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Sommario del 29/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: l'unico estremismo ammesso per i credenti è la carità

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Nello Stadio dell’Aeronautica egiziana gremito di fedeli Papa Francesco ha celebrato la Santa Messa nel giorno del suo congedo dal Cairo. Si è trattato di uno dei momenti più attesi dalla comunità cattolica egiziana, che fin dalle prime ore della notte si è messa in marcia per raggiungere il luogo dell'evento tra capillari e severi controlli di sicurezza. L’unico estremismo gradito a Dio – ha detto il Papa nell'omelia – è quello della carità. Un monito al quale hanno fatto seguito le parole del Patriarca copto cattolico Sidrak che ha rammentato l’importanza del dialogo instaurato da Papa Francesco con il mondo musulmano in favore della pace.  Il servizio dell’inviato, Stefano Leszczynski: 

Almeno 25 mila persone – cattolici dei vari riti presenti in Egitto, ma anche copti ortodossi e musulmani – hanno preso parte alla celebrazione Eucaristica presso l’"Air Defense Stadium" del Cairo. Prima dell’inizio della celebrazione, con liturgia in arabo e latino, il Papa ha effettuato un giro di campo a bordo di una piccola golf car per salutare i fedeli giunti da ogni parte del Paese. Il Vangelo della III Domenica di Pasqua, che parla dell’itinerario dei due discepoli di Emmaus che lasciarono Gerusalemme, viene riassunto dal Papa in tre parole cardine: morte, resurrezione e vita. L’esperienza dei due discepoli che passano dallo sgomento profondo e dallo smarrimento, per avere perso ogni riferimento di vita, alla gioia, alla fiducia e all’entusiasmo per avere visto il Risorto, è il percorso che ogni uomo compie nella propria ricerca di Dio:

“Chi non passa attraverso l’esperienza della Croce fino alla Verità della Risurrezione si autocondanna alla disperazione. Infatti, noi non possiamo incontrare Dio senza crocifiggere prima le nostre idee limitate di un dio che rispecchia la nostra comprensione dell’onnipotenza e del potere”.

La Chiesa dice il Papa nasce dalla fede nella Risurrezione e la vera fede è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani; una fede che ci porta a difendere e a vivere la cultura del dialogo, del rispetto e della fratellanza:

“La vera fede è quella che ci porta proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli”.

La fede gradita a Dio – ammonisce Papa Francesco – è solo quella professata con la vita, perché "l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità". Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui:

“Non abbiate paura di aprire il vostro cuore alla luce del Risorto e lasciate che Lui trasformi la vostra incertezza in forza positiva per voi e per gli altri. Non abbiate paura di amare tutti, amici e nemici, perché nell’amore vissuto sta la forza e il tesoro del credente!”

Al termine della celebrazione liturgica il Patriarca di Alessandria dei copti cattolici, Ibrahim Isaac Sedrak, ha ringraziato a nome di tutta la Chiesa cattolica in Egitto Papa Francesco per questo pellegrinaggio di pace così importante per tutto il Medio Oriente. Il Patriarca Sidrak nel suo indirizzo di saluto ha voluto accostare la figura del Papa a quella di San Francesco nell’imminenza dell’ottavo centenario della sua venuta come portatore di pace. Infine, ha esortato a proseguire insieme sulla strada dell’unità dei cristiani come indicato da Gesù.

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La gioia dei fedeli egiziani alla Messa con il Papa

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In tanti hanno partecipato alla Messa del Papa. Era presente anche padre Alberto Sanchez, religioso comboniano che vive nella capitale egiziana. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Fabio Colagrande

R. – Nonostante tutte le complicazioni per arrivare allo stadio, i checkpoint per la sicurezza che hanno creato un po’ di confusione, la gente alla fine è arrivata in ordine ed è riuscita a entrare nello stadio che si è riempito presto e questo ha riempito molto l’ambiente di festa, l’ambiente di gioia che sente il popolo egiziano ma anche le altre persone di altri Paesi, perché qui sono presenti persone di tutto il mondo, di tutte le nazionalità.

D. - Si parla di una partecipazione circa 30 mila persone tra cui anche ortodossi…

R. – Certo, la comunità ortodossa si sente molto unita a tutta la comunità cattolica e viceversa. Tra i cristiani dell’Egitto non ci sono differenze: ci si sente una sola cosa nella fede, nel Vangelo di Gesù Cristo.

D.  – Anche alcuni musulmani avevano chiesto di poter partecipare alla celebrazione?

R. – Sì, io ho visto alcuni rappresentanti.

D.  – Nell’omelia il Papa ha ricordato che “l’unico estremismo ammesso per i credenti è la carità”…

R. – Certo, la carità che è amore, l’amore che ci unisce nel dialogo, che ci apre all’altro.

D.  – Il dialogo interreligioso e il dialogo che il Papa ha avuto con il presidente Al-Sisi potranno migliorare anche la situazione dei cristiani in Egitto?

R. – Certo, anche se è stato a un certo livello, con alti concetti, anche a livello accademico: il vero dialogo incomincerà dopo, nella vita quotidiana, che già si pratica. Quindi, questo è un continuare il dialogo a sostegno di tutte le nostre comunità. Penso che sia un ricominciare quello che è si era fermato nel dialogo con Al-Azhar e il presidente facilita questo contesto di dialogo fra i cristiani e musulmani.

Ma cosa ha portato all'Egitto questa visita? Roberta Barbi lo ha chiesto a padre Andrea Fahmi, professore di Teologia morale e amministratore della curia nella diocesi di Giza: 

R. – La visita ha portato il messaggio della pace, ha concentrato tutto ciò che il Papa ha compiuto in questa prospettiva di realizzare la pace, di annunciare la pace, che si può trovare fra le cose comuni tra le religioni, specialmente in Egitto, dove abbiamo varietà di confessioni religiose e anche di religioni. La prospettiva era questa: annunciare che tra tutte le religioni, tutte le confessioni religiose ci sono elementi in comune, in particolare la pace. Gli incontri sono stati molto belli e fruttuosi: tra questi, l’incontro ad al-Azhar, il centro più importante dell’Islam in tutto il Medio Oriente, dove si è svolto una conferenza per la pace, e il Papa ha detto una parola molto forte a tutti. Anche le parole del Grande Imam di al-Azhar sono state calorose e piene di elementi in comune.

D. – È ancora vivo il dolore per gli attentati del 9 aprile scorso in due chiese. Come ha vissuto la comunità questo incontro con il Papa venuto come pellegrino di pace? È un segno di speranza?

R. – A livello umano veramente non si può cancellare un dolore immenso come quello: i familiari, tutti i cristiani … non sarà molto facile dimenticare il dolore, perché è stato un atto barbarico. La visita del Papa nel luogo in cui sono stati compiuti questi attentati – perché lui ha fatto una visita proprio alla chiesa in cui è stato compiuto l’attentato di dicembre, non quello di aprile – è stato un atto di sollievo, se si può dire, un atto di consolazione per i familiari: hanno pregato davanti alle immagini dei martiri che erano lì, nella chiesa. Il Papa ha avuto questa intuizione di mettere la sua carezza su questo dolore umano: il Papa sempre cerca il lato “umano” della Chiesa. Anche la preghiera per i familiari, per tutti noi è stata una consolazione. Credo che questa visita abbia portato anche qualche segno di consolazione per il popolo sofferente a causa degli attentati.

D. – Come è stato accolto Francesco in Egitto?

R. – Dalle autorità politiche, in maniera splendida: c’è stata una grande preparazione, hanno offerto la possibilità di partecipare alle cerimonie e alle visite; il livello di sicurezza pure è stato molto alto in tutte le chiese, in tutte le parrocchie prima del suo arrivo. Anche all’università di al-Azhar, dove l’Islam è fortemente rappresentato, anche lì è stato accolto molto bene. Il popolo d’Egitto, tutto, da quello che sentiamo sia dai mass media sia dalle persone, la gente ha accolto Papa Francesco veramente come una persona di pace.

D. – Cosa rimarrà nei vostri cuori di questa visita del Papa?

R. – Penso che sia importante tradurre in pratica le parole che il Papa ha detto oggi alla Messa: lui ha parlato molto della pace, della fede viva, di essere contrari alla violenza e di fermare la violenza, sempre. Sono parole che rimangono. Hanno bisogno molto di essere effettive nella vita concreta. Io credo che i messaggi che ha lasciato il Papa sia con la sua presenza sia con le sue parole porteranno frutti, almeno al livello di tranquillizzare il popolo cristiano e poi anche per far sentire la voce della Chiesa universale, che la Chiesa è con noi anche nei nostri dolori e nella nostra situazione politica e religiosa qui, in Egitto. Io credo che un ruolo importante dovrebbe avere anche la Chiesa locale, che dovrebbe fare da ponte tra le parole del Papa, la presenza del Papa e la presenza della Chiesa, in modo che in Egitto diventi un po’ un anello che lega la Chiesa cattolica universale al Paese stesso, con la sua varietà di religioni e di confessioni religiose. Tocca a noi tradurre tutto questo nei fatti, in concreto.

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Francesco a Papa copto: sangue innocente dei martiri ci unisce

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Il sangue innocente dei martiri ci unisce: bisogna opporsi alla violenza predicando il bene e fare assieme iniziative di carità. E' l'invito di Papa Francesco rivolto, nel pomeriggio, nel terzo discorso del suo viaggio apostolico in Egitto, quello pronunciato durante l’incontro con Tawadros II, al Patriarcato copto ortodosso. Al termine dell’incontro il Papa e Tawadros II hanno firmato una Dichiarazione congiunta. Un momento di comunione, suggellato da una preghiera ecumenica alla presenza anche di altri capi di confessioni cristiane. Il servizio di Debora Donnini

Dopo quello con l’Imam di Al Azhar, rimarrà impresso anche il fraterno abbraccio fra Papa Francesco e Tawadros II, 118.mo Papa della Chiesa copto ortodossa, avvenuto nella Vecchia Cairo cristiana. Francesco chiede comuni iniziative di carità per costruire un cammino verso una piena comunione. “Non possiamo più pensare di andare avanti ciascuno per la sua strada”, dice, perché tradiremmo la volontà del Signore, che i suoi siano tutti una cosa sola. Non ci si può più nascondere dietro i pretesti di divergenze interpretative. E non c’è solo un ecumenismo fatto di gesti e parole ma anche “una comunione già effettiva”, che “si fonda sul nostro Battesimo”, mette in rilievo il Papa. “Da qui ripartiamo sempre – auspica – per affrettare il giorno tanto desiderato in cui saremo in piena e visibile comunione all’altare del Signore”. E in questo cammino appassionante ma non sempre facile e lineare, “non siamo soli”, assicura, perché “ci accompagna”, un’enorme schiera di Santi e Martiri, a partire da Pietro e Marco, due santi profondamente uniti. Marco pone infatti al centro del suo Vangelo la professione di Pietro che risponde alla domanda di Gesù: “Ma voi, chi dite che io sia?”. “Anche oggi - rileva Francesco - tanta gente non sa dare risposta a questo interrogativo” e “manca persino chi lo susciti e soprattutto chi offra in risposta la gioia di conoscere Gesù”. Bisogna quindi portare la fede nel mondo vivendola, perché la presenza di Gesù si trasmette con la vita:

“Copti ortodossi e Cattolici, possiamo sempre più parlare insieme questa lingua comune della carità: prima di intraprendere una iniziativa di bene, sarebbe bello chiederci se possiamo farla con i nostri fratelli e sorelle che condividono la fede in Gesù. Così, edificando la comunione nella concretezza quotidiana della testimonianza vissuta, lo Spirito non mancherà di aprire vie provvidenziali e impensate di unità”.

E poi l’ecumenismo del sangue. “Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo”, nota Francesco, hanno versato il sangue piuttosto che cedere alla tentazione di rispondere con il male al male, come testimonia il Martirologio della Chiesa copta. Sangue di fedeli inermi crudelmente versato anche recentemente:

“Carissimo Fratello, come unica è la Gerusalemme celeste, unico è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce. Rinforzati dalla vostra testimonianza, adoperiamoci per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l’unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti”.

Una storia di santità quella dell’Egitto, testimoniata anche dal monachesimo fiorito nel deserto.

Nel suo discorso Francesco ricorda l’incontro con lo stesso Tawadros II in Vaticano, il 10 maggio 2013, a 40 anni dal primo incontro fra Paolo VI e Shenouda III con la Dichiarazione Comune: “pietra miliare nelle relazioni tra la sede di Pietro e quella di Marco”, quando dopo “secoli di storia difficili”, si è arrivati a riconoscere insieme che Cristo è “Dio perfetto riguardo alla Sua Divinità e perfetto uomo riguardo alla Sua umanità”. Apprezzamento, poi, per il Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane a cui Tawadros ha dato vita e per la Giornata di amicizia copto-cattolica, che dal 2013 si celebra il 10 maggio. Francesco conclude, quindi, il suo intervento con un invito: ripartire insieme come “pellegrini di comunione e annunciatori di pace”. Carità fraterna e comunione di missione sono infatti i semi che bisogna far crescere. 

"Diamo il benvenuto a Voi Santità, Papa della pace nella terra della pace", ha detto Tawadros. Nel suo caloroso discorso sottolinea l'importanza della visita del Pontefice e dell'unità che rappresenta la più chiara testimonianza di Cristo da offrire al mondo di oggi. Ringrazia quindi la Chiesa cattolica per l'impegno di tanti ordini religiosi così come dei Fratelli delle Scuole Cristiane nel favorire in Egitto l'istruzione, la ricerca e il dialogo. Ricorda le dolorose vicende causate dal terrorismo, mettendo in rilievo l'unità degli egiziani, ed esprime l'apprezzamento per il Papa che ha seguito le orme del Poverello di Assisi: "quasi mille anni fa anche lui si fermò in Egitto e insieme al Sultano Al Kamel fece una delle più importanti esperienze di dialogo interculturale nella storia, un dialogo che si rinnova oggi con la Vostra visita", dice Tawadros, a conferma del fatto che il dialogo è la via che unisce i popoli. 

Al termine dell’incontro, lo scambio dei doni. Il Papa regala a Tawadros l'icona della "Madre di Dio della tenerezza". Quindi, la processione verso la vicina Chiesa di San Pietro, colpita l’11 dicembre scorso da un attentato suicida dell’Is, costato la vita a 29 persone. Nell’atrio Francesco rende omaggio al luogo che ricorda le vittime. Poi la preghiera ecumenica assieme ai Capi di altre Confessioni cristiane, suggellata dalla deposizione di una corona di fiori e dall’accensione di un cero.

In serata, il trasferimento alla Nunziatura apostolica dove il Papa viene accolto da un gruppo di bambini della Scuola Comboniana del Cairo. E, dopo la cena, la benedizione ad un gruppo di circa 300 giovani, riuniti nel piazzale d’ingresso, giunti in pellegrinaggio da tutto il Paese per incontrarlo.

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Il Papa ad Al Azhar: mai violenza in nome di Dio, solo la pace è santa

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E’ un “viaggio di unità e fratellanza”: con queste parole rivolte ai giornalisti sul volo papale, Francesco ha voluto definire il suo 18.mo viaggio apostolico, iniziato oggi al Cairo in Egitto. Un viaggio che lo vede “pellegrino di pace” in una terra attraversata da forti tensioni politiche e duramente colpita dal terrorismo. La violenza, infatti, che - come sottolineato nel suo discorso da Papa Francesco e anche dal Grande Imam Al Tayeb - è la negazione di ogni autentica religiosità. Il servizio del nostro inviato Stefano Leszczynski

Il viaggio apostolico di Papa Francesco in Egitto inizia all’insegna del dialogo interreligioso. Giunto al Cairo come un pellegrino di pace, il Pontefice ha raggiunto nel pomeriggio il Centro conferenze di Al Azhar, la più grande istituzione teologica e di istruzione religiosa dell’Islam sunnita, per pronunciare il suo discorso di fronte ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla pace. Ad accoglierlo con grande cordialità è stato il Grande Imam di Al Azhar, Shaykh Ahmad Al-Tayeb, figura di grande rilievo nella giurisprudenza islamica. Nel suo discorso introduttivo sul tema della pace il Grande Imam ha sottolineato come la civiltà moderna si sia allontanata dalla religione e come questo abbia provocato una perdita di valori etici, tra cui quelli della fratellanza umana, della comprensione reciproca e della misericordia. Poco dopo ha respinto con forza qualsiasi associazione tra Islam e terrorismo, ringraziando il Papa per le dichiarazioni da lui fatte in tal senso.

Una delle chiavi fondamentali per la costruzione della pace, replica Papa Francesco nel suo intervento, passa dalla corretta formazione e dall’istruzione che le società moderne danno ai propri giovani, con l’invito a non irrigidirsi e a non chiudersi all’altro: 

“Educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali, specialmente quella religiosa, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”.

E’ una sfida di civiltà quella alla quale tutti sono chiamati - dice il Papa - cristiani e musulmani, al pari di tutti gli altri credenti. L’Egitto, terra plurisecolare di incontro tra fedi e culture, può diventare un laboratorio privilegiato per sperimentare questa alleanza per il bene comune. Ed è proprio in questo contesto che le religioni svolgono un ruolo fondamentale, dice Papa Francesco, perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, diventa  imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza:

“La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità. In quanto responsabili religiosi, siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam”.

Il messaggio lanciato da Papa Francesco è chiaro e condiviso: “Nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”. “Oggi – dice il Papa - oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di armi; oggi c'è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione".

“Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza”.

Un impegno che il Papa definisce urgente e gravoso e che chiama in causa responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell’informazione. Quindi conclude con il saluto: “Al Salamò Alaikum! / La pace sia con voi!”.

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Papa: smascherare predicatori di odio che vendono illusioni sull'aldilà

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Smascherare predicatori di odio che vendono illusioni sull'aldilà. Questa l’esortazione del Papa nel suo discorso durante l’incontro al Cairo con il presidente egiziano Al Sisi, i membri del Governo e del Parlamento, gli ambasciatori e il Corpo Diplomatico, subito dopo la Conferenza internazionale sulla pace ad Al Azhar. Il servizio di Giada Aquilino

Pur essendo ferito da violenze cieche, l’Egitto ha un compito “singolare”, quello di “rafforzare e consolidare” la pace regionale, perché proprio tali violenze fanno soffrire ingiustamente tante famiglie “che piangono i loro figli e figlie”. All’incontro con i rappresentanti di istituzioni, diplomazia e società civile, all’Hotel Al-Màsah del Cairo, Francesco si riallaccia alle parole del presidente Al Sisi che nel suo discorso aveva condannato il terrorismo sottolineando che le forze del male pretendono di parlare in nome dell’islam, ma mai l’islam ha predicato l’uccisione di innocenti:

“Presidente, Lei, alcuni minuti fa, mi ha detto che Dio è il Dio della libertà, e questo è vero. Abbiamo il dovere di smontare le idee omicide e le ideologie estremiste, affermando l’incompatibilità tra la vera fede e la violenza, tra Dio e gli atti di morte”.

Non si può costruire la civiltà, sottolinea il Pontefice, senza ripudiare “ogni ideologia del male, della violenza e ogni interpretazione estremista che pretende di annullare l’altro” e di annientare le diversità “manipolando e oltraggiando” il nome di Dio. Il “peculiare” ruolo dell’Egitto è quindi necessario per poter affermare che tutta la regione, “culla delle tre grandi religioni”, può e deve risvegliarsi dalla “lunga notte di tribolazione” per tornare a irradiare i valori della giustizia e della fraternità:

“Pace per questo amato Paese! Pace per tutta questa regione, in particolare per Palestina e Israele, per la Siria, per la Libia, per lo Yemen, per l’Iraq, per il Sud Sudan; pace a tutti gli uomini di buona volontà”.

Il pensiero del Papa va “a tutte le persone che “hanno dato la vita per salvaguardare la loro Patria”: i giovani, i membri delle forze di sicurezza, i cittadini copti e quanti, “ignoti”, sono caduti a causa del terrorismo. Ricorda le uccisioni e le minacce che hanno determinato l’esodo di cristiani dal Sinai settentrionale, chi li ha accolti e ha dato loro assistenza, come pure coloro che sono stati colpiti negli attentati alle chiese copte, anche recentemente a Tanta e ad Alessandria. Abbiamo il dovere, afferma, di insegnare alle giovani generazioni che Dio “non ha bisogno di essere protetto dall’uomo”, ma è Lui che protegge gli uomini:

“Abbiamo il dovere di smascherare i venditori di illusioni circa l’aldilà, che predicano l’odio per rubare ai semplici la loro vita presente e il loro diritto di vivere con dignità, trasformandoli in legna da ardere e privandoli della capacità di scegliere con libertà e di credere con responsabilità”.

Il Pontefice invoca il “rispetto incondizionato” dei diritti inalienabili dell’uomo, quali l’uguaglianza tra tutti i cittadini, la libertà religiosa e di espressione, senza distinzioni. E con essi, una “speciale attenzione” al ruolo della donna, dei giovani, dei più poveri, degli anziani e dei malati, perché - conclude - la grandezza di qualsiasi nazione si rivela nella cura che essa dedica realmente ai più deboli della società.

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Il saluto del Papa ai giovani in nunziatura: siete coraggiosi!

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Ieri sera, al termine della giornata, il Papa si è recato in Nunziatura: qui è stato accolto da un gruppo di bambini della Scuola Comboniana del Cairo. Dopo cena, Francesco ha salutato e benedetto un gruppo di circa 300 giovani, in pellegrinaggio dal nord e dal sud del Paese, riuniti nel piazzale d'ingresso. Queste le parole del Papa, intervallate dai cori dei ragazzi che gridavano “Francesco, we love you!”: 

“Buona sera a tutti voi! Sono contento di trovarvi! Io so che siete venuti in pellegrinaggio: è vero? Se è vero, è perché voi siete coraggiosi! Domani avremo la Messa nello stadio, tutti insieme, e pregheremo insieme e canteremo insieme e faremo festa insieme! Io, prima di ritirarmi, vorrei pregare con voi. Preghiamo insieme il Padre Nostro: [recita del Padre Nostro in arabo]. E adesso io vorrei darvi la benedizione, ma prima ognuno di voi pensi alle persone a cui vuole particolarmente bene; pensi anche alle persone a cui non vuole bene e in silenzio ognuno di voi preghi per queste persone: per quelle a cui vuole bene e per quelle a cui non vuole bene. E vi do la benedizione, a voi e a queste persone. [Benedizione] Viva l’Egitto!”.

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Papa a sacerdoti: siate seminatori di speranza e costruttori di ponti

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Ultimo appuntamento in Egitto di Papa Francesco, l’incontro di preghiera con il clero, i religiosi e i seminaristi. Dopo il saluto del rettore del Seminario patriarcale, padre Toma Adly Zaky, il Pontefice ha rivolto un discorso ai presenti, nel quale ha esortato a non avere paura del peso del quotidiano e delle circostanze difficili. Il servizio di Giancarlo La Vella:

“Noi veneriamo la Santa Croce, strumento e segno della nostra salvezza. Chi scappa dalla Croce scappa dalla Risurrezione!”.

Papa Francesco parla ai sacerdoti d’Egitto, un Paese dove oggi è difficile predicare il Vangelo, è difficile dialogare, dove la minaccia del terrorismo è fortemente presente. Il Santo Padre, di fronte a queste prove, esorta a superare scoraggiamento, negatività e disperazione:

“Voi siate una forza positiva, siate luce e sale di questa società; siate il locomotore che traina il treno in avanti, diritto verso la mèta; siate seminatori di speranza, costruttori di ponti e operatori di dialogo e di concordia”.

Poi il Papa elenca una serie di tentazioni alle quali i consacrati devono resistere; prima di tutto, quella di lasciarsi trascinare e non guidare:

“Il Buon Pastore ha il dovere di guidare il gregge, di condurlo all’erba fresca e alla fonte di acqua. Non può farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo”.

Poi bisogna superare, dice Francesco, la tentazione di lamentarsi continuamente, per le mancanze altrui, le condizioni difficili e le scarse possibilità:

“Il consacrato è colui che, con l’unzione dello Spirito, trasforma ogni ostacolo in opportunità, e non ogni difficoltà in scusa! Chi si lamenta sempre è in realtà uno che non vuole lavorare”.

Così anche è da evitare la tentazione del pettegolezzo e dell’invidia o del paragonarsi con gli altri. E ancora bisogna guardarsi da un’altra pericolosa tentazione:

“La tentazione del ‘faraonismo’, cioè dell’indurire il cuore e del chiuderlo al Signore e ai fratelli. È la tentazione di sentirsi al di sopra degli altri e quindi di sottometterli a sé per vanagloria; di avere la presunzione di farsi servire invece di servire”.

Infine, il consacrato, esorta il Papa, non deve cadere nella tentazione del camminare senza bussola e senza meta:

“Il consacrato perde la sua identità e inizia a non essere 'né carne né pesce'. Vive con cuore diviso tra Dio e la mondanità. Dimentica il suo primo amore”.

Il punto di riferimento, conclude il Papa, rimane per tutti Gesù. “Più siamo radicati in Cristo, più siamo ricchi e fecondi”, sottolinea il Pontefice. Guardando a Cristo e ai tanti esempi di santità che l’Egitto ci offre, si apre la strada giusta del servizio a Dio, alla Chiesa e agli altri:

“E così anche voi potete essere luce e sale, motivo cioè di salvezza per voi stessi e per tutti gli altri, credenti e non, e specialmente per gli ultimi, i bisognosi, gli abbandonati e gli scartati”.

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Papa: lavoro, bisogno fondamentale, non può essere negato

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Il lavoro è una “capacità innata” e un “bisogno fondamentale”. Lo scrive il Papa nel Messaggio alla professoressa Margaret Archer, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, in occasione della sessione plenaria dell’organismo, in corso fino al prossimo 2 maggio. Tale affermazione, spiega Francesco, è ben più forte rispetto al concetto di lavoro come “diritto”: la storia insegna infatti che “i diritti possono essere sospesi o addirittura negati; le capacità, le attitudini e i bisogni, se fondamentali, no”.

Partecipazione sociale e interrelazione tra persone
Il tema della plenaria, “Verso una società partecipativa: nuove strade per l’integrazione sociale e culturale”, invita a riflettere – aggiunge il Pontefice – sulla questione della partecipazione sociale. Dal momento che la società è “una realtà partecipativa per il reciproco interscambio”, dobbiamo rappresentarla come “un tutto irriducibile e come un sistema di interrelazione fra le persone”. La giustizia, prosegue il Papa, può essere allora ritenuta la “virtù” degli individui e delle istituzioni, che nel rispetto dei legittimi diritti mirano “alla promozione del bene di coloro che vi prendono parte”.

Fraternità, dignità e libertà
Richiamando al senso di “fraternità” e all’impegno “per l’allargamento dello spazio di dignità e di libertà delle persone”, Francesco nota che “ciò che è più inquietante oggi è l’esclusione e la marginalizzazione dei più da una partecipazione equa nella distribuzione su scala nazionale e planetaria dei beni sia di mercato sia di non-mercato”, come la dignità, la libertà, la conoscenza, l’appartenenza, l’integrazione, la pace. Proprio le diseguaglianze, “insieme alle guerre di predominio e ai cambiamenti climatici”, sono le cause della più grande migrazione forzata nella storia, “che colpisce oltre 65 milioni di esseri umani”, senza dimenticare il “dramma crescente” delle nuove schiavitù nelle forme del lavoro forzato, della prostituzione, del traffico di organi, che sono “veri crimini contro l’umanità”: è “allarmante” - conclude - “che oggi il corpo umano si compri e si venda, come fosse una merce di scambio”. 

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A Verona la Beatificazione di Leopoldina Naudet, esempio di carità

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La Chiesa ha da oggi una nuova Beata. Si tratta di Leopoldina Naudet, vissuta tra il 1700 e il 1800, fondatrice delle Sorelle della Sacra Famiglia: in rappresentanza del Papa, la cerimonia di Beatificazione viene presieduta nel pomeriggio a Verona, presso la Basilica di Sant'Anastasia, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Giada Aquilino

Una vita contraddistinta dal desiderio di preghiera e dalla presenza di Dio, concretizzati nella carità e nell’accoglienza. Leopoldina Naudet nacque a Firenze nel 1773: i genitori erano addetti alla Corte del Granduca di Toscana, Leopoldo I, che fu padrino di battesimo della piccola. Perduta la madre a cinque anni, fu affidata alle cure di un convento di suore a Firenze e, in seguito, completò la sua educazione in Francia. Fin da piccola manifestò la sua profonda fede, come spiega il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi:

“Leopoldina viveva nel mondo con lo stesso raccoglimento che teneva nell'adorazione di Gesù eucaristico. Giunse addirittura a fare il voto di perfezione, promettendo a Dio di fare tutto nel modo più perfetto e più a lui più gradito”.

Allo scoppio della rivoluzione francese, fu chiamata a Firenze per fare da istitutrice ai piccoli arciduchi, trasferendosi poi con lo stesso incarico a Vienna quando il Granduca Leopoldo divenne imperatore. Mai Leopoldina si lasciò abbagliare dagli sfarzi di corte, ma - come diceva lei stessa - era sostenuta “dall’intimo sentimento” che le faceva sentire di essere “già di Dio”, fino a fondare nel 1809 le Sorelle della Sacra Famiglia, delle quali fu superiora generale:

“Le riusciva spontaneo comunicare la sua fede agli altri, che, considerandola maestra e modello di fede, cercavano di imitarla. Ovviamente la fede si manifestava in una carità a tutto campo. Istituì, ad esempio, scuole gratuite per le fanciulle povere; offrì loro una educazione adeguata nei convitti di S. Teresa e S. Domenico; ordinò che fossero aperte le case per ospitare le persone che volessero raccogliersi in esercizi spirituali. Verso le sue figlie spirituali e le sue collaboratrici la carità e la pazienza erano indicibili”.

Per il nome e il carisma delle consorelle pensò alla Famiglia di Nazareth, perché Maria e Giuseppe sono i “più vicini” a Gesù che di Leopoldina fu l’“unica devozione”:

“A tutti - ma soprattutto alle Sorelle della Sacra Famiglia sparse nel mondo - la nuova Beata rivolge l'esortazione a tenere il nostro sguardo di fede e di speranza sempre fisso in Dio, per non smarrirsi nel frastuono del mondo. Tutto è vanità, l'erba inaridisce, i fiori cadono. Solo la parola di Dio - dice San Pietro - rimane in eterno”.

Dopo un periodo di forti febbri, morì nel 1834. Lo scorso 21 dicembre Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione di Leopoldina, cioè la guarigione - avvenuta quasi 40 anni fa - di un neonato da una meningite.

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Oggi in Primo Piano



Oggi è la Giornata del ricordo delle vittime di guerre chimiche

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Si celebra oggi la 12.ma Giornata della memoria in onore delle vittime delle guerre chimiche. Venti anni fa, il 29 aprile del 1997 entrava in vigore la Convenzione per la proibizione di questo tipo di armi. A sorvegliare sul rispetto della Convenzione è l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac). Realizzate con composti chimici che possono provocare la morte o gravi danni alla pelle, al sistema nervoso e a quello respiratorio, le armi chimiche furono usate per la prima volta, durante la battaglia di Ypres, nel corso della Prima Guerra Mondiale. Dal 1997 a oggi molti passi avanti sono stati fatti dalla Convenzione, ratificata dalla quasi totalità degli Stati. Intanto, il direttore generale dell'Opac, Ahmet Uzumcu, ha annunciato che un team di esperti è pronto ad andare a Khan Sheikhoun, in Siria, per verificare se sia stato usato gas sarin o altre sostanze tossiche nell’attacco che lo scorso 4 aprile ha provocato la morte di 87 persone. La condizione richiesta da Uzumcu è che venga garantita la sicurezza dei tecnici. Sull’importanza di questo giorno per la memoria delle vittime di guerre chimiche, Elvira Ragosta ha intervistato Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali “Archivio Disarmo”: 

R. - E’ importantissimo perché purtroppo a partire dal 1914 queste armi hanno seminato morte e disastri per tutto il XX secolo e anche nel XXI secolo. L’aspetto importante però di questa drammatica storia è che bene o male l’uso nel corso di un secolo si è progressivamente ridotto.

D.  - Il 29 aprile del 1997 è entrata in vigore la Convenzione per la proibizione sulle armi chimiche. Quali i passi avanti fatti in questi anni?

R. - Tantissimi. Possiamo dire che ormai la quasi totalità dei Paesi del mondo hanno aderito. Praticamente il 98 per cento della popolazione del mondo rientra all’interno di questa Convenzione e anche le industrie che lavorano nel settore sono all’interno di questo grande organismo che controlla il settore. Ricordiamo che le armi chimiche vengono chiamate “l’atomica dei poveri” perché è facile trasformare dei prodotti chimici che possiamo usare industrialmente o nelle nostre case o altro in prodotti più letali. Però questo impegno della comunità internazionale ha dato notevoli frutti e progressivamente tutti i Paesi hanno aderito e praticamente non sono state quasi più usate. Abbiamo presente purtroppo, anche nella storia anche recente, alcuni episodi in cui queste armi sono state usate ma oggettivamente dobbiamo dire che praticamente non vengono più usate, né hanno mai poi risolto positivamente a favore di chi le usava le sorti del conflitto. Pertanto sono armi pericolose da maneggiare, da usare. A volte si sono rivelate anche dannose per chi aveva in mente di usarle. L’ultimo episodio che ricordiamo di uso di armi chimiche è legato alla Siria e la Siria - stando a quello che viene affermato dall’organizzazione sulle armi chimiche - ha praticamente consegnato tutto quanto il suo materiale chimico che aveva. E i recenti episodi, su cui non ancora non è stata fatta luce da un’apposita commissione internazionale, ci dicono che qualche stock di queste armi è ancora in giro.

D. – C’è poi la necessità che l’accesso alle armi chimiche sia precluso anche agli attori non statali. Quanto è difficile raggiungere questo obiettivo?

R. - Evidentemente i cosiddetti “attori non statali”, cioè i gruppi terroristici e quant’altro, si muovono secondo logiche che sono diverse da quelle delle forze armate regolari e dai rispettivi governi. Certamente questi gruppi possono venire in possesso di questi prodotti. Dei buoni chimici possono utilizzare materiali di uso comune e quindi realizzare prodotti chimici che possono essere mortali. Il pericolo c’è ma è un pericolo comunque limitato. Per utilizzare massicciamente queste armi chimiche servirebbero ovviamente aerei, sistemi d’arma molto complessi, quindi possiamo eventualmente ipotizzare un uso di tipo attentato singolo ma, certamente, non possono essere armi che possono creare fenomeni come quelli che abbiamo conosciuto tristemente durante la Prima Guerra Mondiale.

 

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Repubblica Dominicana, mons. Espinal: la corruzione destabilizza

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Le manifestazioni di un movimento sociale che protesta per l'incompetenza delle autorità non destabilizzano il governo. L'unica cosa che può mettere a rischio la stabilità del governo nella Repubblica Dominicana è la corruzione. E’ quanto ha sottolineato il vescovo della diocesi di Mao-Monte Cristi, mons. Diómedes Espinal de León, aggiungendo che si deve rispettare il diritto a manifestare. "Penso che il popolo - ha detto - ha il diritto di manifestare. Non credo che questo possa destabilizzare il governo”. “Se il governo - ha aggiunto il presule le cui parole sono state riprese dall’agenzia Fides - è fermo e ritiene di fare ciò che deve fare, allora le manifestazioni popolari non riusciranno a destabilizzarlo".

La corruzione fa crescere la disuguaglianza
Mons. Espinal ha poi risposto ai giornalisti in merito alle dichiarazioni del ministro dell'Interno, Carlos Amarante Baret, il quale ha affermato che i movimenti di protesta mirano a destabilizzare il governo del presidente Danilo Medina. "Una cosa non ha niente a che vedere con l'altra" ha ribadito il vescovo, aggiungendo che la corruzione fa crescere la disuguaglianza sociale, ed è ciò che può portare all’instabilità. Nella Repubblica Dominicana, il Movimento Verde ha promosso diverse manifestazioni, dalla marcia del 22 gennaio, considerata la più grande manifestazione nella storia della nazione. L'obiettivo generale del Movimento è mettere fine alla corruzione e all'impunità, risvegliando la coscienza sociale e il sentimento patriottico. Domenica scorsa, 23 aprile, c’è stata un’altra grande manifestazione di sostegno alla richiesta del Movimento Verde di fare trasparenza su diverse operazioni economiche del governo.

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Aperto in Perù il Forum sociale panamazzonico

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Si è aperto ieri a Tarapoto, in Perù, l’ottavo Forum Sociale Panamazzonico. Il Forum – riferisce l’Agenzia Fides - è un luogo privilegiato per presentare proposte e alternative promosse all'interno della società civile PanAmazzonica. Temi fondamentali come territorialità, diritti umani, sovranità alimentare, megaprogetti o città, tra gli altri, saranno discussi dalle organizzazioni sociali della regione, sempre da una prospettiva pan-amazzonica.

I rappresentanti delle popolazioni indigene denunciano da decenni i gravi danni che l'estrazione dei minerali, il disboscamento ed altre attività legali e illegali in Amazzonia, arrecano non solo all'ambiente e alle risorse naturali, ma anche ai diritti umani dei popoli locali, in particolare al diritto del territorio. L’appello alle autorità è a ricercare nuovi modi in grado di armonizzare il rispetto dei diritti umani e dell'ambiente con lo sviluppo economico e produttivo.

A questo ottavo Forum partecipano diverse realtà ecclesiali, alcune giurisdizioni ecclesiastiche dell'Amazzonia, congregazioni religiose e operatori pastorali, molti dei quali appartengono già alla Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica (Repam). Il Forum si concluderà il 1° maggio. E’ stata preparata anche una piattaforma digitale per poter seguire l'evento. Maggiori informazioni (in tre lingue) su http://www.forosocialpanamazonico.com.

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Presidenziali in Francia: le riflessioni di alcuni vescovi

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In occasione del secondo turno delle presidenziali, la Chiesa francese torna ad esprimersi su questo importante passaggio elettorale. Al ballottaggio, il prossimo 7 maggio, si sfideranno Emmanuel Macron, esponente del centrosinistra, e Marine Le Pen, rappresentante dell’estrema destra del “Front National”. In una nota, pubblicata dopo il primo turno delle presidenziali, i presuli, senza fornire indicazioni di voto, si erano soffermati su vari temi, su valori fondamentali. In particolare, avevano ricordato alcuni principi “come il bene comune, l’attuazione della fraternità, l’attenzione per i più fragili, la dignità della persona umana, la sussidiarietà”.

L’editoriale di mons. Christophe Dufour
A quelle parole si aggiungono quelle dell’arcivescovo di Aix-en-Provence e di Arles mons. Christophe Dufour. Il presule, in un editoriale, ha sottolineato che durante la seconda guerra mondiale si è vissuto il “periodo più crudele della storia dell’umanità”. I decenni seguenti, invece, finora sono stati contrassegnati da un lungo tempo di pace.

L’Europa ha un’anima
L’Europa – ha scritto l’arcivescovo – ha un’anima e questa resta unita perché si alimenta delle virtù umane e cristiane. Virtù - ha aggiunto - che ci hanno allontanato da ideologie portatrici di divisioni e di devastazioni. Mons. Dufour ha quindi ricordato le parole rivolte, lo scorso 24 marzo, da Papa Francesco ai capi di Stato e di governo in occasione del 60.mo anniversario della firma dei Trattati di Roma. “Nel nostro mondo multiculturale - aveva detto il Pontefice - tali valori continueranno a trovare piena cittadinanza se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati. Nella fecondità di tale nesso sta la possibilità di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche”.

L’Europa è vita
L’Europa è vita e come tutte le vite è fragile e può essere recisa. Il rischio - ha osservato il presule citando Papa Francesco - è l’egoismo. Il primo elemento della vitalità europea, invece, è la solidarietà. L’Europa sia la voce dei poveri, di quanti soffrono per le derive liberali e della globalizzazione. “L’Europa - sono ancora parole di Papa Francesco - ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze”, “quando investe nello sviluppo e nella pace”, “quando investe nella famiglia". L’editoriale di mons. Dufour si conclude con l’esortazione a pregare per la Francia.

Confidare nella responsabilità dei cattolici
In un articolo pubblicato dal quotidiano La Croix l’arcivescovo di Poitiers, mons. Pascal Wintzer, anticipa la propria intenzione di voto sottolineando che al ballottaggio non voterà per Marine Le Pen. “Credo – scrive il presule – nelle capacità del popolo di Francia”. “Chiudere le porte di un Paese - aggiunge - è del tutto illusorio”. In un tweet, infine, mons. Denis Moutel, vescovo di Saint-Brieuc e di Tréguier, esorta a confidare “nella responsabilità dei cattolici”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Ong-migranti. Intervengono anche Grasso, Gentiloni e Alfano

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Continuano pesanti le polemiche politiche sulla vicenda circa le possibili relazioni tra ong e trafficanti di migranti. Oggi sono intervenuti sia il presidente del Senato Grasso che il premier Gentiloni. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

La polemica si fa sempre più dura e, accanto alle accuse mosse alle Ong dal procuratore di Catania Zuccaro, sostenuto da una parte della politica - Movimento 5 Stelle, Forza Italia passando per la Lega - ora si crea anche una frattura all’interno dello stesso governo, con il ministro della giustizia Andrea Orlando che, definendo ‘valutazioni politiche’ quelle dello stesso Zuccaro, invita a fare riferimento solo agli atti giudiziari. Tutt’altro tono quello del ministro dell’Interno Angelino Alfano che mostra diffidenza verso la provenienza dei fondi ricevuti dalle organizzazioni e chiarisce di appoggiare al cento per cento le dichiarazioni di Zuccaro quando parla di rapporti, se non addirittura di collusione, tra ong e trafficanti. Si parli delle indagini quando sono concluse e non quando sono in corso: sottolinea il presidente del Senato Piero Grasso, che definisce “un po’ fuori dall’ordinamento “ le dichiarazioni di Zuccaro. Le ong sono preziose, aggiunge il premier Gentiloni, ma la magistratura vada avanti, il governo non contrasterà l’accertamento dei fatti. I toni restano dunque accesi, con molte delle organizzazioni non governative che lavorano nel salvataggio dei migranti, pronte a difendere in tutto e per tutto la loro onestà. Il Cisom, Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, pur non essendo una ong, dal 2008  è impegnata nell’aiuto in mare ai migranti. Mauro Casinghini è il direttore nazionale del Cisom:

R. – Capire il perché è complicato, in questo momento. Certo, certo, non è una bella cosa, perché si va mettendo sotto accusa chi va a salvare la vita delle persone. Le organizzazioni non governative, così come le istituzioni italiane – quindi la Guardia Costiera e la Marina – vanno facendo nel Mediterraneo salvataggi di vite umane, e lo fanno peraltro anche coordinate dalla stessa Guardia costiera che ha l’obbligo di coordinare le navi che sono più prossime alle imbarcazioni in difficoltà. Io sono convinto che per esprimere pareri, soprattutto politici, serve ed è necessario andare a viverle, queste situazioni, perché completano molto il quadro dell’idea che il politico si deve fare per agire e per risolvere il problema.

D. – In questo caso, oltre alle dichiarazioni politiche, ci sono anche dichiarazioni di una parte della magistratura …

R. – Sicuramente è abbastanza singolare che la magistratura faccia queste dichiarazioni senza avere a sostegno prove concrete. Certamente avrà le sue ragioni per farle, ma io sarei più contento e sarei più propenso a vedere la magistratura indagare anche ai livelli internazionali, perché dietro al flusso dei migranti ci sono anche traffici che in qualche maniera li sostengono. Mi vengono in mente – per esempio – le imbarcazioni: io non penso che la Libia abbia la capacità di produrre quella sorta di gommoni – che poi gommoni non sono: sono imbarcazioni di fortuna con cui i migranti vengono e che sono fatte semplicemente per percorrere poche miglia; sono imbarcazioni che provengono dall’estero, molto probabilmente, e che vengono importate dai trafficanti. Quindi, se la magistratura incominciasse a indagare anche su queste cose, incominceremmo a sventare, a disgregare questo traffico malavitoso che è appunto dietro al flusso della povera gente.

D. – Il Cisom non è una ong; ha sempre collaborato con le istituzioni, come la Guardia Costiera; per tre mesi siete comunque stati presenti a bordo dell’imbarcazione del Moas impegnata nell’Egeo. Il Moas è una delle organizzazioni in questo momento nell’occhio del ciclone …

R. – Noi abbiamo lavorato volentieri con il Moas: sotto il loro invito ci è stato chiesto di occuparci della parte sanitaria durante il soccorso ai migranti siriani, in particolare, che dalla Turchia passavano in Grecia attraverso l’Egeo. Lì, insieme, abbiamo salvato tantissime vite umane; peraltro, una missione quella del corpo di soccorso dell’Ordine di Malta – che correttamente non è un’organizzazione non governativa, ma è una branca di soccorso dell’Ordine di Malta in quanto Ente sovrano internazionale – che abbiamo sostenuto noi stessi, anche attraverso fondazioni italiane, e la nostra attività era appunto incentrata sul soccorso sanitario. Devo dire che Moas, insieme alle altre organizzazioni, nel momento in cui fanno il soccorso in mare, compiono la missione per cui sono lì, cioè quella di tirar fuori dall’acqua le persone che stanno per annegare, le persone che scappano da carestie, da guerre, da persecuzioni di varia natura … Per cui, dobbiamo agire considerando due aspetti. Sicuramente, l’aspetto criminale che va sventato e sventrato nel suo complesso, ma anche l’aspetto della disperazione, a cui noi dobbiamo rispondere principalmente come uomini.

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Neonata comprata. Griffini: è cultura del figlio ad ogni costo

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Fa discutere il caso della neonata che a Latina è stata oggetto di una compravendita: la bimba è stata valutata al prezzo di 20mila euro. La polizia ieri ha arrestato tre persone: la madre naturale della bambina, una giovane rumena; l’acquirente, un’italiana di 35 anni che ha simulato la gravidanza, e un intermediario marocchino. La bimba, ora in una struttura protetta, era stata riconsegnata alla madre biologica dopo i sospetti sollevati all’anagrafe perché mulatta. Per un commento sulla vicenda, Marco Guerra ha intervistato Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi. (Associazione amici dei bambini), ente accreditato per le adozioni internazionali: 

R. – Direi che la vicenda è indice di questa subcultura che ormai si è creata così nel contesto italiano, ma anche europeo - se non mondiale - di questa ricerca del figlio ad ogni costo. Il figlio diventa l’oggetto di un desiderio per cui pur di ottenerlo si è disposti a tutto, quindi dal mercimonio, alla compravendita, alla pratica dell’utero in affitto  … Tutto pur di soddisfare questa voglia di avere un figlio. Si arriva così a superare il limite dell’etica, il limite del diritto dell’altro, per cui diventa veramente normale acquistare un figlio. Non è assolutamente un atto di accoglienza, è un atto di possesso.

D. - Ci sono anche casi in Africa di donne messe a partorire bambini per coppie occidentali …

R. - Sì, questa è una cosa risaputa da tempo. Si sapeva di questi viaggi turistici di donne che vanno in questi ospedali dove avviene il passaggio dalla madre al figlio con il riconoscimento. La pratica è effettivamente in uso prima dell’utero in affitto. Quando quest’ultima è stata liberalizzata in alcuni Paesi, il suo utilizzo è diventato quasi normale. Qui si impone subito una considerazione: da un punto di vista etico mi pare che i figli debbano “nascere” in due modi: o nella propria pancia o in adozione.

D. - Per essere chiari: si ribadisce che programmare fin dal concepimento un bambino che non avrà la propria madre, il proprio padre, quindi creando volontariamente un orfano, è un reato …

R. - Prima di essere un reato è una cosa oscena. Mi chiedo come si possa pensare di mettere al mondo un figlio e poi di venderlo; un conto è invece portare a termine una gestazione coma avviene per molti dei nostri figli adottati, una gestazione con tutte le difficoltà, in cui la madre poi decide di abbandonarlo per darlo in adozione. Assistiamo moltissimo a questi fenomeni, donne disperate che decidono di non abortire e pur sapendo che non potranno accudire questo bambino portano comunque a termine la gravidanza per poter dare a questo bambino un futuro nell’adozione. Siamo ai confini del dono: ti regalo la vita affinché tu possa essere accolto.

D. - La bambina, nel caso di Latina, è stata rifiutata per via del fatto che era mulatta. Queste pratiche poi portano anche ad una selezione che chiede il maschio piuttosto che la femmina, il colore degli occhi o dei capelli …

R. - Qui, nel caso di Latina almeno a quanto risulta non è un problema razziale, ma un problema di riconoscimento, in quanto questa madre acquirente avrebbe voluto far vedere che la figlia era un prodotto del suo ventre, ma essendo mulatta, non avrebbe potuto giustificare il fatto del colore all’ufficiale dell’anagrafe. Però effettivamente vediamo, come per esempio nelle pratiche dell’utero in affitto, ci sia tutta una selezione della scelta della madre in relazione alle caratteristiche eugenetiche, per cui si vuole trovare quello che assomiglia di più, la madre più bella per aver il bambino più bello … Chi acquista vuole un prodotto perfetto.

D. - Quindi avere un figlio diventa da un atto di accoglienza un capriccio che deve essere soddisfatto anche secondo determinati criteri …

R. - Sì. Qui veramente il termine accoglienza non c’entra niente. Quando subentra un vendita, l’accoglienza lasciamola da parte. Lo vediamo, purtroppo, in alcune famiglie che, avendo subito la selezione ma non essendo stati accompagnati, arrivano purtroppo all’adozione con questi concetti, quindi accogliere un figlio che corrisponde ai propri desideri, di età, di colore, di sesso, di pelle. E questa non è accoglienza; l’accoglienza è l’accoglienza di un dono che poi produrrà molti frutti buoni e belli.

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della III Domenica di Pasqua

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Nella terza Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo dei discepoli di Emmaus che non riconoscono Gesù risorto che cammina al loro fianco se non quando, a tavola, prende il pane, lo spezza e lo dà a loro. Il Signore scompare ed essi si dicono l’un l’altro:

«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».

Su questo brano evangelico ascoltiamo la riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Come i discepoli di Emmaus, non vediamo Cristo risorto che cammina al nostro fianco quando eventi particolarmente dolorosi ci coinvolgono, e non capiamo quanto ci accade. Come i loro occhi, così i nostri sono incapaci di riconoscerLo, e nel nostro cammino, come fu nel loro, talvolta discutiamo, anche nervosamente, perché dal cuore sorge imperiosa la domanda: “Perché proprio a me? Eppure ho sperato e pregato tanto…”. Il Signore, oggi come allora, si affianca con premura e ci invita a parlare: non vuole che ci isoliamo nel nostro dolore, ma che ci apriamo, ci sfoghiamo, e mette al nostro servizio i suoi ministri per ascoltarci. Poi ci ammaestra, a volte correggendoci con affetto, mostrando quanto sia necessario nella vita attraversare delle prove, portare qualche spina dolorosa, per la nostra salvezza eterna, e non di rado per la testimonianza evangelica che facilita la salvezza altrui. Infine, spezzando le Scritture e il Pane, accende i nostri cuori alla speranza e svela la sua presenza misteriosa in ogni evento. Affiancarsi a chi soffre, stemperare ansia e pena, aprire con la catechesi l’accesso alle Scritture, ai sacramenti, rinfrancando i cuori affranti, sono azioni che esprimono una Carità sublime, necessaria quanto quella che accoglie l’affamato che non ha riparo.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 119

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.