accademico discutono sulle gravi problematiche legate all’aumento dei detriti in orbita: sono circa 750mila gli oggetti più grandi di un centimetro che ruotano introno alla terra alla velocità di 40mila Km/h; solo 18mila sono abbastanza grandi da essere regolarmente monitorati. Giorgio Saracino ne ha parlato con il dott. Luciano Anselmo, ricercatore dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Informazione di Pisa: 

R. – I detriti spaziali propriamente detti sono tutti quegli oggetti di origine artificiale, quindi prodotti dall’uomo e dalle attività spaziali, che sono iniziate circa 60 anni fa e che rimangono in orbita attorno alla Terra senza svolgere più alcuna funzione. Sono satelliti o stadi di lanciatori usati per portare in orbita i satelliti; oppure spesso si tratta anche di veri e propri frammenti, di pezzi prodotti dall’esplosione o dalla collisione di alcuni di questi satelliti o di questi stadi nel corso degli anni.

D. – Qual è il problema che rappresentano?

R. – Ora il problema è rappresentato dal fatto che nel corso delle attività spaziali il numero di questi oggetti abbandonati in orbita è molto cresciuto: oggi intorno alla Terra ce ne sono circa 20 mila con dimensioni superiori ai 10 centimetri. Ovviamente la presenza crescente di questi oggetti crea problematiche sia in orbita, sia sulla Terra. In orbita perché avere tanti oggetti non controllati, abbandonati, che riempiono lo spazio aumenta progressivamente la probabilità di collisione con satelliti funzionanti o anche con veicoli spaziali con uomini a bordo. Per quanto riguarda invece la Terra, l’eventuale rientro incontrollato di oggetti molto grandi e molto pesanti, capaci di resistere in parte alle condizioni estreme che si incontrano durante il rientro in atmosfera, può provocare potenzialmente dei danni anche sulla superficie terrestre ed eventualmente anche colpire qualcuno.

D. – Quali possono essere eventuali soluzioni?

R. – Le soluzioni si stanno discutendo a livello internazionale già da diversi decenni; diverse misure di mitigazione sono già state messe in pratica. Quello che si è fatto finora è stato soprattutto cercare di limitare quanto più possibile la produzione di nuovi detriti, quindi evitare che i nuovi satelliti o i nuovi stadi che vengono lanciati nello spazio a un certo punto possano esplodere, possano frammentarsi creando centinaia o migliaia di detriti spaziali. Altre misure che sono state discusse e in parte vengono applicate, consistono nello spostare i satelliti, una volta che hanno finito la loro vita e la loro funzione, in regioni meno affollate. Cioè, prima di abbandonarli definitivamente, manovrarli in modo che o rientrino in maniera controllata sulla Terra, in zone desertiche, in particolare in aree oceaniche disabitate, oppure cercare di spostarli su delle orbite che ora sono praticamente spopolate.

D. – Cosa possiamo aspettarci dal futuro?

R. – In futuro si spera di ricorrere a soluzioni più radicali, che sarebbero quelle di andare a riprendere nello spazio gli oggetti abbandonati, in particolare quelli di grande massa, quelli abbastanza grandi; catturarli in qualche modo e riportarli a terra, farli rientrare nell’atmosfera sempre in aree disabitate in maniera controllata. Però, ovviamente, questo cosiddetto “recupero attivo” degli oggetti spaziali in orbita, presenta l’inconveniente molto grave di essere estremamente costoso, perché per recuperare un oggetto morto si spenderebbe quanto per lanciarne uno nuovo.

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Studenti italiani ansiosi. La piscologa: genitori troppo protettivi

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Per massima parte sono soddisfatti della loro vita, e oltre l’80 per cento socializza facilmente tra i banchi di scuola, ma il loro problema sembra essere l’ansia. E’ la fotografia dei quindicenni italiani, scattata dall’Ocse, l’organizzazione dei 34 Paesi più industrializzati al mondo, che ha redatto un rapporto sul benessere degli studenti negli Stati membri. Roberta Gisotti ha raccolto il commento di Elisabetta Straffi, psicoterapeuta e psicologa nelle scuole, docente nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium” di Roma: 

Se la media Ocse del livello di ansia tra gli studenti che devono superare un test è al 37 per cento quella degli italiani sale al 56 per cento. Il 70 per cento è in ansia anche se molto preparato, contro una media Ocse del 56 per cento. Eppure i ragazzi italiani dichiarano al 96 per cento di essere seguiti dai genitori, che li sostengono al 90 per cento nelle loro difficoltà. Elisabetta Straffi:

R. – Mi sembra un dato molto significativo e mi torna, devo dire, se faccio riferimento alla mia esperienza professionale però anche come mamma di due ragazzi. Credo che in effetti questa prevalenza di problematiche legate all’ansia sia legata forse anche ad uno stile genitoriale iperpresente o iperprotettivo. I genitori oggi sono particolarmente attenti, soprattutto all’area didattica, all’andamento scolastico, alle vicende che capitano anche all’interno della scuola, tra compagni o tra ragazzi e docenti, forse sollecitati anche dai social. Siamo tutti 24 ore su 24 on line, quindi iperinformati sulle vicende che capitano nel contesto scolastico. Forse questa iperinformazione, iperpartecipazione, portano ad una sostituzione del genitore del figlio, quindi c’è comunque un omettere, forse poco sollecitare l’autonomia dei ragazzi. C’è anche un abbassamento dell’autostima e la risultante è proprio il sintomo dell’ansia.

D. – Questa iperpresenza, questa iperprotezione da parte dei genitori viene lamentata anche dal corpo docente…

R. – Oggi per il corpo docente questa iperpartecipazione è in effetti un problema quotidiano perché porta ad una sovrapposizione di spazi: ci sono alcune decisioni che spettano ai docenti, che spettano alla scuola. C’è una tendenza da parte dei genitori a inserirsi troppo nello spazio che appartiene alla scuola, una sovrapposizione di ruolo. Per superare un po’ questa difficoltà bisognerebbe mantenere gli spazi, definire a chi appartengono e capire in quali momenti si può invece mediare, si può collaborare. L’equilibrio in queste due realtà viene a mancare e i figli risentono di questa conflittualità che si innesca, spesso, fra scuola e famiglia e questo fa compromettere ancora lo stato emotivo, il livello di tranquillità, di affidabilità dei ragazzi. Anche questo può in qualche modo avere il suo effetto sulla situazione dell’ansia, sul disagio emotivo.

D.  - Un rapporto che va, come tutti questi rapporti, sui dati generali ma che apre invece importanti riflessioni…

R. – Importanti riflessioni sul ritrovare un giusto equilibrio, proprio nello stile di vita, anche nella stessa frenesia che noi abbiamo come adulti, come genitori, come educatori. Ritrovare un po’ quella saggezza, quella pace, quell’equilibrio interno che porta a ridimensionare i rapporti, gli spazi, ridefinendo a chi appartengono; ritrovare momenti di riflessione, quindi gestire anche livelli di impulsività che a volte riguardano anche i genitori, riguardano anche le figure educative. Quindi, momenti in cui dobbiamo mettere un po’ in discussione il nostro modo di agire, capire in anticipo l’effetto che può avere… Riconoscere gli effetti per vedere come superarli. Tutto questo però comporta un fermarci dalle frenesie quotidiane, quindi evitare quelle velocità, quel voler trovare in modo immediato le soluzioni: fermarci e riflettere prima di agire. E’ un po’ quello che i nostri nonni sapevano insegnarci anche attraverso i loro comportamenti.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 110

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.