Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 27/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Azione Cattolica sia in mezzo alla gente, aperta e audace

◊  

“La missione non è un compito tra i tanti dell’Azione Cattolica, è il compito”. Così il Papa aprendo stamane i lavori in Vaticano del Forum internazionale dell’associazione ecclesiale laicale, fondata in Italia, il cui primo nucleo risale al 1867. “Se la missione - ha spiegato Francesco nel suo discorso in spagnolo - non è la sua forza distintiva, si snatura l’essenza dell’Azione Cattolica”, che “perde la sua ragione d’essere”. Il servizio di Roberta Gisotti

“Quiero una Acción Católica en este pueblo, la parroquia, en la diócesis...
“Voglio un’Azione Cattolica tra la gente, nella parrocchia, nella diocesi, nel paese, nel quartiere, nella famiglia, nello studio e nel lavoro, nella campagna, negli ambiti propri della vita. È in questi nuovi areopaghi - ha raccomandato Francesco, partendo dal tema del Forum ‘Azione Cattolica in missione con tutti e per tutti’- che si prendono decisioni e si costruisce la cultura”.

“La Accion Catolica tuvo tradicinalmente…
Se l’Azione Cattolica - ha ricordato il Papa - ha per tradizione quattro pilastri “la Preghiera, la Formazione, il Sacrificio e l’Apostolato” su cui poggiarsi secondo il momento storico, oggi è “l’apostolato missionario” ad avere priorità, sapendo “che senza preghiera, sacrificio e formazione non c’è frutto”. Da qui l’invito: “formate” adeguandovi ad ogni realtà. “Per animare una felice amicizia con Gesù”: “pregate”, ponendo “il cuore nei bisogni del popolo, nelle sue sofferenze e nelle sue gioie”, “cosi eviterete di stare a guardare continuamente voi stessi”. “Sacrificatevi”, "non per sentirvi più puliti” ma per fare il bene degli altri. Evangelizzare “non è un progetto di proselitismo”, perché la Chiesa “cresce per attrazione”.

“Es vital renovar y actualizar el compromiso de la Acción Católica para la evangelización...
Per questo “è  vitale - ha sottolineato Francesco - rinnovare e aggiornare l’impegno dell’Azione cattolica per l’evangelizzazione, giungendo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, in tutte le periferie esistenziali, veramente, non come una semplice formulazione di principi".

“Dovete incarnarvi concretamente” - ha chiesto Francesco - nella Chiese diocesane, a partire dalle parrocchie. "La parrocchia - ha detto - non è passata di moda".

“No pueden ser de esos grupos tan universales que no hacen pie en ningún lado, que...
“Non potete essere come quei gruppi tanto universali che non hanno una base in nessun posto, che non rispondono a nessuno e vanno cercando ciò che più li aggrada di ogni luogo”.

“Eviten caer en la tentación perfeccionista de la eterna preparación...
Evitate “la tentazione perfezionista dell’eterna preparazione per la missione e delle eterne analisi, che quando si concludono sono già passate di moda o sono superate”.

E, ancora “che sia la realtà a dettarvi il tempo”.

“Se aprende a evangelizar evangelizando, como se...
“S’impara a evangelizzare evangelizzando, come s’impara a pregare pregando, se il nostro cuore è bendisposto”.

Dunque sia presente l’Azione Cattolica in politica, nell’impresa, nelle professioni, “non perché ci si creda cristiani perfetti e formati, ma per servire meglio”, specie nelle carceri, negli ospedali, nelle strade, nelle baraccopoli, nelle fabbriche, “è indispensabile” - ha ammonito Francesco - o sarete degli “esclusivisti”. E non alimentate “un fariseismo ipocrita”, non burocratizzate l’adesione, “c’è bisogno di misericordia attiva”, "non siate dogane" - esorta - "non potete essere più restrittivi della stessa Chiesa né più papisti del Papa. Aprite le porte", anche a quanti vorranno far parte dell’Azione Cattolica ma apparentemente non sono in condizioni di farlo: genitori non sposati in Chiesa, “uomini e donne con un passato o un presente difficile ma che lottano, giovani disorientati e feriti”. E’ una sfida “accompagnarli nel cammino della vita con le croci che portano sulle spalle”.

Infine, “non clericalizzate il laicato”.

“Sean audaces, no son más fieles a la iglesia porque estén esperando...
“Siate audaci, non siete più fedeli alla Chiesa se aspettate a ogni passo che vi dicano che cosa dovete fare”.

inizio pagina

Il Papa: i cristiani non sono testimoni di un'idea ma di obbedienza

◊  

Essere cristiani non è uno status sociale ma diventare testimoni di obbedienza a Dio, come fece Gesù, e la conseguenza di questo sono le persecuzioni. Così Papa Francesco stamani nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. E’ lo Spirito Santo a renderci tali, sottolinea, ma bisogna chiedere a Dio questa grazia. Il servizio di Debora Donnini

“Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. Questa la risposta di Pietro portato assieme agli apostoli davanti al sinedrio dopo essere stati liberati dal carcere da un Angelo. Era stato proibito di insegnare nel nome di Gesù, gli aveva ricordato infatti il sommo sacerdote, ma hanno riempito Gerusalemme del loro insegnamento. L’omelia di Francesco parte da questo episodio narrato nella Prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli. Per far comprendere questo avvenimento, il Papa fa riferimento anche a quanto narrato prima dagli Atti, ai primi mesi della Chiesa quando la comunità cresceva e c’erano tanti miracoli. C’era la fede del popolo ma anche dei “furbetti”, nota il Papa, “che volevano fare carriera” come Anania e Saffira. Lo stesso accade oggi, rileva Francesco. E così c'era chi disprezzava, ritenendolo ignorante, "questo popolo credente" che portava in pellegrinaggio gli ammalati presso gli apostoli: "Il disprezzo al popolo fedele di Dio che mai sbaglia". Allora Pietro, che per paura aveva tradito Gesù il giovedì santo, questa volta, coraggioso, risponde che “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. Questa risposta fa comprendere che “il cristiano è testimone di obbedienza”, come Gesù, che si annientò e nell’orto degli ulivi disse al Padre: “si faccia la tua volontà, non la mia”:

“Il cristiano è un testimone di obbedienza e se noi non siamo su questa strada di crescere nella testimonianza dell’obbedienza non siamo cristiani. Almeno camminare su questa strada: testimone di obbedienza. Come Gesù. Non è testimone di un’idea, di una filosofia, di una ditta, di una banca, di un potere: è testimone di obbedienza. Come Gesù”.

Ma diventare “testimone di obbedienza” è “una grazia dello Spirito Santo”, spiega il Papa:

“Soltanto lo Spirito può farci a noi testimoni di obbedienza. ‘No, io vado da quel maestro spirituale, io leggo questo libro…’. Tutto sta bene ma soltanto lo Spirito può cambiarci il cuore e può farci a tutti testimoni di obbedienza. E’ un’opera dello Spirito e dobbiamo chiederlo, è una grazia da chiedere: ‘Padre, Signore Gesù, inviatemi il vostro Spirito perché io divenga un testimone di obbedienza’, cioè un cristiano”.  

Essere testimone di obbedienza comporta delle conseguenze come racconta la Prima Lettura: dopo la risposta di Pietro, volevano infatti metterlo a morte:

“Le conseguenze del testimone di obbedienza sono le persecuzioni. Quando Gesù elenca le Beatitudini finisce: ‘Beati voi quando siete perseguitati, insultati’. La croce non si può togliere dalla vita di un cristiano. La vita di un cristiano non è uno status sociale, non è un modo di vivere una spiritualità che mi fa buono, che mi fa un po’ migliore. Questo non basta. La vita di un cristiano è la testimonianza in obbedienza e la vita di un cristiano è piena di calunnie, dicerie, persecuzioni”.

Per essere testimoni di obbedienza come Gesù, conclude il Papa, serve pregare, riconoscersi peccatori, con tante “mondanità” nel cuore. E chiedere a Dio “la grazia di divenire un testimone di obbedienza” e di non impaurirsi quando arrivano le persecuzioni, “le calunnie”, perché il Signore ha detto che quando si sarà portati davanti al giudice, “sarà lo Spirito a dirci cosa rispondere”.

inizio pagina

Francesco: umanità ha bisogno di testimoni del Vangelo

◊  

Il Papa ha ricevuto stamane, nella Sala Clementina in Vaticano, i membri della Papal Foundation, una organizzazione cattolica nata nel 1988 per sostenere nel mondo progetti caritativi a nome del Santo Padre. Francesco li ha incoraggiati a proseguire nel loro “impegno di promuovere la missione della Chiesa sostenendo molte iniziative di natura religiosa e caritativa che stanno a cuore al Papa”. Queste le sue parole: 

“Il mondo odierno, spesso segnato dalla violenza, dall’avidità e dall’indifferenza, ha grande bisogno della nostra testimonianza del messaggio di speranza nella forza redentiva e di riconciliazione dell’amore di Dio, che promana dal Vangelo. Sono grato per il vostro proposito di aiutare gli sforzi della Chiesa nel proclamare tale messaggio di speranza fino ai confini della terra e di lavorare per il progresso spirituale e materiale dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nel mondo, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. Ciascuno di noi, come membro vivo del Corpo di Cristo, è chiamato a promuovere l’unità e la pace della famiglia umana e di tutti coloro che la compongono, secondo la volontà del Padre, in Cristo. Vi chiedo, quale parte essenziale del vostro impegno nell’opera della Papal Foundation, di pregare per le necessità dei poveri, per la conversione dei cuori, la diffusione del Vangelo e per la crescita della Chiesa nella santità e nello zelo missionario”.

inizio pagina

Il Papa: vado in Egitto come pellegrino di pace

◊  

"Mi recherò domani pellegrino di pace nell’Egitto di pace": così il Papa in un tweet alla vigilia del suo 18.mo viaggio internazionale. Tutto il Paese è pronto ad accoglierlo. Un viaggio all’insegna del dialogo e della fraternità, in un momento molto difficile per questa terra, ferita dagli attentati terroristici che hanno colpito la minoranza cristiana, ma le cui conseguenze vengono pagate da tutta la popolazione. Il Pontefice, secondo il programma del viaggio, arriverà al Cairo alle 14.00 di domani e rientrerà a Roma alle 20.30 di sabato. Il servizio del nostro inviato Stefano Leszczynski: 

La grande arteria stradale, che dall’aeroporto internazionale del Cairo porta verso il cuore di questa metropoli egiziana di oltre 10 milioni di abitanti, è interamente tappezzata di manifesti con il logo della visita apostolica di Papa Francesco. “Il Papa della pace, in un Egitto di pace”, un titolo questo che piace molto agli egiziani, che avvertono forte come mai il bisogno di tornare alla normalità, anche economica ed internazionale. I cristiani sono ovviamente i più felici per questo viaggio dai molti significati: pastorale, ecumenico, interreligioso e anche politico.

Il presidente Abdel-Fattah Al-Sisi, il primo ospite che il Papa incontrerà, punta molto sul rilancio dell’immagine del Paese, grazie anche all’iniziativa promossa dal grande imam della Moschea di al Azhar, Ahmad Al-Tayeb, che ha convocato una Conferenza internazionale sul tema della pace, invitando anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo. A rispecchiare chiaramente le speranze e il clima della visita del Papa è la notizia che a presenziare alla Messa di sabato mattina presso lo stadio dell’aeronautica militare - con una capienza di circa 20mila persone - ci saranno praticamente tutti i protagonisti di questo viaggio: oltre alla piccola comunità cattolica, anche molti copti ortodossi e cristiani di altre Chiese e anche musulmani, oltre a quelli delle nutrite delegazioni ufficiali. Le misure di sicurezza nella capitale sono state portate a livelli molto alti, anche se con una presenza discreta, in ogni luogo della città. Una scelta che ben si accorda con quella di Papa Francesco di effettuare tutti gli spostamenti su una vettura di serie, non blindata.

Sull'attesa in Egitto ascoltiamo il rettore del Seminario copto cattolico del Cairo, padre Toma Maher Adly Zaky

R. – Tutto il Paese è molto, molto contento di ricevere una grande persona. Infatti il Papa non è solo un capo religioso, ma una persona che rappresenta la pace, la tolleranza, il mondo, ed ha un peso morale molto importante nel mondo. Per questo tutto il Paese è molto contento. Infatti il governo è molto disponibile a ricevere il Papa. La visita ha quattro aspetti. Il primo aspetto è il rapporto con lo Stato: il Papa celebra con lo Stato egiziano il 70.mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede ed Egitto. Il nostro presidente è andato in visita dal Papa e il Papa ricambia la sua visita venendo qui. Per questo la sua visita è molto importante per lo Stato e per la Chiesa cattolica qui in Egitto. Infatti la visita del Papa incoraggia tutta la Chiesa cattolica che desidera vivere la sua fede in pace. Poi incoraggia la comunità cattolica qui in Egitto a continuare a lavorare per lo sviluppo e per la diffusione dei valori della Chiesa cattolica nella società egiziana. La visita è molto importante anche dal punto di vista del dialogo interreligioso: il Papa incontrerà il Grande Imam di Al Azhar, che è il capo religioso dei sunniti ed è molto rispettato dal mondo musulmano. L’altro aspetto importante è quello ecumenico: Papa Francesco incontrerà Papa Tawadros, il Papa dei copti ortodossi e dopo l’incontro ci sarà un incontro ecumenico con tutti i capi dei cristiani non cattolici in Egitto. Per questo la visita è molto importante.

D. - Tutti abbiamo visto in questi giorni che ci sono state comunque delle tensioni nel Paese, ci sono stati attacchi contro i cristiani da parte di alcune frange estremiste minoritarie. Ma come si sta vivendo, che clima c’è oggi in Egitto alla vigilia dell’arrivo del Papa?

R. - Non si sente la tensione. La verità è che in Egitto la maggioranza dei musulmani sono moderati. Noi cristiani viviamo qui in Egitto come egiziani: noi siamo egiziani, non ci sentiamo una minoranza e il governo e il popolo musulmano non ci trattano come tale, no. Noi siamo tutti cittadini egiziani: cristiani o musulmani. Il problema da noi in Egitto è che ci sono dei terroristi che hanno un’agenda politica. Utilizzano gli attacchi nelle Chiese per far sì che il tutto il mondo parli di loro. Però, davvero, l’anno scorso abbiamo avuto molti martiri musulmani e nessuno parla di loro. Nel Nord del Sinai, dove ci sono i terroristi, c’è la lotta fra l’esercito e i terroristi, lì sono morti più di cento soldati e ufficiali; erano tutti musulmani, ma nessuno parla di loro. Però, come dice sempre Papa Francesco, non c’è una religione terrorista, ci sono dei terroristi che hanno un’agenda politica. E tutti noi soffriamo per questo terrorismo. Il Papa e il Grande Imam vogliono diffondere un messaggio di pace per tutte e due le religioni.

inizio pagina

Parolin: il Papa non ha mai pensato di rinunciare a viaggio in Egitto

◊  

Sono felice di venire ”come amico, come messaggero di pace e come pellegrino nel Paese che diede rifugio alla Sacra Famiglia”: è quanto ha detto Papa Francesco nel videomessaggio inviato al popolo egiziano alla vigilia del suo diciottesimo viaggio internazionale, che lo porterà al Cairo, in Egitto, il 28 e 29 aprile. E’ la risposta all’invito del Presidente della Repubblica, del Papa copto ortodosso Tawadros II, del Grande Imam di Al-Azhar e del Patriarca copto-cattolico. Alessandro Di Bussolo del Centro Televisivo Vaticano ne ha parlato con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin

D. - Eminenza, Papa Francesco visita l’Egitto a meno di tre settimane dai sanguinosi attentati alle chiese copte nella Domenica delle Palme. E’ un Papa di pace in un Egitto non certo in pace. Quale messaggio potrà portare in una terra che sembra annichilita da tanta violenza?

R. - Tanti hanno pensato che Papa Francesco dopo i sanguinosi e brutali attentati che hanno scosso l’Egitto (in questo ultimo periodo), in queste ultime settimane, avrebbe forse messo in discussione il suo viaggio in quella terra. Invece il Papa non ha mai pensato di farlo, proprio perché vuole rendersi presente, vuole essere lì dove ci sono situazioni di violenza, ci sono situazioni di conflitto, e in questo caso proprio in Egitto, e vuole essere messaggero di pace dove c’è più bisogno di pace, dove c’è più bisogno di annunciare e di operare per la pace. Certamente lo farà con la sua parola, nei vari incontri, ma lo farà soprattutto e prima di tutto con la sua presenza, una presenza di vicinanza, di solidarietà, di incoraggiamento. Quindi il Papa va proprio perché l’Egitto ha bisogno di qualcuno che annunci la pace e che cerchi di operare per la pace.

D. - Il governo egiziano potrebbe fare di più per proteggere le minoranze cristiane dagli estremisti o l’unica strada per fermare il terrorismo è quella dell’educazione delle coscienze e dei giovani?

R. - Il governo deve fare tutto il possibile per proteggere i cittadini egiziani, a qualunque gruppo sociale o religioso appartengano. E’ proprio del governo garantire la sicurezza per i suoi cittadini attraverso l’opera di tutti i suoi apparati, di tutte le forze dell’ordine. Però evidentemente quella del terrorismo è una sfida molto più ampia, che non si risolve e non si limita solo a livello di sicurezza. E’ una sfida che impegna a rimuovere tutte quelle che possono essere le cause del nascere, dell’alimentarsi del terrorismo, ed evidentemente anche il governo e le autorità devono impegnarsi su questo fronte. Un fronte che convoca però all’impegno di tutta la società, soprattutto all’impegno dell’educazione. Quindi la famiglia, la scuola, le Chiese, i mass media, tutti hanno una responsabilità per educare alla pace e togliere quelle che possono essere le cause di questo fenomeno, soprattutto nei confronti dei giovani. Quindi dare loro un senso della vita, proporre loro dei valori per i quali vale la pena vivere, impegnarsi e lottare, e non invece perdersi in questo vortice di violenza e di distruzione che è davvero insensato.

D. - Papa Francesco, insieme al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, incontrerà una delle voci più ascoltate dell’Islam sunnita, l’Imam di al-Azhar. Possiamo aspettarci un appello comune alla pace rivolto ai credenti di tutte le fedi?

R. - Io credo che ci sarà un appello, si esprimerà un impegno comune dei cristiani e dei musulmani, (ecco lei ricordava che Papa Francesco sarà presente insieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli) in favore della pace… e questo incontro sarà già un esempio e un modello di pace, perché appunto sarà un incontro di dialogo. Come sappiamo il dialogo con l’università Al-Azhar è ripreso in maniera formale l’anno scorso, il 23 maggio 2016, quando lo sceicco è venuto a visitare il Papa e poi c’è stata una conferenza sempre patrocinata da Al-Azhar sulla cittadinanza e la libertà dove ha partecipato anche il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che cura questo dialogo con Al-Azhar, dove è stata firmata una dichiarazione invitando tutti a rifiutare la violenza in nome di Dio, invitando al rispetto e alla convivenza pacifica tra cristiani e musulmani sulla base dello stato di diritto, dell’uguaglianza  e del concetto di cittadinanza, un altro concetto importante da sottolineare. Quindi questo incontro si colloca in questa scia e ci sarà anche una conferenza sulla pace, anche questa volta patrocinata dall’università Al-Azhar, alla quale parteciperà il Papa con un discorso e adesso appunto anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli.

D. - Quello che il Papa ha sempre detto, l’ha detto fin dall’inizio del suo pontificato, nell’Evangelii Gaudium, che il dialogo è indispensabile, è fondamentale per la pace nel mondo, e che tutte le religioni devono sentirsi impegnate a lavorare in questo senso. Questo dialogo che deve diventare un incontro e una collaborazione per il bene comune. Penso che questa occasione che avrà il Santo padre di incontrare Al-Azhar e le sue autorità, andrà proprio in questo senso, nel senso di riproporre ancora una volta il metodo e la strada del dialogo e dell’incontro come metodo per superare le contrapposizioni e le violenze che possono sorgere, purtroppo, in nome della religione, manipolando la religione stessa.

D. - Ma come fermare il proselitismo dei fondamentalisti?

R. - La questione fondamentale è l’educazione, quindi educare gli appartenenti alle varie religioni, soprattutto i bambini e i giovani ad un atteggiamento di grande rispetto nei confronti delle altre fedi. Parte da lì. Io credo che la questione del linguaggio è fondamentale: quando si usa un linguaggio violento c’è il pericolo che questo possa poi portare a degli atti violenti. Quando invece si usa un linguaggio di pace, di rispetto, di riconciliazione certamente questo produrrà i suoi frutti positivi. Quindi il proselitismo si combatte ancora una volta con l’educazione al rispetto, alla tolleranza e all’accettazione reciproca.

D. - L’incontro con la Chiesa copta ortodossa martire sarà un’altra tappa dell’ecumenismo della sofferenza. Ma una nuova comunione potrà scongiurare l’esodo dei cristiani da quelle terre?

R. - Noi lo speriamo vivamente, e credo che è proprio questo appoggio che i cristiani anche del Medio Oriente devono sentire da parte dei loro fratelli dell’Occidente, che potrà aiutarli a rimanere nel loro paese nonostante le difficoltà e continuare a dare la loro testimonianza cristiana in mezzo ad una società che è di fede islamica nella sua grande maggioranza. Io credo che l’apporto dei cristiani sia veramente importante, sia decisivo. Possono dare un contributo in tutti i sensi, per la costruzione della società e per una convivenza più armoniosa, serena e pacifica anche all’interno della società. E questa comunione è in un certo senso cementata, rafforzata da quello che il Papa chiama l’ecumenismo del sangue. Questa violenza che si scaglia contro i cristiani in quanto cristiani, al di là delle loro differenti appartenenze confessionali. Perché credenti in Cristo, perché discepoli di Cristo, sono fatti oggetto di questa violenza davvero brutale e insensata. Allora certamente l’incontro con Papa Tawadros e con la comunità copto ortodossa che in questi ultimi tempi ha tanto sofferto, cementerà ancora di più la comunione, che esiste già. C’è un buon rapporto del Santo Padre e della Chiesa cattolica con la Chiesa copto-ortodossa che è la più grande comunità cristiana nel Medio Oriente, e tutto questo servirà penso a dare loro maggiore coraggio, a non sentirsi abbandonati e quindi anche a perseverare nella loro presenza nel paese e nella loro testimonianza.

D. - La visita si chiuderà con l’incontro con la piccola comunità copto-cattolica. E’ una fiammella che porta una testimonianza della croce ma anche dell’unità possibile?

R. - La comunità copto-cattolica è piccola, una fiammella, molto bella questa immagine, e il Papa va anche ad aiutare, a confermare nella fede anche perché questa fiammella non illanguidisca, non si spenga ma continui ad ardere, anche se è una piccola fiammella, in quella società e continui a portare il suo contributo. Quindi sarà un incontro con la famiglia dei cattolici, un incontro per incoraggiarli ad andare avanti nella loro testimonianza di ogni giorno.

inizio pagina

Il Papa riceve in udienza privata i vertici dell'Ordine di Malta

◊  

Ieri sera, alle ore 19.00, ha avuto luogo un’udienza privata del Santo Padre con mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, ed i vertici dell'Ordine di Malta. Lo ha confermato oggi la Sala Stampa della Santa Sede in risposta alle domande di alcuni giornalisti.

inizio pagina

Papa nomina mons. D'Errico nuovo nunzio a Malta

◊  

Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico a Malta mons. Alessandro D’Errico, arcivescovo titolare di Carini, finora nunzio apostolico in Croazia. Mons. D’Errico è nato a Frattamaggiore, in provincia di Napoli, il 18 novembre 1950. Viene ordinato sacerdote per la diocesi di Aversa nel 1974. Nel 1998 viene nominato nunzio apostolico in Pakistan. Nel 2005 è nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina e dal 2010 ricopre anche l'ufficio di nunzio apostolico in Montenegro. Nel 2012 viene nominato nunzio apostolico in Croazia.

inizio pagina

Il saluto del Papa per anniversario dedicazione Basilica Monreale

◊  

Il 750.mo anniversario di dedicazione della Basilica di Monreale è occasione per suscitare “sempre più consapevole adesione a Cristo e generosa partecipazione alla vita della comunità cristiana”. Così il Papa in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, indirizzato all’arcivescovo della località siciliana, mons. Michele Pennisi, in occasione di quella che Francesco definisce la “fausta ricorrenza” in memoria del 25 aprile 1267.

Card. Bagnasco: migranti, da accoglienza a ospitalità
Il testo del messaggio è stato letto ieri pomeriggio dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante la celebrazione eucaristica nella medesima Basilica che ha aperto i festeggiamenti. Accolto da mons. Pennisi, il cardinale Bagnasco ha rivolto il proprio pensiero ai migranti, affermando che “nessuno può muovere critiche all'Italia sul sistema di prima accoglienza che adesso però si deve trasformare in ospitalità”, ricordando che Papa Francesco “ci indica la via del Vangelo che è quella di sempre per la Chiesa, vale a dire costruire ponti”. Nell’omelia il porporato ha messo in guardia da una cultura che “oggi ha perso il senso del mistero di Dio”, diventando “preda di segreti e misteri che, pur vuoti e ingannevoli, suggestionano”. Ha invece esortato ad ammirare il fascino della Basilica di Moreale dove “tutto parla del mistero di Dio e della sua maestà”.

Il Convegno dei seminaristi
Le celebrazioni per l’anniversario della dedicazione proseguono fino a domenica, con il 61° Convegno nazionale missionario dei seminaristi sul tema “Unità dei cristiani come fondamento dell’evangelizzazione”. Domani sera in cattedrale è prevista una preghiera ecumenica con diversi rappresentanti delle varie confessioni cristiane.

inizio pagina

Giovagnoli: Roncalli e Wojtyla attualizzati da Papa Francesco

◊  

Ricorre oggi il terzo anniversario della Canonizzazione di San Giovanni XXIII e di San Giovanni Paolo II, due Pontefici che hanno inciso profondamente nella vita della Chiesa nell’ultimo secolo. Sia Roncalli che Wojtyla sono fortemente presenti nel Pontificato di Papa Francesco a partire dal tema della pace, come sottolinea lo storico della Cattolica, Agostino Giovagnoli, intervistato da Alessandro Gisotti

R. – Il tema della pace è stato certamente centrale per Giovanni XXIII e così anche per Giovanni Paolo II, malgrado la diversità del periodo storico in cui sono vissuti. E così, lo stesso può dirsi anche per Papa Francesco, che ha parlato a sua volta di terza guerra mondiale a pezzi e della necessità di contrastarla. E’ interessante come i Papi, i leader – diciamo così – di questa grande comunità di credenti che è la comunità cattolica sparsa in tutto il mondo, avvertano con intensità l’esigenza di essere portatori di un messaggio di pace in un mondo che si sta trasformando rapidamente, per cui dalla guerra fredda siamo passati alla situazione del post-Unione Sovietica e poi al grande disordine del mondo attuale. Dunque, è anche segno di un ruolo nuovo che la Chiesa cattolica svolge nelle vicende del mondo.

D. – Papa Francesco non perde occasione per riferirsi al Concilio Vaticano II, quindi chiaramente Giovanni Paolo II è il Papa del Concilio, insieme a Paolo VI. Cosa, secondo lei, è particolarmente presente di Roncalli nella persona del magistero, delle intuizioni anche profetiche che ha avuto questo Papa, nel pontificato di Francesco?

R. – Certamente il pontificato di Francesco ricorda da vicino quello di Giovanni XXIII, anzitutto per lo stile che è quello di una comunicazione umana molto diretta, che è quella di una continua infrazione delle “regole”, che tenderebbero a rinchiudere anche il Papa stesso dentro le logiche istituzionali; stile che è ovviamente innanzitutto uno stile pastorale ma è anche lo stile di una Chiesa che incontra il mondo: diremmo con le parole di Francesco, di una Chiesa in uscita.

D. – Una Chiesa in uscita che sicuramente è stata interpretata anche da Giovanni Paolo II con i suoi viaggi, con i suoi incontri … con tutti e con ognuno. Poi c’è un dato di carattere proprio biografico: è Giovanni Paolo II che ha voluto Bergoglio vescovo e poi cardinale, e Francesco che ha canonizzato Karol Wojtyla …

R. – Sì: certamente c’è questo duplice legame tra questi due Papi, anche se è bene ricordare che si tratta di due figure in realtà molto diverse. Colpisce però appunto questo senso della Chiesa in uscita che è appunto nella diversità delle due figure però presente: ecco, si parla di Giovanni Paolo II come del primo Papa globale per questi suoi numerosissimi viaggi in tutto il mondo e in qualche modo anche Francesco è il Papa della globalizzazione, sia pure in un senso diverso, nel senso di vivere in un mondo globalizzato, di saper parlare a un mondo globalizzato, di saper fare soprattutto una pastorale delle metropoli che sono oggi i luoghi dove si scaricano le contraddizioni della globalizzazione.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Usa: Trump taglia le tasse e premia le imprese

◊  

Il più grande taglio delle tasse nella storia degli Stati Uniti. A cento giorni dall’insediamento alla Casa Bianca, il presidente Trump vara un piano rivoluzionario per imprese e persone fisiche. Washington, intanto, annuncia anche la permanenza nel Nafta. Francesca Sabatinelli

E’ un maxi-regalo per le imprese il piano di Trump, che abbassa dal 35 al 15% l’imposizione e riduce da 7 a 3 gli scaglioni di imposta per i contribuenti, con una aliquota massima del 35%. Sempre per le imprese, inoltre, sarà permesso di rimpatriare la liquidità all’estero, pagando una sola volta l’imposta sull’operazione. Obiettivo finale: la crescita esponenziale dell’economia e dei posti di lavoro, nonché favorire anche le persone fisiche abolendo la tassa di successione e l’aliquota minima sui più ricchi. Ciò che la Casa Bianca non specifica è però come verranno compensati i tagli che, per molti, andranno ad influire pesantemente sui conti pubblici.

“A pagare la riforma sarà la crescita economica”: spiega il segretario al Tesoro Mnuchin, ma si tratterà di vedere quanto ci crederanno i mercati con Wall Street che, dopo una prima euforia, è tornata a guardare Washington con cautela, in attesa che il Congresso voti la riforma. Nel frattempo, Trump ha assicurato a Canada e Messico che gli Stati Uniti non usciranno dall’accordo Nafta, il trattato di libero scambio che sarà rinegoziato in tempi brevi.

Scettico circa la possibilità che l'amministrazione Trump possa reperire i fondi per compensare i tagli alle tasse si dice l'economista Leonardo Becchetti, intervistato da Francesca Sabatinelli:

R. – Con Trump bisogna sempre vedere i fatti. Ha annunciato il muro con il Messico per vincere le elezioni e poi ha detto che adesso non ci sono i soldi per farlo. Lo aspettiamo alla prova dei fatti, anche perché non si capisce come trovare la coperture per un intervento del genere che costerà svariati miliardi, si parla di una riduzione di venti punti percentuali dell’aliquota fiscale sulle imprese. Nel caso in cui riesca trovare le coperture, senz’altro si tratta di una misura che attirerà molte aziende a porre la sede fiscale negli Stati Uniti. Bisogna poi vedere se questo determinerà un vero aumento delle attività produttive in quel Paese. Sappiamo bene quello che è successo in alcuni paradisi fiscali o pseudo tali: sono Paesi che hanno abbassato moltissimo il prelievo, poi figura che in questi Paesi ci sia molta attività economica, ma in realtà non c’è perché le imprese mettono solo le sedi fiscali in quei Paesi.

D. - Il segretario al Tesoro ha spiegato che questa riforma non andrà a pesare sui conti pubblici perché verrà pagata dalla crescita economica …

R. - Questa è la famosa ipotesi della ‘curva di Laffer’, cioè l’idea che abbassando le tasse, l’attività economica aumenti talmente tanto da ripagare poi l’intervento stesso. È tutto da dimostrare. Non successe ai tempi di Reagan e probabilmente non succederà nemmeno in questo caso.

D. - Resta da vedere tra l’altro se la riforma passerà al Congresso perché, di sicuro i democratici non l’hanno apprezzata, ma anche parte dei repubblicani non sono tanto entusiasti …

R. - Quello che è certo è che le prime mosse delle politiche fiscali di Trump sono sicuramente in direzione contraria a quelli che potevano essere gli interessi dei ceti medio-bassi che pure l’hanno votato: l’abolizione della tassa di successione, la riduzione dell’Obamacare e la riduzione del prelievo fiscale soprattutto per i più ricchi.

D. - Wall Street ha in un primo tempo reagito abbastanza bene. Dopo di che questo entusiasmo è scemato. Perché questa rapida successione di comportamenti diversi?

R. - Ma in realtà per vedere bene la risposta delle borse ad un determinato evento ci vorrebbero delle analisi molto più approfondite. Non dimentichiamoci che quello che misurano le borse non è il benessere dei cittadini, ma la crescita o meno dei profitti aziendali. E che questo poi si traduca in effettivo benessere va appurato e non è sempre vero.

D. - Lei all’inizio ha sottolineato questo dietro front sul discorso del muro di separazione tra Stati Uniti e Messico. In realtà, nelle ultime ore ne è stato fatto anche un altro, riguarda il Nafta. All’inizio Trump disse che gli Stati Uniti ne sarebbero usciti, oggi garantisce a Canada e Messico che non ne usciranno, ma che il Trattato sarà rinegoziato. Che vuol dire?

R. - Vuol dire che dobbiamo seriamente porci anche il problema di quello che accade in campagna elettorale in democrazia e di quanto la gente creda in realtà e vada dietro a promesse dei candidati, spesso non mantenute o irrealizzabili. Evidentemente Trump ha pensato, all’inizio ingenuamente, di poter rilanciare, con un politica protezionista ed autarchica, la crescita negli Stati Uniti e l’occupazione. Si è poi accorto che il mondo è integrato, e del fatto che comportamenti protezionistici scatenano reazioni da parte degli altri Paesi che sono negative per chi fa partire la prima mossa protezionistica. Quindi è tornato a più miti consigli, ha capito che l’integrazione è necessaria per tutti. Però questo, diciamolo, lo ha appreso dopo esser stata eletto, non prima.

inizio pagina

Il Venezuela fuori dall'Osa: nuove vittime nelle proteste

◊  

Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha deciso di ritirare il suo Paese dall’Osa, l’Organizzazione degli Stati Americani. All’origine della decisione il mancato appoggio dell’istituzione internazionale al governo di Caracas nel contesto delle manifestazioni, ormai giornaliere, contro il capo dello Stato, sullo sfondo della durissima crisi economica che attanaglia il Paese. Anche ieri due le vittime delle dimostrazioni per un totale di 28 morti dall’inizio delle contestazioni. Sulle conseguenze della decisione di Maduro, Giancarlo La Vella ha intervistato Loris Zanatta, docente di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna: 

R. – Il Paese si sta in larga parte isolando da sé, non rispettando le regole che la carta dell’Organizzazione degli Stati Americani prevede, cioè la clausola di democraticità. Quindi, in qualche modo, il Venezuela, isolandosi e uscendone, cerca di non esserne espulso. E’ un’altra delle tante forme di radicalizzazione che sta assumendo il regime politico di Caracas mano a mano che perde il consenso. Ovviamente questo non necessariamente porterà a risultati positivi per i venezuelani prima di tutto, ma per lo stesso governo che probabilmente quanto più si radicalizza tanto più rischia di spaccarsi al suo interno.

D. – Questa crisi potrebbe essere risolta con un intervento forte a livello di comunità internazionale?

R. – Sinceramente non credo che la comunità internazionale possa fare più di tanto. Quello che può fare è premere sul regime dall’esterno, con la consapevolezza però che il regime chavista ha il controllo di tutte le leve del potere. La pressione esterna può per l’appunto indurre ad aprire alcune crepe nel governo. Alcune si sono viste proprio in questi giorni sia nelle forze armate sia soprattutto nel potere giudiziario. Quindi può essere una forma per indebolirlo e aprire dei margini per quello che poi tutti chiedono in fin dei conti, cioè il ritorno alla vigenza della Costituzione e l’indizione di libere elezioni.

D. - E’ possibile fare un paragone tra la crisi venezuelana e quella di altri Paesi dell’area latino-americana?

R.  – La crisi del Venezuela è una crisi che non ha comparazioni possibili per la sua gravità, perché parliamo di un regime politico che si era proposto a modello di antiliberalismo nel decennio scorso e, non dimentichiamolo, di un Paese che per almeno 10 anni ha goduto di introiti veramente eccezionali grazie agli alti prezzi del petrolio. Detto ciò, sicuramente, proprio perché era un modello, questa situazione significa la crisi delle ricette, a dir la verità molto tradizionaliste, cioè populismo, nazionalismo, protezionismo, che il Venezuela ha indicato come strada contro il liberalismo. Il fallimento ha questo senso generale, al di là del fatto che però, ribadisco, la crisi del Venezuela ha tratti veramente eccezionali.

D. – Nell’immediato futuro quale scenario prevede?

R. - Si può prevedere che il governo controllando tutte le leve del potere abbia il tempo dalla sua parte e tutti gli strumenti che il governo assume per prendere tempo fanno il suo gioco. Si è visto anche con le mediazioni tentate l’anno scorso, che, purtroppo, sono state usate strumentalmente dal governo per prendere tempo, mentre l’opposizione difficilmente potrà mantenere per giorni e giorni la grande mobilitazione che ha tenuto fino ad ora e che, tra l’altro, costa, non dimentichiamolo, un pedaggio di sangue molto elevato. Detto ciò, la situazione economica, la situazione diplomatica, la situazione politica, sono talmente gravi che io non penso che Maduro possa rimanere al potere in maniera indefinita, anche perché, non dimentichiamolo, alle ultime elezioni legislative il governo ha preso solo il 30 per cento dei voti. Quindi c’è un tracollo della sua popolarità rispetto al passato. L’importante è conservare la pressione internazionale e penso che qualcosa di molto importante potrebbero dire i militari venezuelani, anche se nessuno desidera un colpo di Stato, anche perché un golpe potrebbe portare non necessariamente alla democratizzazione. I militari sono fortemente ideologizzati e potrebbero cercare di fare del Venezuela una nuova Cuba, cosa che non mi sembra desiderabile.

inizio pagina

Messa a Roma per la pace in Venezuela con vescovi locali

◊  

Una preghiera speciale per la pace in Venezuela. A convocarla a Roma per il prossimo 29 aprile, alle ore 18, presso la parrocchia di San Bonaventura sono i presuli del Paese latinoamericano. Per l’occasione saranno presenti mons. Carlos Alfredo Cabezas Mendoza, vescovo di Punto Fijo, nello Stato di Falcon, e mons. Juan de Dios Peña, vescovo di El Vigia-San Carlos, nello Stato di Zulia. Questi ultimi hanno promosso l’iniziativa attraverso i sacerdoti venezuelani, che operano nella capitale italiana.

La comunità latinoamericana di Roma sotto il manto della Guadalupana
“In particolare -  racconta il parroco don Stefano Cascio – è stata scelta la nostra chiesa di San Bonaventura, perché tra i miei collaboratori c’è un sacerdote venezuelano ma l’evento, intitolato 'Santa Messa per l’America Latina', guarderà oltre i confini del Venezuela e coinvolgerà tutta la  comunità sudamericana presente a Roma”.  Ai piedi dell’immagine della Madonna di Guadalupe, portata dai fedeli messicani – spiega la giornalista italo-venezuelana Marinellys Tremamunno, corrispondente della tv messicana Imagen e in prima linea nell’organizzazione dell’evento – converranno per la Messa gruppi di cittadini provenienti da Perù, Paraguay, Bolivia, Repubblica Domincana e altri paesi dell’area. Il desiderio è quello di pregare perché si affermino i diritti di ogni persona e si possa costruire un'era di uguaglianza e di pace. L’omelia sarà pronunciata dai due vescovi sia in spagnolo sia in italiano. Concelebreranno sacerdoti venezuelani, messicani, del Guatemala e del Paraguay.

Al termine della Messa la protesta pacifica mondiale #Nomas
Al termine della Celebrazione Eucaristica, la piazza antistante la parrocchia, ritenuta da alcuni il centro geografico dell’Italia, diverrà teatro della manifestazione pacifica “#Nomas, protesta mondiale per il Venezuela”.  L’evento si svolgerà in contemporanea con altre 80 città in tutto il mondo per iniziativa della Ong “Un mundo sin Mordaza”, “Un mondo senza bavaglio”, per chiedere democrazia e pace in un Paese, negli ultimi giorni al centro delle cronache, per le violenze in corso. E’ di queste ore l’intervento dell’arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, che in un’intervista, ripresa dal sito dell’arcidiocesi venezuelana,  ha ribadito la disponibilità della Chiesa al dialogo “purchè sia veritiero, per risolvere i conflitti e non per montare uno show politico".(A cura di Paolo Ondarza)   

inizio pagina

Brasile. Card. Scherer: riforma pensioni e lavoro, no ai privilegi

◊  

E’ iniziata  ieri ad Aparecida la 55.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale brasiliana. Durante i lavori si parlerà anche del difficile momento politico, sociale ed economico che sta attraversando il Paese. I vescovi hanno appoggiato lo sciopero generale indetto dai sindacati contro la riforma delle pensioni. Ma il tema principale su cui si soffermeranno i presuli sarà quello dell’iniziazione cristiana. Sui motivi della scelta di questo argomento, ascoltiamo il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, al microfono del nostro inviato Silvonei Protz

R. – Per noi in Brasile è un tema importante. Se guardiamo un po’ alla situazione del popolo brasiliano battezzato e ai cattolici, noi ci rendiamo conto che circa l’80 percento dei cattolici non va quasi mai in chiesa, non è in contatto con la Chiesa, non vive una vita cristiana insieme alla comunità cristiana, compresi i sacramenti e così via. Questo vuol dire che forse è mancata un’evangelizzazione con una profondità più ampia che potesse portare ad un’esperienza di Dio, ad un’esperienza religiosa, ad una vera esperienza di fede che coinvolga la vita non solo a livello intellettuale, ma a tutti i livelli, come ad esempio quello sociale, ma soprattutto religioso affinché sia una vera esperienza di fede. Questo dovrebbe cambiare, pian piano, il modo di fare la catechesi, la preparazione ai sacramenti, l’accompagnamento dei giovani all’introduzione nella vita della Chiesa.

D. – Naturalmente anche la questione sociale brasiliana sarà tema di discussione, di dibattito tra i vescovi ...

R. - Certo, questo è scontato, perché noi viviamo giorni un po’ caldi qui, con discussioni molto importanti circa una revisione della legge sulla previdenza sociale e di quella del lavoro, che regola i rapporti di lavoro. Direi che sono due argomenti che sono già ampiamente in discussione nella società, in parlamento e anche nella vita politica. Serve una buona riforma della previdenza sociale, serve anche una buona revisioni delle leggi che reggono i rapporti di lavoro. Sta di fatto che la legge sulla previdenza sociale ha degli squilibri che rendono impossibile e a volte inattuabile la previdenza sociale dello Stato. Quini serve una buona revisione. Per quanto riguarda la legge sui rapporti di lavoro, anche lì noi vediamo che la nostra legge è molto vecchia e non contempla le nuove situazioni del mondo del lavoro. Quindi ci vuole un adeguamento perché la legge del lavoro non deve escludere quanti ancora non sono entrati nel mondo del lavoro. Certo, in questo momento la legge privilegia molto chi è già nel mondo del lavoro, ma ci sono delle distorsioni, delle difficoltà che rendono difficile l’accesso al lavoro, perché gli imprenditori che devono assumere i lavoratori fanno fatica davanti ad una difficoltà legislativa molto grande. E questo esclude tanta gente dal mondo del lavoro. Credo che sia importante che ci sia una buona discussione, una legislazione rinnovata che apra alla partecipazione dei lavoratori che sono al di fuori dell’attuale struttura regolata del lavoro.

D. - La Chiesa, che orientamento dà in questo momento in questo processo, in questo dibattito …

R. - Noi sosteniamo il dibattito circa una revisione delle leggi, affinché vadano incontro alla vera giustizia sociale, cioè al bene comune più ampio, al superamento dei privilegi, per assicurare veramente il bene comune a quelli che non sono privilegiati, che sono al di fuori del sistema, i quali devono ricevere anche il sostegno dello Stato e della società.

inizio pagina

Vescovi messicani: Chiesa sempre al fianco dei migranti

◊  

L’impegno della Chiesa cattolica in Messico per affrontare l'emergenza umanitaria legata al fenomeno delle migrazioni. E’ questo uno dei temi al centro della 103.ma Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale messicana (Cem), che si concluderà domani a Città del Messico. Recentemente i presuli messicani hanno ribadito, in un comunicato, l’impegno della Chiesa “a sostenere in modo stretto e solidale” i migranti provenienti dal Centro e dal Sud America, “che attraversano il Paese verso gli Stati Uniti”. “La Chiesa in Messico – ha ricordato in un'altra occasione la Conferenza episcopale - svolge un compito incessante a sostegno dei migranti”.

L’impegno della Chiesa per i migranti
Tra le varie iniziative, spicca quella delle 70 Case del Migrante sparse in varie zone del Paese. Si tratta di strutture che offrono “la prima accoglienza” ai migranti in transito. Mostrano che per la Chiesa nessuno è illegale e forniscono anche “aiuto spirituale e morale”. I presuli, oltre a ed esprimere la loro contrarietà alla costruzione di un muro al confine tra Messico e Stati Uniti, hanno ricordato la gravissima situazione di molti migranti. In un recente messaggio, in occasione del semestrale incontro chiamato “Mex-Tex”, i vescovi delle diocesi frontaliere del Messico e del Texas hanno esortato, in particolare, ad ascoltare “il grido dei fratelli migranti”. Negli anni – hanno sottolineato – si è assistito ad “un sistema migratorio ormai a pezzi, a causa di condizioni strutturali ed economiche, che generano minacce, deportazioni, impunità e violenza estrema”. “Una situazione - hanno sottolineato i presuli - che si riferisce sia alla frontiera tra Messico e Centroamerica che a quella tra Stati Uniti e Messico”.

Il Progetto globale pastorale 2013-2033
Alla 103.ma Assemblea a Città del Messico, partecipano i 134 vescovi delle 95 diocesi messicane, raggruppate in 18 province. Uno degli obiettivi della riunione è anche quello di discutere ed approvare la seconda fase del “Progetto globale pastorale 2013-2033”. Ad alimentare tale Progetto - riferisce l’agenzia Sir - sono il Magistero recente della Chiesa e i discorsi pronunciati da Papa Francesco durante il viaggio in Messico lo scorso anno. “Il Piano – ha detto il segretario generale dell’Episcopato messicano, mons. Alfonso Gerardo Miranda Guardiola - avrà come punti centrali il mistero della Vergine di Guadalupe e il mistero della Redenzione”. (A.L.)

inizio pagina

Vescovi Zambia criticano brutale arresto del leader dell’opposizione

◊  

“Non si usi la polizia per regolamenti di conti politici”. È il monito lanciato dalla Conferenza Episcopale dello Zambia (Zambia Conference of Catholic Bishops -ZCCB) dopo il brutale arresto del leader dell’opposizione, Hakainde Hichilema, accusato di tradimento, perché avrebbe bloccato il corteo di auto del Presidente Edgar Lungu.

L’11 aprile – riferisce l’agenzia Fides - la polizia ha arrestato Hichilema con un raid notturno sulla sua abitazione, sfondando la porta e tirando granate lacrimogene.  I Vescovi hanno biasimato la violenza sproporzionata e inutile con la quale è stato condotto l’arresto di Hichilema. “Non poteva esserci un modo più civile e professione per convocarlo al commissariato per notificargli i capi d’accusa?” afferma la dichiarazione della ZCCB, firmata dal suo Presidente, Mons. Telesphore George Mpundu, Arcivescovo di Lusaka.

Hichilema, leader dell’United Party for National Development (UPND), è stato sconfitto con un ristretto margine dal Presidente Lungu nelle elezioni presidenziali dell’11 agosto 2016, caratterizzate da tensioni prima e durante il loro svolgimento. I Vescovi in più occasioni avevano denunciato il clima di violenza politica diffuso nel Paese. Il brutale arresto del principale leader dell’opposizione, secondo la dichiarazione di Mons. Mpundu, non fa altro che rinfocolare le tensioni tra i sostenitori del partito del Presidente Lungu e quelli dell’UPND. “Condanniamo la cattiva abitudine in base alla quale i partiti una volta assunto il potere usano subito i servizi di polizia per regolare i conti politici e per impedire ai loro rivali di organizzarsi per condurre la loro campagna politica, imponendo la propria visione al Paese”.

“È sempre la stessa storia da un’amministrazione all’altra e questa non fa eccezione” rimarca la dichiarazione che conclude criticando il sistema giudiziario per  “lasciare che il Paese sprofondi non opponendosi alle manipolazioni politiche e alla corruzione”.

inizio pagina

Vescovi belgi chiedono perdono per sofferenze dei meticci in Africa

◊  

Una storia che “fa parte delle pagine più oscure della colonizzazione belga in Africa”. La ripercorrono, con una Dichiarazione, i vescovi del Belgio che ricordano le sofferenze di molti meticci, “nati da madre congolese, ruandese e burundese e da padre bianco”. Questi figli sono stati considerati “dalle autorità coloniali, civili e anche ecclesiastiche” un problema perché frutto di relazioni fuori dal matrimonio. Molti di questi meticci - si sottolinea nel documento - “furono pertanto strappati alle loro madri e messi in orfanotrofi o in collegi, spesso gestiti da suore o da religiosi belgi, lontani dalla famiglia, dai loro fratelli e dalle loro radici africane”. “Fu per molti – scrivono i vescovi – l’inizio di una rottura dolorosa”. A partire dal 1959, alcuni sono stati inviati in Belgio e affidati a famiglie adottive.

La Chiesa chiede perdono
La Chiesa – si legge nel documento ripreso dall’agenzia Sir - chiede perdono e assicura tutta la sua piena disponibilità ad aprire i suoi archivi. La speranza è che si possano trovare informazioni in grado di poter contribuire alla ricerca di questi figli meticci. I presuli chiedono anche a tutti coloro che possono disporre di documenti storici d’archivio di mettere a disposizione tale prezioso materiale. “Tutti i cittadini a prescindere dalla loro origine e cultura – si legge infine nella Dichiarazione - sono uguali per dignità e hanno gli stessi diritti e obblighi”. “La Chiesa cattolica sostiene la richiesta legittima dei meticci e dei loro discendenti di vedere questo principio fondamentale pienamente applicato”. (A.L.)

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 117

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.