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Sommario del 08/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: sono spesso i poveri e i sofferenti ad insegnarci la speranza

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Chi perde la speranza finisce nella disperazione e fa “cose brutte”: impariamo dai poveri e dagli emarginati a sperare, rimanendo vicini a chi si sente abbattuto dal “peso della vita” e non riesce a “sollevarsi”. Così il Papa all’Udienza generale in Aula Paolo VI, proseguendo il ciclo delle catechesi sulla speranza cristiana e soffermandosi sulla fonte del conforto reciproco e della pace. Il servizio di Giada Aquilino

A sperare è chi sperimenta ogni giorno la precarietà
Sono gli ultimi delle nostre società che ci insegnano a sperare, perché “nessuno” impara a farlo “da solo”. All’udienza generale, riallacciandosi alla Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, Papa Francesco chiarisce che la speranza, “per alimentarsi”, ha bisogno necessariamente di un “corpo”, di una “dimora naturale”, cioè la Chiesa: la speranza cristiana, spiega, non ha solo un respiro personale, individuale, ma “comunitario, ecclesiale”: le varie “membra” - continua il Pontefice - si sostengono e si ravvivano “a vicenda”. E, se speriamo, è perché “tanti nostri fratelli e sorelle” hanno tenuto “viva” per noi la speranza:

“Tra questi, si distinguono i piccoli, i poveri, i semplici, gli emarginati. Sì, perché non conosce la speranza chi si chiude nel proprio benessere: spera soltanto nel suo benessere e questo non è speranza: è sicurezza relativa; non conosce la speranza chi si chiude nel proprio appagamento, chi si sente sempre a posto… A sperare sono invece coloro che sperimentano ogni giorno la prova, la precarietà e il proprio limite”.

La misericordia del Padre
Questi fratelli, evidenzia Francesco, danno la testimonianza “più bella, più forte”, perché rimangono “fermi” nell’affidamento al Signore:

“Al di là della tristezza, dell’oppressione e della ineluttabilità della morte, l’ultima parola sarà la sua, e sarà una parola di misericordia, di vita e di pace. Chi spera, spera di sentire un giorno questa parola: 'Vieni, vieni da me, fratello; vieni, vieni da me, sorella, per tutta l’eternità’”.

La vicinanza della Chiesa verso chi è scoraggiato
L’invito è a porre l’attenzione sui fratelli che rischiano maggiormente di perdere la speranza: abbiamo “sempre” notizie, osserva il Papa, di gente “che cade nella disperazione e fa cose brutte”:

“La disperazione li porta a tante cose brutte. Il riferimento è a chi è scoraggiato, a chi è debole, a chi si sente abbattuto dal peso della vita e delle proprie colpe e non riesce più a sollevarsi. In questi casi, la vicinanza e il calore di tutta la Chiesa devono farsi ancora più intensi e amorevoli, e devono assumere la forma squisita della compassione, che non è avere compatimento: la compassione è patire con l’altro, soffrire con l’altro, avvicinarmi a chi soffre; una parola, una carezza, ma che venga dal cuore; questa è la compassione. Per chi ha bisogno del conforto e della consolazione”.

Mai ricambiare il male col male
Ciò è quanto mai “importante”, perché la speranza cristiana “non può fare a meno” della carità genuina e concreta. Come spiega l’Apostolo delle genti nella Lettera ai Romani, sono i “forti” - che hanno fede, speranza o non hanno “tante difficoltà”, dice il Papa - ad avere il dovere di “portare le infermità dei deboli”, senza compiacersi.

“Portare le debolezze altrui. Questa testimonianza poi non rimane chiusa dentro i confini della comunità cristiana: risuona in tutto il suo vigore anche al di fuori, nel contesto sociale e civile, come appello a non creare muri ma ponti, a non ricambiare il male col male, a vincere il male con il bene, l’offesa con il perdono – il cristiano mai può dire: me la pagherai!, mai; questo non è un gesto cristiano; l’offesa si vince con il perdono –, a vivere in pace con tutti. Questa è la Chiesa!".

Sostenersi a vicenda
Ed è anche, continua Francesco, ciò che opera la speranza cristiana, “quando assume i lineamenti forti e al tempo stesso teneri dell’amore”, perché esso è “forte e tenero”. Il Papa esorta dunque, nelle nostre comunità, a sostenersi a vicenda:

“Aiutarci a vicenda. Ma non solo aiutarci nei bisogni, nei tanti bisogni della vita quotidiana, ma aiutarci nella speranza, sostenerci nella speranza”.

Lo Spirito Santo è l'anima della speranza
Tocca in primis a coloro ai quali “è affidata la responsabilità e la guida pastorale”, non perché - puntualizza il Pontefice - “siano migliori degli altri”, ma in forza di un ministero divino che va “ben al di là” delle loro forze: hanno perciò “bisogno del rispetto, della comprensione e del supporto benevolo” di tutti. Quindi Francesco ricorda che il “soffio vitale”, l’anima della speranza è lo Spirito Santo: senza invocarlo, “non si può avere speranza”:

“Se non è facile credere, tanto meno lo è sperare. E’ più difficile sperare che credere, è più difficile. Ma quando lo Spirito Santo abita nei nostri cuori, è Lui a farci capire che non dobbiamo temere, che il Signore è vicino e si prende cura di noi; ed è Lui a modellare le nostre comunità, in una perenne Pentecoste, come segni vivi di speranza per la famiglia umana”.

Gli appelli
Negli appelli finali, Francesco ricorda che sabato prossimo, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, ricorrerà la 25.ma Giornata Mondiale del Malato, mentre ieri a Osaka, in Giappone, è stato proclamato Beato il martire Justo Takayama Ukon, “mirabile esempio di fortezza nella fede e di dedizione nella carità”. Quindi un pensiero per gli sposi novelli, incitandoli a confidare non solo nelle capacità personali ma soprattutto “nell’aiuto della Provvidenza”:

“Il matrimonio senza l’aiuto di Dio non va avanti. Dobbiamo chiederlo tutti i giorni”.

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Papa: governi combattano tratta, crimine vergognoso. Appello per i Rohinya

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Oggi, nella memoria di Giuseppina Bakhita, la schiava sudanese diventata santa, si celebra la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, quest’anno dedicata in particolare a bambini e adolescenti. Il Papa lo ha ricordato all’udienza generale. il servizio di Sergio Centofanti

 

Papa Francesco lancia un appello forte, incoraggiando “tutti coloro che in vari modi aiutano i minori schiavizzati e abusati a liberarsi da tale oppressione”:

“Auspico che quanti hanno responsabilità di governo combattano con decisione questa piaga, dando voce ai nostri fratelli più piccoli, umiliati nella loro dignità. Occorre fare ogni sforzo per debellare questo crimine vergognoso e intollerabile”.

Pregare S. Giusepppina Bakhita per tutti i migranti
Poi parla di Santa Giuseppina Bakhita, che da bambina fu vittima della tratta:

“Questa ragazza schiavizzata in Africa, sfruttata, umiliata non ha perso la speranza e portò avanti la fede e finì per arrivare come migrante in Europa. E lì sentì la chiamata del Signore e si fece suora. Preghiamo Santa Giuseppina Bakhita per tutti, per tutti i migranti, i rifugiati, gli sfruttati che soffrono tanto, tanto”.

Appello per i Rohinya
Francesco prega “in modo speciale per i nostri fratelli e sorelle Rohinya”, “cacciati via dal Myanmar, che vanno da una parte all’altra perché non li vogliono”:

“E’ gente buona, gente pacifica … non sono cristiani, sono buoni, sono fratelli e sorelle nostri. E’ da anni che soffrono: sono stati torturati, uccisi, semplicemente per portare avanti le loro tradizioni, la loro fede musulmana … Preghiamo per loro e vi invito a pregare per loro il nostro Padre che è nei Cieli, tutti insieme, per i nostri fratelli e sorelle Rohinya”.

Grazie al Comitato della Giornata contro la tratta
Il Papa chiede un applauso a Santa Giuseppina Bakhita e saluta il Comitato della Giornata mondiale di preghiera contro la tratta delle persone, presente in Aula Paolo VI:

“Grazie per quello che fate!”.

Nessuno resti indifferente al grido dei bambini schiavizzati
Quindi, invita i giovani a imitare Giuseppina Bakhita: il suo esempio - dice - accresca in voi “l’attenzione per i vostri coetanei più svantaggiati e in difficoltà”. Infine, in due tweet il Papa interviene sul tema. Oggi scrive: "Chi favorisce la tratta di persone è responsabile davanti a Dio. Preghiamo per la conversione dei cuori". E ieri ha affermato: "Ascoltiamo il grido di tanti bambini schiavizzati. Nessuno resti indifferente al loro dolore".

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P. Czerny: si sconfigge la tratta vincendo indifferenza e corruzione

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Quest’anno la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone è dedicata in particolare a bambini e adolescenti. Secondo gli ultimi dati, i minori vittima di schiavitù e grave sfruttamento nel mondo sarebbero un milione e 200 mila. Una vittima di tratta su cinque è un bambino o un adolescente. In questo senso, quanto è importante aver istituito questa Giornata? Federico Piana lo ha chiesto a padre Michael Czerny, sottosegretario incaricato dei migranti nel nuovo Dicastero vaticano per il Servizio allo sviluppo umano integrale: 

R. - È importante perché se si pensa ad un bambino della propria famiglia, ovviamente la tratta, la schiavitù, sono ipotesi raccapriccianti, che nessuno mai prenderebbe in considerazione. Il problema è che questi bambini oggetto di traffico e schiavizzati sono invisibili. Perciò questa Giornata è importante per renderli visibili, ascoltarli, affinché entrino nei nostri cuori.

D. - Quale deve essere il ruolo della Chiesa, delle organizzazioni non governative e  della società civile per cercare di fermare questo fenomeno?

R. - Rendere il problema visibile è il passo necessario. La vocazione della Chiesa e la missione delle altre organizzazioni è di stare vicini a questi bambini, di avere il coraggio di avvicinarsi alla loro realtà e di scoprire cosa vivono ed in questo modo aiutare la società a riconoscere questa piaga, questo crimine che continua sotto i nostri occhi chiusi.

D. - E il ruolo dei governi? Mi sembra che molto spesso le legislazioni contro la tratta e in difesa delle vittime, in tutto il mondo, siano diverse, non c’è uniformità. Le organizzazioni internazionali possono tentare di far uniformare queste leggi?

R. - No, questa non è una soluzione, questa è un’astrazione. L’uniformità della legge non aiuta. Ciò che aiuta è implementare le leggi esistenti. Bisogna aver il coraggio di fare ciò che abbiamo già proclamato come società, come governi, e non permettere alla corruzione di bloccare l’aumento della nostra legislazione. Se i nostri organismi di sicurezza per il benessere sociale sono corrotti, tu puoi cambiare le leggi come vuoi! Bisogna avere il coraggio di fare quello che abbiamo già detto di voler fare: siamo obbligati a farlo!

D. - Le agenzie educative, la scuola, la famiglia, come possono, in questo caso, essere d’aiuto?

R. – Io direi che la domanda giusta da porsi sia questa: cosa impedisce alla famiglia e alla scuola di aprire gli occhi, di riconoscere questo problema? Se in una famiglia un membro sta “usufruendo” di bambini trafficati, il problema è là! Le persone che generano la domanda non sono molto differenti dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità, perché se non ci fosse la domanda non ci sarebbe l’offerta. Questa sembra una regola abbastanza chiara. Quindi si comincia con la verità, con la coscienza e con gli occhi aperti. Con coraggio.

D. – Tema fondamentale è anche il recupero delle persone che riescono ad uscire dalla tratta e dallo sfruttamento...

R.- Non ho dubbi che le congregazioni femminili della Chiesa sono in genere le migliori per fare questo; hanno la sensibilità, il coraggio, le risorse. Penso che se una persona non ha la possibilità di fare qualcosa da solo, perlomeno può dare sostegno alle suore, alle congregazioni che fanno il lavoro eroico, generoso. Il vero lavoro di misericordia.

D. - Quindi sono le suore sono le più adatte perché riescono a creare empatia con queste persone …

R. - Sì, hanno il coraggio di avvicinarsi e di dare la possibilità alle donne, ai bambini, di parlare, di dire la verità per aiutarle ad uscire dall’incubo.

Su questa Giornata ascoltiamo la testimonianza di suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata e presidente dell’associazione Slaves No More, al microfono di Lucas Duran

R. – Queste giornate sono proprio emblematiche perché si vivono dopo la preparazione di incontri, di convegni, di aiuti che vengono dati attraverso i mezzi di comunicazione proprio per una sensibilizzazione, a tappeto, perché siamo tutti coinvolti e siamo tutti coscienti e corresponsabili di questa tratta di esseri umani che veramente sta distruggendo la vita di tante persone, soprattutto di minori.

D. – Quando si parla di “tratta delle schiave” che cosa si intende?

R. – Si intende che queste donne vengono accalappiate nei Paesi di origine, soprattutto Paesi poveri, dove non ci sono tante opportunità né di scuola né di lavoro e queste persone vengono prese da organizzazioni criminali che presentano loro un futuro di speranza, di opportunità per loro e per le loro famiglie. Poi si trovano buttate letteralmente sulla strada. Se non ci fosse la richiesta non ci sarebbero tutte queste persone.

D. – Di fatto questa catena di schiavitù ha una serie di anelli…

R. – Prima di tutto il nome più importante è la povertà. La povertà di queste persone è una povertà endemica dei Paesi di provenienza e io parlo in modo particolare della Nigeria. L’ho rivisitata dopo alcuni anni e ho trovato veramente che la situazione di povertà è aumentata in modo spaventoso. L’unica ricchezza che ho notato in Nigeria sono i bambini: bambini con la voglia di vivere, con la voglia di speranza. Ma veramente c’è una grande povertà. Molti di questi bambini non possono nemmeno andare a scuola e non avendo la possibilità di una educazione e  di una formazione, molto facilmente diventano vittime di chi offre una opportunità all’estero. E chi è quel giovane che non l’accetta? Nella catena ci sono anche gli anelli della corruzione, l’anello dell’ignoranza: queste persone non sono più libere di fare delle scelte perché sono veramente accerchiate da queste persone. Ogni anello ha un nome… La nostra indifferenza è forse l’anello più importante.

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Francesco: senza lavoro dignitoso, società non è giusta

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“Una società che non offra alle nuove generazioni sufficienti opportunità di lavoro dignitoso non può dirsi giusta”. Lo scrive il Papa nel suo messaggio al convegno apertosi oggi a Napoli dal titolo “Chiesa e lavoro: quale futuro per i giovani del Sud?”, organizzato dalle Diocesi del Mezzogiorno. Alla due giorni di lavori è a arrivato anche il saluto del Capo dello Stato Sergio Mattarella e del premier Paolo Gentiloni. Alessandro Guarasci

“Quando non si guadagna il pane si perde la dignità”. Il Papa torna a dirlo nel suo messaggio al convegno organizzato dai vescovi del Sud a Napoli. I giovani, quando “non hanno prospettive – scrive Francesco – possono diventare facile preda delle organizzazioni malavitose”. Il santo Padre quindi auspica che “le comunità ecclesiali, a fianco delle istituzioni, si adoperino con dedizione per ricercare soluzioni adeguate alla piaga sempre più estesa della disoccupazione giovanile e del lavoro nero e al dramma di tanti lavoratori sfruttati per avidità, a causa di una mentalità che guarda al denaro, ai benefici, e ai profitti economici a scapito dell’uomo”. Il capo dello Stato Sergio Mattarella aggiunge  che bisogna ridurre le distanze tra Nord e Sud, mentre il premier Paolo Gentiloni assicura che priorità del governo è sviluppare il Mezzogiorno. La Chiesa fa molto in queste senso, a cominciare da progetti nel settore agricolo, come dice l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe:

“Ci sono tanti terreni lasciati abbandonati e si sta sviluppando, soprattutto negli ultimi tempi, la creazione di cooperative di giovani per la valorizzazione di questi luoghi. C’è tutta una serie di piccole iniziative che però, alla fine, messe insieme offrono un buon ventaglio id possibilità per il lavoro dei nostri giovani”.

Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris riconosce gli sforzi fatti dall’esecutivo, ma chiede un impegno più puntuale:

“Per quanto riguarda Napoli il governo ha mostrato due segnali importanti con il Patto per Napoli e per Bagnoli. Se il metodo è questo, ovvero quello della collaborazione istituzionale, della concretezza e della rapidità degli interventi, allora è un segnale importante. Per il resto in questi anni, complessivamente, i governi non hanno fatto quasi nulla per il Mezzogiorno. Quello che invece fa male è continuare a vedere le discriminazioni nella distribuzione delle risorse tra le grandi aree del Mezzogiorno e quelle del Centro Nord”.

I ragazzi hanno portato le loro testimonianze qui a Napoli. Tra le iniziative della Chiesa al Sud c’è il progetto Policoro che mira a formare i giovani, dando loro la possibilità di realizzare micro imprese. Antonio Francese è uno di loro:

“Sì, abbiamo visto dei risultati concreti con la fondazione di alcune cooperative, con l’apertura di alcuni esercizi commerciali a titolo individuale, una serie di quelli che noi del progetto Policoro chiamiamo “gesti concreti”. Quindi devo che in Campania negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo, siamo felici di questo, senza creare false illusioni, perché la difficoltà è reale, è tangibile”.

Insomma, se il Sud riparte dalle giovani generazioni può davvero conoscere una stagione di sviluppo.

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Egitto. Patriarca Sedrak: ricostruite chiese, ma c'è paura di nuovi attacchi

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La situazione della Chiesa in Egitto tra speranze e difficoltà: ne hanno parlato con il Papa, lunedì scorso, i presuli della Chiesa Patriarcale di Alessandria dei Copti, in visita “ad Limina Apostolorum". Formazione e giovani al centro del colloquio. Debora Donnini ha intervistato Sua Beatitudine Ibrahim Isaac Sedrak, patriarca di Alessandria dei Copti: 

R. – Posso dire che era dulcis in fundo, perché la settimana prima siamo andati in visita in tanti Dicasteri e ci siamo scambiati informazioni e idee. E’ stato molto importante. E poi, la mattina di lunedì scorso abbiamo concelebrato con il Santo Padre a Santa Marta. Poi, alle 11, ci siamo incontrati per più di un’ora. Due gli argomenti centrali affrontati: la formazione in generale, sia del clero sia dei laici, soprattutto delle persone leader, ad esempio nella Chiesa, e l’attenzione verso i giovani: il Papa ha dato molta importanza a questo. E alla fine, gli abbiamo dato una lettera scritta, invitandolo a visitare l’Egitto. Lui ha promesso di pensarci bene: speriamo di avere una bella notizia!

D. – Sua Beatitudine, in Egitto si registrano ancora casi di discriminazione verso i cristiani, atti di terrorismo, ad esempio quello dell’11 dicembre scorso contro la Chiesa copta di San Pietro, al Cairo, dove sono morte 29 persone. Questi casi di violenza vi preoccupano?

R. – Certo. La violenza, purtroppo, è a livello mondiale. Da noi, in Egitto, a livello dello Stato, musulmani, cristiani, tutti coloro che vogliono il bene dell’Egitto, sono senz’altro preoccupati. La violenza è solo in favore di coloro che vogliono far cadere lo Stato egiziano e, come abbiamo detto spesso, è dovuta all’ignoranza perché abusano di giovani innocenti, che magari non hanno lavoro e sono pagati per fare queste cose.

D. – In questa situazione, i cristiani hanno paura?

R. – Sì, senz’altro. I cristiani in modo particolare perché, purtroppo, per far cadere l’Egitto questi terroristi vanno ad attaccare il punto debole della società, quindi la minoranza cristiana. E poi, è come se fosse una vendetta contro i cristiani stessi perché loro considerano che i cristiani hanno sostenuto Al-Sisi. La reazione dei cristiani però non è mai violenta.

D. – Forme di violenza verso i cristiani, anche attentati, si sono verificati anche prima…

R. – Succedeva e nessuno veniva punito come colpevole. Adesso, invece, almeno c’è qualcosa che si muove: qualcuno viene giudicato colpevole, e poi la reazione, per esempio, del presidente, come partecipare ai funerali in modo molto ufficiale. Il clima di paura rimane, perché questi attaccano i cristiani, attaccano i soldati, attaccano in qualsiasi momento, anche i musulmani.

D. – Questi atti di violenza avvengono, appunto, nonostante l’impegno del presidente Al-Sisi che ha fatto approvare una legge per facilitare la costruzione di chiese, e ha condannato questi atti …

R. – Certo, apprezziamo molto le iniziative del presidente che veramente aiuta molto, incoraggia anche i cristiani. Lui ha spinto per accelerare la ricostruzione delle chiese che sono state attaccate nel 2013. Dopo un momento di pausa lunga, infatti, tutte le chiese sono state restaurate e ricostruite. Questa è una cosa. Riguardo, invece, alla legge per dare il permesso di costruire, questa è una legge che è stata messa nella Costituzione che è stata fatta. Almeno alla fine abbiamo una legge ma tra la teoria e la pratica c’è un mare …

D. – Com’è in questo momento il rapporto dei cristiani in Egitto con la popolazione musulmana? Portate avanti iniziative di dialogo? Ci sono momenti di incontro?

R. – A livello delle istituzioni, c’è quella che noi chiamiamo la “Casa della famiglia”, cioè un’istituzione tra al-Azhar e le Chiese egiziane, ortodossa, cattolica e protestante. E nonostante tutto quello che succede in Egitto, gli egiziani continuano ad amare il loro Paese.

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Gallagher: per Francesco la diplomazia vaticana è servizio all’umanità

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Pace, diritti umani, disarmo. Sono i temi forti che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha sottolineato nel suo recente viaggio in Giappone. Tutti temi particolarmente a cuore a Papa Francesco. In questa intervista in esclusiva alla Radio Vaticana, realizzata da Alessandro Gisotti, il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati traccia un bilancio del viaggio in Estremo Oriente e parla delle sfide più urgenti per la diplomazia vaticana: 

R. – Il viaggio è stato programmato dopo il viaggio qui in Italia e in Vaticano del ministro degli Affari Esteri Kishida, l’anno scorso. Così, quando è arrivato l’invito per andare a Tokyo l’ho accolto anche in spirito di reciprocità. Andare in Giappone è un po’ essere testimoni di una situazione molto particolare, dopo la storia della Seconda Guerra Mondiale, dopo le bombe atomiche: si entra in un Paese che è stato profondamente traumatizzato dall’esperienza della Seconda Guerra Mondiale e per loro la pace ha un senso molto particolare. Si vive la preoccupazione di tutti i giapponesi: assicurare la pace. E andando lì è stato possibile fare un discorso di pace: la gente capisce il prezzo che si deve pagare per la pace, lo sforzo necessario per assicurare la pace e poi anche il costo della pace. Loro lavorano tanto per assicurare  buoni rapporti con i loro vicini, sono preoccupati anche per la situazione attuale della penisola coreana ed evidentemente anche per la loro alleanza di difesa con gli Stati Uniti ed altri. Il tema della pace è molto vivo e questo mi fa piacere nel senso che spesso nel mondo noi prendiamo la pace come un qualcosa di sicuro, qualcosa di garantito, ma non è così. Mentre in Giappone capiscono il prezzo della pace, la sofferenza della non-pace.

D. - Proprio a proposito di questo, particolarmente forte e simbolica è stata la sua visita di Hiroshima. Il disarmo nucleare purtroppo sembra ancora restare un’utopia: cosa può fare la Santa Sede su questo fronte, che ruolo può giocare?

R. – Noi continuiamo a lavorare, anche con un senso di realismo, nel mondo, per il disarmo nucleare, per la non proliferazione delle armi nucleari. E in questo ovviamente condividiamo molto le posizioni del Giappone che pure si è molto impegnato in questo senso. Noi essenzialmente lavoriamo su due fronti. Nel mondo multilaterale, tramite gli organismi internazionali, soprattutto quelli che si occupano direttamente del disarmo, del nucleare. E naturalmente anche tramite la Chiesa: speriamo che anche le comunità cattoliche siano animate da questo spirito di pace e questo spirito di cercare - come il Papa ha detto spesso - questa etica di fraternità che rende superabili tutte le nostre paure, che ci portano poi a difenderci anche con queste armi terribili.

D. – Nel suo intervento alla Sophia University di Tokyo, lei ha parlato anche dei diritti dei poveri e dei profughi. Come valuta le barriere politiche anche di chiusura verso i migranti che si stanno rafforzando in tante parti del mondo?

R. – Noi vediamo che bisogna lavorare su molti fronti, bisogna cercare di ridurre i conflitti e risolvere le guerre dove ci sono. Bisogna lavorare per un maggiore sviluppo economico e finanziario di molti Paesi dove i poveri sono quasi obbligati a cercare, giustamente, un futuro migliore per loro stessi e per le loro famiglie. In questo senso noi lavoriamo e anche per una nuova rinnovata visione dell’economia mondiale. Dobbiamo dire che abbiamo le risorse, abbiamo le capacità di creare un mondo più giusto dove ci sia più possibilità di vivere con dignità. In questo senso la Chiesa lavora.

D. - Dai rapporti tra Stati Uniti e Cuba, alla Colombia, la Siria, il ruolo della Santa Sede per la pace è molto attivo in questo Pontificato. Che cosa rappresenta, secondo lei, per Papa Francesco la diplomazia vaticana?

D. – Credo che il Santo Padre ritenga che la diplomazia vaticana sia una manifestazione di quel ministero, di quel servizio, che la Chiesa ha sempre reso e rende e renderà alla comunità internazionale. Noi rispondiamo alle situazioni, agli appelli dei governi e dei popoli per contribuire alla pace, offrire a queste cose i nostri buoni uffici. Non è che noi siamo protagonisti, noi non pretendiamo di avere soluzioni per tutte le cose, però possiamo in questo spirito di fraternità cercare di aiutare gli altri, di superare i pregiudizi, di incontrarsi per parlare, per lanciare un dialogo. Facciamo quello che è possibile e il Santo Padre desidera che siamo sempre disponibili, con tutte le difficoltà e le sfide che ci sono. Noi rispondiamo sempre all’appello e all’invito di tutte e due le parti in conflitto, non è che rispondiamo solo a una, perché dobbiamo sempre cercare di rimanere imparziali.

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Marocco: libertà di lasciare l'Islam. Paolo Branca: svolta storica

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Una buona notizia che arriva dal Marocco, dove è stata eliminata la pena di morte per il reato di apostasia dall’islam. La decisione arriva dal Consiglio Superiore degli Ulema, massima autorità religiosa del Paese, che ha ribaltato una sentenza di contenuto opposto decretata nel 2012. Roberta Gisotti ne ha parlato con Paolo Branca, docente di Islamistica e di Storia dei Paesi arabi all'Università cattolica di Milano: 

D. – Prof. Branca, qualcuno sulla stampa ha commentato: ‘una svolta storica’ quella del Marocco. E’ così?

R. – Sì, è così perché per la prima volta questa cosa viene riconosciuta come principio. In pratica, già la pena di morte per apostasia non veniva applicata nella maggior parte dei casi, con soluzioni – diciamo così – di comodo …

D. – Questa decisione del Consiglio Superiore degli Ulema è subito operativa?

R. – Io credo di sì, perché il Marocco sta facendo tanti passi avanti, nel senso che il Codice civile già anni fa ha introdotto importanti diritti per le donne, compresa la possibilità di separarsi dal marito, cosa che la legge islamica tradizionale prevede soltanto per il maschio, che può ripudiare la donna; invece, questo Codice equipara i due coniugi. E poi c’è stato anche l’importante documento di Marrakesh di circa un anno fa, dove le minoranze religiose venivano dichiarate da rispettare, in base al principio di cittadinanza, quindi riconoscendo un principio universale.

D. – Prof. Branca, questa decisione arriva a pochi giorni dal rientro del Marocco nell’Unione Africana, si dice per volontà del re Mohammed VI, che sarebbe interessato a riportare il suo Paese nel pieno della scena internazionale. Potrebbe esserci quindi un collegamento?

R. – Credo di sì. Penso che non soltanto il Marocco, ma anche noi – i Paesi dell’Europa, soprattutto l’Europa mediterranea – dovremmo essere interessati al futuro dell’Africa che nei prossimi 30 anni raddoppierà la propria popolazione mentre quella europea rimarrà stabile, grazie alle immigrazioni. Quindi uno sviluppo nel senso giusto soprattutto dei Paesi rivieraschi, ma poi anche del resto dell’Africa, è lungimirante nell’interesse di tutti.

D. – Venendo all’aspetto religioso, in verità il Corano non prescrive la pena di morte per chi abbandona l’Islam …

R. – No, affatto. Ma neanche la lapidazione per l’adulterio: sono tutte cose che sono state attribuite al Profeta nella sua tradizione detta “Sunna” e che vanno contestualizzate, ovviamente. Quando la comunità islamica era molto piccola, quando a compiere la famosa migrazione dalla Mecca a Medina erano circa 70-80 persone, la defezione poteva essere un alto tradimento, che metteva a rischio la sopravvivenza della comunità. Oggi i musulmani sono un miliardo e 600 milioni: penso che se uno abbandona la fede, non mette a rischio la sopravvivenza di nessuna comunità religiosa, ovviamente.

D. – Può essere, il Marocco, l’avanguardia di una nuova sensibilità che è maturata nel mondo musulmano?

R. – Lo spero, anche perché il Marocco tutto sommato è un Paese abbastanza stabile, non è stato sconvolto dalle primavere arabe come altri, che sono finiti in situazioni piuttosto difficili, anche di mancanza di sicurezza; può essere un Paese-leader – diciamo così – non solo del Maghreb, ma di tutta l’area nordafricana e mediorientale, insieme ad altre monarchie illuminate come per esempio la Giordania.

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La Somalia guarda al futuro: i deputati eleggono il Presidente

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Ingenti misure di sicurezza oggi in Somalia, dove oggi 275 deputati e 54 senatori, dopo tanti rinvii, votano per la scelta del Presidente tra 22 candidati. Sede delle elezioni è l’aeroporto di Mogadiscio, ritenuto la zona meglio difendibile da eventuali attentati, soprattutto dei miliziani islamisti al Shabaab. Nel Paese opera ancora la missione dell’Unione Africana, Amisom. Il voto è stato preceduto da una serie di attacchi nella capitale e nella regione del Puntland. Sull’importanza del voto, Giancarlo La Vella ha intervistato il padre comboniano, Giulio Albanese, direttore delle riviste delle Pontificie Opere Missionarie: 

R. – Noi stiamo parlando di un Paese in cui di fatto non c’è lo Stato di diritto, non fosse altro perché le autorità internazionalmente riconosciute a livello politico controllano pochi scampoli di territorio. Comunque il nuovo Presidente sarà un po’ la cartina tornasole di quello che è il feeling all’interno del parlamento, dopodiché il cammino continuerà ad essere sempre in salita, perché si tratta di una società a dir poco parcellizzata.

D. – Quanto influisce il rischio di attentati in questo momento, non solo per le elezioni, ma per la ricostituzione istituzionale del Paese?

R. – Gli attentati appartengono in Somalia alla quotidianità. Questo Paese è ostaggio dei violenti. Sappiamo bene che ci sono gli al Shabaab, che rappresentano l’ala radicale delle ex-corti islamiche. La verità è che ci sono condizionamenti di vario genere, perché dal versante mediorientale continuano ad arrivare forniture di armi e munizioni di vario genere e gli sponsor sono davvero tanti. Ognuno di questi governi, in una maniera o nell’altra, ha il proprio candidato e naturalmente ha finanziato questo o quel personaggio con l’intento in una maniera o nell’altra di affermare i propri interessi. Ora la verità è che la Somalia è senza Stato dalla caduta del regime di Siad Barre nel ’91 e questa situazione di instabilità si sta procrastinando nel tempo. C’è una variabile in tutto questo ragionamento ed è rappresentata dall’era Trump: non si sa se la Somalia verrà lasciata abbandonata a sé stessa o se invece continuerà a esserci un interesse in funzione antiterroristica.

D.  – Il vecchio territorio della Somalia di fatto oggi è diviso in tre realtà: il Somaliland, il Puntland e la Somalia con capitale Mogadiscio. Dialogano queste tre realtà?

R. – Un dialogo c’è, ma certamente questa è una realtà territoriale, che è stata in passato e continua a essere ostaggio dei cosiddetti “war lords”, i “signori della guerra”. Il problema di fondo però è che effettivamente manca la capacità di saper fare sistema e, sebbene ci sia una società civile che in una maniera o nell’altra vorrebbe affermare il riscatto, vorrebbe voltare pagina, continuano ad esserci forti condizionamenti che provengono dall’estero. E qui il riferimento, direi esplicito e diretto, va sicuramente ai Paesi del Golfo, alle cosiddette petromonarchie, ma poi, non dimentichiamo, c’è anche il Sudan. Per cui le divisioni rispondono ad una logica, quella del “divide et impera”, anche perché non dimentichiamo che l’oggetto del contenzioso è rappresentato dalle commodities: petrolio, gas naturale, uranio. Questo è un Paese che ha delle risorse nel sottosuolo non indifferenti, addirittura offshore: c’è tanto petrolio tra la sponda yemenita e quella somala. Tutte queste ricchezze paradossalmente rappresentano non solo un fattore altamente destabilizzante, ma davvero una sciagura, perché hanno scatenato appetiti soprattutto da parte dei potentati stranieri.

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Mali: rapita una suora colombiana

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Una suora colombiana della congregazione delle Suore Francescane di Maria Immacolata è stata rapita ieri sera, a Koutiala, nel sud del Mali. “Non sappiamo chi siano i rapitori. La Gendarmeria e la polizia stanno indagando. Anche i vescovi sono in zona per ottenere informazioni” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza episcopale del Mali. “La zona dove la religiosa è stata rapita è tranquilla ed è questo che stupisce. Quell’area del Paese non è stata ancora toccata dall’insicurezza che colpisce altre zone del Mali” dice il sacerdote, che conferma la nazionalità colombiana della religiosa rapita. Intorno alle 21 di ieri sera, un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella parrocchia di Karangasso a Koutiala, sequestrando la suora e fuggendo con l’autovettura della parrocchia. (L.M.)

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Colombia: a Quito dialogo governo-Eln. Presente la Chiesa

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Ieri, nella capitale dell’Ecuador Quito, si è aperta la fase pubblica di dialogo tra il governo colombiano e il gruppo di guerriglieri dell'Eln (Esercito di Liberazione Nazionale). Ha partecipato all’incontro anche il vescovo della diocesi di Tibu, mons. Omar Sanchez Cubillos, membro della delegazione dei vescovi colombiani che accompagnano questo processo, che egli vede "pieno di speranza".

Completate le proposte che prevedono la presenza della Chiesa
Come informa la nota inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale, sono trascorsi più di 300 giorni (marzo dello scorso anno) da quando i rappresentanti del governo nazionale e l'Eln hanno firmato un primo accordo per i dialoghi in modo di strutturare questo lavoro. In questo momento le due parti hanno completato le loro proposte, e queste comprendono anche una richiesta esplicita alla Chiesa di essere presente al processo che inizia ora.

E' stato soprattutto l'Eln a richiedere la partecipazione della Chiesa 
Secondo le informazioni fornite da mons. Omar Sanchez, dopo una riflessione approfondita e di consulenza con il governo nazionale, i vescovi hanno ritenuto opportuno accettare questo invito ad accompagnare "un processo che è di aiuto a molte persone dei nostri territori, in cui l'Eln è presente". ​La nota ricorda che anche i vescovi delle diocesi di Arauca, Quibdo, Istmina e Cali, saranno presenti come facilitatori e per offrire la loro consulenza quando richiesta. 

La Chiesa colombiana chiede la fine di ogni conflitto nel Paese
La Chiesa cattolica colombiana da tempo ha espresso il desiderio di chiudere ogni conflitto armato nel Paese con ogni gruppo di guerriglia. Nel Messaggio della 101.a Assemblea plenaria dei vescovi della Colombia, dell'8 luglio 2016, è scritto chiaramente che i guerriglieri dell'Eln sono chiamati a "interpretare il desiderio di pace di tutti i colombiani, ad aprire le porte al dialogo e alla costruzione di un Paese con la giustizia sociale assicurata dalla partecipazione politica e non dalle armi". (C.E.)

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Famiglie cattoliche: Ue non difende i minori dalla pornografia

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La pornografia minaccia sempre più l’infanzia, soprattutto su internet. E’ la denuncia della Federazione europea delle Associazioni familiari cattoliche, oggi impegnata in un dibattito sul tema al Parlamento europeo. In vista della revisione della direttiva Ue sull’audiovisivo, Fafce (pronuncia Fafsè) ribadisce che si stanno abbassando gli standard di protezione per i bambini. Massimiliano Menichetti ha intervistato il responsabile relazioni internazionali, Nicola Speranza

R. – L’evento di oggi ha come obiettivo principale quello di allertare sulla tematica dell’esposizione dei minori alla pornografia. E’ un fenomeno in crescita, si parla spesso e a giusto titolo di sicurezza internet, delle minacce della pedopornografia, ma si parla molto di meno di come i minori siano sempre più esposti a contenuti pericolosi sia in televisione ma ora soprattutto online. In media, un bambino in Europa inizia ad usare internet all’età i 7 anni. Uno studio britannico dimostra come i minori tra i 5 e i 16 anni spendano circa 6 ore e mezzo al giorno davanti ad uno schermo e questo è dovuto a una grande accessibilità agli smartphone, laptop, tablet… E la pornografia rappresenta un mondo pericoloso che ha conseguenze sugli adulti ma a maggior ragione sui bambini.

D. - Come si fa a proteggere un minore, visto che via etere l’accesso è vietato ai 18 anni, ma su internet basta digitare una parola?

R. - L’ideale sarebbe bloccare i siti. Il problema grande che vediamo è che c’è una forte pressione sia della lobby dell’industria pornografica - i cui guadagni sono veramente enormi a livello di decine di miliardi di euro - ma c’è anche una volontà da parte di alcuni settori dell’audiovisivo a non voler essere regolamentati in alcun modo.

D. – A breve la previsione della direttiva in materia: qual è la situazione?

R. – E’ necessario aggiornare questa direttiva europea molto vasta che regola i servizi audiovisivi sia internet sia della televisione e tra i vari aspetti di questa ampia direttiva c’è anche il tema della protezione dei minori. L’attuale proposta della Commissione europea e ancora di più quella del Parlamento europeo ci preoccupano perché abbassano gli standard già deboli che ci sono a livello europeo. Per esempio, l’attuale normativa parla di sviluppo morale, fisico e psichico del bambino: ci sono più proposte per cui si vuole sopprimere il riferimento allo sviluppo morale del bambino e così facendo si dimentica totalmente il bisogno che i bambini hanno di crescere in un ambiente sano e sicuro di fronte anche alle nuove sfide della digitalizzazione.

D. – Attualmente si assiste anche al paradosso, ovvero che in internet in nome della libertà non si regolamenta nulla…

R. – Ed è quello che stiamo vedendo nel Regno Unito dove la proposta legislativa volta a bloccare la pornografia è messa in discussione dalle norme europee che riguardano la cosiddetta neutralità di internet. Se si dice che internet deve essere uno spazio libero di scambio di opinioni, questo non può voler mettere questa libertà al servizio di persone che sfruttano altre persone - qui tutta la questione dell’industria della pornografia - e che mettono a repentaglio lo sviluppo morale e psicologico dei bambini.

D. – Al parlamento si discute di protezione, ma i genitori che cosa possono fare?

R. – Il bambino non va mai lasciato solo ma sempre accompagnato. I computer, gli smartphone non vanno lasciati di facile accesso ai bambini. Va anche sottolineato il ruolo fondamentale dei genitori nell’educare così da creare negli anni un sano rapporto con le nuove tecnologie. Si tratta di una nuova forma di educazione al digitale.

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Violenze a Parigi. Vescovo di Saint-Denis: le nostre preghiere per Théo

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La Chiesa cattolica di Saint-Denis si stringe attorno a Théo, il ragazzo aggredito dalla polizia, e risponde alla sua richiesta assicurando preghiere per lui, per la sua famiglia, per il ritorno della pace nel quartiere di Aulnay-sous-Bois. Dopo giorni di scontri, sulla dolorosa vicenda è intervenuto oggi il vescovo di Saint-Denis, mons. Pascal Dellanoy.

Il ragazzo ha invitato a non cedere alla violenza. I cristiani pregheranno per lui
​“Di fronte a questo atto terribile – afferma il vescovo – sono rimasto particolarmente colpito dalle parole che Théo ha rivolto nel corso della visita del Presidente Hollande. Parole in cui il ragazzo invita a non cedere alla violenza e con le quali chiede anche di pregare per lui. Trovo che questo suo appello dimostra una grande maturità nonostante questo giovane soffra terribilmente nella carne. Tutti i cristiani pregheranno per lui, per la sua famiglia, e perché la fraternità possa emergere sulla violenza”. Perché ciò avvenga – evidenzia il vescovo – “dipende da un lavoro di fondo da fare. Oggi c’è una sfiducia reciproca tra i giovani delle banlieue e le forze di polizia. È evidente che in un contesto simile appena succede qualcosa, la tensione scoppia molto velocemente e si trasforma in violenza. Bisogna pertanto fare tutto un lavoro - sostiene il vescovo - che permetta di ricostruire un legame di fiducia tra i giovani e la polizia. Ed è un lavoro che deve essere fatto, a mio avviso, incoraggiando dinamiche di prossimità”. (R.P.)

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India: tre cardinali chiedono liberazione p. Tom rapito in Yemen

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Il card. Baselios Cleemis, presidente della Conferenza episcopale dell'India (Cbci), il card. George Alancherry, arcivescovo maggiore dei siro-malabaresi e il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale dei vescovi di rito latino (Ccbi) hanno incontrato il primo ministro indiano Narendra Modi nel suo ufficio nella sede del Parlamento. I porporati – si legge nel comunicato pubblicato sul sito della Conferenza episcopale indiana - hanno chiesto al premier misure urgenti per ottenere il rilascio di padre Tom Uzhunnalil rapito lo scorso mese di marzo da terroristi nello Yemen.

Il premier indiano ha assicurato azioni necessarie e immediate. Il primo ministro ha anche riferito ai cardinali che il governo indiano considera molto positivamente la possibilità di una visita di Papa Francesco in India. Da parte loro, i tre porporati hanno assicurato il premier che la Chiesa cattolica e i cristiani continueranno a sostenere la crescita del Paese. (A.L.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 39

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.