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Sommario del 28/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa è arrivato al Cairo: "E' un viaggio di unità e fratellanza"

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Papa Francesco è arrivato in Egitto come pellegrino di pace. L’aereo papale è atterrato nell’aeroporto del Cairo poco dopo le 14.00. Ai giornalisti sul volo papale, il Pontefice lo ha definito “un viaggio di unità e di fratellanza”. "La gente - ha sottolineato - ci segue e c'è una aspettativa speciale per il fatto che l'invito è arrivato dal presidente della Repubblica di Egitto, dal Patriarca copto, Papa Twadros, dal Patriarca dei copti cattolici e dal Grande imam di Al-Azhar”. Sono “meno di due giorni - ha aggiunto - ma molto intensi". All'aeroporto il Papa è stato accolto dalle autorità civili e religiose del Paese. Il servizio del nostro inviato Stefano Leszczynski: 

L’arrivo di Papa Francesco al Cairo è salutato dallo straordinario entusiasmo della minoranza copto cattolica e cattolica di rito latino, che contrasta nella giornata odierna con l’inusuale ordine e mancanza di traffico lungo le principali arterie stradali di questa megalopoli da oltre 10 milioni di abitanti. Merito degli strettissimi controlli e dei sistemi di sicurezza rafforzati, con numerosi posti di blocco e snodi viari interdetti in prossimità dei luoghi dell’evento e del centro stampa. La prima tappa di Papa Francesco al Cairo è il palazzo Presidenziale, che si trova nel quartiere di Heliopolis, nella parte nord orientale della città; subito dopo la visita di cortesia al presidente Abdel-Fattah Al-Sisi, il Papa a bordo di una automobile di serie e non blindata – per espressa volontà del Pontefice - riprenderà il percorso che lo porterà alla Conferenza internazionale sulla Pace organizzata dal Grande imam di al Azhar, Sheikh Ahmad Al-Tayeb. Qui il Papa è stato invitato a intervenire come relatore, insieme ad altri leader religiosi musulmani e cristiani, tra i quali ricordiamo il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo. Tutto il centro cittadino è costellato da manifesti con il logo della visita apostolica e oggi la notizia dell’arrivo di Papa Francesco è rimbalzata nuovamente su tutti i principali quotidiani egiziani, accompagnata da numerose interviste agli esponenti cristiani del Cairo. E, infatti, è proprio l’incontro pomeridiano con i cristiani copto ortodossi presso il palazzo del Patriarcato uno dei momenti più attesi e più significativi di questo viaggio. Qui, avverrà l’incontro, di alta valenza ecumenica, con Tawadros II. Un evento che i fedeli copto ortodossi vivono come un segno di grande solidarietà, in particolare dopo i recenti attentati della Domenica delle Palme. La giornata di Papa Francesco terminerà presso la Nunziatura, dove sarà ricevuto dal Nunzio Bruno Musarò e da un gruppo di fedeli che fanno capo alla vicina parrocchia di St. Joseph, gestita dalle suore comboniane, che hanno organizzato un'accoglienza con canti eseguiti dalle studentesse della loro scuola. Molti di questi fedeli si ritroveranno poi nel cuore della notte per recarsi, in pullman e tra severe misure di sicurezza, nel compound dell’aeronautica militare, dove nello stadio da oltre 20mila posti, verrà celebrata sabato mattina la Santa Messa.

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Mattarella: Papa in Egitto, coraggioso impegno per il dialogo

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Mi reco in Egitto come “pellegrino di pace, per incontrare la comunità cattolica e i credenti di diverse fedi”: è quanto scrive il Papa nel tradizionale telegramma al presidente italiano, inviato in occasione del viaggio apostolico al Cairo. Sergio Mattarella, nel suo messaggio di risposta, esprime i suoi “più fervidi auguri per questa missione pastorale di grande valenza umana, sociale e religiosa” in Egitto, “Paese di antichissima civiltà e interlocutore essenziale per la stabilità del Mediterraneo e del mondo arabo”. “In un momento tanto delicato per la pace” - scrive il capo di Stato -  la visita conferma il coraggioso impegno del Papa “a favore della promozione dei valori dell'uomo e per il dialogo ecumenico e tra le Religioni” e inoltre “costituisce un messaggio di speranza sia per i credenti che per i non credenti, un monito per la tutela dei diritti umani universalmente riconosciuti e un incoraggiamento a risolvere le tante crisi che da troppo tempo scuotono il Medio Oriente”.

Papa Francesco lasciando il Vaticano ha incontrato per un breve saluto 9 migranti egiziani, accompagnati dall'elemosiniere Konrad Krajevskj.

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Alla Messa del Papa in Egitto presenti anche ortodossi e musulmani

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Uno dei momenti significativi di questo viaggio sarà la Messa presieduta dal Papa, sabato mattina nello Stadio dell’aeronautica militare al Cairo, dove insieme ai cattolici saranno presenti anche i fedeli di altre fedi, come dice - al microfono di Stefano Leszczynski - Sami Creta, del Centro culturale dei Gesuiti di Alessandria d’Egitto: 

R. – Sì, alla Messa saranno presenti non solo i cattolici, ma anche rappresentanze ortodosse e musulmane del Paese. Quindi tutto il Paese sarà presente. È una cosa molto importante; si vede che la presenza del Papa è un momento di unità tra le persone. Questo è veramente molto positivo.

D. - Un momento di unità e quindi un evento favorevole non soltanto da un punto di vista religioso ma anche da un punto di vista politico e internazionale per il Paese …

R. - Infatti, da un punto di vista politico e internazionale la presenza del Papa porta un messaggio di pace. Spero che sia un punto di partenza per questo dialogo che possa portare frutti nei rapporti tra le diverse componenti del Paese.

D. - Il mondo musulmano egiziano ha compreso bene quella che è la portata dell’invito che il Grande Imam di Al Azhar, Ahmad Muhammad al-Tayyeb, ha fatto nei confronti di Papa Francesco e anche del Patriarca ecumenico Bartolomeo …

R. - Al Azhar ha fatto molti passi coraggiosi, come, ad esempio, invitare il Papa dopo un momento un po’ difficile, di rottura di rapporti con il Vaticano. Abbiamo visto questo anche nella visita del Grande Imam l’anno scorso in Vaticano e l’invito che lui ha rivolto a Papa Francesco. Attendiamo passi ancora più coraggiosi allora per avviare un dialogo vero, libero che si possa aprire a questioni più sensibili. 

D. - Alcuni cristiani che abbiamo sentito mentre eravamo qui al Cairo ci hanno detto di aver effettivamente dei timori. È un sentimento diffuso o è molto parcellizzata come sensazione …

R. - No, non credo che i cristiani sono così, perché il Venerdì Santo sono stato nella Chiesa in cui c’è stato l’attentato quattro giorni dopo. Mi sono sorpreso nel vedere che il numero dei presenti era raddoppiato. Quindi questi attentati non ci fanno paura ma ci fanno andare molto avanti.

D. - Lei è di Alessandria: com’è la situazione adesso in questa città dopo gli attentati di Pasqua?

R. - Sicuramente c’è un sentimento un po’ negativo dopo gli attentati, perché non è la prima volta che accade. La prima volta fu il primo gennaio  2011. Quindi abbiamo un po’ di memoria di questi attentati. Non è positivo, però adesso con questa visita del Papa, con questa novità, speriamo arrivi la vera Pasqua visto che questa Pasqua non l’abbiamo festeggiata.

D. - Come cambierà anche la vita dei cattolici, che sono la comunità minoritaria nel Paese?

R. - I cattolici sono la minoranza della minoranza. Penso che adesso ci sarà più conoscenza della Chiesa cattolica in Egitto, perché tanti nemmeno sanno della sua esistenza. Quindi con la visita del Santo Padre ci sarà una valorizzazione della Chiesa cattolica che esiste da sempre, soprattutto attraverso alle diverse istituzioni come le scuole, gli ospedali, i centri culturali. Svolgono un lavoro molto improntante e prezioso in Egitto. Questa visita valorizzerà il messaggio di Papa Francesco.

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Papa in Egitto. Padre Quicke: è un forte invito al dialogo per la pace

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Tra gli obiettivi della visita del Papa in Egitto, come lui stesso ha spiegato, c’è anche il rafforzamento del dialogo interreligioso con il mondo islamico e del dialogo ecumenico “con la venerata e amata Chiesa Copto Ortodossa". Il nostro inviato Stefano Leszczynski ne ha parlato con padre Gabriel Quicke, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani: 

R. – Questa visita può rafforzare il legame tra il Paese e la Santa Sede, ma quando consideriamo all’interno di questa visita i differenti elementi, vediamo che questa visita avrà senza dubbio una dimensione ecumenica molto importante. Quando Papa Tawadros è venuto a Roma qualche mese dopo l’elezione di Papa Francesco, l’incontro tenutosi nel Palazzo apostolico è stato seguito da un momento di preghiera ecumenica nella cappella Redemptoris Mater. In quest’occasione, i due Papi hanno promesso di pregare l’uno per l’altro ogni giorno. E questa è una cosa che significa molto, perché vuol dire che c’è un legame spirituale molto profondo tra i due Papi. Questa visita avrà anche un significato interreligioso; perché, alla luce dei terribili eventi terroristici, l’incontro tra la comunità musulmana e il Papa può dare un segnale molto importante a tutto il mondo, e anche al mondo musulmano, che la violenza non può mai essere utilizzata nel nome di Dio, nel nome della religione.

D. – Lei ha fatto cenno al fatto che i due Papi preghino uno per l’altro in ogni giorno. Ma, oltre a questo forte segnale di stima e di affetto reciproco, c’è anche la famosa espressione: “ecumenismo del sangue”, un’espressione che ha emozionato molto i copti ortodossi…

R. – Sì, veramente. Mi ricordo molto bene quando ha avuto luogo l’incontro nel grande salone tra Papa Tawadros, Papa Francesco, e la delegazione. E mi ricordo che per la prima volta Papa Francesco utilizzò l’espressione “ecumenismo del sangue” … E il Patriarca Tawadros fu veramente toccato da quest’espressione. Questa relazione e questo legame molto profondo di vicinanza spirituale e sociale anche, perché "la vostra sofferenza è la nostra sofferenza; la vostra gioia è la nostra gioia".

D. – Che significato assume in questo contesto la presenza in Egitto del Patriarca ecumenico Bartolomeo?

R. – Il fatto che anche lui sarà presente può significare molto, perché la sua presenza può dare anche un segnale importantissimo a tutto l’Egitto, e a tutto il Medio Oriente, che c’è veramente una solidarietà nel mondo cristiano, e che questo mondo cristiano vuole fare qualcosa per migliorare la situazione di terrorismo e di violenza, e dare anche un segno al mondo musulmano che è pronto per collaborare con esso. E dunque è un rafforzamento non solo tra i cristiani – che è già qualcosa di meraviglioso – ma è qualcosa che può rafforzare anche i legami tra la chiesa copta e la chiesa greco-ortodossa.

D. – È un modo di dire ma “abbiamo tutti un nemico comune, che è il terrorismo…”

R. – Sì, e il cuore della religione non è la violenza, ma la pace e l’armonia.

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Suor Samiha: il Papa in Egitto rafforzerà la pace e la convivenza

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Suor Samiha Ragheb, comboniana, è la direttrice della St. George School al Cairo, una scuola cattolica frequentata sia da allievi cristiani, sia musulmani. Stefano Leszczynski le ha chiesto che cosa rappresenta per la gente la visita del Papa: 

R. - Un’emozione molto, molto grande sia da parte dei musulmani che dei cristiani. Tutti stanno aspettando il momento. Qui a scuola abbiamo tutte le confessioni: cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani ….

D. - Avete anche degli allievi musulmani nella vostra scuola?

R. - Sì, ne abbiamo tanti. La scuola ha già celebrato il suo centenario di fondazione. Tantissimi studenti musulmani sono uscita dalla nostra scuola, hanno finito i loro studi, poi l’università ... Sono sparsi in tutte le parti del mondo.

D. - Suor Samiha, voi siete vicino ai giovani, agli studenti e quindi potete avere una percezione più diretta di quello che è lo stato d’animo dei giovani. Sono spaventati da quello che succede in Egitto?

R. - Un po’ sì, perché la natura sente, però se io parlo della scuola dove mi trovo, posso dire che c’è una relazione molto buona tra musulmani e cristiani, convivono per 14 anni, dall’infanzia, dall’asilo, dalla scuola materna finché vanno all’università; c’è rispetto reciproco, c’è un’accettazione. Abbiamo anche altre nazionalità: ci sono sudanesi rifugiati , eritrei, siriani … C’è questo rispetto e cerchiamo di inculcare questo rispetto fin dalla scuola materna.

D. - Quale pensa sarà alla fine il risultato che ci si potrà aspettare da questo viaggio del Papa?

R. - Questo viaggio del Papa per me è un viaggio storico. L’Egitto è la terra della pace; la Sacra Famiglia è venuta a rifugiarsi in Egitto, la terra che noi chiamiamo “Terra Santa”, perché anche Mosè dal Monte Sinai ha avuto la sua parte. Allora, penso e sono convinta di questo: questo Papa trasmette pace, serenità, fede, speranza. Tutti stanno aspettando questa visita che penso porterà un segno e un significato alla convivenza, alla tolleranza, alle buone relazioni. È una visita benedetta per l’Egitto. È vero, in Egitto musulmani e cristiani hanno vissuto insieme per 14 secoli. Penso però che questa venuta, questa visita del Papa,  rafforza di più la cultura della pace,  la cultura della misericordia. Qui in Egitto poi vedono molto il rispetto di questo Papa per tutta l’umanità, per i poveri, per gli emarginati  e per i rifugiati;  è andato perfino a lavare i piedi nel Giovedì santo ai prigionieri. Lui non ha guardato la religione, né la nazionalità, né il livello sociale, niente.  Lui ha visto, in ogni persona che ha toccato, alla quale ha lavato i piedi e si è abbassato per baciarli, la persona. La persona, è una persona importante davanti a Dio. Lui voleva dire a tutto il mondo che siamo tutti uguali davanti a Dio. La religione è di Dio, ma l’amore il rispetto e l’umanità è per tutti.

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Il nuovo nunzio a Malta: al servizio di una Chiesa in movimento

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Ieri Papa Francesco ha nominato nuovo nunzio apostolico a Malta mons. Alessandro D’Errico. Napoletano, 66 anni, mons. D'Errico lascia la Croazia, dove guidava la nunziatura dal 2012. Ascoltiamo il presule al microfono di padre Siniša Štambuk, responsabile del Programma croato della nostra emittente: 

R. – Vorrei dire che un po’ mi dispiace, ovviamente, lasciare la Croazia: sono stato qui cinque anni e prima ho fatto altri sei anni e mezzo in Bosnia Erzegovina … Quindi, credo di poter dire di essere al servizio del popolo croato da 11 anni abbondanti; però devo dire anche che sono molto grato al Santo Padre Francesco per aver pensato a me per questa nuova missione di grande importanza nel contesto internazionale attuale, per il ruolo che il Mediterraneo svolge nello scenario mondiale. Io, ovviamente, sono molto grato a tutti gli amici che ho incontrato durante questi 11 anni di servizio al popolo croato e sono molto grato alle autorità, ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e ai tanti bravi laici che ho visto. Parto con un gran ricordo di quello che ho potuto sperimentare qui, in questi anni. Per quel che riguarda specificamente la Croazia ho già detto ai superiori che veramente rendo grazie a Dio per questa esperienza che ho fatto, perché qui ho trovato una Chiesa solida, di grandi tradizioni, di fede, di cultura …

D. – Che cosa le piacerebbe che i croati ricordassero di lei e della sua missione? Quale visione del Papa lei ha voluto portare qui, in Croazia?

R. – Io sono venuto qui avendo ben chiari i tre ruoli di un rappresentante pontificio che innanzitutto deve favorire buone relazioni con la Chiesa locale – tra la Chiesa locale e la Santa Sede; l’arcivescovo Puljić ha parlato del rinnovamento che ho cercato di realizzare al servizio della Chiesa in Croazia, specialmente per le nomine dei vescovi che abbiamo realizzato durante questi anni e, secondo, ho cercato di tenere sempre aperti buoni ponti, buone strade, buone relazioni con le autorità locali sia a livello centrale sia a livello di municipi e contee. Terzo, ho cercato di mantenere e favorire buone relazioni ecumeniche e di dialogo interreligioso sia con la Chiesa ortodossa sia con l’islam sia con le altre denominazioni religiose presenti in Croazia. Per quanto riguarda Papa Francesco, vediamo tutta la trasformazione, tutto il rinnovamento che egli sta producendo a livello di Chiesa universale, nel suo desiderio, con la sua testimonianza, di un ritorno alle origini del Vangelo e della Parola di Gesù. Quello che mi impressiona di Papa Francesco è la coerenza con cui porta avanti un programma. Io dico sempre che a volte ho l’impressione che non abbiamo di Papa Francesco un’idea adeguata perché i media ci danno quasi l’impressione di un bravo nonno che accarezza, che sorride … Io penso che Papa Francesco, a parte questo – è anche questo – abbia chiaro un programma di Chiesa che vuole realizzare, un po’ per volta, che è il programma della “Evangelii gaudium”, e cioè di una Chiesa che sia fedele all’ultima parola di Gesù: “Andate. Andate e portate la buona novella a tutti i popoli”. Dunque, una Chiesa che si pone sempre in movimento, che non si accontenta di ciò che ha ereditato dal passato; una Chiesa che esce, che va incontro. E lui dice: “Verso le periferie”: verso le periferie, intende in senso materiale, in senso morale … Non si tratta soltanto di dire: facciamo tanto a livello di Caritas e di assistenze varie attraverso le nostre organizzazioni umanitarie; per Papa Francesco è importante andare avanti, anche verso le periferie esistenziali, cioè quelli che sono lontani da noi, quelli che venivano e non vengono più … Non possiamo andare avanti da soli, dobbiamo porci in ascolto e in dialogo con tutte le istanze, con tutte le speranze, a volte anche con tutte le sfide che ci vengono da questo mondo che ci circonda e che qualche volta può non essere pienamente in sintonia con i nostri criteri; ma dobbiamo sempre renderci disponibili a questo confronto che porterà senz’altro buoni frutti a tutti i livelli.

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Oggi in Primo Piano



Usa-Corea del Nord. Trump: conflitto è possibile

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Cresce nella comunità internazionale il timore per un conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord. Per la Cina la situazione rischia di andare fuori controllo, mentre la Russia afferma che una guerra sarebbe una vera e propria catastrofe. Mentre Pyongyang afferma che i test nucleari non verranno fermati, continua in Corea del Sud la costruzione dello scudo americano antimissili. Il servizio di Giancarlo La Vella

Sia Stati Uniti che Corea del Nord sono ben consapevoli che questa volta la possibilità di una guerra è molto concreto. “C’è il rischio di conflitto molto serio”, afferma il presidente Trump, sottolineando che, tuttavia, preferirebbe risolvere la questione del programma nucleare di Pyongyang con la diplomazia. Intanto, il Paese asiatico non recede dai suoi programmi sullo sviluppo delle armi non convenzionali e, addirittura, parla di rischio di olocausto nucleare, chiedendo però il sostegno dell’Asean, l’organizzazione dei Paesi del sud-est asiatico, nel braccio di ferro con Washington. Insomma una situazione difficile. La Nord Corea appare isolata, ormai lontana anche da Pechino, suo alleato storico; gli Stati Uniti proseguono nell’installazione dello scudo di sicurezza, ma per il quale Seul rifiuta qualsiasi coinvolgimento finanziario. Difficoltà di fronte alle quali potrebbe prevalere la scelta negoziale. Ne abbiamo parlato con Fulvio Scaglione, editorialista di Famiglia Cristiana:

R. – In questa crisi ci sono delle variabili difficilmente controllabili. La prima è la natura del regime della Corea del Nord: un mondo abbastanza imperscrutabile e all’apparenza abbastanza folle nelle sue impostazioni, basti vedere gli sforzi che in tutti questi anni, molto tenacemente, la Corea del Nord ha fatto per dotarsi dell’arma nucleare, anche a costo di enormi sofferenze per la popolazione. Non dimentichiamo, infatti, che le spese militari in Corea del Nord sono state privilegiate anche rispetto a carestie che hanno quasi decimato la popolazione. L’altra variabile, difficilmente controllabile, è Donald Trump, perché è chiaro che questo inasprimento delle posizioni militari del capo della Casa Bianca è dovuto anche ai problemi interni che lui ha, e questa svolta militarista gli ha procurato una tregua sul fronte interno. Detto questo, è consolante la posizione di Russia e Cina che, appunto, cercano di fare da moderatori, e in questo hanno un alleato imprevisto, ma importante, nell’apparato militare americano, perché sono ormai molti i generali di alto livello che suggeriscono il dialogo tra Stati Uniti e Cina come mezzo migliore per disinnescare la crisi della Corea del Nord.

D. – Quale potrebbe essere il ruolo della Cina?

R. – La Cina ha cercato di portare alla ragione la Corea del Nord, bloccando l’importazione del carbone, che è la principale voce di export di Pyongyang. Anche Pechino è preoccupata per questa crisi e ha scarsissimo desiderio di vedere la tensione crescere in una zona del mondo che è di sua competenza. Ho anche qualche dubbio sul fatto che la Cina sarebbe disposta a tollerare con il sorriso sulle labbra un’azione militare americana nel suo cortile dietro casa: questo è un altro dei rischi insiti in questa crisi.

D. – Che cosa dire, infine, del rifiuto della Corea del Sud di collaborare economicamente alla costruzione dello scudo antimissile, per una cosa che innanzitutto serve alla propria sicurezza?

R. – Il problema che Trump ha con la Corea del Sud è un po’ lo stesso problema che Trump ha con moltissimi alleati. Anche di recente, quando ha ricevuto il premier italiano, Gentiloni, ha detto che l’Italia pagherà quote aggiuntive per il mantenimento della Nato: beh, mi sembra un po’ avventuroso che questo avvenga. Però, in generale tutta questa politica è una politica che alla fine si morde la coda, perché occorrerebbe una politica inversa, una politica di distensione internazionale che però in questo momento è proprio utopico immaginare.

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Golan: tensioni Israele-Siria, tra guerra e rivendicazioni

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Continua a salire la tensione al confine tra Israele e Siria. L’esercito dello Stato ebraico, dispiegando il sistema di difesa aerea Patriot, ha “intercettato” quello che ha definito un “bersaglio” sopra le alture del Golan: secondo il Jerusalem Post, si sarebbe trattato di un drone che aveva violato lo spazio aereo israeliano provenendo dalla Siria. L’episodio arriva a poche ore dal bombardamento di un deposito di armi a sud ovest dell’aeroporto di Damasco: il regime siriano ha parlato di un’“aggressione israeliana”. Già in precedenza vi erano state azioni, attribuite allo Stato ebraico, contro istallazioni militari nella Siria centrale e a ridosso del confine con il Libano. Perché dunque questi attacchi? Risponde Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’università di Firenze, intervistata da Giada Aquilino

R. - Perché è vero che Israele tradizionalmente ha sostenuto la famiglia Assad però la guerra civile sta portando vicino ai confini di Israele due forze che lo Stato ebraico teme moltissimo, cioè Hezbollah - gli sciiti del Libano - e le guardie rivoluzionarie iraniane. Quindi Israele colpisce per evitare che ciò vada avanti e lo fa anche con un problema politico e militare non da poco, perché non deve interferire con le azioni dei russi. Grosso modo di solito gli israeliani colpiscono a sud della Siria mentre la zona dove operano di più i russi, dove hanno basi, è il nord. In questo modo si evita uno scontro diretto. Il Golan è questione prioritaria per Israele, non solo per la sua collocazione ma anche perché da molti anni, dal 1881, ne hanno assunto ufficialmente amministrazione e giurisdizione; non l’ha mai annesso però non hanno avuto voglia di restituirlo alla Siria, se non in alcuni anni in cui c’erano degli Assad che consideravano affidabili. Poi questa guerra e la presenza di forze come Hezbollah e Iran hanno fatto cambiare gli scenari.

D. – Come possono essere letti questi attacchi?

R.  – Come voglia di ricordare a tutti che, in caso di risoluzione della guerra civile in Siria, Israele non vuole nuovi vicini nella parte siriana del confine che considera nemici, come Hezbollah e come l’Iran. Inoltre nelle ultime ore c’è stato a Washington un incontro tra il ministro dell’Intelligence di Israele e i capi dell’Intelligence Usa e il rappresentante israeliano ha chiesto agli americani di appoggiare l’annessione del Golan, con la piena sovranità di Israele: il che significa annettere un territorio occupato in tempo di guerra, nel 1967.

D. – Ci sono altre potenze regionali che possono condividere gli stessi obiettivi di Israele in questo momento?

R. – Confinanti con la Siria non credo, semmai in modo indiretto, perché naturalmente i sauditi hanno un interesse nella risoluzione a loro favorevole della crisi siriana.

D. – Ci sono rischi che il coinvolgimento di Israele nella guerra siriana possa a questo punto essere più profondo?

R. – I rischi che il coinvolgimento aumenti sono quasi nella natura delle cose, però che questo allarghi il conflitto ad altre forze è meno probabile. Il vero problema di Israele è di evitare di scontrarsi, anche per errore, con i russi.

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I vescovi della Bolivia: vicini al popolo del Venezuela

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Con una solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta da mons. Oscar Aparicio, arcivescovo di Cochabamba, si è aperta ieri la 103.ma Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale della Bolivia. "Viviamo nella sofferenza - ha sottolineato l’arcivescovo durante l’omelia - la tragica situazione del popolo venezuelano ferito a morte da interessi di potere e ideologie che seminano la morte e la sofferenza".

A settembre Visita ad Limina dei vescovi boliviani
Durante il discorso inaugurale, il presidente della Conferenza episcopale, mons. Ricardo Centellas, vescovo di Potosi, ha ricordato l’urgenza di una trasformazione missionaria: "Nel mese di settembre – ha affermato il presule le cui parole sono state riprese dall’agenzia Fides - andremo a Roma, per la Visita Ad Limina, per rinnovare il nostro spirito di comunione con il Successore di Pietro e ravvivare la nostra missione profetica”. “Papa Francesco ci ricorda con insistenza la necessità di una trasformazione missionaria, che coinvolge tutte le strutture ed i servizi della Chiesa".

Nel 2018 in Bolivia V Congresso Missionario Americano
Padre José Fuentes, Segretario aggiunto della Conferenza episcopale, aveva spiegato in precedenza che l'Assemblea affronterà temi di rilevanza nazionale. Quindi si preparerà il rapporto da presentare a Papa Francesco, un documento che riassume il lavoro di evangelizzazione in Bolivia. "Oltre a questo, ci sono temi fondamentali della nostra realtà - ha aggiunto padre Fuentes - come quelli della pubblica istruzione e dell'educazione cattolica in Bolivia". Un altro tema importante che coinvolge tutta la Chiesa nel Paese, è la preparazione del V Congresso Missionario Americano che si svolgerà nel 2018 in Bolivia. L'Assemblea si chiuderà il 2 maggio con un Messaggio dei vescovi.

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Ong e migranti dopo il caso Zuccaro, la Chiesa: approccio sbagliato

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Continuano a far discutere le affermazioni del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, secondo cui ci sono contatti tra alcune ong e trafficanti di migranti. Per il ministro della Giustizia Andrea Orlando eventuali collusioni vanno provate. Delle dichiarazioni di Zuccaro si occuperà il Csm. La Chiesa intanto ribadisce che non si può generalizzare. Alessandro Guarasci

Oramai non c’è giorno che le dichiarazioni del procuratore Zuccaro non provochino un dibattito politico. Il ministro Orlando dice no a strumentalizzazioni, per Di Maio dei Cinque Stelle serve una legge per utilizzare le intercettazioni sulle ong. Queste infatti sarebbero state effettuate da servizi segreti stranieri e non sarebbero a disposizione della magistratura. Per il vescovo di Caltagirone, tra le zone più coinvolte nell’assistenza ai migranti, mons. Calogero Peri è sbagliato l’approccio alla questione:

“Dico da sempre questo: trattiamo a pezzi il fenomeno dell’immigrazione. Questo è l’approccio più sbagliato, per cui una volta ci concentriamo sul recupero, una volta sulla prima accoglienza, un’altra volta sulla seconda accoglienza, come se noi staccassimo il braccio dal corpo. Quindi fino a quando faremo questi discorsi è tempo perso, perché siamo del tutto impreparati, è un fenomeno nuovo che stiamo trattando in maniera sbagliata”.

Dunque serve un maggior coinvolgimento dell’Europa. Per il direttore della Caritas di Agrigento Valerio Landri i migranti non raccontano di possibili contatti tra i trafficanti e le ong:

“I migranti con cui entriamo in contatto noi non hanno percezione di questo e comunque non l’hanno condivisa con noi. Le organizzazioni non governative stanno salvando tante vite in mare e stanno sostenendo uno sforzo che è uno sforzo europeo di salvataggio di vite in mare. Questo è un dato di fatto ed è quello che ci risulta. Vedere arrivare sulle nostre coste migranti in condizione di salute sicuramente migliori rispetto a quanto non avvenisse in precedenza, questo è un dato di fatto”.

Spesso le imbarcazioni delle ong si spingono fin sotto le coste libiche per facilitare le operazioni di soccorso e dunque evitare i naufragi. Ancora Landri:

“Il loro viaggio è un viaggio meno faticoso nel senso che è anche meno rischioso. Sicuramente per i migranti è un vantaggio che ci siano delle organizzazioni non governative che operino nel mare a supporto delle forze governative europee”.

Certo, i rapporti col volontariato, con le organizzazioni che gestiscono l’accoglienza non sono sempre facili. Nel territorio della diocesi di Caltagirone c’è  il mega centro di identificazione di Mineo. Ancora mons. Peri:

“Sono stato accanto ai nostri sindaci che chiedevano, piuttosto che costruire un mega centro come è il Cara di Mineo dove ci sono oltre quattromila presenze, di dare ad ogni comune del Calatino – sono 15 – 200 immigrati ciascuno, così da integrarli meglio e seguirli con i servizi sociali”.

Insomma, il ruolo del volontariato, delle ong rimane essenziale per gestire un fenomeno epocale come quello delle migrazioni.

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150 anni di Azione Cattolica. Cei: grazie per fedeltà ed impegno

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La celebrazione del 150.mo anniversario dell’Azione Cattolica sia “occasione preziosa per rinnovare il vostro essenziale impegno laicale al servizio della Chiesa e del mondo”. Lo scrive la presidenza della Conferenza episcopale italiana in un messaggio all’Associazione, reso noto oggi a poche ore dall’apertura della 16.ma Assemblea nazionale. Assemblea, nel corso della quale, domenica 30, l'Azione Cattolica festeggerà la ricorrenza in Piazza San Pietro, con Papa Francesco. Un traguardo, scrive la presidenza Cei, che costituisce “l’occasione perché la Chiesa italiana possa dirvi il suo 'grazie' per la vostra presenza”.

La Cei ad Azione Cattolica: grazie per la vostra fedeltà
“Grazie – si legge nel il testo – per la vostra fedeltà alla Chiesa anche quando vi ha chiesto la fatica di ripensare lo stile di tale presenza, la vostra struttura organizzativa, i vostri linguaggi”; “grazie per il vostro impegno a tradurre a livello popolare le scelte maturate dall’Episcopato per l’attuazione delle indicazioni conciliari nella catechesi, nella liturgia e nella testimonianza della carità, come anche nella proposta di un modello di Chiesa caratterizzato dalla comunione e dallo slancio missionario”; “grazie per aver concretizzato tutto questo nella ‘scelta religiosa’, intesa come formazione di laici capaci di esporsi sulle frontiere più avanzate del sociale e del politico per testimoniare i valori cristiani”; “grazie per l’impegno a essere ‘scuola di santità’” con “tante figure di santità laicale” – alcune “riconosciute dalla Chiesa”, tantissime altre “sconosciute ai più, ma conosciute da Dio” – che “sono da un lato la ‘traccia’ della vostra presenza e dall’altro il ‘tesoro’ a cui far continuamente riferimento per un rinnovato impegno”.

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La "salute disuguale" al centro del Festival dell'Economia di Trento

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70 incontri, con oltre cento relatori internazionali dal mondo dell’economia, della politica, del giornalismo e della medicina, ma anche laboratori didattici, spettacoli, e mostre. E’ la dodicesima edizione del Festival dell’Economia di Trento, che si svolgerà dal 1° al 4 giugno, che avrà come filo conduttore il tema “La salute disuguale” e che coinvolgerà i palazzi storici, le strade e le piazze del capoluogo trentino. Il servizio di Marina Tomarro

Un'economia che cammina accanto alla salute dove spesso la mancanza di fondi provoca non solo episodi di malasanità ma anche una qualità della vita peggiore, un’assenza di servizi di base, e spesso una longevità più breve. Sono questi i temi che verranno affrontati nel Festival dell’economia di Trento come ci spiega l’editore Giuseppe LaTerza tra i promotori del Festival:

“La novità è che ci concentreremo su una questione universale che riguarda tutti i cittadini e vedremo tutti i modi in cui questa questione chiama in causa la dimensione dell’economia; le questioni sono tantissime: c’è la quesitone delle tecnologie, di come creano opportunità, ma anche come vanno gestite in maniera oculata; c’è la questione del rapporto tra pubblico e privato, dell’accesso alle cure, del rapporto tra salute e questione femminile, le donne, la medicina delle donne. Un altro tema che verrà affrontato è quello dei bambini; poi parleremo dell’immigrazione … Quindi cercheremo di coprire tutti i temi interessanti, nuovi e anche problematici che mettono insieme la sfera dell’economia con quella della salute”.

Particolarmente importante diventa anche un'educazione alla salute per aiutare i pazienti ad utilizzare al meglio le cure e quelle prestazioni del servizio sanitario di cui a volte si è poco informati, favorendo così un miglioramento della vita senza un aggravio dei costi. Ascoltiamo il commento di Tito Boeri direttore scientifico del Festival:

“Ci sono dei divari molto forti nell’accesso alla sanità e nelle condizioni di salute che portano poi ad avere dei tassi di mortalità molto diversi in realtà territoriali molto diverse. Anche in Italia le differenze sono molto forti. Abbiamo per esempio un problema nel Sud dell’Italia soprattutto legato all’obesità infantile, che è fonte di malattie e purtroppo anche di mortalità. Qui bisogna guardare a questo con estrema attenzione. Abbiamo ancora una fortissima differenziazione della qualità delle cure mediche nelle diverse parti del nostro Paese. Come ricordavo, i controlli fino a qui sono stati svolti; abbiamo un’organizzazione sanitaria nazionale: c’è uniformità nell’input, nelle risorse che vengono date, ma non c’è uniformità nella qualità, nell’output dei servizi sanitari. Su questo servono controlli ancora più rigorosi”.

E  la Provincia autonoma di Trento, si rivela essere un'eccellenza italiana nelle prestazioni del servizio sanitario, come ci racconta il presidente Ugo Rossi:

“Noi abbiamo un ottimo sistema sanitario però questo passa anche dalla responsabilità dei singoli, i quali da un punto di vista culturale devono essere educati ad essere attenti a questi temi. Noi cerchiamo di farlo. Le logiche della prevenzione aiutano molto ad avere dei buoni esiti all’interno della sanità. Parlerei di un’esperienza positiva del Trentino rispetto al sistema sanitario. Noi crediamo che si debba andare in una logica di innovazione come abbiamo cercato di fare, coniugando la capillarità del servizio con la qualità. È difficile farlo, ma è comunque possibile”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 118

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