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Sommario del 04/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: capitalismo scarta i più deboli, no a evasione e gioco d’azzardo

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Sconfiggere l’idolatria del denaro alimentata da un’economia centrata solo sul profitto. E’ il monito lanciato da Francesco nell’udienza ai partecipanti all'Incontro "Economia di Comunione", promosso dal Movimento dei Focolari. Il Papa ha messo in guardia dal “sistema dell’azzardo” che sta distruggendo milioni di famiglie. Ancora ha affermato che l’evasione fiscale viola la legge “basilare della vita”: “il reciproco soccorso”. Infine, ha esortato a mettere sempre la persona, soprattutto se debole o povera, al centro del sistema economico. Il servizio di Alessandro Gisotti

Unire “economia e comunione”, raccogliendo l’invito di Chiara Lubich. Papa Francesco ha sottolineato l’importanza dell’esperienza promossa dal Movimento dei Focolari, 25 anni fa in Brasile. E subito ha constatato con amarezza che la cultura attuale tende a separare l’economia e la comunione con conseguenze disastrose.

No al capitalismo che fa del denaro un idolo, contrastare sistema dell’azzardo
Innanzitutto, ha avvertito, bisogna guardarsi dal fare del denaro un idolo. “Il denaro – ha tenuto a precisare – è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine”:

“Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto. La 'dea fortuna' è sempre più la nuova divinità di una certa finanza e di tutto quel sistema dell’azzardo che sta distruggendo milioni di famiglie del mondo, e che voi giustamente contrastate. Questo culto idolatrico è un surrogato della vita eterna. I singoli prodotti (le auto, i telefoni…) invecchiano e si consumano, ma se ho il denaro o il credito posso acquistarne immediatamente altri, illudendomi di vincere la morte”.

Ecco perché, ha soggiunto, è di grande “valore etico e spirituale” la “scelta di mettere i profitti in comune”. E ha soggiunto che “il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo con altri, soprattutto con i poveri”. Ricordarsi sempre, ha soggiunto, che non si possono servire due signori, due padroni e che “il diavolo entra dalle tasche”.

L’evasione delle tasse viola la legge basilare del reciproco soccorso
Ha così rivolto il pensiero al tema della povertà. Il Papa ha rilevato che ci sono sempre state forme di aiuto verso i poveri ma nonostante gli aiuti, gli scarti della società “restavano molti”:

“Oggi abbiamo inventato altri modi per curare, sfamare, istruire i poveri, e alcuni dei semi della Bibbia sono fioriti in istituzioni più efficaci di quelle antiche. La ragione delle tasse sta anche in questa solidarietà, che viene negata dall’evasione ed elusione fiscale, che, prima di essere atti illegali sono atti che negano la legge basilare della vita: il reciproco soccorso”.

Il capitalismo crea scarti e non riesce più a vedere i suoi poveri
Francesco ha così denunciato che il capitalismo “continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare”. “Il principale problema etico di questo capitalismo – ha ripreso – è la creazione di scarti per poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più vedere. Una grave forma di povertà di una civiltà è non riuscire a vedere più i suoi poveri, che prima vengono scartati e poi nascosti”:

“Gli aerei inquinano l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del biglietto pianteranno alberi, per compensare parte del danno creato. Le società dell’azzardo finanziano campagne per curare i giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia!”.

A tutto questo, ha affermato, si contrappone l’economia di comunione che non scarta mai la persona. Per il Papa, “bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale”, non basta comportarsi come buoni samaritani. E ha sottolineato che il grande lavoro da svolgere è “cercare di non perdere il principio attivo” che anima l’economia di comunione, puntando sulla qualità, non sulla quantità:

“Tutte le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri. Salviamo la nostra economia, restando semplicemente sale e lievito: un lavoro difficile, perché tutto decade con il passare del tempo”.

Mettere al centro la comunione, il capitalismo conosce solo la filantropia
“L’economia di comunione – ha ripreso – avrà futuro se la donerete a tutti e non resterà solo dentro la vostra ‘casa’. Donatela a tutti, e prima ai poveri e ai giovani, che sono quelli che più ne hanno bisogno”, perché “il denaro non salva se non è accompagnato dal dono della persona”:

“Il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione. È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le persone che ricevono quelle 'briciole'. Invece, anche solo cinque pani e due pesci possono sfamare le folle se sono la condivisione di tutta la nostra vita. Nella logica del Vangelo, se non si dona tutto non si dona mai abbastanza”.

“Il 'no' ad un’economia che uccide – ha concluso Francesco – diventi un 'sì' ad una economia che fa vivere, perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione”.

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Papa nomina Becciu suo delegato presso l'Ordine di Malta

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Papa Francesco ha nominato mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, delegato speciale per il Capitolo straordinario dell'Ordine dei Cavalieri di Malta. Il servizio di Sergio Centofanti

La nomina del delegato papale arriva “all'inizio del cammino di preparazione in vista del Capitolo straordinario che dovrà eleggere il nuovo Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta”. Nella Lettera di nomina, indirizzata al presule e datata 2 febbraio, Papa Francesco spiega che mons. Becciu “agirà in stretta collaborazione” con il Ven. Balì Fra' Ludwig Hoffmann von Rumerstein, luogotenente interinale, “per il maggior bene dell'Ordine e la riconciliazione tra tutte le sue componenti, religiose e laicali”.

Il delegato “affiancherà e sosterrà” il luogotenente nella preparazione del Capitolo straordinario: insieme verranno decise “le modalità di uno studio in vista dell'opportuno aggiornamento della Carta Costituzionale dell'Ordine e dello Statuto Melitense”.

In particolare – scrive il Papa – mons. Becciu è chiamato a curare “tutto ciò che attiene al rinnovamento spirituale e morale dell'Ordine, specialmente dei membri professi, affinché sia pienamente realizzato il fine «di promuovere la gloria di Dio mediante la santificazione dei membri, il servizio alla Fede e al Santo Padre e l'aiuto al prossimo», come recita la Carta Costituzionale”.

Fino al termine del suo mandato, cioè fino alla conclusione del Capitolo straordinario che eleggerà il Gran Maestro, il delegato – precisa Papa Francesco – sarà suo “esclusivo portavoce in tutto ciò che attiene alle relazioni” tra la Sede Apostolica e l'Ordine. Il Pontefice, dunque, delega a mons. Becciu “tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere in ordine all'attuazione del mandato” affidatogli.

La nomina del delegato segue la crisi che ha investito l’Ordine, con le dimissioni del Gran Maestro, Fra’ Matthew Festing, e il reintegro del Gran Cancelliere, Albrecht von Boeselager, rimosso nel dicembre scorso. In una conferenza stampa, giovedì scorso a Roma, il Gran Cancelliere aveva espresso la gratitudine al Papa per aver portato ad una soluzione rapida della crisi: la fedeltà dell’Ordine di Malta al Successore di Pietro – aveva detto von Boeselager - è una scelta irrevocabile. Il Gran Cancelliere ha anche spiegato che l’intervento del Pontefice non è stata una interferenza né una violazione della sovranità dell’Ordine, in quanto si è interessato alla sua dimensione religiosa e non statuale. L'elezione del nuovo Gran Maestro - ha affermato - avrà luogo nei prossimi tre mesi, come previsto nella Costituzione, anche se la data non è stata ancora fissata. 

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Il saluto del Papa ai malati: vi sono vicino, invocate Maria

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E’ stata pubblicata oggi la Lettera di Papa Francesco al cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nominato Legato pontificio alla celebrazione della XXV Giornata Mondiale del Malato che si svolgerà a Lourdes, in Francia, il prossimo 11 febbraio.

Il Papa, nella Lettera in latino, saluta i malati di tutto il mondo, esprimendo la sua vicinanza di cuore a quanti sono nella sofferenza. “E’ bene prendersi cura integralmente della persona” - afferma - e dunque non perdendo mai di vista “l'anima, la mente e il corpo”. Citando il Libro della Sapienza, ricorda che Dio ha creato tutto per l’esistenza: “Non ha creato la morte né il male e non gode per la rovina dei viventi”.   

Poi, citando il Libro del Siracide, osserva che Dio “ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie”: nello stesso tempo i pastori, i medici e gli stessi malati sono chiamati a pregare il Signore perché li guidi ad alleviare la malattia e a risanarla.

Papa Francesco invita i fedeli a invocare con costanza l’intercessione della Beata Vergine Maria, Salute degli infermi, perché ottenga dal Figlio “grazie abbondanti: soprattutto la pazienza nella tribolazione, la fiducia in Dio, la gratitudine per i benefici ricevuti e un grande amore verso tutti”. E questo, imitando la fede di Pietro che, anche quando non comprendeva Gesù, poteva dire: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68). (S.C.)

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Parolin firma Accordo Quadro in Congo

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Ieri, a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha firmato l’Accordo Quadro sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Presente alla cerimonia della firma anche il Presidente congolese.

L’Accordo Quadro, costituito da un preambolo e 18 articoli, garantisce alla Chiesa la possibilità di svolgere la propria missione nel Congo. In particolare, viene riconosciuta la personalità giuridica della Chiesa e delle sue Istituzioni. Le due Parti, pur salvaguardando l’indipendenza e l’autonomia che sono loro proprie, si impegnano a collaborare per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la promozione del bene comune.

Nell’occasione, il cardinale Parolin ha portato il saluto di Papa Francesco “a tutto l’amato popolo” congolese, sottolineando che la firma dell’Accordo “costituisce una nuova tappa, d’importanza storica”, che cade nel quarantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Congo. Il porporato ha citato San Giovanni Paolo II, in visita Congo nel maggio del 1980: “Lo Stato può contare sulla leale collaborazione della Chiesa, dal momento che si tratta di servire l’uomo e di contribuire al suo progresso integrale. E la Chiesa, in nome della sua missione spirituale, chiede da parte sua la libertà di rivolgersi alle coscienze così come la possibilità per i credenti di professare pubblicamente, di alimentare e di annunciare la loro fede… La libertà religiosa è infatti al centro del rispetto di tutte le libertà e di tutti i diritti inalienabili della persona” (Viaggio Apostolico in Africa, Discorso di Giovanni Paolo II al Presidente della Repubblica del Congo e alla Nazione, Brazzaville, 5 maggio 1980).

“È bene sottolineare - ha aggiunto il cardinale Parolin - che con questo Accordo la Chiesa Cattolica non cerca in alcun modo di ottenere privilegi particolari a spese di altre confessioni”. Si tratta, anzi, “di rafforzare, non solo la comprensione reciproca, ma anche la collaborazione tra le comunità religiose”. Il porporato confida inoltre che “l’attuazione di tale Accordo possa contribuire all’irradiamento della Repubblica del Congo sul piano  internazionale, attestando ancora che il Congo tratta con rispetto le Comunità religiose e attribuisce una reale importanza ai principi del diritto riconosciuti a livello internazionale, e in particolare al principio fondamentale di libertà religiosa: è in tal senso che il documento costituisce anche un bene a favore di tutte le istanze religiose, cattoliche e non cattoliche”. Infine, il segretario di Stato auspica che l’Accordo possa concorrere “al mantenimento della convivenza  pacifica, come anche allo sviluppo integrale del Paese”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Vertice Ue. Merkel: passare ad un'Europa a diverse velocità

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Al vertice europeo di Malta, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha parlato, per la prima volta, dell’esigenza di passare a un’Europa a diverse velocità. “Non tutti i Paesi – ha detto – saranno in grado di partecipare ai vari passi dell'integrazione”. Un’eventualità, questa, che dovrebbe essere ufficializzata nel corso delle celebrazioni del 60.mo anniversario del Trattato di Roma, che si terranno nella capitale italiana il prossimo 25 marzo, e che sta suscitando reazioni positive e negative. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Franco Rizzi, docente di Storia dei Paesi europei all’Università del Mediterraneo: 

R. - Penso una cosa: un bagno di realismo non farebbe male all’Europa. Consideriamo quelli che sono stati i grandi principi su cui è nata l’Europa: la  generosità, la libertà, la democrazia, e vediamo cosa è successo di tutti questi valori con i quali avevamo pensato di poter costruire un’Europa unita. Sono bastati alcuni milioni di persone arrivate in Europa ed è come se ci troviamo in guerra! Quindi, evidentemente queste basi sulle quali si era lanciato il cuore aldilà della siepe, devono essere un attimo riprese. Secondo me non c’è una convivenza possibile tra una persona che ha in mente soltanto l’odio, i muri e noi. Con tutte le problematiche che abbiamo, quanto meno un discorso legato al salvataggio delle vite umane lo abbiamo tenuto presente. Io sono convito che oggi, poter ridimensionare questo "Progetto Europa” sia una strategia perseguibile proprio per non mandare tutto "a carte quarantotto".

D. - Siamo arrivati a questo punto perché l’aspetto economico è diventato preponderante?

R. - È indubbio, ma questa è la solita cosa, cioè mettiamo a posto prima l’economia e poi le cose verranno--- non è vero! La cultura, le tradizioni sono cose fondamentali senza le quali anche l’economia non funziona. Ci sono state tante parole … Pensi solamente a quante cose sono state dette a proposito della democrazia nel Mediterraneo; quante cose sono state dette sulla necessità che questi Paesi della riva Sud del Mediterraneo debbano essere aiutati … Abbiamo assistito a rivoluzioni nelle riva Sud del Mediterraneo senza riuscire a dire niente! Ed è chiaro che il discorso dell’economia e questo dibattito estenuante tra rigore e flessibilità deve essere superato.

D. - Ammettendo dunque che esista un’Europa di serie A e un’Europa di serie B, alla prima fascia apparterrebbero poche nazioni: Germania, Francia e qualcun’altra …

R. – Io ci metterei anche l’Italia, perché noi siamo portatori di tanti valori. È vero che abbiamo dei problemi, però abbiamo anche altre cose. Penso che nello spirito di una serie di nazioni che incarnano l’ideale di costruire un’Europa non solo dell’economia, ma un’Europa della cultura, della politica estera comune, un’Europa con un esercito che pensi agli Stati d’Europa, ci vedo benissimo anche l’Italia, con tutte le pecche e le limitazioni che ha.

D. - L’eventuale uscita della Grecia dall’Euro di cui si sta tornando a parlare, potrebbe avere dei contraccolpi pericolosi?

R. - Certamente da un punto di vista politico non credo che sia una cosa auspicabile. È certo che c’è qualcosa che scricchiola nella costruzione se la Grecia va via dall’Euro.

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Usa. Giudici federali contro Trump su migranti. Nuovo stop negli Usa

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Continua il braccio di ferro tra il Presidente Usa Trump e la giustizia federale, in merito alle restrizioni imposte a cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana che stanno sollevando polemiche in tutta il mondo. Un giudice di Seattle - è il terzo finora - ha sospeso temporaneamente il divieto considerandolo dannoso per lo Stato di Washington. È la prima sentenza a giudicare la costituzionalità del divieto in senso lato con valenza quindi nazionale. Trump ha già annunciato ricorso. Ma qual è la valenza effettiva dei giudici sulla politica del Presidente? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Elisabetta de Franciscis docente di Diritto costituzionale comparato all’Università Federico II di Napoli: 

 R. – I giudici federali, di fatto, sono la speranza per scardinare una sua decisione, in quanto sono i garanti della costituzionalità delle azioni. È chiaro che il Presidente cercherà di fare appello, basandosi sul suo potere-dovere di difendere la sicurezza nazionale. In quel caso la parola sarà della Corte Suprema, attualmente pro-Presidente.

D. - Si è mai verificata una situazione del genere di scontro così frontale?

R. – Sì, ce ne sono state parecchie. La più recente è quella contro George Bush sulla questIone di Guantanámo; la stessa Corte Suprema, in quel caso, bloccò tutte le azioni del Presidente, dichiarandole incostituzionali perché negavano i diritti umani. Ma nel passato ce ne sono state con Franklin Delano Roosevelt, con il Presidente, a cui si ispira tra l’atro Trump, Andrew Johnson che arrivò addirittura a subire due processi di messa in stato di accusa in seguito alla resistenza dei tribunali federali. Quindi gli scontri ci sono stati.

D. - E la Corte Suprema, in base a che cosa decide? Il parere contrario di tanti giudici federali ha un peso?

R. - Certamente la Corte non potrà ignorarlo; dovrà valutare tra il dovere del Presidente di difendere la nazione e la negazione dei diritti umani. La negazioni dei diritti di solito deve avvenire con una legge speciale del Congresso; questa legge non c’è stata e che io sappia il Congresso non l’ha calendarizzata. Quindi la Corte dovrà bilanciare: probabilmente, se si mantiene equilibrata dovrebbe pronunciarsi su un eccesso di potere del Presidente. Ma comunque dovrà prendere in considerazione la reazione mondiale e quella dell’Onu, che so che si sta preparando a reagire.

D. - Già oggi c’è stato un caso di una bambina iraniana molto malata, la cui famiglia era stata prima bloccata in ingresso, perché l’Iran è nella lista che Trump ha stilato, poi è stata ammessa per essere operata in un ospedale di Manhattan. Questo episodio a livello giuridico ha un valore?

R. - Crea un precedente di sospensione, quindi casi simili dovrebbero subire la stessa “fortunata” situazione. Io credo che più di una ricaduta giuridica, questi casi individuali, anche quelli dei giudici che sospendono, avranno una ricaduta politica, nel senso di svegliare un po’ le coscienze sulla gravità e l’eccesso di ricorso ai poteri esecutivi che già in queste prime settimane il Presidente Trump ha dimostrato voler usare.

D. - Qual è il suo parere da giurista, da studiosa su quanto sta accadendo?

R. - Da giurista, questo ricorso ai poteri esecutivi mi sembra eccessivo e non necessario. Trovo la sospensione dei diritti umani di una gravità infinita per una nazione che comunque fa parte dell’Onu ed ha firmato tutti i documenti sui diritti. Non è la prima volta che accade negli Stati Uniti e, come dicevo, di solito è proprio l’organo giudiziario che riporta equilibrio. Quindi bisognerà vedere. Da quello che leggo, si stanno svegliando le coscienze, si stanno risvegliando le organizzazioni, c'è a mio parere un tentativo di ripristinare le cose. 

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Iraq. Offensiva finale su Mosul: potrebbero fuggire in 250mila

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Mentre a Mosul l’offensiva governativa contro i militanti del sedicente Stato Islamico si avvia verso la fase finale, l’Onu avverte che 250mila abitanti della zona ovest potrebbero abbandonare la città. Matthew Saltmarsh, portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), riferisce che l’agenzia internazionale e altre organizzazioni si stanno preparando con urgenza “a rispondere ad un possibile significativo aumento di rifugiati iracheni, in fuga dall’ultima fase dell’offensiva” contro i combattenti del Califfato nella parte ovest di Mosul. Il portavoce afferma - riferisce l'agenzia AsiaNews - che se l’avanzata delle truppe della coalizione, composta da esercito e Peshmerga curdi, dovesse subire un’accelerazione, “almeno 250mila persone si riverserebbero nelle strade”, considerato che nella seconda città irachena per importanza vivono circa 750mila persone.

Molti abitanti sono ancora intrappolati nella città
I rifugiati andrebbero ad aggiungersi alle circa 161mila persone che già hanno abbandonato case e proprietà dallo scorso ottobre 2016, quando è iniziata l’offensiva. Mentre in tanti attendono con ansia il momento del rientro, come raccontato ad AsiaNews da padre Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya (Kurdistan), molti abitanti sono ancora intrappolati nella città. “Siamo davvero preoccupati per il loro benessere”, dice il rappresentante Onu. La riconquista della parte orientale di Mosul ha generato aspri combattimenti, che hanno anche portato alla luce le atrocità commesse dai fondamentalisti contro la popolazione civile. Secondo il portavoce, la nuova battaglia nella parte occidentale sarà ancora più “letale”.

L’83% dei rifugiati sfollati da Mosul, vive nei Campi e nei Centri di emergenza
Saltmarsh riporta che la maggior parte dei rifugiati sfollati da Mosul, circa l’83% del totale, vive nei Campi e nei Centri di emergenza. L’Unhcr gestisce sette accampamenti, dove accoglie circa 66mila persone, e altri due sono in costruzione. Entro la fine di marzo, l’agenzia spera di poter ampliare le strutture di accoglienza per dare rifugio ad almeno 246.930 persone.

In molti fuggono dal distretto di Hawija per scampare alle deportazioni dell’Isis
Da ultimo, il rappresentante Onu avverte dell’aumento incessante di abitanti che fuggono dal distretto di Hawija per scampare alle deportazioni dell’Isis. Ad oggi “più di 82mila persone sono scappate verso le zone orientali di Salah al-Din e Kirkuk, ma il numero potrebbe presto salire a 114mila. Coloro che stanno abbandonando Hawija corrono gravi pericoli, compreso il rischio di divenire vittime di rapimento o di saltare in aria sulle mine lasciate dai miliziani”. (R.P.)

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Angola: il presidente dos Santos non si ricandiderà

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Dopo 37 anni al potere in Angola, il Presidente José Eduardo dos Santos ha annunciato che non si candiderà per un nuovo mandato alle elezioni del prossimo agosto. Lascerà la carica ad un suo fedelissimo, l’attuale vicepresidente e ministro della Difesa, il generale in pensione Joao Lourenço, candidato del primo partito del Paese, il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla): la Costituzione non prevede uno scrutinio presidenziale ma precisa che Capo dello Stato diventa il leader dello schieramento che si aggiudica le legislative. A quindici anni dalla fine della guerra civile, durata circa tre decenni con più di 500 mila morti, come leggere la decisione di dos Santos? Risponde Anna Bono, profonda conoscitrice delle dinamiche africane, intervistata da Giada Aquilino

R. – Penso che forse siano servite alcune vicende recenti verificatesi in Africa; soprattutto ciò che è successo in Gambia poche settimane fa: cioè un Presidente, Yahya Jammeh, che rifiuta di passare il testimone e che è costretto a lasciare il potere perché vede contro di sé gli altri Presidenti africani e tutta l’Unione Africana.

D. – Eppure ci sono casi ancora in Africa in cui questo non succede, come ad esempio in Zimbabwe, dove Mugabe ha appena annunciato una nuova ricandidatura a 93 anni…

R. – Non c’è dubbio. Questo vale per l’Uganda, per il Burundi e ci sono altri esempi indubbiamente. Ma io immagino che dos Santos abbia pensato intanto di cedere il potere a un suo fedelissimo: e questo va messo in conto. E poi va visto il profilo di questo Presidente: è un uomo di 74 anni ed è il Capo di Stato più ricco dell’Africa con un patrimonio personale che si calcola intorno ai 20 miliardi di dollari. Nel caso in cui una sua ricandidatura suscitasse reazioni consistenti da parte dell’opposizione, rischierebbe una campagna elettorale e poi una sfida incerta o comunque molto combattuta; nel caso perdesse, ci sarebbe l’eventualità di lasciare il potere in modo doloroso, non a lui favorevole. Credo che i suoi capitali li abbia messi al sicuro, li abbia investiti. Tra l’altro anche sua figlia è considerata la donna più ricca del continente. Insomma, la famiglia è ben sistemata.

D. – Lei ha citato la figlia di dos Santos, che è alla testa della compagnia nazionale degli idrocarburi. Ecco: quanto i profitti delle attività legate agli idrocarburi e alle risorse minerarie in generale restano in Angola in questo momento?

R. – L’economia dell’Angola si regge sulla produzione e l’esportazione del petrolio, con alcuni nodi che stanno venendo al pettine. Prima di tutto, con il crollo del prezzo del petrolio, l’Angola si è salvata rispetto alla Nigeria - che è entrata addirittura in recessione - però ha risentito fortemente dell’andamento dei mercati internazionali. In questi anni, come altri Stati africani, il Paese non ha approfittato delle enormi ricchezze minerarie per modernizzare l’economia, diversificarla, creare infrastrutture. Il Paese è infatti ancora in gran parte povero. 

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Card. Sandri: annunciare Cristo “con la coerenza dei martiri”

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“Abbiamo bisogno di recuperare lo sguardo sulla vita personale e del mondo anzitutto facendo silenzio, mettendoci in ascolto della Parola del Signore e della Tradizione ecclesiale che la illumina e la interpreta nell’oggi. Proprio per questo allora, non aver paura di andare controcorrente annunciando Gesù Cristo con mitezza certo ma senza perdere la forza e la coerenza dei martiri”. Lo ha detto ieri sera il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, durante la celebrazione eucaristica nella diaconia cardinalizia dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari, a Roma, per la festa del compatrono san Biagio, vescovo e martire. 

Tante voci per dividere o per offendere, e forse troppo poche per incoraggiare e costruire
Guardando al martirio dei sette fratelli riportato nel libro dei Maccabei e alla testimonianza del vescovo Biagio - riferisce l'agenzia Sir - “ci viene posta la domanda – si è interrogato il porporato – su dove stiano le nostre radici, su quale roccia stiamo decidendo ogni giorno di appoggiare la nostra vita, a quale sorgente cerchiamo con tutte le nostre forze di abbeverarci”. “Intorno a noi – ha osservato – tanta confusione, a livello internazionale e locale, tante voci che insinuano per dividere o per offendere, e forse troppo poche per incoraggiare e costruire. 

Non dimenticare grandi questioni sulla vita, l'amore, la famiglia, i poveri o l'aiuto al Terzo mondo 
Anche su questioni grandi circa la vita, nel suo nascere e morire, il modo di amare e costruire una famiglia, accogliere i poveri o aiutare i Paesi in guerra o in via di sviluppo, si rischia spesso di operare grandi riduzioni – a volte condizionate da differenti ideologie – o di esprimersi semplicisticamente come se si mettesse un ‘mi piace’ su una foto o una frase che qualche conoscente pubblica sui moderni mezzi di comunicazione mediatica”.

Il ricordo di coloro che in Oriente versano il loro sangue per il nome di Gesù
Il cardinale ha quindi rivolto il pensiero “ai testimoni che anche vicino a noi compiendo il loro dovere quotidiano con abnegazione sono giunti persino a perdere la vita”, riferendosi “agli eroici soccorritori dei nostri fratelli e sorelle provati dai terremoti e da altre calamità naturali”, senza dimenticare “coloro che ai nostri giorni, soprattutto nelle terre provate dell’Oriente, soffrono violenza e versano il loro sangue per il nome di Gesù”. (R.P.)

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O. Tarzia: 40 anni di sfide per la vita; dall’aborto al gender

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"Ci alzeremo in piedi. L’Italia dall’aborto alle unioni civili: il mio viaggio tra passione civile e testimonianza cristiana". È titolo del libro di Olimpia Tarzia presentato oggi presso la Pontificia Università Lateranense,  alla presenza del rettore mons. Enrico dal Covolo, alla vigilia della 39esima Giornata per la vita indetta dalla Chiesa italiana. L’autrice, biologa, cofondatrice del Movimento per la vita ed esponente di punta nel panorama pro-life italiano, traccia un bilancio degli ultimi decenni che hanno visto moltiplicarsi gli attacchi alla vita.  Uno stravolgimento del tessuto sociale che, dalla promulgazione della legge sull'aborto nel 1978, ha visto in Italia oltre cinque milioni e mezzo di interruzioni di gravidanza e un’impennata del consumo della cosiddetta pillola del giorno dopo pari al 400%. Su questo tema e le altre sfide legate all’antropologia umana tratteggiate in questo volume, Marco Guerra ha intervistato la stessa Olimpia Tarzia

R. – Questo libro, in realtà, ha il filo conduttore della mia storia: quindi dal 1978, dalla famosa approvazione della legge 194, quando eravamo ragazzi fuori dal Senato dove si approvava questa nefasta legge, e fino ai giorni d’oggi con le Unioni civili, con le nuove sfide. Lo scopo del libro, io confido che possa essere utile per tutti sicuramente, per chi vuole capire di più, e alzarsi in piedi, “reagire”, come diceva San Giovanni Paolo II. Ma fondamentalmente, credo che possa essere utile per i giovani che vogliono avvicinarsi alla politica, perché comprendano quanto è centrale il tema dei principi non negoziabili.

D. – “Alzarsi in piedi”: il titolo di questo libro che ripercorre 40 anni di impegno civile per la difesa della vita e dell’antropologia umana. Decenni in cui, dalla legge sull’aborto in poi, è stato colpito il tessuto della società italiana…

R. – Senza dubbio l’approvazione della legge 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia, ha aperto un varco. Nel momento in cui una legge di Stato consente di uccidere un bambino non ancora nato, evidentemente vengono a crollare i primi diritti. Io ricordo sempre che il diritto alla vita non ha un colore né religioso né politico: è il primo dei diritti umani. Sappiamo oggi che la prima causa di ricorso all’aborto è di natura economica. Come si può pensare di vivere in uno Stato che, come Pilato, dice: “Sono problemi tuoi!”, di fronte ad una gravidanza difficile. Io credo che quella legge abbia banalizzato la vita umana. Dobbiamo tenere presente che gli attacchi alla vita sono sempre congiunti con gli attacchi alla famiglia, e si concentrano dove la vita umana è più debole: all’alba e al tramonto, quindi alla vita prenatale e alla vita terminale. È chiaro che, venendo meno la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che garantisce a tutti pari diritti – sani, malati, piccoli, grandi, ricchi, poveri… - è venuta meno la risposta forte che è la centralità di ogni azione, anche quella politica.

D. – Dalla legge sull’aborto al referendum sulla legge 40, sulla procreazione assistita. Sconfitte e vittorie che comunque dimostrano che esiste ancora una certa vitalità dei cattolici italiani, e anche dei laici, nella capacità di incidere nel dibattito pubblico. Siamo tutti chiamati all’impegno civile, credenti e non credenti?

R. – Non c’è dubbio, perché – ripeto – sono temi che non hanno un’appartenenza o una connotazione religiosa. E rispetto alla legge 40, io ricordo che non è assolutamente la legge dei cattolici. Non dimentichiamo che le tecniche di fecondazione artificiale, sia omologa che eterologa, comportano sempre perdite di vite umane. Però, quella legge 40 ha rappresentato una riduzione del danno, perché c’era un “Far West” totale. E le persone hanno capito; e chi è rimasto nel dubbio non è andato a votare. Quindi – davvero – noi dobbiamo fare ricorso alla ragione. Quindi credo che quel segnale sia stato importante. Certamente, non abbiamo saputo capitalizzarlo.

D. – La “cultura dello scarto”, evocata da Papa Francesco, è uno dei mali della società contemporanea. Non a caso, in queste settimane, va in Parlamento la discussione sul controverso testo sul fine vita, basato sull’autodeterminazione dell’individuo. C’è un altro modo per accompagnare le persone vicine alla morte?

R. – Papa Francesco si riferisce proprio all’uomo scartato. È chiaro che alla fine, un morente, anche un disabile grave, in questa logica viene considerato un peso, una difficoltà, una spesa sanitaria, quindi da eliminare. Pensiamo proprio anche a questa legge attualmente in corso a livello parlamentare, dove si prevede che l’idratazione e l’alimentazione sia possibile sospenderle. Ora, quella non è una terapia. Anche la Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico. Da questo punto di vista, questa cultura dello scarto, se noi la abbiniamo all’utilitarismo, al mercato, ecco che abbiamo una miscela esplosiva.

D. – Lei ha parlato di attacchi all’alba e al tramonto della vita. Quali sono le prossime sfide che dopo questi 40 anni dovranno essere raccolte e combattute?

R. – Prima di tutto, bisogna puntare a formare giovani perché si impegnino in una politica con la “P” maiuscola. La politica deve fare leggi che siano rispettose di tutte le dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo, della dignità della persona umana. Io credo che di fronte al dramma dell’utero in affitto tutte le donne del mondo – anzi – soprattutto le femministe che io incontrai nel 197,  e che dicevano: “L’utero è mio e lo gestisco io!”, si dovrebbero ribellare. Perché è la peggiore schiavitù a cui può essere sottoposta una donna, utilizzata semplicemente come un’incubatrice: tra le schiavitù più orrende! Ed evidentemente è chiaro che se noi banalizziamo anche il concetto di uomo-donna, sotto c’è la questione del gender, anche qui siamo di fronte alla follia pura, al voler chiamare “genitore 1; genitore 2” invece di “mamma e papà”. È uno stravolgimento epocale! Io credo che però davanti a questo bisogna – ecco –  “alzarsi in piedi".

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La Cei investe 9 milioni di euro in progetti per l'Africa

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Africa, America Latina e Asia: sono i Paesi nei quali la Conferenza Episcopale Italiana investe i fondi dell’8 per mille. Si tratta di 119 progetti, per un totale di oltre 18 milioni di euro, che riguardano principalmente l’educazione e la sanità. Ce ne parla Benedetta Capelli: 

Praticamente un giro del mondo nel segno della solidarietà. I fondi dell’8 per mille della Chiesa italiana sono da sempre destinati ad opere di bene in Paesi in difficoltà. In genere un terzo del totale è destinato al sostentamento del clero, un terzo per il culto, un terzo per la carità. Il Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo della Cei, ogni anno, promuove dei progetti che vengono prima presentati, solitamente dalle diocesi, dalle ong, dalle associazioni di volontariato attive sul territorio, poi vagliati da attente commissioni con esperti del settore e infine approvati. Don Leonardo Di Mauro, direttore del Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo della Cei:

“Il 50% dei nostri finanziamenti va all’Africa, che è il continente più povero sempre. Poi c’è un 20% all’America Latina; un 20% all’Asia; e il restante 10% si distribuisce tra il Medio Oriente, i Paesi dell’Est Europa: non tutti, solo nove, quelli che rientrano nella lista dell’Ocse. E poi qualche progetto in Oceania”.

I progetti solitamente sono legati all’educazione, alla sanità, all’agricoltura, all’artigianato e alla promozione sociale delle minoranze. Tra le varie iniziative anche una a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, ormai nel cuore di Papa Francesco, e promosso dalla diocesi locale.

“Abbiamo progetti da qualche migliaio di euro fino a progetti che comportano un investimento di milioni. Per quanto riguarda l’Africa, abbiamo approvato un progetto che riguarda un reparto ortopedico e fisioterapico al Centro medico “Papa Giovanni Paolo II”, in Ghana. Poi, nel Centrafrica, abbiamo finanziato la costruzione di un Centro di cura psicosociale e d’igiene mentale. Poi abbiamo, nell’America Latina, un progetto di rafforzamento agricolo e di sicurezza alimentare per quindici comunità. E in Medio Oriente, in Kurdistan, abbiamo finanziato un progetto di aiuto umanitario alle comunità di sfollati in difficoltà. Poi, questa volta c’è anche il progetto dell’Oceania che riguarda la costruzione di un Centro professionale in Papua Nuova Guinea”.

Con il passare degli anni e l’aumento delle differenze tra ricchi e poveri, il mondo che chiede aiuto è un mondo fortemente impoverito dalle diseguaglianze sociali, sfruttato per il profitto di pochi: 

"È un mondo davvero povero, meglio ‘impoverito’. Dal nostro punto di vista, dalle richieste di aiuto possiamo dire che è una cosa che fa male, che fa soffrire, perché, forse con un impegno diverso, un’economia diversa, una visione diversa come quella che ci propone Papa Francesco nella ‘Laudato Si’’, forse le cose potrebbero andare diversamente”.

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Sisma, i vescovi: lo Stato coinvolga le Diocesi nella ricostruzione

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La ricostruzione dei beni ecclesiastici nelle regioni dell’Italia centrale colpite dallo sciame sismico è stata al centro dell’incontro, ieri a Macerata, tra il commissario straordinario del Governo per la ricostruzione Vasco Errani e i vescovi di Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria. I presuli hanno ribadito la necessità che le Diocesi e le comunità locali vengano coinvolte nel processo di progettazione e di riedificazione. Francesca Sabatinelli:     

Ora che si inizia a mettere a punto le analisi dei singoli edifici danneggiati, le idee sono più chiare e per i vescovi delle zone dell’Italia centrale colpite dal terremoto un aspetto su tutti prevale, quello della necessaria collaborazione tra Diocesi e Stato centrale nella ricostruzione dei beni distrutti o resi inagibili dal sisma. Le chiese sono nostre, le conosciamo bene - spiega mons. Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata-Tolentino, per questo è necessaria la collaborazione:

“Solo chi conosce tutta la storia di un edificio, di una chiesa, chi che ne ha curato i restauri precedenti, chi sa quale sia l’utilizzo mensile, settimanale, quotidiano di una chiesa è in grado di dare le indicazioni migliori sia per una messa in sicurezza che per un futuro recupero. Per questo un governo che non coinvolge i livelli locali, che non crea un ottimo tandem tra la Chiesa, che è proprietaria degli edifici, e l’amministrazione governativa, che vuole risistemarli e restaurarli, sarebbe molto miope. Questo è un discorso molto chiaro! Qui siamo i primi interessati a fare le cose bene, a farle onestamente e a farle per il bene della nostra gente. Per cui lo Stato avrebbe tutto l’interesse a collaborare con noi. L’attenzione di Errani mi sembra che vada proprio in questa direzione. Un terremoto così diffuso sul territorio non c’è mai stato in Italia, un terremoto con un numero così alto di beni culturali danneggiati non c’è mai stato in Italia per cui, davanti a queste due realtà, bisogna valorizzare al massimo la collaborazione di tutti. Un’unica struttura che pretenda di gestire tutto fin nella scelta del singolo tecnico, nella scelta della singola ditta e nell’approvazione del singolo minimo progetto, diventa un collo di bottiglia che non farà mai andare avanti la ricostruzione. Io credo che dire ad un vescovo, attraverso i suoi parroci: 'La chiesa ve la restauriamo noi, però voi non ci dovrete entrare per niente!', sarebbe sballato”.

Tolentino è stata colpita duramente dal sisma, così come altre tre vicarie. Per celebrare ci si affida a soluzioni di emergenza che dovranno andare avanti per almeno 2-3 anni, spiega ancora mons. Marconi:

“Io ho la mia cattedrale, le quattro concattedrali chiuse, non distrutte ma seriamente danneggiate, questo vuol dire che non si riapriranno di qui a qualche mese. Io ho una cinquantina di chiese chiuse con danni che richiedono studio, valutazione della statica di alcune parti della struttura e un lungo lavoro di recupero. Per dare un’idea: in tutta la città di Tolentino sono rimaste in piedi due chiese e ce ne erano 12-13, non è che sono crollate, ma sono inutilizzabili, compreso il Santuario di San Nicola e Tolentino vive sul pellegrinaggio a San Nicola. Tutte le chiese del centro storico di Macerata sono chiuse. E’ aperta solo la cappellina della Madonna della Misericordia, una cappellina per 70 persone. Per questo stiamo dicendo: sulle messa in sicurezza dateci modo di agire in prima persona, di essere protagonisti, perché ci preme tanto!”.

Il timore dei vescovi e delle loro comunità è che si possa scivolare verso una gestione della ricostruzione molto centralizzata che non valorizzi i livelli locali e che per questo potrebbe trasformarsi in un boomerang.

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Messaggio Cei sull'insegnamento della religione cattolica

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La scelta di avvalervi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) “non è una dichiarazione di appartenenza ad una religione, né è un modo per influenzare la coscienza di qualcuno, ma vuole esprimere solo la richiesta alla scuola di voler essere istruiti anche su quei contenuti religiosi previsti dalle Indicazioni didattiche e che costituiscono una chiave di lettura fondamentale della realtà in cui noi tutti oggi viviamo”. Lo ricorda la presidenza della Conferenza episcopale italiana nel messaggio rivolto a studenti e genitori in vista della scelta di avvalersi dell’Irc per l’anno scolastico 2017-18. 

Il patrimonio della Chiesa cattolica costituisce un contributo alla crescita della società 
“Papa Francesco – proseguono i vescovi – ripete spesso che stiamo vivendo non solo un’epoca di cambiamenti e trasformazioni, ma proprio un ‘cambiamento di epoca’ e anche la società italiana può ormai definirsi plurale e multiculturale, ma la storia da cui veniamo è un dato immodificabile e le tracce che in essa ha lasciato e continua ad offrire la Chiesa cattolica costituiscono un contributo alla crescita della società di tutti”. Nel messaggio, studenti e genitori vengono invitati “a compiere questa vostra scelta non solo a partire dalle vostre posizioni religiose e dalla consapevolezza del valore dell’Irc, ma anche e soprattutto sulla base di una reale conoscenza dei contenuti propri di questa disciplina scolastica”.

Gli insegnanti di religione, testimoni credibili di un autentico impegno educativo
“Avvalersi delle opportunità offerte dall’insegnamento della religione cattolica a scuola - scrivono i vescovi - permette di trovare negli insegnanti delle persone professionalmente molto qualificate, ma anche testimoni credibili di un impegno educativo autentico, pronti a cogliere gli interrogativi più sinceri di ogni persona e ad accompagnare ciascuno nel suo personale ed autonomo percorso di crescita”. 

Il volto attuale dell’Irc è assai diverso da quello delineato nel 1985
Richiamando quanto pubblicato nel volume “Una disciplina alla prova. Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione nella scuola italiana”, i vescovi sottolineano che “il volto attuale dell’Irc è assai diverso da quello delineato dalla situazione sociale e culturale dell’Italia del 1985, quando fu firmata la Prima Intesa sull’Irc dopo la Revisione del Concordato”. “La ‘prova’ di cui parla il titolo del volume – proseguono – è quella della scolarizzazione della disciplina, cioè della compatibilità dell’Irc con finalità e metodi della scuola, e gli autori della ricerca ritengono che si tratti di una prova superata in maniera egregia”. 

L'Irc ha un tasso di adesione globale di poco inferiore al 90% di tutti gli studenti italiani
​Per la Cei, “all’epoca della firma del nuovo Concordato pochi avrebbero scommesso sulla tenuta di questo insegnamento, che oggi invece mostra di essere ancora vitale, con un tasso di adesione globale di poco inferiore al 90% di tutti gli studenti italiani”. “La ricerca – sottolineano i vescovi – ha anche verificato il sapere religioso degli studenti, rilevando che le cose vanno meno peggio di quanto si possa immaginare: le conoscenze bibliche sono buone; la consapevolezza etica degli studenti cresce col crescere dell’età; alcune conoscenze sulle altre religioni appaiono discrete”. (R.P.)

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La prevenzione al centro della Giornata mondiale contro il cancro

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Ricorre oggi la Giornata mondiale contro il cancro promossa dall'Unione Internazionale Contro il Cancro e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità che quest’anno prosegue la campagna triennale World Cancer Day. Il servizio di Giulia Angelucci:
 
Il cancro è al secondo posto come causa di morte nel mondo, preceduto solo dalle malattie cardiovascolari, con un’incidenza in forte aumento nel corso degli ultimi dieci anni. Le probabilità di ammalarsi nella vita sono ormai di 1 su 3 per gli uomini e di 1 su 4 per le donne. Il tasso di guarigione è passato dal 40% del 2000 al 61% attuale ma occorre spingere sulla prevenzione. Per questo il motto della Giornata 'Noi possiamo. Io posso'. Sentiamo Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori: 

R. – Certamente gli ultimi 2-3 anni sono stati anni molto importanti per gli sviluppi della ricerca e per i risultati ottenuti dalla ricerca. Quest’anno direi che sostanzialmente i principali istituti stanno lavorando su due grandi tematiche. La prima è quella relativa ai cosiddetti nuovi farmaci immunoterapici, perché abbiamo scoperto che il tumore è in grado di silenziare l’effetto del nostro sistema immunologico e questi nuovi farmaci sono farmaci che riescono a restaurare questa attività del nostro sistema immunologico. Il secondo punto, su cui stanno lavorando i principali istituti, è capire come mai non tutti i pazienti rispondono a questi farmaci.

D. – Tra diagnosi più precoci e nuove frontiere terapeutiche, qual è  il bilancio del vostro Centro e quale la situazione italiana?

R. – L’Italia sicuramente è tra i primi Paesi europei e anche a livello mondiale siamo ben rispettati, perché - nonostante non ci siano eccessivi finanziamenti nella ricerca - la capacità dei nostri ricercatori e dei nostri ospedali è certamente molto importante.

D. – Si possono dare alcuni consigli per la prevenzione al cancro?

R. – Noi riusciamo a curare e a guarire più tumori adesso che negli ultimi 15-20 anni. La maggioranza di tumori non vengono per caso: tranne una piccola quota di tumori che vengono su base ereditaria, soprattutto nell’età meno avanzata, in età giovanile, e alcuni tumori in cui stiamo scoprendo alcune predisposizioni, nella quasi totalità dei casi sono le nostre cattive abitudini di vita che fanno sì che noi – già esposti in un ambiente non particolarmente favorevole alla prevenzione della malattia - ci ammaliamo più facilmente.  Quindi se noi cambiassimo le nostre abitudini di vita ridurremmo, a livello individuale, il rischio di ammalarci: questa è la prevenzione primaria. Il secondo punto è la prevenzione secondaria e con questo si intende diagnosi anticipata: l’esecuzione di questi esami in programmi coordinati a livello nazionale e regionale permette una diagnosi prima che si manifesti il sintomo. E quali sono i vantaggi? Maggior curabilità e soprattutto poter utilizzare delle tecniche - chirurgiche, radioterapiche e farmacologiche - che sono meno impattanti e meno invasive sul paziente. E questo permette di aumentare non soltanto la sopravvivenza, ma anche la qualità della vita, perché gli interventi sono meno dannosi sulla persona. 

Considerando l'intera popolazione italiana, il tumore in assoluto più frequente è il carcinoma della cute, seguito da quello della mammella, del colon retto, della prostata e del polmone. Ascoltiamo Mauro Picardo, direttore scientifico dell’istituto Ifo di Roma:  

R. – Sul cancro della pelle, che è l’area di interesse del nostro Istituto dermatologico San Gallicano, posso dire che sono stati fatti dei grandi progressi e da tanti punti di vista: grandi progressi sull’individuazione di quelle che possono essere le concause, fondamentalmente di origine ambientale, e che possono facilitare l’insorgenza dei tumori cutanei; sono stati fatti notevoli progressi sugli studi di biologia molecolare e quindi sui meccanicismi che inducano il danno al carico del Dna; ma anche notevoli progressi sono stati fatti da un punto di vista terapeutico. La situazione italiana è di grande attenzione nei confronti del problema: la Comunità Dermatologica Italiana è molto sensibile all’aspetto dei tumori cutanei – sia del melanoma che di quelli che vengono definiti “non melanoma skin cancer”. E’ ovvio che la comunità dermatologica è interessata alla prevenzione della comparsa dei tumori cutanei, delle identificazioni di lesioni che possono essere a rischio e di identificare precocemente la presenza del tumore in cui il trattamento chirurgico o medico può essere risolutivo.

D. – Si possono, in questo senso, dare alcuni consigli per la prevenzione al cancro?

R. – Certamente il cambio degli stili di vita, la riduzione all’esposizione solare, la riduzione dell’esposizione a raggi ultravioletti artificiali sono aspetti importanti per poter prevenire e ridurre l’incidenza dei tumori.

D. – Cosa è in preparazione per la Giornata Mondiale contro il cancro?

R. – Informare le persone su quelli che possono essere i fattori di rischio per insorgenza dei tumori, la presenza di lesioni che potrebbero essere associate o potrebbero indicare la presenza di tumori e quindi di poter fare una visita dermatologica precoce; e quella di identificare persone che sono – come si dice – fenotipicamente a rischio per lo sviluppo dei tumori. E riguardo ai “non melanome skin cancer”, che sino a qualche anno fa venivano soltanto trattati con l’asportazione chirurgica, c’è adesso un concetto di terapia medica che può essere fatto di terapia fisica, di terapia fotodinamica, da creme.. E secondo me è una cosa importante che le persone sappiano. Io credo che un messaggio importante per i radioascoltatori sia quello di considerare che i tumori della pelle si possono identificare precocemente, che è possibile fare una prevenzione seria e che, facendo dei follow up periodici, è possibile prevenirne l’evoluzione. 

Ascoltiamo Laura, una delle protagoniste del documentario Kemioamiche che parla di  donne che hanno combattuto il tumore al seno:

“Tutto il gruppo è è stato molto discreto, forse c’è un po’ un tabù a parlarne… Però quello che a me ha fatto piacere è che, sulla mia esperienza, donne che non facevano prevenzione adesso hanno cominciato a farla. E questo già vale moltissimo per me! Io sono una che posso dire che probabilmente mi sono salvata nel fare prevenzione”.

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Nigeria. Mons. Kaigama: violenze pastori fulani come Boko Haram

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“Non abbiamo visto lo stesso zelo nel combattere i pastori criminali che attaccano gli agricoltori, come quello dimostrato nella lotta contro Boko Haram” denuncia mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria. I pastori Fulani, spinti dalla desertificazione che colpisce la fascia sub-sahariana nel nord della Nigeria, si spingono verso le aree centrali e meridionali del Paese, invadendo zone abitate da popolazioni sedentarie dedite all’agricoltura, compiendo vere e proprie razzie, con morti e feriti.

Non si affronta la questione con lo stesso zelo come nel caso di Boko Haram
“Siamo molto preoccupati per le situazioni di crisi che hanno terribili conseguenze” ha dichiarato mons. Kaigama. “Una di queste è la questione dei pastori criminali che attaccano altre popolazioni, specie gli agricoltori. È un fatto molto inquietante, che sembra non avere fine e che interessa diverse aree del Paese, ma non si affronta la questione con lo stesso zelo come nel caso di Boko Haram”. “L’allevamento di animali, come l’agricoltura, è un aspetto molto importante della nostra economia, specialmente di fronte al crollo delle entrate petrolifere” ha sottolineato l’arcivescovo, ma “l’allevamento di bovini e di altri animali non deve sfociare in contese costanti, occupazioni forzate di terre o morti senza senso”.

Vescovi chiedono la creazione da parte del governo di appositi ranch
Mons. Kaigama ribadisce la soluzione proposta dai vescovi ovvero la creazione da parte del governo di appositi ranch, dove i pastori possono allevare i loro animali senza doversi spostare da un’area all’altra alla ricerca di pascoli. (L.M.)

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della V Domenica T.O.

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Nella quinta Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli: 

«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?  (…) Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte».

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo… Risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Quali sono queste opere buone dei cristiani che fanno incontrare gli uomini con Dio? Pregare e digiunare molto? Lo fanno anche altre religioni. Dare il pane agli affamati, lenire i bisogni socio economici dell’uomo e accogliere gli esuli rifugiati? Sono senza dubbio opere di misericordia importanti, ma non costituiscono l’agire esclusivo dei cristiani. Tanti non credenti e svariate “Ong” si spendono per questo! Già il profeta Isaia ricordava di offrire il “Pane dell’anima”, anzi, la propria stessa anima all’afflitto. San Paolo, più esplicitamente, scriveva di vivere e annunciare null’altro che Cristo crocifisso. “Amatevi come io vi ho amato!” ci esorta il Signore; “da questo conosceranno che siete miei discepoli”, e aggiungeva: “siate uniti e il mondo crederà”. Chi, oltre all’azione sociale, perdona e giustifica la persona ostile, colui che porge l’altra guancia e saluta chi non lo saluta e porta i pesi dell’altro per salvaguardare l’unità dei fratelli, vince il male con il bene. Costui risplende di luce vivissima, sciogliendosi come il sale e insaporendo ogni ambiente di presenza divina. Questo è il cibo dell’anima che ogni uomo anela ricevere!

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 35

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.