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Sommario del 23/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa al Regina Caeli, nella festa della Divina Misericordia: prima missione della Chiesa è perdonare

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Nella domenica della Divina Misericordia, il Papa sottolinea che la violenza, il rancore, la vendetta non hanno alcun senso e chi nutre tali sentimenti ne resta vittima. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Dobbiamo a san Giovanni Paolo II – ha ricordato Papa Francesco – la scelta nell’Anno 2000 di dedicare alla Divina Misericordia questa domenica, chiamata una volta in albis, in riferimento alla veste bianca, alba, indossata per una settimana da quanti avevano ricevuto il Battesimo nella Veglia pasquale.

"E’ vero, è stata una bella intuizione! Da pochi mesi abbiamo concluso il Giubileo straordinario della Misericordia e questa domenica ci invita a riprendere con forza la grazia che proviene dalla misericordia di Dio".

Ha rievocato il Papa dal Vangelo domenicale, le parole di Gesù risorto, apparso ai discepoli riuniti nel cenacolo “a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”

"Ecco il senso della misericordia che si presenta proprio nel giorno della risurrezione di Gesù come perdono dei peccati".

Primo compito, trasmesso da Gesù alla Chiesa è “la sua stessa missione di portare a tutti l’annuncio concreto del perdono”.

"Questo segno visibile della sua misericordia porta con sé la pace del cuore e la gioia dell’incontro rinnovato con il Signore".

La misericordia alla luce della Pasqua, diviene “vera forma di conoscenza” del mistero che viviamo”, che si aggiunge ai sensi, all’intuizione, alla ragione e altre forme.

"Bene, si può conoscere anche attraverso l’esperienza della misericordia!"

La misericordia “apre la porta della mente…”

“..per comprendere meglio il mistero di Dio e della nostra esistenza personale.Fa capire che la violenza, il rancore, la vendetta non hanno alcun senso, e la prima vittima è chi vive di questi sentimenti, perché si priva della propria dignità”.

La misericordia "apre anche la porta del cuore…"

"...e permette di esprimere la vicinanza soprattutto con quanti sono soli ed emarginati, perché li fa sentire fratelli e figli di un solo Padre".

“Favorisce il riconoscimento di quanti hanno bisogno di consolazione e fa trovare parole adeguate per dare conforto”.

"La misericordia riscalda il cuore e lo rende sensibile alle necessità dei fratelli con la condivisione e partecipazione".

“Impegna tutti ad essere strumenti di giustizia, di riconciliazione e di pace”, ha raccomandato Francesco.

“Non dimentichiamo mai che la misericordia è la chiave di volta nella vita di fede, e la forma concreta con cui diamo visibilità alla risurrezione di Gesù”.

Dopo la preghiera mariana, il Papa ha reso omaggio alla figura di Luis Antonio Rosa Ormières, fondatore nel XIX secolo della Congregazione delle Suore dell’Angelo Custode.  

"Il suo esempio e la sua intercessione aiutino in particolare quanti lavorano nella scuola e nel campo educativo".

Infine i saluti ai numerosissimi fedeli e turisti raccolti in piazza San Pietro, tra questii partecipanti alla ‘Corsa per la Pace’, in partenza una staffetta per raggiungere Wittenberg in Germania. 

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Francesco all'Isola Tiberina ricorda i "Nuovi Martiri" e il dramma profughi

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Papa Francesco ha presieduto ieri pomeriggio nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, la Liturgia della Parola in memoria dei “Nuovi Martiri” del XX e XXI secolo, promossa  dalla Comunità di Sant'Egidio. Nell’omelia Francesco ha ribadito che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri, di quelli che danno la vita, ma anche dei testimoni della fede nel quotidiano. Il Papa non ha mancato inoltre di ricordare il dramma dei profughi spesso non accolti dall’Europa e il bisogno di maggiore solidarietà nei loro confronti. Durante la celebrazione due familiari e un amico di cristiani uccisi perché seguaci di Gesù, hanno offerto le loro testimonianze. Il servizio di Adriana Masotti

Assume un valore tutto particolare, la preghiera del Papa, visti i tempi segnati dalla sofferenza di tanti cristiani nel mondo, ricordiamo l’ultimo attentato in Egitto, nel 4° anniversario del rapimento dei vescovi di Aleppo, e alla luce della Pasqua. Storia antica di martirio e nuovi martiri fanno un’unica memoria. La veglia del Papa nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dal Giubileo del 2000 memoriale dei martiri contemporanei, inizia con l’atto di venerazione delle reliquie di San Bartolomeo e dell’Icona dei “nuovi martiri”. Prende poi la parola Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio che ringrazia il Papa e ricorda:

“I martiri ci ricordano che come cristiani non siamo vincenti per il potere, le armi, il denaro, il consenso, e loro non sono eroi ma abitati da una sola forza, quella umile della fede e dell’amore; non rubano la vita ma la donano, come fece Gesù che non salvò se stesso e non fuggì da Gerusalemme”.

Quindi tre testimonianze: Karl Schneider, il figlio di Paul Schneider, pastore della Chiesa riformata, ucciso in un campo di sterminio nel 1939:

“Noi tutti, anche oggi, facciamo troppi compromessi, ma mio padre è rimasto fedele unicamente al Signore e alla fede, (….)anche nel campo di concentramento”.  

Roselyne Hamel, sorella di padre Jacques, ucciso neanche un anno fa in Francia da fondamentalisti islamici dice:

“Possa il sacrificio di Jacques portare dei frutti, dice Roselyn, perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano trovare la via per vivere insieme in pace”.

E infine Francisco Hernandez, un amico di William Quijano, ucciso nel 2009 da bande armate in Salvador:

“Quale è stata la sua colpa? Sognare un mondo di pace. William non ha mai rinunciato a insegnare la pace, anzi il suo impegno ha spezzato la catena della violenza”.

All’omelia Papa Francesco ricorda che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri, cioè coloro che hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla morte.

"E ci sono anche tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve".

Gesù che ha parlato sempre di amore, sottolinea Francesco usa una parola forte, la parola “odio” quando avverte i suoi: “Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me”. E l’odio è quello del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati da Gesù.

"E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione!"

E in questi tempi difficili, il Papa dice che la Chiesa ha bisogno di martiri, di testimoni, ma precisa:

“Il martire può essere pensato come un eroe, ma il fondamentale del martire è che è stato un “graziato”: c’è la grazia di Dio, non il coraggio, quello che ci fa martiri.

E ribadisce, la Chiesa ha bisogno di questi, ma anche dei santi di tutti i giorni, sono il sangue vivo della Chiesa e la portano avanti. Poi Francesco aggiunge a braccio:

“Io vorrei, oggi, aggiungere un’icona di più, in questa chiesa. Una donna. Non so il nome. Ma lei ci guarda dal cielo. Ero a Lesbo, salutavo i rifugiati e ho trovato un uomo trentenne, [con] tre bambini. Mi ha guardato e mi ha detto: “Padre, io sono musulmano. Mia moglie era cristiana. E nel nostro Paese sono venuti i terroristi, ci hanno guardato e ci hanno chiesto la religione e hanno visto lei con il crocifisso, e hanno chiesto di buttare giù, questo. Lei non lo ha fatto e l’hanno sgozzata davanti a me. Ci amavamo tanto!”. Questa è l’icona che porto oggi come regalo qui. Non so se quell’uomo è ancora a Lesbo o è riuscito ad andare altrove; non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento, perché i campi di rifugiati – tanti – sono di concentramento, per la folla di gente che sono lasciati lì. E i popoli generosi che li accolgono anche devono portare avanti questo peso, perché gli Accordi internazionali sembra che siano più importanti dei diritti umani. E quest’uomo non aveva rancore: lui, musulmano, aveva questa croce del dolore portata avanti senza rancore”.

Infine, a chiudere l’omelia una preghiera: "

O Signore rendici degni testimoni del Vangelo e del tuo amore; effondi la tua misericordia sull’umanità; rinnova la tua Chiesa, proteggi i cristiani perseguitati, concedi presto la pace al mondo intero".

Al termine della Liturgia il Papa si intrattiene con un gruppo di rifugiati nei locali della Basilica. Sono profughi arrivati in Italia attraverso i corridoi umanitari  organizzati dalla Comunità di Sant' Egidio insieme alla Tavola Valdese. Parla con ciascuno e poi a tutti:

"Una parola di saluto e ringraziarvi per tutto quello che voi ci date. Grazie tante. Il Signore vi benedica".

All’uscita ancora un saluto alla folla di fedeli che l’attendevano sul Sagrato:

"Vi ringrazio per la presenza e per la preghiera in questa chiesa dei martiri. Pensiamo alla crudeltà, la crudeltà che oggi si accanisce sopra tanta gente; lo sfruttamento della gente … la gente che arriva in barconi e poi restano lì, nei Paesi generosi come l’Italia e la Grecia che li accolgono, ma poi i Trattati internazionali non lasciano … Se in Italia si accogliessero due – due migranti per municipio, ci sarebbe posto per tutti … E questa generosità del Sud, di Lampedusa, della Sicilia, di Lesbo possa contagiare un po’ il Nord. E’ vero: noi siamo una civiltà che non fa figli, ma anche chiudiamo la porta ai migranti. Questo si chiama suicidio. Preghiamo".

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Papa a San Bartolomeo. Mons. Paglia: testimoni della fede per vincere il male

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Cosa ha rappresentato la cerimonia nella Chiesa di San Bartolomeo in memoria dei nuovi Martiri? Robert Attarian lo ha chiesto a Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio: 

R. - Rappresenta uno sguardo su un mondo molto più vasto di quello che noi crediamo che sia. La realtà dei nuovi Martiri è una realtà della Chiesa del XX.mo e del XXI.mo secolo che tocca tutti i continenti, abbraccia tutte le confessioni cristiane. Ci sono tanti martiri senza nome.

D. – Qual è l’impegno della Comunità di Sant’Egidio per mantenere viva questa memoria?

R. – Innanzi tutto tenere aperta questa basilica dedicata ai nuovi Martiri, pregare con loro, chiedere la loro intercessione e poi raccogliere in tutte le chiese cristiane le memorie dei martiri, che ancora non sono stati canonizzati ma che sono conosciuti dal popolo, dalla gente e per cui la gente prega. Qui vengono tanti pellegrini, ma vengono anche tante diocesi a consegnarci le reliquie dei loro martiri. Questa chiesa sta diventando un po’ il centro del mondo del martirio.

D. – Il Papa ha concluso la sua omelia dicendo: “Gloria a te o Signore e a noi la vergogna” …

R. – Certo, perché davanti a queste storie, davanti alla loro sofferenza, davanti alla forza della loro fede, noi ci vergogniamo per la debolezza della nostra fede, per quanto poco siamo ancora testimoni. Ma, guardando a loro, troviamo coraggio e anche, in fondo, nella luce della Pasqua, della Risurrezione di Gesù, il primo martire, il primo a non fuggire di fronte alla persecuzione, troviamo la forza. E come dice l’Apostolo Paolo: “Quando siamo deboli è allora che siamo forti”. È per questo che veniamo qui a pregare.

Il fatto che il Papa sia stato in pellegrinaggio a San Bartolomeo, spiega Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, sottolinea quanto sia importante richiamare all’intera Chiesa la memoria di questi testimoni che ci ricordano cosa significhi essere cristiani. Ascoltiamo mons. Paglia al microfono di Robert Attarian: 

“Essere cristiani vuol dire essere testimoni che danno la vita anche per gli altri; vuol dire essere testimoni di un amore che non conosce confini; essere testimoni di un Vangelo che non conosce neppure inimicizia. I cristiani oggi, in un mondo sempre più violento rappresentano quella forza debole dell’amore che è l’unica che può sconfiggere il male”.

Papa Francesco ha benedetto una piccola scultura di legno dipinto,"raffigurante una colomba, che proviene dall'iconostasi di un'antica chiesa di Aleppo, bombardata durante l'assedio della città". A porgerla al Papa, un rifugiato siriano di Aleppo. Ascoltiamolo: 

R. - È da un anno che sono qui in Italia. Ringraziamo il Signore per tutto, per averci portato qui, che ha aperto una porta per noi tramite un corridoio umanitario della Comunità di Sant’Egidio. Ho lasciato tutti i miei beni, i miei parenti, i miei fratelli, tutto là …Poi siamo venuti qui.

D. – Ha presentato un omaggio particolare al Santo Padre, di che si tratta?

R. – Una colomba che abbiamo portato da Aleppo, dove i terroristi hanno bombardato la chiesa greco-ortodossa. Abbiamo portato qui questa piccola colomba che abbiamo trovato come simbolo affinché tutto il mondo si renda conto di quanto il mondo cristiano in Oriente soffre. I cristiani che rimangono, sono lì con la loro fede, con la preghiera, con l’aiuto del Signore.

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Card. Parolin al Villaggio per la Terra: più impegno dei cristiani in difesa Creato

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Un cristiano non vive una fede “all’acqua di rose, per superficialita’, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che ci sembrano piu’ importanti”. Con queste parole, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha esortato le circa 400 persone che hanno partecipato alla Messa allestita sotto la grande tenda del "Villaggio per la Terra" a Villa Borghese, cuore “verde” di Roma. Negli stessi luoghi visitati lo scorso anno dal Papa, il porporato ha ricordato il messaggio lanciato da Francesco a Earth Day Italia e al Movimento dei Focolari, organizzatori del Villaggio. Quel “trasformate i deserti in foreste” proposto dal Papa, ha affermato il segretario di Stato, riafferma l’importanza di “difendere questo nostro patrimonio comune” che e’ la Terra. “Questa azione – ha concluso – bisogna farla insieme”.

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Mons. Tewfik: Papa in Egitto, viaggio di pace e di dialogo

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Tra qualche giorno, il 28 e 29 aprile, Papa Francesco sarà al Cairo. E' la seconda volta che un Papa giunge in terra egiziana: il primo è stato San Giovanni Paolo II nell'anno 2000, in pellegrinaggio giubilare. Adesso, l'Egitto si prepara ad accogliere nuovamente un Pontefice, purtroppo in un'atmosfera di tensione, a causa dei recenti attentati contro la comunità cristiana. Ascoltiamo mons. Makarios Tewfik, vescovo copto cattolico di Ismayliah, intervistato da Stefano Leszczynski

R. – Noi aspettavamo questa visita, perché in passato avevamo già accolto il Papa San Giovanni Paolo II, e quindi i nostri fedeli aspettavano con ansia di ricevere anche il Santo Padre Francesco. Dopo l’invito che gli è stato rivolto dal presidente della Repubblica e poi dal capo della Chiesa copta ortodossa e anche dallo sceicco di Al Azhar, siamo andati anche noi in visita ad limina per invitare il Santo Padre.

D. – Che significato assume per il dialogo interreligioso la visita di Papa Francesco, in concomitanza con la Conferenza internazionale per la pace del Cairo?

R. – Bè, la conferenza per la pace si rivolge in modo particolare ai nostri fratelli musulmani, quindi la conferenza avrà luogo nella sede di Al Azhar, che è la somma autorità musulmana sunnita. Quindi, con la Chiesa copta ortodossa e con tutti i cristiani, certamente questa visita è anche un nuovo passo verso un’apertura nei riguardi dei nostri fratelli musulmani, oltre ad essere un incoraggiamento alla Chiesa copto-ortodossa che soffre il martirio con tanti eventi, ultimamente. Quindi, è un sostegno fraterno …

D. – E’ molto importante anche la dimensione ecumenica, oltre a quella del dialogo interreligioso …

R. – Noi avevamo già stipulato un accordo con la Chiesa copta ortodossa, tanti anni fa – nel 1988 – sulla cristologia, sulle due nature in Cristo. Questo è stato un passo storico che ha risolto il problema che era stato all’origine dello scisma dopo il Concilio di Calcedonia.

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Rinuncia e nomina alla guida dell'arcidiocesi di Nyery

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Nyeri, in Kenya, presentata da  mons. Peter J. Kairo, ed ha nominato arcivescovo della stessa diocesi Nyeri, mons. Anthony Muheria, vescovo di Kitui e amministratore apostolico di Machakos.

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Tweet del Papa: "la Misericordia di Dio è eterna", “non si stanca mai”

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Nella domenica della Divina Misericordia il Papa ha tweettato: “La misericordia di Dio è eterna: non finisce, non si esaurisce, non si arrende di fronte alle chiusure, e non si stanca mai.

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Oggi in Primo Piano



Francia al voto per le presidenziali, urne decisive per equilibri Ue

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La Francia al voto per il primo turno delle elezioni presidenziali.  I seggi aperti dalle 8,  ora locale, chiuderanno alle 19. Buona l’affluenza, a mezzogiorno aveva votato  il 28,54% dei  47 milioni di francesi chiamati alle urne, dato in lieve rialzo rispetto al primo turno del 2012. I candidati in lizza sono 11, ma i quattro favoriti per il ballottaggio del 7 maggio sono il liberale Emmmanuel  Macron; il conservatore, François Fillon; la nazionalista, Marine Le Pen, e l’esponente della sinistra radicale, Jean-Luc Melenchon. Il servizio di Marco Guerra: 

I riflettori di tutto il mondo sono puntati sul voto francese per le minacce terroristiche e le sorti dell’Europa. Mai come questa volta, infatti, la nuova presidenza della Francia potrà influire sul futuro dell’Unione, ancora scossa dalla Brexit. La candidata del ‘Front National’, Marine Le Pen, e il candidato della forza di sinistra ‘France Insoumise’ Melenchon, sono in netta contrapposizione rispetto alle istituzioni di Bruxelles. Sebbene abbiano espresso forti critiche all’Ue, restano decisamente ancorati al progetto Europeo il centrista ed ex ministro dell’economia, Macron e il candidato dei Repubblicani, Fillon. Secondo gli ultimi sondaggi, l’attentato islamista di giovedì sera sugli Champs Elysées non avrebbe condizionato le intenzioni degli elettori. Macron è dato in testa al 24%, dietro la Le Pen con il 22%. Seguono a pochissima distanza Fillon (20%) e Mélenchon (19%), che restano comunque nella partita. I distacchi sono talmente minimi che questa sera potrebbe emergere qualsiasi combinazione per il ballottaggio. Altissima l’allerta sicurezza, rigide le misure di controllo in tutto il Paese e in prossimità dei seggi, come suggerito  in una nota dai servizi francesi.

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Venezuela, proteste: senza violenze marcia per le vittime. Popolazione stremata

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Migliaia di manifestanti vestiti di bianco hanno marciato in silenzio a Caracas, in Venezuela, per ricordare le 22 vittime delle repressioni avvenute nelle ultime tre settimane contro le proteste antigovernative. La marcia pacifica ha sfilato nella zona occidentale della capitale ritenuta una roccaforte chavista ed ha raggiunto la sede della Conferenza episcopale venezuelana, difronte alla quale è stata celebrata una preghiera ecumenica. Presenti tra i manifestanti molti simboli religiosi ed alcuni sacerdoti.  Nonostante i timori legati al clima di forte tensione non si sono registrate violenze. Tuttavia non si fermano i saccheggi dovuti alla grave crisi economica, la notte tra sabato e domenica i disordini hanno raggiunto anche la più grande baraccopoli della città. Di questa crisi Roberta Barbi ha parlato con Edoardo Leombruni, presidente dell’Associazione latinoamericana-Italia e coordinatore del Programma di aiuti umanitari per il Venezuela, che da anni, con i suoi volontari, si occupa della raccolta e dell’invio di farmaci in loco e ha ricevuto anche il sostegno di Caritas italiana: 

R. – La situazione è veramente peggiore di quella che riceviamo dai media o dalle reti sociali. Indubbiamente il controllo dell’informazione è in mano al governo e pertanto di tutto quello che riguarda la cifra dei morti o delle persone che sono state private di libertà, non ne abbiamo contezza. L’assurdo in questo momento del Venezuela è che la gente è andata in strada per chiedere un diritto acquisito dalla modifica della Costituzione e dallo stesso presidente Chávez: ovvero il diritto al referendum revocatorio del presidente in atto. Non hanno ottenuto nemmeno questo, nemmeno l’applicazione della legge modificata dallo stesso Chávez.

D. - Un fenomeno particolarmente grave che si sta verificando è quello dei saccheggi. Nel Paese manca tutto: dai farmaci, ai generi alimentari. Come vive il popolo questa situazione?

R. - Il saccheggio è stata una costante della storia venezuelana degli ultimi 30 anni. Arriva nel momento di massima disperazione, del disordine anche della vita quotidiana e quasi sempre è dovuto alle persone, ai più diseredati, alle persone “de los barrios”, i quali, disperati, non sapendo cosa fare scendono – il concetto è  proprio quello di “bajar de los barrios”, scendere dai barrios - e andare a prendere quello che possono. È la disperazione, la fame e la necessità di farmaci che porta la gente a questi gesti terribili.

D. - Su quello che sta succedendo c’è anche un grosso rimpallo di responsabilità tra il governo di Maduro che afferma di bloccare i continui tentativi di golpe e le opposizioni nuovamente scese in piazza …

R. - Purtroppo in un Paese dove non abbiamo statistiche epidemiologiche sulle medicine, sulle morti, sui morti uccisi, sulla riacutizzazione della recrudescenza di malattia come malaria e tubercolosi, ci rendiamo conto che è difficile dire come sta la situazione. Possiamo solamente dire che il governo venezuelano afferma che si tratta di un golpe di Stato. Purtroppo il governo venezuelano probabilmente dimentica che i militari sono totalmente schierati con il sistema, pertanto non vedono il popolo che in questo momento non è armato, non ha la possibilità di avere gli F16 oppure le mitragliatrici per fare un golpe di Stato.

D. – La situazione in Venezuela attualmente è anche uno dei grandi nodi di politica estera da sciogliere per i vicini Stati Uniti. La Casa Bianca recentemente ha accusato il presidente venezuelano di “soffocare la voce degli esponenti più critici”…

R. – Questa è una delle principali situazioni della politica estera internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, delle ultime settimane. Devo riconoscere che in qualche modo gli Stati Uniti - sia con l’amministrazione Obama sia con la nuova amministrazione Trump - sono stati sempre molto chiari nel condannare la condizione venezuelana. So che l’Organizzazione degli Stati Americani - di cui fa parte il Venezuela e della quale dovrebbe rispettare i dettami - si è pronunciata contro il governo venezuelano, ma non è cambiato nulla, la violenza continua. Il Venezuela è nel caos. Siamo quasi alle porte di una guerra civile, se per guerra civile intendiamo che il popolo, disarmato, esce in strada e si fa uccidere, come è accaduto in questi giorni.

D. - Dal punto di vista economico la situazione del Venezuela è critica da anni. Poi si è anche abbassato il prezzo del petrolio di cui il Paese è un grande esportatore. Lo spettro del default è ancora uno scenario possibile?

R. - Lo spettro del default non è più uno scenario possibile: il Venezuela è già in default da molti mesi. È uno dei Paesi dove la qualità di vita non c’è più, è un Paese che si è totalmente distrutto, l’economia è assolutamente inesistente, una famiglia della classe media ormai non arriva alla seconda settimana. Il governo venezuelano non riesce, purtroppo, ancora oggi, ad adempiere ai suoi obblighi.

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Caritas: a 2 anni dal sisma in Nepal, resta la ferita della paura

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Il 25 aprile di due anni fa un terremoto di magnitudo 7,9 devastò il Nepal, provocando quasi 9 mila morti e lasciando poco meno di 3 milioni di persone in una disperata condizione sociale. Un sisma che ha reso più drammatica anche la crisi di un Paese alle prese con un’instabile situazione politica. Ma ad oggi, la ferita più dolorosa resta quella del trauma psicologico vissuto dalla popolazione, di cui ha tracciato il profilo un ultimo rapporto Caritas italiana, che in Nepal ha messo in campo decine di interventi umanitari. I particolari da Paola Simonetti: 

500 mila case crollate, 36 mila scuole ridotte in macerie, 8700 vittime, 20 mila i feriti, quasi 3 milioni le persone rimaste in condizioni disperate e bisognose di assistenza primaria. In Nepal, due anni fa, questo era quello che lasciava un  terremoto fra i più forti degli ultimi 100 anni per il Paese. La lenta e frammentaria ricostruzione non ha saputo ancora far sentire la popolazione fuori dall’emergenza, anche per il problematico scenario politico del Paese. Difficile elencare cifre e dati sulla situazione odierna, per la complessa struttura geografica e sociale del Nepal, dove parte della popolazione vive in zone remote difficilmente monitorabili, ma quello che è certo è che il danno più profondo è la ripercussione psicologica, la paura che attanaglia una intera popolazione. Questo il capitolo più rilevante nell’ultimo rapporto della Caritas Italiana a due anni dal sisma, dal titolo significativo: “Il terremoto dentro. I sintomi dei disastri naturali sulla salute psicologica”, di cui il curatore, Massimo Pallottino traccia i tratti essenziali:

“La sofferenza delle persone continua a essere forte. Le persone vivono con l’ansia del terremoto, vivono una situazione di stress, di solitudine; tecnicamente li chiamiamo anche ‘pensieri intrusivi’, non-tranquillità, sempre la paura che qualcosa di nuovo possa succedere e anche una instabilità delle condizioni di vita. Allora abbiamo veramente verificato il fatto che questo tipo di danno, che forse è il meno visibile, perché non si vede all’apparenza, alla vista, come si vede una casa distrutta, quanto una persona possa essere scossa e invece è molto importante …”.

Condizione di ipervigilanza, insonnia, incubi notturni percezione negativa di sé e degli altri, difficoltà di concentrazione sono alcuni dei disturbi che affliggono la popolazione nepalese in altissime percentuali. Strascichi dolorosi generati dal sisma, che necessitano di interventi di aiuto psicologico specifico fornito da esperti, ma anche e soprattutto di sostegno alla comunità, come aggiunge sempre Massimo Pallottino di Caritas Italiana:

“Un elemento che abbiamo certamente riscontrato è la misura in cui la sofferenza personale possa anche essere oggetti di stigma, cioè: io soffro e in qualche maniera sono oggetto di riprovazione sociale per questa sofferenza, quindi in qualche maniera faccio fatica anche ad esternalizzare, a esprimere questa sofferenza. Accompagnare le comunità in una situazione del genere vuol dire anche aiutare le comunità a prendersi cura tutti insieme di coloro che vivono questa situazione di sofferenza che appunto rischia di diventare una situazione anche di emarginazione, da un punto di vista sociale”.

Decine gli interventi della Caritas locale per dare sostegno alla popolazione, con un esborso di più di 6 milioni di Euro nella distribuzione di cibo e beni di prima necessità, allestimento rifugi assistenza sanitaria e, nella seconda fase, nel ripristino di infrastrutture, scuole, sostegno psicologico, solo per citarne alcuni. Ma la vera sfida resta restituire a questa popolazione, fiducia nel futuro e nelle proprie capacità di rinascita.

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A Varsavia, la Conferenza cristiana europea su fede e internet

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Si apre il 25 aprile a Varsavia la 22.ma edizione della European Christian Internet Conference che ogni anno raduna cristiani di tutte le confessioni per riflettere sulla fede nell’era di Internet e dei Social Media. All’evento in terra polacca partecipano 80 rappresentanti provenienti da diversi Paesi europei che si interrogheranno, in particolare, sulle possibilità della predicazione nell’era digitale e sui nuovi spazi per la fede e la teologia aperti da Internet. A rappresentare l’Italia, ci sarà don Marco Sanavio, membro del Consiglio direttivo di WeCa, l’associazione dei Webmaster cattolici italiani. Alessandro Gisotti lo ha raggiunto telefonicamente a Varsavia: 

R. – Si tratta della 22.ma conferenza tra pastori e laici delle Chiese sia protestanti sia cattolica, ortodossa e altre confessioni cristiane, che in qualche modo ci orientano a porre una pastorale anche all’interno del cyberspazio. L’edizione di quest’anno a Varsavia è orientata a internet come spazio pubblico, all’interno del quale la realtà aumentata e la teologia possono in qualche modo incrociarsi, impastarsi, intersecarsi in alcuni percorsi che ci verranno raccontati a livello di caso di studio, ma poi anche per alcune Chiese che utilizzano in maniera più intensiva come tracce pastorali.

D. – Si tratta in un qualche modo di un esperimento di "ecumenismo digitale". Quali sono le sfide più significative che avete visto in questi ultimi anni, anche nel confronto tra esperienze diverse?

R. – Sicuramente, tra le cose più interessanti che ci accomunano c’è la fraternità, perché gran parte dei partecipanti si conosce già da tempo, si tiene in contatto durante l’anno … E questo incontro, nella preghiera, che è comune tutti i giorni ed è proposta da una delle varie confessioni presenti, è per esempio un appuntamento desiderato da tutti e anche condiviso in maniera molto semplice. Che io ricordi, in tante edizioni – ho partecipato almeno a una decina di questi incontri – non c’è mai stato uno screzio, una disattenzione … cioè, tutti pregano insieme sempre accogliendo di buon grado quello che viene proposto. Da lì ci si orienta poi a scambiarsi le esperienze nel mondo digitale.

D. – Il tema della formazione è molto presente in questi incontri; ovviamente si guarda soprattutto alle giovani generazioni, i primi fruitori e protagonisti del nuovo ambiente digitale …

R. – Io parteciperò a questo convegno a nome di Weca, l’Associazione webmaster cattolici italiani, e racconterò del premio che verrà lanciato a breve per il miglior sito cattolico; ma racconterò anche di un percorso che ho fatto insieme con una psicologa psicoterapeuta che si chiama “Generazioni digitali”, e anche un libro edito dalla San Paolo che, a differenza di altre pubblicazioni, contiene un metodo: un metodo strutturato in quattro passaggi che sono ascolto, fase di simbolizzazione, fase di riappropriazione e poi fase autonormativa dove i giovani stessi si consegnano regole per vivere bene nel cyberspazio.

D. – Ecco, proprio in questo libro – “Generazioni digitali” – si mette molto l’accento sull’ascolto; cambiano, ovviamente, i contesti di comunicazione, le tecnologie sempre più veloci ma si richiede sempre un ascolto – un ascolto profondo. E questo ricorda un po’ anche quello che dice Francesco: l’ascolto-terapia …

R. – Sì: è proprio questo tipo di attenzione, l’ascolto-terapia; perché in molti casi, e in una decina d’anni di esperienze dentro scuole e associazioni – in molti casi non c’è altra soluzione se non quella di ascoltare profondamente ciò che questi ragazzi stanno vivendo. Noi abbiamo coniato il termine “affioranti digitali”: abbiamo scoperto che i disagi nel mondo digitale spesso rivelano carenze relazionali molto profonde.

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Papa messaggio al Rinnovamento nello Spirito: rimanete uniti nell'amore

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Rimanete “uniti nell’amore e nella preghiera allo Spirito Santo che rende possibile tale unità. La Chiesa si aspetta questa testimonianza perché nessuno sia privo della luce e della forza del Vangelo”. Così Papa Francesco in un messaggio - a firma del cardinale Parolin, segretario di Stato - alla Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, inaugurata ieri a Rimini, nel 50.mo del movimento ecclesiale. Ricco di appuntamenti il programma con preghiere comunitarie, celebrazioni eucaristiche e momenti di adorazione. Tanti gli ospiti, tra loro il patriarca caldeo di Baghdad Louis Raphaël I Sako, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani ed europei, e mons. Angelo Becciu, sostituto della segreteria di Stato. Elvira Ragosta ha intervistato Salvatore Martinez, presidente nazionale di Rinnovamento nello Spirito: 

R. – Una convocazione speciale, in un anno speciale per noi e per tutta la grande famiglia dei Carismatici nel mondo. Prima di ogni cosa, siamo qui per onorare e ringraziare il grande protagonista di questa storia sacra, che è lo Spirito Santo. A Lui dobbiamo la nascita dei gruppi, delle comunità, le opere, i ministeri, le missioni che hanno fatto ricca di bene, e di bene comune, questa famiglia ecclesiale. Ravvisiamo questa necessità: se il mondo è in crisi, non è in crisi lo Spirito Santo. E dunque urge ritornare a Lui: serve una nuova eloquenza spirituale, una immissione di vita interiore, di preghiera, in questo nostro tempo secolarizzato. E quell’antropologia fondata sul soprannaturale che ci ricorda che tutto è possibile a Dio e nulla è impossibile per chi crede. E dunque è di fede carismatica. E ogni anno a Rimini questa esperienza di misericordia, come ci dice Papa Francesco, in cui si tocca la carne ferita dell’umanità si ripete. Migliaia di persone ritornano a Dio, scoprono la bellezza, la meraviglia del suo amore nella loro vita. E così la storia di tante famiglie cambia e quella di tante persone sole viene redenta.

D. – Quanto è importante la spiritualità in questo momento con le notizie di violenze che giungono dall’attualità internazionale?

R. – Io credo che sia decisiva. E all’interno del nostro programma riusciamo, come le due facce di una stessa medaglia, a dare eco a questo bisogno e a questa esigenza. C’è un giornata dedicata alla misericordia, proprio nella festa liturgica della Divina Misericordia, in cui lasciamo che Dio si prenda carico delle ferite di questa nostra umanità così piagata da tante ingiustizie e da tante proteste. E poi uno sguardo all’attualità: vogliamo guardare alla nostra Europa con la presenza del cardinale Bagnasco e del presidente del Parlamento europeo, Tajani, per ribadire che serve un umanesimo spirituale; che l’Europa deve tornare a questa sua identità più profonda per dar corso alle sfide di questo nostro tempo e non risultare così perdente. Ma poi uno sguardo anche al Medio Oriente con il patriarca dei caldei, Sako, che ci porta in qualche modo l’eco di questi nostri fratelli, martiri cristiani bisognosi di forza spirituale alla vigilia del viaggio del Santo Padre in Egitto.

D. – Il tema del Giubileo e della Festa sono stati declinati anche per i più piccoli, per i più giovani: c’è infatti, in questi giorni a Rimini, anche un “Meeting baby”, giusto?

R. – Sì, in realtà sono tre meeting per le tre età scolari: materne, elementari e medie. È una tradizione che si ripete puntualmente dal 1999 – era l’Anno del Padre – e come padri ci siamo resi conto che bisogna guardare alle nuove generazioni. Adesso, alcuni di questi bambini sono sposati, sono responsabili nel Rinnovamento; e ci dà grande gioia vedere come la fede possa essere trasmessa nella famiglia. Sono essi stessi protagonisti di questi meeting, dunque non i destinatari ma, come vorrebbe il Concilio, bambini che evangelizzano bambini, ragazzi e giovani che si evangelizzano tra loro.

D. – La 40.ma Convocazione nel cinquantesimo anniversario della nascita del Rinnovamento. Cosa possiamo dire di tutti questi anni passati?

R. – Proverei a riassumere in questo modo. Con Paolo VI siamo nati, e abbiamo imparato ad amare la Chiesa e a farla amare. Con San Giovanni Paolo II, nel suo pontificato magno, abbiamo imparato a varcare le soglie di una speranza e di una speranza che crea, creatrice. Con Benedetto XVI, a passare la porta della fede, a sentire la bellezza della nostra fede e anche la potenza di questa fede carismatica. E adesso, con Papa Francesco, ad entrare in questo vortice, in questo abisso di misericordia; e dunque a conclamare la dimensione missionaria, l’evangelizzazione carismatica che è propria del Rinnovamento. È una storia sacra, come dicevo, per la quale proviamo grande meraviglia, sapendo che siamo solo collaboratori di un disegno divino e dell’opera dello Spirito.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 113

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