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Sommario del 21/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Cresce l'attesa in Egitto per il viaggio del Papa

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Cresce in Egitto l’attesa per il viaggio che Papa Francesco compirà il 28 e 29 aprile. Lo slogan scelto per la visita, “Il Papa della Pace in un Egitto di Pace”, è una delle frasi che i copti ortodossi e cattolici amano ripetere più spesso per descrivere le aspettative per questo imminente viaggio apostolico. Sull’attesa, Stefano Leszczynski ha intervistato mons. Barnaba el Soryany, vescovo della Chiesa copto ortodossa di San Giorgio di Torino e Roma: 

R. - Veramente aspettiamo con tanta gioia questa visita di Sua Santità Papa Francesco, perché ce lo aveva promesso il 10 maggio 2013, quando ha incontrato Papa Tawadros. Quest’ultimo ha invitato Sua Santità ad andare in Egitto. Il Papa ha accettato questo invito dicendo: “Verrò; verrò con tanta gioia”. È per questo che noi aspettiamo questa visita dal 2013 con tanta gioia. Papa Francesco è un personaggio amato da tutto il popolo, da tutto il mondo cristiano. Aspettiamo tanto questa visita, specialmente in questi i giorni, dopo l’ultimo attentato; una tragedia purtroppo per noi. La prima persona che abbiamo sentito e che ci ha mostrato la sua vicinanza è stata sua Santità Papa Francesco.

D. - Un rapporto fraterno molto stretto, quello tra Papa Francesco e Papa Tawadros, testimoniato anche da una lettera che è stata resa nota in Egitto e che Papa Francesco ha scritto proprio in occasione della Pasqua …

R. - Sì. Comunque, prima c’era stato un contatto telefonico fra i due dopo quanto avvenuto ad Alessandria; poi Papa Francesco ha inviato una lettera a Papa Tawadros dicendo che bisogna andare avanti nel cammino spirituale, nel cammino fraterno fra loro. Con questi attentati, abbiamo provato tanta tristezza.

D. - Il mondo è rimasto molto colpito dalla reazione della comunità copta dopo gli attentati perché è stata mostrata una totale mancanza di odio da parte della comunità che, anzi, continua a cercare un rapporto sempre più stretto con quello che è il proprio Paese …

R. - È vero, perché noi siamo cristiani non dobbiamo odiare nessuno, anche se quello che è accaduto è grave; dobbiamo amarci lo stesso. Noi consociamo l’obiettivo di questo attentato: vogliono distruggere la comunità, distruggere il rapporto con il governo e con i nostri fratelli musulmani. Poi dobbiamo guardare ad un’altra cosa: quando c’è stato questo attentato, non solo i cristiani sono rimasti vittime, anche i musulmani. Le guardie davanti alla cattedrale di Alessandria … sono morti innocenti. Allora questo vuol dire che è vero che l’attentato era rivolto a noi cristiani, ma allo stesso tempo anche i nostri fratelli musulmani sono rimasti vittime.

D. - Questa conferenza di pace in cui saranno presenti tanti leader religiosi potrà riaffermare proprio questo principio della lontananza della religione da qualsiasi atto di terrorismo …

R. - È vero anche questo. È per questo motivo che mi piace veramente tanto il motto della visita del Papa: “Il Papa della pace nell'Egitto della pace". (ho messo il titolo esatto del motto) E questo è un appello forte per tutti e tre leader d’Egitto: Papa Francsco, Papa Tawadros e il capo di Alazhar, il Grande Imam. Sarà un appello molto forte contro il terrorismo. Inoltre vorrei fare un appello per tutto il mondo cristiano: pregare per tutti i fratelli cristiani in Medio Oriente perché i cristiani in questa zona sono pochi e la nostra è l’unica comunità numerosa. Dobbiamo pregare tanto anche per i nostri fratelli uccisi, per le loro famiglie.

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Papa in Egitto. Santa Sede: unico antidoto all'odio è il dialogo

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Preoccupazione per la situazione in Medio Oriente; condanna dell’uso di agenti chimici in Siria in violazione delle diritto internazionale; riprovazione dei recenti attentati contro civili riuniti in preghiera in Egitto; auspicio di un negoziato diretto tra israeliani e palestinesi che con il sostegno della comunità internazionale porti ad una soluzione di due Stati in pace tra loro. Questo in sintesi, il contenuto dell'intervento dell’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico e Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ieri durante il dibattito al Consiglio di Sicurezza Onu a New York sul Medio Oriente.

Santa Sede: unico antidoto a odio è dialogo
Il presule ha evidenziato come la visita in Egitto di Papa Francesco in programma per i prossimi 28 e 29 aprile abbia lo scopo di rimarcare che non esiste un antidoto più efficace all’odio e alla violenza che il dialogo e l’incontro. Forte il richiamo ai fornitori di armi ad gire in conformità con le norme internazionali così come quello rivolto ai leader religiosi perché manifestino apertamente l’incompatibilità di ogni religione con il terrorismo compiuto in nome di Dio e con altre azioni contrarie alla dignità umana e ai diritti fondamentali di ogni uomo e donna, soprattutto il diritto alla vita e alla libertà religiosa.

Comunità internazionale protegga minoranze religiose a rischio genocidio
Il pensiero è andato alle minoranze religiose ed etniche in Medio Oriente, la cui presenza storica convissuta pacificamente per millenni con la maggioranza musulmana, è oggi messa a repentaglio dall’estremismo che li ha presi di mira distruggendone il patrimonio culturale e storico. Alla Comunità Internazionale il nunzio apostolico ha chiesto di intensificare gli sforzi per liberare queste popolazioni dal flagello incombente del genocidio perpetrato dai terroristi.

Libano, esempio di accoglienza
Di fronte alla crescente instabilità della Regione mons. Auza ha lodato il Libano che si è assunto l’onere di accogliere milioni di rifugiati provenienti da paesi e territori limitrofi in conflitto. A tal proposito la Santa Sede, in ottemperanza con quanto stabilito dal Consiglio di Sicurezza Onu, chiede il disarmo di tutti gli attori non statali armati attivi e finanziati da fonti esterne.

Due Stati per Israele e Palestina
Ribadendo quindi la soluzione dei due Stati per Israele e Palestina, con confini riconosciuti a livello internazionale, il nunzio apostolico ha invocato un accordo negoziato in buona fede con coraggio e la prospettiva di concessioni reciproche eque. Netto il no a decisioni unilaterali o ad atti di violenza che amplificano odio e divisioni. Chiaro anche l’invito al dialogo in sintonia con quanto desiderato da Papa Francesco, che – ha precisato mons. Auza – assicura ogni sforzo e prega perché le ferite profonde che dividono israeliani e palestinesi possano essere guarite. (A cura di Paolo Ondarza)

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Udienze e nomine

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Per le udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Tweet: Cristo risorto ci dà sempre la forza di rialzarci

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Nuovo tweet del Papa: "Quando abbiamo toccato il fondo della nostra debolezza, Cristo risorto ci dà la forza di rialzarci".

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Mons. Oder: la Divina Misericordia unisce Wojtyla e Bergoglio

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Si celebra domenica prossima la Festa della Divina Misericordia. Una ricorrenza istituita da San Giovanni Paolo II nel 2000, in occasione della Canonizzazione di Santa Faustina Kowalska, apostola della Divina Misericordia. La Festa è inscindibilmente legata alla Risurrezione del Signore, fu infatti voluta da Karol Wojtyla nella Prima Domenica dopo Pasqua. A sottolinearlo è il postulatore della Causa di Canonizzazione di Giovanni Paolo II, mons. Slawomir Oder, che al microfono di Alessandro Gisotti si sofferma sulla straordinaria sintonia tra Francesco e Papa Wojtyla proprio sul tema della Misericordia: 

R. – Non è possibile pensare alla Divina Misericordia senza la Risurrezione del Signore, perché la Risurrezione del Signore, la Pasqua del Signore è il culmine della rivelazione della Misericordia di Dio, quell’apertura alla vita, alla vita eterna. È un dono supremo che Dio in Cristo offre all’uomo. Gesù è venuto nel mondo proprio per rivelare il volto misericordioso di Dio.

D. - La Divina Misericordia è sicuramente uno dei temi forti che legano intimamente Giovanni Paolo II e Francesco. L'Enciclica Dives in Misericordia viene ripresa costantemente da Papa Francesco negli atti, nelle sue parole, nel Giubileo ovviamente ..

R. - Sì, il tema della misericordia li unisce in modo intimo e, nello stesso tempo, costituisce una formidabile via di continuità tra i due Pontificati. Entrambi provengono dalle situazioni segnate dallo sconvolgimento sociale, dalle difficoltà storiche. È proprio la sensibilità umana, la concretezza storica e l’attenzione che prestano entrambi i Pontefici alla dignità dell’uomo alle questioni dei più poveri - quelli che attendono il compiersi del messaggio evangelico - che li rende così vicini nell’affrontare il problema della Divina Misericordia.

D. - La misericordia non elimina la giustizia, ma la supera. In fondo anche Giovanni Paolo II proprio nella Dives in Misericordia si domandava: “Basta la giustizia?”, per poi rispondere che in realtà la Chiesa è chiamata a proclamare e ad annunciare la misericordia proprio come forma più alta di giustizia nell’amore. In questo c‘è una perfetta sintonia tra i due Pontefici. Peraltro, a volte la misericordia non è capita, come fosse una concessione, addirittura un buonismo. Non è assolutamente così vero?

R. - Non è assolutamente così, anche perché dalla prospettiva del secolo passato possiamo dire chiaramente cosa significa la giustizia umana senza Dio: porta all’obbrobrio, alla negazione dell’uomo, ad un sistema di schiavitù e alla negazione della dignità della persona. Senz’altro non c'è una contradizione tra la giustizia e la misericordia, non è un buonismo parlare della Misericordia, ma dobbiamo sempre ricordare che comunque la rivelazione della Divina Misericordia porta con sé un obbligo morale, religioso dell’uomo di accogliere questo mistero, ma anche a convertirsi a questo mistero. La Misericordia presuppone l’accoglienza e un costante processo di comprensione del cuore dell’uomo.

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Mons. Viganò all’Usmi: cogliere con coraggio la sfida dei media digitali

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“Media digitali e aspetti formativi”. E’ il tema della relazione tenuta oggi da mons. Dario Edoardo Viganò all’USMI, Unione Superiore Maggiori d’Italia. Il prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede ha messo l’accento sulla sfida che la Rete pone alla Chiesa, chiamata a dialogare con la cultura del nostro tempo imparando anche i nuovi linguaggi dell’ambiente digitale. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Non possiamo trascurare il dialogo con la cultura del nostro tempo, con l’evoluzione dei media e l’esigenza di imparare nuovi linguaggi”. E’ quanto sottolineato da mons. Dario Edoardo Viganò nel suo discorso all’USMI sul binomio formazione e media digitali. Il prefetto del dicastero vaticano per la Comunicazione ha sottolineato che nella Chiesa “siamo eredi di un passato che conserviamo come tesoro prezioso, ma siamo responsabili di un presente impegnativo e di un futuro da decodificare e progettare”.

Importante conoscere nuovi linguaggi per comunicare al cuore dell’uomo
Papa Francesco, ha affermato, “invita tutti” a “riflettere sulla realtà dei mezzi di comunicazione che non sono più soltanto delle protesi, che ci permettono di arrivare più lontano”, ma “costituiscono un tessuto vitale nel quale siamo tutti immersi, fanno parte della nostra quotidianità”. Questa consapevolezza, ha soggiunto mons. Viganò, “ci porta a comprendere l’importanza della conoscenza dei mezzi e della formazione al loro usa, senza paure né ingenuità, ma con la libertà e la serenità che germogliano dal sapere”. Con la rivoluzione tecnologica, ha rilevato, si è “passati dalla domanda cosa fanno i media? al quesito cosa si fa con i media?”. E’ dunque “indispensabile cogliere le sfide culturali lanciate alla società e alla Chiesa dal nuovo orizzonte comunicativo”. Al tempo stesso, ha affermato, Papa Francesco ci ricorda che “non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione”. Ha quindi rivolto l’attenzione al tema dell’educazione alle relazioni che, con l’uso dei social media, “ci chiedono nuove modalità attuative, linguaggi originali e inedite tecniche narrative”.

Cristiani si impegnino ad essere cittadini e non ospiti dei media digitali
Mons. Viganò ha ricordato le parole di Papa Francesco che mettono in guardia da un “isolamento sociale” che privilegia “solo relazioni virtuali, attraverso i media, impoverisce ed espone ad una orfanezza spirituale”. Ecco allora che diventa cruciale il tema della formazione che, ha ammonito, “non equivale” solo ad “offrire competenze tecnologiche”. “Educare e formare in questo ambito – ha detto – significa maturare le ragioni delle connessioni e delle uscite dalla rete” e maturare pure “un modo responsabile di stare all’interno e in relazione con nuovi mondi”. Per il capo dicastero, i cristiani sono chiamati ad essere “cittadini” e “non ospiti dei media”. Invece di farsi prendere dallo scoraggiamento in un contesto “indubbiamente caratterizzato da incertezze”, bisogna cogliere l’opportunità di “abitare lo spazio dei media digitali come momento di confronto e di promesse, tempo provvidenziale di grazia e di sapienza, in ascolto del rumore di un silenzio esile in cui è presente Dio”.

Anche nei media digitali possono nascere relazioni autentiche
Con questo spirito dunque, anche i media digitali possono diventare spazi dove nascono le relazioni, pur con dei “criteri diversi” e “nuovi”. Nell’ultima parte del suo intervento, mons. Viganò ha quindi posto l’accento sul “distinguere per unire”. Nell’orizzonte dei media digitali, ha annotato, “ciò significa che la vita online e quella offline necessitano di una profonda integrazione” nella consapevolezza che “si è sempre e comunque parte di questo nuovo mondo digitale il cui reticolato ci avvolge tutti”. E’ necessaria una “ecologia della rete e dell’ambiente – ha esortato – affinché sia fruibile da tutti, non comporti rischi e pericoli, soprattutto per le categorie” meno attrezzate ad “un uso appropriato e anche critico della rete”. Di qui l’esortazione finale alle Superiore Maggiori d’Italia a concentrare gli sforzi “su percorsi formativi che offrano opportunità per osare il futuro, ragioni per impegnarsi, decisioni e traguardi per agire”.

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo a Parigi: obiettivo dell'Is sono le presidenziali

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Proseguono serrate le indagini a Parigi dopo l’attentato che ieri sera, sugli Champs-Élysées, ha visto la morte di un agente e il ferimento di altri due, da parte di un uomo che ha sparato colpi di kalashnikov, ucciso a sua volta. Identificato, il 39enne era stato già arrestato in passato colpevole di aver aggredito la polizia, ma rilasciato per mancanza di prove. Ora si cerca un complice, forse proveniente dal Belgio. Fermati tre familiari dell'attentatore. Questo nuovo attacco si inserisce nel quadro del delicato contesto delle elezioni presidenziali di domenica prossima, che, nell’ultimo giorno di campagna elettorale, ha visto lo stop di comizi e messaggi agli elettori da parte dei candidati. Sentiamo Paola Simonetti

La Francia, ieri, di nuovo nel mirino del terrorismo di matrice islamica, quando a tenere banco ci sono le elezioni presidenziali di domenica. Un colpo al cuore di Parigi, sugli Champs-Élysées, da parte di un uomo che ha assalito gli agenti schierati, proprio mentre in tv si consumava l’ultimo confronto fra i candidati al voto. Un’azione terroristica che, dunque, sembra aver mirato a dare un segnale ben preciso, come spiega Francesco Strazzari, docente di scienza politica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed esperto di terrorismo e Medioriente:

"Le pattuglie di polizia sono ovunque, sono state prese di mira direttamente, da un individuo verosimilmente segnalato. E' stato sufficiente un kalashnikov per fare un piccola, miserabile parata militare. Lo Stato Islamico ha così voluto intendere un proprio intervento in diretta nella campagna elettorale, andando a colpire proprio nel momento in cui i candidati stavano incollando i francesi alla televisione nell'ultimo dibattito. In questo modo hanno preso la parola sulle elezioni, costringendo anche alcuni candidati a sospendere la campagna elettorale, avendo dunque l'ultima parola". 

Ma a giocare un ruolo nell’agguato di ieri, anche le politiche francesi nella lotta al sedicente Stato Islamico. Sentiamo ancora Francesco Strazzari:

"Ogni attentato terroristico cela in sè un messaggio diretto di deterrenza: ieri mattina il presidente Hollande aveva ammesso che la Francia aveva fornito armi ai ribelli siriani contro il sedicente Stato Islamico. C'è sempre bisogno di un inquadramento in una logica internazionale. Qual è il messaggio che sta passando?  Da una parte c'è la lettura delle difficoltà militari dell'Is, dall'altra parte c'è il tentativo di influenzare le elezioni più importanti per gli equilibri della storia europea degli ultimi anni".

E ora, il nuovo attacco terroristico di Parigi lascia tutti i candidati, che hanno fermato anticipatamente la campagna elettorale, a riflettere su come quest’ultima si sia svolta, come ha spiegato al microfono di Fabio Colagrande, Daniele Zappalà, corrispondente da Parigi per il quotidiano Avvenire:

“Il clima elettorale è cambiato e si può dire che a Parigi riaffiora il rimorso. La campagna elettorale aveva, per molti aspetti, lasciato un po’ da parte o comunque non era stata davvero monopolizzata dal tema della sicurezza. Naturalmente nelle ultime ore tutti i commenti dei candidati in vista del primo turno delle presidenziali di domenica sono concentrati proprio su questo evento che stravolge il quadro e rischia di avere delle conseguenze”.

Il governo, per ora, da parte sua ha predisposto il rafforzamento delle misure di sicurezza in tutta la Francia. Il governo "è totalmente mobilitato" ha assicurato il primo ministro Cazeneuve, chiedendo di "non cedere alla paura" e di far prevalere l'unità".

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Tajani: Ue in dialogo con la Turchia, ma si rispetti libertà

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Continua a far discutere la vicenda del documentarista Gabriele Del Grande, detenuto da oltre dieci giorni a Mugla, in un carcere turco. Stamani ha incontrato una delegazione del consolato italiano ma continua lo sciopero della fame ed è in isolamento. Il suo legale ha affermato che non sono chiari i capi d’imputazione. Intanto il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha ribadito che si sta lavorando per un rilascio in tempi rapidi. Oltre a Del Grande ci sono altri 200 reporter nelle carceri turche: una vicenda sulla quale si è espresso ai nostri microfoni il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. L’intervista è di Benedetta Capelli

R. – Una vera democrazia non può mettere il bavaglio alla stampa e non può mettere in prigione coloro che scrivono cose che possono non essere gradite a chi governa. Per noi questo è inaccettabile. Se la Turchia vuole entrare nell’Unione Europea e vuole mantenere lo status di candidato deve fare passi nella direzione opposta rispetto a quelli che sta facendo. Ancora più grave è l’orientamento a favore della pena di morte. L’idea di fare un referendum per reintrodurre la pena di morte è molto negativo per noi. C’è un messaggio che va assolutamente contro la possibilità di aderire all’Unione Europea. Noi siamo l’unico continente al mondo dove non c’è la pena di morte, mettiamo al centro dei valori dell’Unione Europea la libertà e quindi anche la libertà di non vedersi togliere la vita da chicchessia. Se la Turchia va in quella direzione si va oltre la linea rossa.

D. – La Turchia è uno dei Paesi strategici nella lotta al terrorismo e per la questione dell’immigrazione. Qual è il messaggio distensivo che si può lanciare ad Ankara?

R. - Dire che ci sono cose che non vanno e che non sono in sintonia con i nostri valori non significa voler chiudere relazioni con la Turchia. Lotta al terrorismo, immigrazione e anche scambi commerciali, attività industriali: sono tre temi sui quali noi vogliamo continuare a dialogare con la Turchia. Però, un conto è il dialogo, un conto è un rapporto con un Paese che ha svolto sempre il ruolo di cerniera tra l’Europa e l’Asia. E’ una partita complicata che si gioca su due tavoli diversi, fermo restando che chiudere la porta alla Turchia sarebbe un errore in questo momento. Però non possiamo fare a meno di dire le cose che non vanno e che non ci piacciono.

D. – Presidente, come legge l’Europa questo particolare momento della Turchia? Abbiamo ricordato i giornalisti in carcere ma c’è anche un referendum costituzionale appena archiviato con polemiche…

R. – Siamo sempre preoccupati quando c’è qualche smagliatura nei processi democratici. Gli osservatori sono stati molto chiari sul funzionamento della macchina organizzativa e di propaganda in occasione del referendum. Però, se c’è stata una effettiva maggioranza noi rispettiamo le scelte del popolo. E’ importante che la Turchia rimanga un Paese democratico con pesi e contrappesi, come accade in tutti i Paesi che sono democratici. Rimane certamente un interlocutore importante con il quale dobbiamo coltivare rapporti positivi. Mi auguro che la metà dei cittadini turchi che si sono espressi contro le riforme di Erdogan possano essere parte costruttiva di una buona relazione con l’Europa. Se Erdogan vorrà dialogare con l’altra metà della popolazione turca, facendo in modo che ci sia una situazione equilibrata, questo non farà altro che favorire un dialogo tra l’Unione Europea e questo Paese anche su altri temi. Nessuno di noi vuole chiudere la porta. Dire che c’è una cosa che non funziona non significa voler interrompere le relazioni. Però quando ci sono cose che non vanno è nostro dovere denunciare le contraddizioni con i valori fondanti dell’Unione Europea: libertà di stampa e difesa della vita sono per noi i principi ai quali non possiamo assolutamente rinunciare. L’ho detto anche in occasione dell’incontro che Papa Francesco ha avuto con le istituzioni europee. La pena di morte per noi è una linea oltre la quale non si può mai andare.

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Tensione tra Nord Corea e Usa: la Cina allerta l'aviazione

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La crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord sta destando allerta e preoccupazione in tutta la comunità internazionale. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha condannato con forza l'ultimo test missilistico di Pyongyang e ha minacciato nuove sanzioni per il comportamento nordcoreano definito fortemente destabilizzante. Intanto, dopo le minacce del Paese asiatico di mettere in atto un attacco preventivo, la Cina ha allertato la sua aviazione. Sul coinvolgimento di Pechino nella questione, Giancarlo La Vella ha intervistato Francesco Sisci, corrispondente dalla Cina per il Sole 24 Ore: 

R. - La Cina qualche anno fa era assolutamente contraria a un intervento forte contro la Nord Corea. Oggi è più possibilista, quindi ci troviamo di fronte a una partita molto diversa dal passato.

D. - Guardando il tutto in chiave più positiva, il ruolo di Pechino potrebbe essere proprio quello di mediatore tra Washington e Pyongyang?

R. - Questa è la speranza fino ad adesso. Però è una mediazione molto difficile, perché le difficoltà si moltiplicano: Washington vuole qualcosa dalla Corea del Nord, ma vuole qualcosa anche da Pechino; la Cina, a sua volta, vuole qualcosa dalla Corea del Nord, ma vuole qualcosa anche dall’America. Infine, ovviamente, anche la Corea del Nord vuole qualcosa sia dalla Cina che dall’America. Quindi, in questo senso la mediazione è estremamente complicata. Detto questo, in senso positivo c’è la novità, che sembra farsi strada, dell’idea a Pechino che bisogna comunque trovare qualche forma di uscita dalla crisi, anche se non è chiaro come si possa fare per ora.

D. – Quali sono le reali condizioni della oggi della Corea del Nord? In passato ha sempre utilizzato la questione nucleare per poi avere appoggi di altro tipo...

R. - Diciamo che in passato il ricatto nucleare, il ricatto missilistico era una cosa un po’ velleitaria. Oggi sembra che ci siano armi nucleari e missili balistici capaci di colpire quasi l’America. Questo cambia completamente la situazione, perché mette gli Stati Uniti con le spalle al muro. Washington, che ha subito l’11 settembre, non può permettersi di subire un altro ricatto terroristico con una minaccia che potrebbe essere più grande, più distruttiva di al Qaeda. Quindi questo sta portando a un’accelerazione di tutta la situazione.

D. - Come interpretare il fatto che la Cina stia allertando i suoi aerei sulla penisola coreana?

R. - Oggi la Cina ha cominciato veramente a prendere in considerazione l’eventualità di un attacco americano contro la Nord Corea, oppure un‘azione della Corea del Nord contro il Sud, il Giappone o l’America stessa. E questo ci dovrebbe un attimo allarmare. Una volta che eventualmente ci fosse un attacco, si aprirebbero "le porte dell’inferno", perché poi non si sa cosa succederebbe alla Nord Corea e quali sarebbero le ricadute per la Cina stessa. Una cosa è certa: ci sarebbe un’ondata di profughi dalla Nord Corea verso la Cina, come minimo.

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Biotestamento, sì della Camera. Bagnasco: apre derive pericolose

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La Camera dei deputati ha approvato nella serata di ieri il Ddl sul biotestamento. I si' sono stati 326 , 37 i no, 4 gli astenuti. Hanno votato a favore i gruppi Pd, M5S, Sinistra Italiana, Mdp mentre Scelta civica ha lasciato libertà di coscienza. Contrari: Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e centristi al governo di Ap. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato. Preoccupazione è stata espressa dal cardinale Bagnasco: è un testo – ha detto – che apre derive pericolose. Il servizio di Adriana Masotti

L'Aula della Camera ha approvato la proposta di legge sul testamento biologico. Il voto finale al termine di due giornate in cui il Parlamento ha votato singoli articoli della norma, tra cui alcuni essenziali. Il testo dispone che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, documentato in forma scritta, revocabile in ogni momento. Stabilisce che anche l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono «trattamenti sanitari», e quindi possono essere inseriti nelle disposizioni anticipate di trattamento fra le cure che possono essere rifiutate. Sancisce il divieto di accanimento terapeutico, garantisce la terapia del dolore fino alla sedazione profonda. Il medico potrà ricorrere all’obiezione di coscienza, in caso di disposizioni del paziente «palesemente incongrue», ma la struttura sanitaria dovrà garantire la volontà del paziente.

Il testo approvato dichiara inoltre che «il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale», «a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali». Nel caso di minori e incapaci, il consenso informato è espresso dai genitori o dal tutore.
In una nota congiunta firmata al termine della votazione, 11 deputati cattolici di diversi schieramenti spiegano il loro no al disegno di legge: “perché con esso, scrivono, la Camera vuole fare entrare nel nostro ordinamento giuridico l'eutanasia e vi entra nel modo più barbaro: la morte per fame e per sete”. I deputati sottolineano che la battaglia continua al Senato dove, scrivono ancora, i rapporti di forza sono diversi”. Diversamente si era espresso in precedenza Edoardo Patriarca, deputato del Pd in commissione Affari sociali della Camera: “ La legge sul testamento biologico non contiene derive di tipo eutanasico o di suicidio assistito. E' un testo di grande equilibrio che cerca di temperare da una parte la libertà delle persone di decidere sulla propria salute, e dall'altro di confermare l'alleanza terapeutica tra il paziente e il medico e, quindi, non prevede ne' accanimento terapeutico ne' tantomeno l'abbandono terapeutico".

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Biotestamento: i commenti di Marazziti e Gambino

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Il disegno di legge sul “biotestamento”, approvato ieri alla Camera dei Deputati e ora in attesa dell’esame del Senato, introduce la normazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), secondo cui un cittadino può stabilire a quali terapie sottoporsi in caso di una grave malattia impedente e debilitante. Il testo finale è arrivato dopo un’accesa discussione parlamentare come spiega Mario Marazziti, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, al microfono di Michele Raviart

R. – La legge è stata approvata ieri con una maggioranza schiacciante. Questo testo, così com’è uscito, contiene dei punti problematici per chi è cattolico, per chi ha a cuore le persone più deboli e può temere che chi si trovi ad applicarla possa trovare dei varchi nei quali non sempre la vita verrà tutelata. In realtà, rispetto al testo come era arrivato – il testo base – è profondamente cambiato: alcuni dei rischi e dei problemi sono migliorati – penso all’autodeterminazione assoluta: per fortuna, l’ultimo giorno è passato un emendamento per il quale la vincolatività delle Dat può essere disattesa dal medico qualora le dichiarazioni siano palesemente incongrue o quando siano intervenuti dei miglioramenti della medicina. Il capo che riguarda i disabili ad esempio l’abbiamo conservato; il tutore del disabile deve comunque agire nell’interesse del diritto alla vita: c’erano stati forti tentativi per togliere questo punto. Oppure, il riferimento alla deontologia professionale … Che questo sia sufficiente, difficile dire. Ma sicuramente è stato un grande lavoro per conciliare due cose che sembrano inconciliabili, cioè la libertà individuale che qualcuno vorrebbe assoluta – e assoluta non può essere – e il ruolo del medico che certo non può sostituirsi alla libera scelta della persona, perché la persona è tutelata nella sua dignità. E’ stata una legge molto complicata. I rapporti di forza erano molto squilibrati … la legge forse è meno squilibrata dei rapporti di forza che ci sono in Parlamento.

D. – Su quali punti si può ancora lavorare per migliorare questa legge?

R. – Sicuramente bisogna fare un registro nazionale delle Dat, che le renda utilizzabili: questa parte è debole perché non c’erano stanziamenti e quindi per ora è più frammentata. Per quanto riguarda la parte sull’idratazione assistita e l’alimentazione artificiale, c’era un emendamento che chiedeva una riformulazione che potesse essere meno preoccupante e più a tutela della vita, in tutti i casi: non è passato con 93 voti a scrutinio segreto. E’ il massimo dei voti che ha preso un emendamento che cercasse di cambiare questo punto. Dall’altra, all’ultimo minuto abbiamo fermato la reintroduzione dell’eutanasia attiva: quindi, il problema dei miglioramenti c’è, però bisogna anche evitare i peggioramenti …

Tra le criticità, l’equiparazione di cibo e acqua a “trattamenti sanitari” e l’obbligo delle strutture sanitarie di garantire le Dat. Ascoltiamo il commento di Alberto Gambino, giurista e presidente dell’associazione Scienza e Vita: 

R. – Il disegno di legge ha qualche luce ma molte ombre. Una luce è che la rigidità delle direttive anticipate di trattamento sono diventate un po’ più elastiche. Il medico davanti alle direttive, dichiarazioni o disposizioni che implicano un’esecuzione obbligatoria può discostarsene laddove ne verifichi la non adeguatezza rispetto al quadro clinico. Quindi, da questo punto di vista, anche delle improvvide dichiarazioni - fatte magari in un momento in cui non si aveva nessuna contezza della patologia - possono essere disattese dal medico perché può ritenere invece che ci sono delle cure, anche non invasive, che possono guarire l’individuo.

D. - Quali sono invece le criticità?

R. – La prima criticità è che accanto a una definizione un po’ consueta di accanimento terapeutico è stata introdotta una fattispecie molto rischiosa: davanti a una prognosi infausta, a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ostinazioni irragionevoli. Qui si annida la possibilità che siano i giudici a decidere che cosa significhi tutto questo. Il rischio è che il paziente, a questo punto, non venga affatto curato, accudito perché il medico rischierebbe moltissimo se andasse contro questa disposizione.

D. - Uno dei punti più contestati è quello dell’equiparazione a terapie di cibo e acqua…

R. - Verificare che sempre e in ogni caso l’alimentazione e l’idratazione artificiale siano una cura e una terapia, oggettivamente, è un fuor di luogo. Chi le ritiene terapie dice che poiché per poter alimentare artificialmente una persona c’è bisogno dell’intervento di un medico, questo diventa atto medico. Ci sono tanti casi in cui, invece, è un sostentamento vitale di necessità e che implica che a quel punto la rinuncia a questo presidio vada di pari passo con una sedazione profonda e questo sia davvero l’anticamera di una vera e propria eutanasia.

D. – L’obiezione di coscienza viene garantita e cosa implica per le strutture sanitarie di ispirazione cattolica?

R.  – C’è una frase che dice che il medico in generale non ha obblighi professionali. Ma obblighi professionali non significa obiezione di coscienza. L’ultimo comma dell’articolo 1 sancisce il principio che tutto quello che è contenuto in questo disegno di legge debba essere rispettato da tutte le strutture sia pubbliche che private e quindi dentro c’è anche l’ospedalità cattolica. Allora, in questi casi, andiamo a contrastare davvero con la coscienza del medico e anche con quello che è lo spirito tipico del concordato delle nostre strutture sanitarie di stampo cattolico.

D. – In sostanza questa legge può essere considerata un passo avanti seppure con tutte le criticità verso una sistematizzazione del problema?

R. – Questa legge in realtà ha dietro una forzatura. Davanti a un sistema sanitario che già prevede, attraverso il codice deontologico, gran parte delle soluzioni a dei casi di criticità, vuole introdurre questo aspetto dell’autodeterminazione del paziente, che da un lato se fosse solo legato al consenso informato, cioè quando il paziente è vigile e presente, è bene che ci sia; invece quando ci si sposta sull’idea che questa autodeterminazione non sia legata a un momento patologico terminale ma sia legata a una previsione di un cittadino in perfetta salute che a un certo punto - tra l’altro davanti a un notaio e non davanti a un medico - dica cose su terapie che neanche conosce, è un’esaltazione di questo individualismo esasperato che poi alla fine, invece, va a contrastare proprio l’individuo da cui promana questa apparente libertà.

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Madre Teresa, una goccia d'amore che ha cambiato il mondo

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Dalla laurea honoris causa conferita dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, alle raccomandazioni rivolte ai medici del Policlinico Gemelli di difendere sempre la dignità della vita, fino alla nascita dell’Hospice Perinatale. E’ questo il ritratto di Madre Teresa di Calcutta raccontato nel libro “Una goccia d’amore cambia il mondo: Madre Teresa e  l’Università Cattolica”, scritto dal prof. Giuseppe Noia, docente presso l’ateneo del Sacro Cuore. I diritti d’autore del libro saranno devoluti alla Fondazione 'Il Cuore in una Goccia Onlus', che si occupa in particolare dell’accoglienza e della difesa della vita nascente più fragile. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro

Se c’è una donna che non vuole il proprio bambino, “Give him to me!”, datelo a me! Lo prendo io! Fu questo l’appello di Madre Teresa di Calcutta ai medici del Policlinico Agostino Gemelli il 10 dicembre del 1981, giorno in cui le fu conferita la laurea honoris causa in medicina e chirurgia. Parte da questo ricordo il libro “Una goccia d’amore cambia il mondo”.  Da allora, ogni volta che madre Teresa visitava l’ospedale romano, lasciava dietro di sé parole e gesti  pieni di speranza e di carità, come ci racconta l’autore, il prof. Giuseppe Noia:

“Madre Teresa è venuta qui ricevendo la laurea honoris causa però dando anche un invito, un messaggio: aiutate le mie ragazze madri e aiutate le mie consorelle. Era un messaggio in cui non si aveva paura di far contaminare la scienza col servizio, perché lei pensava che ogni servizio poi conducesse all’amore. Quindi si coniuga nella maniera più propria possibile per un’istituzione universitaria. Abbiamo tre voti noi medici universitari che sono l’assistenza clinica, la ricerca e l’attività di formazione e di docenza. Dobbiamo metterci il quarto voto: questo sapere bisogna testimoniarlo, come ha detto Madre Teresa, bisogna scendere, come dice il Papa, uscire, andare nel territorio, nella cultura attuale che è pervasa dalla cultura di nichilismo e di morte”.

E Giuseppe Noia ha avuto il privilegio di poter accompagnare spesso Madre Teresa in queste sue visite. E’ vivissimo in lui il ricordo della Santa, come lui stesso ci spiega:

“Ricordo soprattutto che lei era molto pratica, molto immediata, faceva discorsi molti semplici, sempre gli stessi ma, proprio come la parola di Gesù che ogni volta pur essendo la stessa ha risonanze diverse nel nostro cuore, anche quello che faceva e che diceva lei aveva risonanze diverse. Per cui Madre Teresa, quando diceva che l’aborto uccide e fa un doppio omicidio, diceva una cosa realmente vera che noi medici realizziamo e questa è l’immediatezza di Madre Teresa. L’altra immediatezza nasce dal fatto che lei diceva che ognuno ha un immediato in cui esprimere la sua missionarietà, che non è quella di andare a fare grandi cose ma di fare piccole cose nell’ambiente dove si vive: l’ambiente di lavoro, con i colleghi, nel reparto con i malati, con le persone del nostro entourage, soprattutto nella famiglia. Queste sono le gocce di cui lei è stata la bandiera”.

E proprio da queste gocce d’amore, Giuseppe Noia ha creato insieme alla moglie Maria Luisa La Teano e ad Angela Bozzo la Fondazione 'Il Cuore in una Goccia Onlus'. Ascoltiamo ancora Giuseppe Noia:

“La Fondazione si mette al fianco dei medici, delle famiglie, con il terzo braccio, con il gruppo della preghiera, accanto alle famiglie che hanno delle fragilità sia nel preconcezionale che nel prenatale e nel postnatale. Faccio un esempio: ci sono tante fragilità nel preconcezionale che nascono da tante coppie che vivono il cosiddetto 'lutto anticipato', cioè lutto inteso come paura di non potere avere figli. La Fondazione si mette vicino a queste persone, con la competenza scientifica, con la competenza umana di condivisione di quel tracciato e anche con la preghiera. Questo la facciamo anche nel prenatale, quando ci sono condizioni di grandi malformazioni fetali per le quali spesso viene fatta una sentenza. Forniamo una medicina di speranza laddove è possibile curare e una medicina di accompagnamento. Poi, nel postnatale ci sono tante mamme che hanno vissuto la perdita, tante mamme che hanno figli con problemi di handicap. Noi ci mettiamo vicino a queste persone sempre con il braccio scientifico, con la testimonianza e con la fede. Questa è una goccia nel mare di sofferenza e di impegni, però diciamo sempre, come ha detto Madre Teresa: “Metti la tua goccia e arriverà l’oceano di Dio”.

Su Madre Teresa e l’Università Cattolica, ascoltiamo il commento del vescovo Claudio Giuliodori, assistente generale dell’ateneo: 

“Madre Teresa ha segnato con il suo passaggio, con il suo legame con il Policlinico Gemelli anche l’identità e la fisionomia di questa istituzione. Conferire a lei una laurea honoris causa vuol dire riconoscere il suo alto insegnamento e quindi la sua testimonianza ha una valenza educativa. Tutte le volte che ha avuto contatti con il Policlinico  - sono state diverse le occasioni - ha sempre dato dei messaggi di grande rilevanza umana e spirituale. In modo particolare il frutto di questo incontro tra il Policlinico e Madre Teresa è l’Hospice, questo luogo tra i pochi in Italia e nel mondo dove le mamme che vengono a conoscenza di malformazioni anche molto gravi dei nascituri scelgono comunque di accompagnare la vita. Quindi questo contraddistingue in maniera molto marcata il nostro sguardo sulla vita e il servizio a tutti, in particolare agli ultimi”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 111

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