Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 22/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: i martiri ci ricordano che Dio rinnova il mondo col suo amore

◊  

Papa Francesco presiederà oggi pomeriggio, nella Basilica romana di San Bartolomeo all’Isola, una “Preghiera per i Nuovi Martiri”, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Durante la celebrazione, alcuni familiari e amici di cristiani uccisi in odio della fede leggeranno delle testimonianze al Santo Padre. Tra loro anche la sorella di padre Jacques Hamel, Roselyne. Nel servizio di Alessandro Gisotti un’anticipazione su come si svolgerà la celebrazione: 

“Esultano in cielo i santi martiri, che hanno seguito le orme di Cristo, per suo amore hanno versato il sangue e si allietano per sempre nel Signore”. Sono le prime parole dell’Inno dei Martiri che, assieme al suono delle campane, accompagnerà l’arrivo di Papa Francesco nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola, la chiesa che – per volere di San Giovanni Paolo II – è divenuta, dopo il Giubileo del 2000, “Memoriale dei testimoni della fede del XX e del XXI secolo”. Il primo atto del Papa nella Basilica – si legge nel Libretto della Celebrazione – sarà la venerazione delle reliquie di San Bartolomeo e dell’Icona dei “nuovi martiri”.

Le testimonianze sui nuovi martiri, segno di speranza nella prova
Dopo il saluto di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio che ha promosso l’evento, Papa Francesco pronuncerà una preghiera per sottolineare che “la Parola di Dio ha sostenuto e illuminato questi fratelli nella prova” e che va dunque accolta “come dono prezioso perché sia lampada ai nostri passi e apra l’umanità alla speranza”. Momento forte della celebrazione saranno le testimonianze sui nuovi martiri: il figlio di Paul Schneider, pastore della Chiesa riformata, ucciso nel campo di sterminio di Buchenwald nel 1939, un amico di William Quijano, ucciso da bande armate in Salvador, e Roselyne Hamel, sorella di padre Jacques, ucciso in chiesa da fondamentalisti islamici. “Possa il sacrificio di Jacques – è il suo auspicio – portare dei frutti, perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano trovare la via per vivere insieme in pace”.

Disarmare la violenza blasfema di chi uccide in nome di Dio
Dopo le testimonianze e l'omelia, il Papa si recherà presso le cappelle della navate laterali della Basilica accendendo una candela su ciascun altare recante le reliquie e le memorie dei testimoni della fede. Sarà dunque il momento della preghiera dei fedeli. “Facciamo memoria di quanti hanno effuso il loro sangue nella fedeltà al Vangelo – l’orazione di Francesco – e preghiamo Dio onnipotente perché il mondo intero sia rinnovato dal suo amore”. Vengono dunque richiamati alcuni nomi di “nuovi martiri” e ad ogni memoria viene accesa una candela, mentre l’assemblea si unisce al coro cantando il Kyrie. Significative le intenzioni di preghiera. Si chiederà al Signore che i “martiri di ogni tempo e di ogni Chiesa ci guidino verso l’unità” e ancora affinché “sia disarmata la violenza blasfema di chi uccide in nome di Dio”.

Dopo la celebrazione, l’incontro con un gruppo di rifugiati
Il Papa chiederà dunque al Signore “per il sangue versato” dai martiri di “concedere all’umanità ferita dal male di ritrovare la gioia e la luce del bene che il Tuo Figlio ci ha offerto a prezzo della sua stessa vita”. Al termine della celebrazione, dopo aver incontrato un gruppo di rifugiati all’interno dei locali della Basilica, Papa Francesco uscirà in processione e rivolgerà un saluto alla folla raccolta sul sagrato di San Bartolomeo.

inizio pagina

Il Papa riceve i Principi del Liechtenstein

◊  

Oggi Papa Francesco ha ricevuto in udienza il Principe Regnante Hans Adam II e il Principe Ereditario Alois del Principato di Liechtenstein, che poi si sono incontrati con il card. Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui - riferisce la Sala Stampa vaticana - sono state rilevate le buone relazioni bilaterali tra la Santa Sede e il Liechtenstein ed è stato riconosciuto il ruolo storico della Chiesa cattolica e il positivo contributo che essa continua ad offrire alla vita del Paese. Successivamente, si è espresso apprezzamento per l’impegno del Principato in ambito internazionale, particolarmente nella tutela dei diritti umani”.

inizio pagina

Udienze e nomine

◊  

Per le udienze e nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

inizio pagina

Papa: rinnovare impegno perché Vangelo raggiunga mondo di oggi

◊  

La Chiesa rinnovi sempre il suo impegno perché il messaggio del Vangelo giunga al mondo di oggi: così, in sintesi, Papa Francesco nella Lettera all'arcivescovo di Gniezno Wojciech Polak, in occasione del sesto centenario del titolo di Primate di Polonia.

“Sei secoli fa, durante il Concilio di Costanza – ricorda il Papa - l’arcivescovo di Gniezno Mikołaj Trąba ottenne per sé e i suoi successori il titolo di Primate di Polonia. Non senza ragione, l'onore e la priorità di questo ministero di amore per la comunità della Chiesa in Polonia è toccato alla città di Gniezno. E’ infatti associata alle origini del cristianesimo, nelle terre dei Piast, con l'attività missionaria e il martirio di Sant’Adalberto. E’ qui - dove riposano le sue reliquie - che nel 1000 gli inviati di Papa Silvestro II si sono incontrati con l'imperatore Ottone III e Boleslao, il principe coraggioso. Poi Gniezno divenne la prima capitale del centro metropolitano e della Chiesa locale. Consegnando, nel 1417, il titolo di Primate della Chiesa polacca  è stato riconosciuto e sigillato questo ruolo unico che ha agito nella storia di Gniezno, nelle menti e nei cuori dei polacchi”.

Anche nei secoli successivi – scrive il Papa – “la città di Gniezno è rimasta un punto di riferimento” per il popolo polacco nella ricerca della libertà e della crescita spirituale.

Oggi - conclude il Papa – “si deve guardare al futuro e chiedere a Dio di essere testimoni di Sant’Adalberto, fonte viva di ispirazione nell'opera di evangelizzazione delle future generazioni”.

inizio pagina

Giornata della Terra, il Papa: seminiamo bellezza, non distruzione

◊  

Nell’odierna Giornata della Terra, il Papa ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Signore, risana la nostra vita affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, e seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione”.

In occasione di questa Giornata, torna a Roma il Villaggio per la Terra, una serie di eventi sulla terrazza del Pincio e al Galoppatoio di Villa Borghese, dedicati alla tutela del Pianeta. Tema centrale di quest’anno è il dialogo interculturale. La manifestazione, che durerà fino al 25 aprile, è organizzata dal Movimento dei Focolari e dall’associazione Earth Day Italia, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, e prevede decine di tavole rotonde e focus su economia, educazione, scienza, arte, salute e sport, rapporti tra le religioni, testimonianze di impegno per la pace. Questa sera è in programma il “Concerto per la terra”.

inizio pagina

E' Beato padre Ormières, fondatore delle Suore dell'Angelo Custode

◊  

La Chiesa ha un nuovo Beato. In rappresentanza del Papa, il cardinale Angelo Amato ha infatti celebrato stamani in Spagna, nella cattedrale di Oviedo, la Messa di Beatificazione di Luis Antonio Rosa Ormières, sacerdote e fondatore della Congregazione delle Suore dell’Angelo Custode, vissuto nel 1800. Il servizio di Giada Aquilino

Accanto ai piccoli più svantaggiati e ai malati. Questa la testimonianza di vita e di fede di Luis Antonio Rosa Ormières, nato nel 1809 a Quillan, in Francia. Dopo gli studi nel seminario di Carcassonne, venne ordinato sacerdote a 24 anni. Operò in particolare in Spagna, nelle Asturie. Fu prete semplice, umile e assieme uomo d'azione, nell’attuare la chiamata a dedicarsi alla formazione dei bambini, con un’attenzione particolare per quelli meno fortunati, convinto che “dove ci sono i poveri ci dev’essere la Chiesa”. Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi:

“Il nuovo Beato era un uomo intraprendente, un educatore nato, con una personalità ricca di virtù cristiane, come la fede, la speranza, la carità, e di qualità umane come la bontà, la gratitudine, la serenità, l'amicizia. In lui la misericordia di Dio si faceva amorevolezza verso i piccoli, i deboli, i poveri, gli innocenti”.

Nel 1839 padre Ormières fondò la Congregazione femminile ‘Angel de la Guarda’, Angelo Custode, il cui nome racchiude il carisma e l’apostolato dell'istituto. Il sacerdote mise più volte a rischio la propria vita per essere accanto alle persone colpite da malaria ed altre epidemie, come sottolinea ancora il porporato:

“Era così generoso nell'assistere gli ammalati che il vescovo lo chiamò vero martire della carità. Invitava le sue Figlie spirituali a imitarlo nell'aiutare gli sventurati. Diceva: ‘Figlie mie, dovete mettere le ali e avere coraggio’”.

Alla cerimonia di Beatificazione hanno partecipato almeno 2.500 fedeli, provenienti da undici nazioni, soprattutto da America Latina, Africa e Asia, dove operano - sottolinea il cardinale Amato - le suore dell’Angelo Custode:

“Le Suore dell'Angelo Custode sono oggi presenti in Europa (Spagna, Germania, Italia), Asia (Giappone), Africa (Mali, Costa d'Avorio) e America (Venezuela, Colombia, Ecuador, Stati Uniti, Messico, Nicaragua, El Salvador). La loro missione è quella di essere veri angeli custodi del prossimo, bisognoso di guida e di conforto, con un atteggiamento di semplicità, di fede umile e confidente in Dio, di generosità nel servizio, di disponibilità all'annuncio del regno di Dio mediante la testimonianza coerente del Vangelo”.

Nel luglio scorso Papa Francesco aveva autorizzato la promulgazione del decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione di Luigi Antonio Rosa Ormières, morto nel 1890, per la guarigione di suor Celina Sánchez del Río, della medesima Congregazione dell’Angelo Custode.

inizio pagina

Cristiani e buddisti percorrano insieme la via della non violenza

◊  

Cristiani e buddisti percorrano insieme la via della non violenza: è l’appello lanciato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso nel Messaggio in occasione della festa di Vesakh, che ricorda la nascita, l'illuminazione e la morte di Buddha.

Il documento riflette “sulla necessità urgente di promuovere una cultura di pace e non violenza. La religione – si legge - è in prima pagina nel nostro mondo, benché talvolta in modi contrapposti. Mentre molti credenti si impegnano a promuovere la pace, altri sfruttano la religione per giustificare i loro atti di violenza e odio. Vediamo offrire alle vittime della violenza guarigione e riconciliazione, ma anche tentativi di cancellare ogni traccia e memoria dell' ‘altro’. Si fa strada la cooperazione religiosa globale, ma si assiste anche alla politicizzazione della religione; c’è una consapevolezza della povertà endemica e della fame nel mondo, eppure continua la deplorevole corsa agli armamenti. Questa situazione esige un appello alla non violenza, un rifiuto della violenza in tutte le sue forme”.

Il Dicastero vaticano ricorda che Gesù e il Buddha “hanno promosso la non violenza e sono stati costruttori di pace”. “Pur riconoscendo l'unicità delle nostre due religioni, verso le quali rimaniamo impegnati - sottolinea il Messaggio - concordiamo che la violenza scaturisce dal cuore dell'uomo, e che i mali della persona sfociano in mali strutturali. Perciò siamo chiamati a un'impresa comune: studiare le cause della violenza; insegnare ai nostri rispettivi seguaci come combattere il male nei loro cuori; liberare dal male sia le vittime sia coloro che commettono la violenza; formare i cuori e le menti di tutti, specialmente dei bambini, ad amare e vivere in pace con tutti e con l'ambiente; insegnare che non c'è pace senza giustizia, né vi è vera giustizia senza perdono; invitare tutti a collaborare alla prevenzione dei conflitti nella ricostruzione delle società frantumate; incoraggiare i mezzi di comunicazione  sociale ad evitare e combattere il discorso dell'odio, e i rapporti di parte e provocatori; incoraggiare le riforme dell'educazione per prevenire la distorsione e la cattiva interpretazione della storia e dei testi  scritturistici; e pregare per la pace nel mondo percorrendo insieme la via della non violenza”.

Il Messaggio si conclude così: “Cari amici, possiamo dedicarci attivamente a promuovere nelle nostre famiglie, e nelle istituzioni sociali, politiche, civili e religiose, un nuovo stile di vita in cui la violenza venga rifiutata e venga rispettata la persona umana. È in questo spirito che vi auguriamo  nuovamente una  pacifica e gioiosa festa di Vesakh!”.

inizio pagina

Auza: terroristi contro beni culturali per cancellare identità popoli

◊  

La comunità internazionale faccia di più per proteggere i siti e i beni culturali, presi di mira dai terroristi con l’obiettivo di cancellare l’identità dei popoli e finanziare le loro operazioni criminose: è quanto ha detto mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, durante un evento organizzato dalla Missione vaticana al Palazzo di Vetro a New York. Il servizio di Sergio Centofanti

Il tema - aveva già detto Papa Francesco - è "purtroppo drammaticamente attuale".  “Negli ultimi anni – ha affermato il presule - abbiamo visto la distruzione e la profanazione di santuari a Mosul, Palmyra, Tikrit, Timbuktu, Bamiyan e in tanti altri luoghi”, con la devastazione di chiese, moschee, monasteri, siti archeologici, monumenti, e il saccheggio di biblioteche, archivi, oggetti e manoscritti preziosi.

Si tratta di una precisa strategia, ha osservato mons. Auza, con un duplice scopo: “distruggere per motivi propagandistici monumenti famosi, sculture e templi che non possono essere venduti sul mercato nero, come uno spettacolo internazionale per demoralizzare gli avversari e reclutare nuovi membri” e in secondo luogo saccheggiare e vendere antichità più piccole per raccogliere fondi e alimentare gli atti terroristici.

Mentre Al Qaeda - afferma il presule - dipende dal sostegno di ricchi benefattori per alimentare le sue attività terroristiche, il cosiddetto Stato Islamico saccheggia il patrimonio culturale come parte fondamentale della sua strategia economica. Si tratta di una strategia di guerra sistematica che l'Unesco definisce "pulizia culturale" e che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha equiparato a un "crimine di guerra". Dopo il petrolio - ricorda mons. Auza - è la seconda modalità di finanziamento più redditizia dell'Is, che vale miliardi di dollari l'anno e fa crescere sempre di più il terrorismo e la distruzione culturale.

Il presule spiega che questa strategia terroristica mira anche a cancellare la storia e a privare le persone delle loro radici e della loro identità, per colpire il loro passato, il loro futuro e la loro speranza. È un attacco non solo a oggetti preziosi ma alle persone del passato, del presente e del futuro. È un attacco all'ambiente culturale, educativo e religioso di cui tutti hanno bisogno per il loro sviluppo integrale. L’osservatore permanente cita tra i gruppi più colpiti i cristiani insieme ad altre etnie minoritarie, ma anche le maggioranze non sono escluse da questi attacchi.

Il patrimonio culturale – afferma ancora mons. Auza - è uno degli elementi fondamentali di una civiltà e questo rende “quasi genocidiale” la volontà di distruggere i tesori preziosi della cultura. “Distruggere la radice storica della gente mira a cancellare una parte essenziale della loro umanità. Ecco perché ciò che stiamo affrontando - sottolinea - è molto più di una materia culturale. È un crimine contro l'umanità attraverso l'impoverimento sistematico del patrimonio culturale del mondo”.

Di qui l’appello di mons. Auza agli Stati perché “occorre fare molto di più” per difendere il patrimonio culturale, passando dalle parole ai fatti, attuando i tanti impegni presi a livello internazionale. “La tutela del patrimonio culturale - ha concluso - deve essere considerata come un nuovo passo cruciale nella tutela dei diritti umani”.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Afghanistan: oltre 140 soldati uccisi dai talebani

◊  

Sarebbero oltre 140 le vittime in Afghanistan di un attentato compiuto dai talebani contro la base militare nella provincia settentrionale di Balkh. Secondo fonti ufficiali gli assalitori erano sei, di cui 5 uccisi e 1 arrestato. La stampa locale, invece, parla di almeno 11 terroristi. L’attacco è stato rivendicato dal portavoce talebano Zabihullah Mujahid come “vendetta” per l’uccisione di un loro leader nella provincia di Mazar-i-Sharif. Giorgio Saracino ne ha parlato con Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica del Sacro Cuore: 

R. - L’impressione è che i talebani in questo momento siano in difficoltà perché stanno perdendo una parte del consenso all’interno del Paese e in qualche modo cercano di reagire a questa situazione. Ultimamente si sono trovati in difficoltà soprattutto sul piano militare, nel senso che nonostante in Afghanistan la situazione sia tutt’altro che brillante, alcuni capi importanti sono stati localizzati ed eliminati. Penso alla super-bomba che è caduta in Afghanistan qualche giorno fa, lanciata dagli americani. E questo è il loro modo di reagire a questo tipo di situazione.

D. - Qual è la situazione ora in Afghanistan?

R. - La situazione  purtroppo non è molto diversa da quella che è stata lasciata dopo l’episodio di Isaf. Il presidente in carica, in realtà fa fatica a tenere il Paese sotto controllo. Ci sono due problemi che conoscevamo fin dall’inizio. Da un lato per poter mettere in sicurezza questo Paese occorre un numero di forze militari e paramilitari imponenti e che ha un costo gigantesco; dall’altro c’è la preoccupazione per il rallentamento delle attività dei donors internazionali. Quindi, insomma un po’ un paradosso perché l’uscita dell'Isaf dall’Afghanistan ha privato il governo del principale strumento attraverso il quale la situazione si era parzialmente stabilizzata. Quindi questo ha riaperto un meccanismo infernale, riportando l’Afghanistan indietro di parecchi anni. Tutto questo nonostante la buona volontà del governo del presidente in carica. Sicuramente l’Afghanistan in questi anni di presenza dell'Isaf è entrato brutalmente a contatto con il mondo esterno, quindi questa situazione di totale isolamento che c’era prima dell’intervento militare negli anni più bui del governo talebano, non c’è più.

D. – Quale sarà il futuro dell’Afghanistan?

R. - Credo che sia da escludere un tracollo immediato del nuovo Afghanistan, però credo sia anche difficile immaginare una riunificazione sotto un governo nazionale dell’intero Paese, anche perché non dimentichiamo che il Pakistan continua ad avere un ruolo ambiguo nei confronti dell’Afghanistan, così come ha un ruolo ambiguo l’Iran. Oggi sicuramente l’Iran ha un’influenza sull’Afghanistan che 15 anni fa non poteva neanche sognare. Il Pakistan ha perso una parte della sua influenza, ma continua ad averne in maniera rilavante sulla parte orientale del Paese ed è da lì che in qualche modo continua a tessere le sue linee per impedire una stabilizzazione dell’Afghanistan che vada troppo a svantaggio di quella che è la concezione di opportunità strategica che ha ossessionato i governi pakistani fin dall’indipendenza del Paese.

inizio pagina

Presidenziali in Francia: incertezza sull'esito del voto

◊  

Elezioni presidenziali questa domenica in Francia. La campagna elettorale è stata vissuta all’insegna delle polemiche tra i principali candidati all’Eliseo. Sullo sfondo il perdurante stato di tensione causato dal recente attentato sugli Champs-Élysées, di cui il sedicente Stato Islamico ha assunto la paternità. Il servizio Giancarlo La Vella

In un clima di grande incertezza, la Francia sceglie il prossimo presidente della Repubblica. Secondo i sondaggi, coloro che hanno maggiori possibilità di passare al ballottaggio a due, tra 15 giorni, sono il repubblicano François Fillon, ex primo ministro e deputato al Parlamento di Parigi; il radicale socialista Benoît Hamon, già più volte ministro dell’Educazione; Marine Le Pen, presidente del movimento di destra Fronte Nazionale ed europarlamentare; il centrista Emmanuel Macron, già ministro dell’Economia e dell’Industria nel governo Valls dal 2014 al 2016; Jean-Luc Mélenchon, fondatore del Partito di Sinistra ed europarlamentare.

Il successore all’Eliseo di François Hollande, il presidente socialista, primo nella Quinta Repubblica a non ripresentarsi per un secondo mandato, dovrebbe uscire da questo gruppo ristretto di candidati tra gli 11 in totale. Ma si tratta forse della consultazione più incerta nella storia recente francese, su cui, è impossibile negarlo, pesa l’effetto paura causato dall’attentato di Parigi, l’ultimo di una scia di attacchi che il fondamentalismo islamico ha perpetrato contro la Francia. Al centro del dibattito elettorale, anche l’Europa dopo la Brexit, l’immigrazione, l’economia e gli aspetti di una società che sta vedendo crescere la protesta nelle fasce degli immigrati ormai prossimi alla terza generazione. Ma che cosa influirà sul voto? Lo abbiamo chiesto a Massimo Nava, editorialista del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente a Parigi:

R. – C’è un insieme di cose che ha creato una dinamica politica elettorale totalmente inedita. Le primarie hanno praticamente azzerato i leader e creato poi un vuoto politico. È chiaro che, a questo punto, da un sistema bipartitico, binario, di classica alternanza, si è creato uno sparigliamento di posizioni, che ha portato praticamente a quattro pretendenti alla finale, con Hamon quinto uomo. E, quindi, diciamo che tutte le sorprese sono sulla carta.

D. – Quanto sta influendo il discorso Europa in queste elezioni?

R. – L’Europa come punto di riferimento e come capro espiatorio emblematico di tutta una serie di preoccupazioni, reali e presunte, dei francesi, dalla crisi economica, all’immigrazione, al terrorismo, alle periferie e quant’altro, è chiaro che conta. Anzi, direi che oggi la partita è proprio tra europeisti e antieuropeisti, anche se poi tutti, compresi gli europeisti - ossia Fillon e Macron - pensano a un’Europa diversa. Quindi tutti vogliono cambiare l’Europa. Marine Le Pen addirittura ne vuole uscire; Mélenchon non dice esplicitamente che ne vuole uscire, ma di fatto vuole una revisione totale dei Trattati. E sostanzialmente questa Europa non piace a nessuno, perché si sa che i francesi in generale non amano molto quest’Europa. Credo che la revisione profonda dell’Unione Europea, dei suoi meccanismi, dei suoi obiettivi soprattutto, e proprio del suo modello ideale e culturale, sia un problema sulla carta da tempo, e che vada risolto qualunque siano i risultati elettorali francesi, tedeschi, italiani e in generale. È chiaro che, dopo Brexit, un’elezione francese che portasse al potere candidati antieuropei, ma anche nel caso di un risultato più tranquillizzante, i problemi rimarrebbero sul tappeto; e questo la dice lunga su quanto è ampio il malessere complessivo della società francese, e quindi sui problemi che vanno affrontati.

D. – La Francia è il Paese europeo più colpito dal terrorismo fondamentalista. Tutto questo deve imbastire un dibattito interno, anche con le nuove emergenze sociali…

R. – Sì, non c’è dubbio. Direi quasi che il discorso che fa presa nella Francia profonda, ossia le frontiere da chiudere o da controllare meglio - Schengen ecc. - sembra quasi la foglia di fico, una specie di comodo alibi per non guardare in faccia la realtà interna del Paese: ossia lo stato drammatico delle periferie e, in generale, il rapporto traumatico, conflittuale, difficile, con le varie comunità di origine straniera, ma beninteso francesi a tutti gli effetti. E questo è il dramma francese. E gli stessi foreign fighters, che sono andati a combattere, sono appunto cittadini francesi che hanno la possibilità di viaggiare. Lo stesso terrorista dell’altra sera agli Champs-Élysées aveva fatto un tranquillissimo viaggio in Algeria non più tardi di qualche mese fa. Quindi questo tipo di frattura è diventata, invece, uno strisciante processo di identificazione con la religione musulmana e addirittura con il radicalismo. Questo è il processo drammatico.

inizio pagina

Venezuela: altri 12 morti nelle violenze a Caracas

◊  

Tensione alle stelle in Venezuela dove le manifestazioni contro il presidente socialista Maduro non si fermano. Le opposizioni hanno indetto per oggi una nuova giornata di protesta per costringere Maduro alle dimissioni. Caracas ha vissuto ieri una nuova giornata di violenza: 12 le vittime. Episodi non tutti chiari. Il governo accusa gli oppositori di allearsi a bande di delinquenti comuni che si danno ai saccheggi: 8 persone sarebbero morte per cause da precisare durante una razzia in un forno. I manifestanti accusano la polizia di sparare ad altezza d’uomo e i cosiddetti “colectivos”, gruppi armati filogovernativi. In tre settimane di dimostrazioni hanno perso la vita oltre 20 persone, 1300 gli arresti

Per oggi i vescovi del Paese hanno organizzato in città una "Via Lucis" per la pace. Chiedono che le manifestazioni si svolgano senza violenze ma invitano i cittadini a reclamare i loro diritti. Intanto, si fa sempre più acuta la crisi economica nel Paese, dove mancano cibo e medicine. Giada Aquilino ha raccolto la testimonianza di padre Michele Pan, superiore della Missione cattolica italiana presso la parrocchia di Nostra Signora di Pompei a Caracas: 

R. - Abbiamo difficoltà ad avere il pane, la pasta … Oggi li trovi, domani no … devi aspettare due o tre giorni. Ma il problema più grande è la disunione, la violenza e la discordia tra di noi. Non c’è quel dialogo necessario tra il governo e l’opposizione. Allora questa contraopposizione porta grandi difficoltà.

D. - E la gente cosa chiede?

R. - Chiede che ci sia una vera soluzione per il bene del popolo. O troveremo il cammino della pace o non so come andranno a finire le cose!

inizio pagina

Mons. János Székely: Chiesa vicina ai rom

◊  

‘Situazione dei rom in Europa, pastorale ed integrazione sociale’ è stato il tema della conferenza organizzata nei giorni scorsi a Roma dall’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede, in occasione della Giornata Internazionale dei rom. All’appuntamento, aperto da una relazione del card. Turkson, Prefetto del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, hanno partecipato diversi ambasciatori vaticani e operatori del settore. Importante la testimonianza del vescovo ungherese János Székely, ausiliare dell'arcidiocesi di Esztergom-Budapest che ha portato l’esperienza di un paese che ospita il gruppo più numeroso di rom. Ascoltiamolo al microfono di Fabio Colagrande

R. – I rom sono la minoranza etnica più numerosa di tutta Europa. Attualmente sono circa 12-13 milioni; in Ungheria sono il 7-8 percento di tutta la popolazione. Ormai sono presenti in Europa da più di 600 anni, ma sempre ai margini, alle periferie. Solamente da 50-80 anni hanno iniziato ad imparare cosa vuol dire tempo, posto di lavoro, pulizia, proprietà privata, leggere, scrivere … Hanno subito terribili persecuzioni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, circa mezzo milione di rom sono stati uccisi dai nazisti. È una ferita molto grande del nostro continente. La Chiesa, certamente, ha la missione e il dovere di andare alle periferie, di aiutare, di mostrare il volto misericordioso di Cristo. Questa conferenza ha voluto mostrare l’immenso compito che abbiamo verso i nostri fratelli rom e ha anche voluto mettere in rilievo alcune pratiche positive, fattibili in molti Paese europei.

D. - Quali sono le pratiche raccontate durante l’incontro che l’hanno colpita di più?

R. - Vorrei cominciare con l’Ungheria, il mio Paese di provenienza. Qui abbiamo creato una rete abbastanza notevole di case comunitarie. Attualmente ce ne sono 62 per i giovani rom in tutta l’Ungheria; sono state create dalla Chiesa cattolica. In queste case cerchiamo di dare possibilità igieniche per i bisognosi e soprattutto creare momenti di studio durante il pomeriggio. Organizziamo squadre di calcio, gruppi di musica, di danza … L’Ungheria ha raggiunto un notevole miglioramento nella scolarizzazione dei rom anche con l’aiuto di queste nostre case. In questo momento più dell’82% dei ragazzi rom finiscono le otto classi elementari; più o meno il 24% finisce le scuole professionali; l’11% arriva all’esame di maturità; il due, tre percento di tutti gli studenti universitari in Ungheria sono rom. Questi sono numeri paragonabili solo a quelli della Spagna, i numeri, forse migliori, in tutta Europa. Anche altri Paesi stanno cercando diversi modi pert aiutare i nostri fratelli rom soprattutto con lo spirito cristiano.

D. - Quali sono secondo le radici dell’antiziganismo?

R. - I rom vengono da lontano, dall’India. Hanno fatto un viaggio molto lungo che è iniziato più o meno mille anni fa; hanno una cultura molto differente. Poi in Europa, purtroppo, non hanno trovato nella maggior parte dei casi un posto nella società, non hanno avuto un posto di lavoro, la possibilità di sopravvivere. E così rimanevano sempre al margine, mendicando o causando dei problemi di sicurezza. Nei Paesi dove hanno trovato la possibilità di lavorare hanno avuto un rapporto abbastanza pacifico. Le città dovrebbero sforzarsi di trovare posti di lavoro che permettano la sopravvivenza dei rom; allora le tensioni nella società diminuirebbero.

D. - Infine, eccellenza, qual è l’importanza della fede nella promozione umana e sociale dei rom?

R. - La chance dei rom è prima di tutto, soprattutto Cristo. Se una persona lascia entrare nel suo cuore la Buona Novella, scopre la sua dignità, scopre di essere una persona amata da Dio, creata da Dio. Allora tutta la sua vita, in molte dimensioni, comincia a cambiare: cambia il suo atteggiamento verso la famiglia, molte volte lascia la droga, la delinquenza, inizia a studiare, a lavorare. La motivazione viene sempre da dentro: se uno cambia nel cuore, allora cambia tutta la sua vita.

inizio pagina

Un libro rende omaggio al rapporto tra Benedetto XVI e l'arte

◊  

Un omaggio a Benedetto XVI per i suoi 90 anni e al suo costante richiamo sul tema della bellezza quale via di evangelizzazione. E’ il volume “Benedetto XVI. L’Arte è una porta verso l’infinito. Teologia Estetica per un Nuovo Rinascimento”, edito da Fabrizio Fabbri Editore e Ars Illuminandi e curato da mons. Jean Marie Gervais, fondatore dell’associazione “Tota pulchra” e dal giornalista Alessandro Notarnicola. Il volume è stato presentato stamani nel Palazzo della Cancelleria di Roma e ripropone i più significativi interventi del Papa emerito in materia di arte, illustrati dalle tavole dell’artista Bruno Ceccobelli. Ma quali le ragioni di questo libro? Paolo Ondarza lo ha chiesto al curatore del volume Alessandro Notarnicola

R. – Questo volume nasce come una vera e propria biografia – e a me piace definirla “originale” – del Papa emerito, perché raccoglie il pensiero artistico e sulla bellezza di Benedetto XVI, sia da cardinale sia da Papa. Papa Benedetto ha fatto numerose volte riferimento alla bellezza, che può essere tanto una bellezza materiale, artistica, quella bellezza che noi tutti siamo abituati a vivere e a vedere nelle chiese di tutto il mondo e in primis nel Vaticano e poi anche una bellezza che faccia riferimento alla natura, al Creato, a ciò che Dio ha creato per l’uomo. E quindi, da questo punto di vista, c’è un elemento di comunione con la concezione di bellezza di Papa Francesco.

D. – Non si parla nel libro di bellezza come elemento astratto, lontano dalle vicende dell’umanità, tanto che all’interno del volume è evidente il continuo richiamo di Benedetto XVI agli artisti: “L’umanità ha bisogno di bellezza, la bellezza può ridare coraggio”. Questo lo rende estremamente attuale …

R.- Sì. Il Papa emerito, appunto, spiega che uno dei canali attraverso i quali l’uomo può avvicinarsi a questa continua ricerca dell’infinito che poi, appunto, confluisce nell’“imago dei”, quindi in Dio, è proprio l’arte che non dev’essere solo qualcosa di bello, di vacuo. Non si limita solo al turista che entra nella chiesa, guarda l’opera d’arte e la fotografa. All’interno di quell’opera d’arte c’è un messaggio. L’arte è un ponte: un ponte tra la realtà, la vita di noi tutti, degli uomini, e il trascendente, Dio. Sostanzialmente, diciamo che l’arte deve essere presente in ogni opera dell’uomo. Benedetto XVI, in questi otto anni veramente densi di contenuti che dovremmo studiare costantemente, sottolinea due elementi. Da una parte, appunto, la bellezza, l’arte, questa unione tra la “via veritatis”, la ricerca continua del vero, e la “via pulchritudinis”, la ricerca del bello. E dall’altra parte non dimentichiamo che Benedetto XVI si richiama al bello anche in riferimento alle nuove tecnologie: è il primo Papa che twitta, il primo Papa che entra nella infinita rete dei social. Quindi, Benedetto XVI cerca di far capire anche al pubblico più lontano che l’arte può essere vissuta anche sui social, sulla realtà superficiale ma – attenzione! – non dev’essere un’arte vacua, fatta di vanità, un po’ come i selfie che pubblichiamo su Instagram, ma un’arte carica di principi etici: l’arte deve sapere evangelizzare. Per tale ragione lui, come fece Paolo VI nel 1964, chiede agli artisti di evangelizzare attraverso il loro talento, perché Dio dev’essere presente in ogni cosa.

D. – Contro quel pregiudizio che vedrebbe il dogma, la dottrina, anche il catechismo come degli impacci alla libertà dell’artista, Benedetto XVI dice agli artisti: “Non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza”, quindi con il Vangelo, con il volto di Cristo: “La fede non toglie nulla al vostro genio”. Secondo te, quanto è recepito oggi questo appello a non aver paura?

R. - E’ un appello proprio di Benedetto XVI ma che si applica già dal momento in cui iniziano a venir fuori le avanguardie (nel primo Novecento; ndr), quando gli artisti iniziano ad allontanarsi dalla Chiesa e da quello che è il senso veramente sacro e religioso dell’arte. Con le avanguardie, l’arte diventa più individualistica: viene a mancare il committente principale degli artisti, vale a dire la Chiesa, il Vaticano …

D. – C’è stata una lunga crisi, dopo l’avvento delle Avanguardie Artistiche, una crisi dell’arte sacra. Oggi, secondo te, c’è una riscoperta del connubio fede-arte, arte-liturgia?

R. – Credo che ancora si debba fare un percorso abbastanza approfondito, si debba ancora camminare su questa “via pulchritudinis” che ci indica la Chiesa. L’artista Bruno Ceccobelli, in questo volume cerca di farlo: lui definisce le sue dieci tavole come delle icone contemporanee del sacro; Ceccobelli cerca di dare forma ai discorsi, a questi dieci discorsi del cardinale Ratzinger e poi di Papa Ratzinger, di Papa Benedetto.

D. – Cosa ti augureresti scaturisse da questa vostra fatica?

R. – Mi auguro che ci sia un "ritorno", che le chiese tornino a godere della bella arte, un’arte che sia condivisa da tutti.

inizio pagina

Commento al Vangelo della Domenica della Divina Misericordia

◊  

Nella seconda Domenica di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù risorto appare ai discepoli, chiusi nel cenacolo per paura, e dice loro:

«Pace a voi! Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di Don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Cristo entra attraverso le porte chiuse del cenacolo, dove la paura aveva rinchiuso i discepoli, annunciando la Pace, mostrando le sue piaghe gloriose, effondendo lo Spirito e affidando loro la missione di salvare ogni persona, mediante il perdono. Questo Vangelo si compie oggi in noi: il Signore attraversa le nostre angosce, raggiunge la solitudine del nostro cuore spaventato, ed esclama: “Pace a voi!”. Mostrando le gloriose ferite del suo corpo risorto illumina le nostre, testimoniando che ogni prova e umiliazione ha senso, è orientata alla Gloria e alla Salvezza. In questa domenica possiamo ricevere, in abbondanza, lo Spirito del Risorto e, nella misura in cui Egli ci consola gettandosi dietro le spalle i nostri peccati, possiamo consolare anche noi coloro che incontriamo. In questo tempo pasquale ci è affidato l’incarico dell’Annuncio: ogni uomo ha diritto di sapere che il Messia, con la sua Pasqua, ha distrutto tutte le mancanze contro la Verità, l’Amore e contro la dignità della persona umana. Egli c’invia oggi ad annunciare la Misericordia ovunque, nelle piazze, al lavoro, in viaggio, pur nella debolezza, ma con franchezza. Ma la Misericordia raggiunge solo coloro che riconoscono di aver mancato e desiderano cambiare vita, non chi continua ad ammiccare all’iniquità.

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 112

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.